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venerdì 11 luglio 2014

Nomadi e stanziali: la società ad un bivio.


In questo primo quinto del secolo, l’apertura del nuovo millennio, stiamo assistendo all’accelerazione impetuosa di una frattura che attraversa diagonalmente l’intera nostra società e rende difficile la convivenza civile: quella tra i tanti “stanziali” ed i pochi “nomadi”.

Per quasi dieci millenni hanno vinto i primi.

Ora i secondi si stanno prendendo la rivincita.

Ciò che accade è che la velocità di azione e di pensiero, l’essere senza vincoli e senza affetti, l’avere tempi corti ed orizzonti ampi, paga perché si sincronizza con un ambiente vitale che riesce a non rispondere alle responsabilità, agli obblighi ed alle solidarietà di chi resta sul terreno.
Nel momento in cui, nell’ultimo decennio del millennio scorso, per ragioni diverse e complesse inerenti in parte l’incipiente stagnazione che si affacciava nei dati sulla disoccupazione, la dinamica di redditività degli investimenti (io ricordo sempre in questo l’analisi di un “nomade” semi-pentito come Rajan), la politica ha deciso di guardare ai “nomadi”, di ascoltare la loro voce, si è aperto un intero nuovo mondo.
Ci ha messo un poco, ma ormai trionfa incontrastato. La cosa può stupire, in quanto proprio in questi ultimi anni abbiamo sotto gli occhi l’evidenza che non funziona e non può funzionare. Il nomade, nella sua vorticosa corsa, nella sua costante lotta con tutti gli altri, avvelena tutti i pozzi e –vivendo solo per il tempo presente- distrugge la possibilità stessa della vita.


Eppure ieri il Presidente della BCE, Mario Draghi, ha i n c r e d i b i l m e n t e chiesto (o intimato?) di centralizzare ed imporre a livello europeo l’habitat dei nomadi, imponendolo a tutti. Lo dico in altro modo: il leader del sistema indipendente di governo della base monetaria da parte del sistema bancario che si addensa nelle Banche Centrali nazionali e di qui nella BCE, con la sua incompleta legittimità democratica, ha reputato di potersi sostituire, quale vicario, al potere di indirizzo politico dei legittimi governi nazionali e dello stesso Consiglio Europeo che lo ha nominato. E non su una questione secondaria: nell’indicare la direzione essenziale della fase politica europea.
A suo parere le cd. <riforme strutturali> dovrebbero essere imposte agli Stati nazionali, e suppongo ai legittimi parlamenti eletti, da un nuovo organismo europeo che operi secondo la logica che negli anni novanta, ad esempio, portò il FMI (applicando il cosiddetto “Consenso di Washington”) ad imporre a riluttanti paesi periferici draconiane riforme, a vantaggio dei “mercati” internazionali (cioè dei “nomadi”), che li hanno portati in alcuni casi sull’orlo della guerra civile. Ma tant’è, secondo Draghi la “disciplina” imposta da organismi sovranazionali “aiuta” i Governi nazionali a far andare giù la medicina.
Peccato che uccida.

Io, in effetti, non ho parole. Dunque passo avanti, quale è l’orizzonte dei “nomadi”? Quale il tempo in cui si muovono? Dove è il loro cuore?
Alla prima domanda è facile rispondere, perché lo stesso Draghi lo chiarisce bene: le parole sono competitività e produttività. I nomadi competono, essi cercano sempre nuove oasi da sfruttare e far produrre, dalle quali estrarre il valore, concentrarlo e distillarlo, caricarlo sui loro veloci mezzi e portarlo in giro, nelle loro sempre più ricche e protette carovane.
Anche la seconda, il tempo è l’attimo. Qualsiasi proiezione di senso e di aspettativa più lunga non avrebbe ragione, l’unico modo di sopravvivere nel mondo dei nomadi è scappare. Ci sono altri nomadi fuori della porta.
La terza, è da nessuna parte.

Però, si potrebbe dire meglio. Ci sono almeno due tipi di “nomadi”: i predoni ed i mercanti. E il nostro Presidente è all’incrocio dei due, di qui trae la sua straordinaria forza. La sua raccomandazione è rivolta a proteggere i mercanti, ma senza danneggiare i predoni. La tragicità della sua posizione, nasce in fondo da qui. Sa benissimo che sono i flussi finanziari internazionali, l’irresponsabilità delle banche e del loro sistema “ombra” (che in misura quasi totale non è altro che il loro retrobottega), a rendere pericoloso il nostro mondo, ma deve cercare di restare in equilibrio.
Allora incoraggia ad assicurarsi che i mercanti possano andare ovunque, che nessuno possa opporsi ai loro acquisti, alle loro vendite, che nessuno possa porre controlli, dogane, limitazioni, permessi, protezioni a qualche ambiente locale. Che nessuno si inventi che esistono “aziende bambine” che andrebbero protette, che esista la “politica industriale” (anche se l’inventarono negli USA e nel secolo XIX, dopo che l’aveva praticata per secoli l’Inghilterra con altri nomi). Che nessuno pensi che “gli stanziali”, i vecchi e pigri abitanti dei territori, hanno diritti.

Allora chi sono “gli stanziali”? Anche qui, ce ne sono diversi: ci sono i sempre meno protetti ed i sempre più disprezzati abitanti delle fortezze; poi ci sono gli abitanti dei villaggi, attraversati o meno dalle strade dei nomadi; e ci sono quelli che perdono più di tutti, gli isolati, gli scartati, i dispersi.
Ormai le fortezze (ad esempio, il pubblico impiego, o i lavoratori sindacalizzati delle medie e grandi imprese) sono erose, ogni giorno ci dicono che non possiamo permettercele. Che i tanti abitanti devono uscire sul territorio e incontrare i mercanti. I villaggi sono pressati tra i mercanti che comprano a poco e vendono a molto (altrimenti che utile avrebbero?) e  il sovrano che ha perso la presa sui “nomadi”, e da qualche parte deve pur trarre per pagare i soldati. Gli scartati si perdono nel bosco.

Quale è l’orizzonte degli “stanziali”? Quale il loro tempo? Dove è il loro cuore?
L’orizzonte è la sicurezza, ci si radica per accumulare protezioni. Il tempo è lento e lungo, l’obiettivo è la durata. Il cuore è nel vicino e nel prossimo.


Nell’ultimo post (ma anche nel penultimo) avevamo preso la cosa (che è multiforme) dal lato della innovazione (altro mantra nei “nomadi”).

Questa è di almeno due generi:
     -          C’è l’innovazione predatoria, quella che amano i veloci nomadi (in particolare i predoni) che cerca di utilizzare tutto, di lasciare niente, di spostare e condensare (possibilmente in un paradiso fiscale) tutto il valore. Questa non è necessario, non è rilevante in effetti, aiuti a fare qualcosa di più con meno, lo scopo è solo prendere in modo nuovo da tanti e portarlo su pochi. L’innovazione di questo tipo è efficiente solo per il suo proprietario. Alcuni involontari esempi ce li ha forniti Moretti, nel descrivere gli “Hub dell’innovazione”, ed i loro devastanti effetti sociali nelle aree che desertificano;


     -          Poi c’è, o potrebbe esserci, “l’innovazione inclusiva”, che è adatta agli stanziali (in particolare agli abitanti dei villaggi), che deve essere fatta di comunicazione (ed open source); di riconoscimento del valore diffuso e della microcreazione di esso; di condivisione dell’energia e di sua diffusione; di cura del territorio e di responsabilità verso di esso; di spazi aperti e porosi (ma ne parliamo dopo), ma anche più accessibili; di attenzione alla formazione, alla cultura, all’istruzione; di protezione. Questa è efficiente per l’umanità.

Mi spiace per il “nomade” Draghi, ma il futuro non può essere suo.
Altrimenti non sarà nostro.


2 commenti:

  1. Se divenissimo tutti predoni o mercanti scomparirebbe il benessere. La società deve trovare un punto di incontro tra le nuove (e redditizie) forme di capitalismo e una struttura disegnata per cancellare l'indigenza. Non si può fermare il progresso tecnologico (è da sempre la risposta sbagliata) e non si può neanche bloccare queste forme nuove di capitalismo; in più è semplicemente impossibile cercare una sintesi.
    Cosa rimane?

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  2. Questa è la domanda giusta, ma la risposta non può essere rintracciata in una mente o nel lavoro sui concetti e le teorie. Queste aiutano, ma lo dobbiamo trovare provando e sbagliando. Tendendo le soluzioni, ostacolando le derive, criticando e mobilitando. Cercando nuovi occhi e nuove orecchie.

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