Un blog è un
poco come un mosaico a tessere sottili, come questo capolavoro (La
Battaglia di Isso,
al Museo Archeologico di Napoli) una volta calpestato da nobili piedi romani a
Pompei. Ogni tessera è un pezzetto di pietra colorata, non ha senso da solo; lo
acquista solo dalla vicinanza delle altre.
A me pare che
una cosa del genere sia, da lungo tempo, avvenuta anche al nostro sapere. Esso
è diventato una catasta di frammenti che ordinatamente sono inscatolati da
austeri sacerdoti; da guardiani di ortodossia pronti a indicare chi muove il
passo oltre il limite. Vengono compilate scatolette sempre più piccole di
tesserine azzurre, ben separate da quelle blu chiaro, blu cobalto, oltremarina
(casomai sembri azzurro), il severo blu di prussia; poi, certo, c’è il verde,
il rosso, il giallo, ecc…
Ma cosa sarebbe la
Battaglia di Isso,
ricondotta alle sue tessere? A che serve sapere che 62.356 sono grigie; 3.215
sono marroni; 1.310 sono rosse, e via dicendo? Tra i più severi nel giocare
questo gioco auto referente, di grande effetto, ci sono gli economisti. Per
l’esattezza quello strano genere di economisti, che originariamente si
occupavano di una esoterica sottobranca detta “econometria” e dei suoi eleganti
ma un poco vuoti modelli matematici, i quali ad un certo punto hanno preso il
sopravvento. Il modello è divenuto la
realtà. Ha compiuto una sorta di trasferimento: costruito intorno ad ipotesi
limitate ma pure, il tassellino del modello si è ingigantito ed ha travolto il
mondo. Lo ha fatto a sua immagine. Sappiamo quasi tutto dei materiali che
isolatamente componevano il disegno, ma nulla del suo senso o della sua forma.
Muovere da
questa metafora serve a rendere possibile chiedersi: quale sapere ci controlla?
Quale controllo esso esercita su di noi? Cosa, a ben vedere, “spegne” in noi questo
controllo?
Credo si possa
dire che il controllo del sapere avviene per via di auto inibizione sistemica,
tramite la specializzazione letta come unica via di accesso al potere di parola.
Tramite il rinchiudersi di ognuno entro un recinto di discorso che pensiamo di
controllare, ma che in effetti almeno in pari misura ci controlla, accecando il
nostro sguardo. Spegnendo la nostra curiosità.
Il meccanismo
essenziale è l’esclusione della pertinenza di ciò che non è trattabile dagli
strumenti d’arte che padroneggiamo. Secondo questa visione ciò che non è nel
mio modello non esiste. Ma le cose sono più all’inverso: ciò che viene in tal
modo recintato è, al contrario, incapace di porre le questioni che contano. Tramite
questo uso, questa hybris, diventiamo solo un pezzetto di una macchina di
produzione che nessuno può più abbracciare con lo sguardo, e a maggior ragione
criticare e/o modificare. Una macchina che si finisce per non riuscire neppure
a vedere. Che uno sguardo educato, e una mente disinteressata, non vede neppure
più.
Il mondo cammina
così per la sua strada in qualche modo dandosi (o meglio trovando) da sé le
proprie dinamiche. Queste, alla fine controllano il destino di tutti.
Una delle ammissioni
più impressionanti della verità, applicata all’economia, di questo sospetto la
fece Victor Constacio, Vice Presidente della BCE, in Grecia quando riconobbe
che tutta la visione della banca che regge i nostri destini, e che autorizza
ancora un paio di giorni fa Mario Draghi a proporre come ineluttabili le
specifiche riforme che ha proposto
al Parlamento Europeo, fonda su poche ipotesi:
·
“In primo luogo, che il settore privato sia
sostanzialmente stabile e auto-correttivo, composto da agenti completamente razionali
che ottimizzano sempre inter-temporalmente, mediante la conoscenza delle future
distribuzioni di probabilità, all’infinito i ritorni economici e le variabili”.
Un’ipotesi, questa dell’”agente razionale” che ha lunga storia in economia, ma
che –se viene presa in modo dogmatico, come una descrizione del mondo, e quindi
usata per prevederlo- genera delle conseguenze importanti; con le parole di
Constacio, “in una visione siffatta, nessun default è ammesso o nessuna
pericolosa <bolla> sarebbe possibile”. Per cui “Solo il settore pubblico
potrebbe creare instabilità”. Questa è esattamente la tesi centrale dell’economica
liberista, ed ha conseguenze enormi, ad esempio come sostiene Constacio, “di
conseguenza, si supponeva che il <Patto di stabilità e di crescita> fosse
sufficiente a garantire la stabilità”.
·
“In secondo luogo, che la finanza non
aveva impatto sulle fluttuazioni dell’economia reale”. Per quanto possa
sembrare incredibile ad ascoltarlo oggi, questo è il presupposto sul quale la Commissione Delors (come sappiamo composta solo di
banchieri) impostò la revisione delle Istituzioni europee. Dal punto di vista
della dottrina, dice Constacio, “dopo la scuola del Real Business Cycle,
l’ipotesi di aspettative razionali e il paradigma di ottimizzazione intertemporale,
il denaro e la finanza sono stati considerati non più rilevanti”.
Tutta
la modellazione economica, sulla base della quale sono prese le decisioni e
stabilite le politiche (ad esempio il tasso di cambio) risente di questa
esclusione: “mentre il denaro strisciò dentro al nuovo modello di macro
attraverso l’introduzione delle rigidità di salari e prezzi, consentendo di
valutare gli effetti sull’economia reale a breve termine della politica
monetaria, la finanza continua
a rimanere invisibile con l’ipotesi
di mercato efficiente garantendo un’affidabile piombatura dell’economia reale”.
In altre parole: “le banche e i mercati dei capitali non sono state considerate
fonti endogene di instabilità che possano avere effetti sull’economia reale. Erano assenti dai modelli
macroeconomici”.
Una cosa del
genere renderebbe necessario rivedere l’intero perimetro del sapere economico
ed il suo abuso della matematica, con la sua capacità di nascondere le
differenze entro la propria struttura definitoria. Questa azione è in qualche
modo alla radice del sapere occidentale e del suo razionalismo, tuttavia
incontra anche radicali limiti. Limiti che sono stati utilizzati con sapienza e
cinismo da chi ne ha fatto strumento di dominio.
Il programma
dovrebbe essere di attraversare i diversi sguardi senza
cercare uno sguardo più essenziale, o più radicarle; o senza cercare un livello
fondamentale, ma percependo la finitezza di ognuno.
Questo è il
motivo per cui tengo aperti contemporaneamente tanti piccoli “cantieri”,
lasciando che si intreccino liberamente e che i fili che promanano da essi si
estendano. Che i tanti piccoli corsi d’acqua seguano la loro strada verso
valle. Lasciando che le parole facciano discorso da sé medesime, nella mente
del lettore, se possono. Cercando di essere ovviamente, per quanto riesco, rigoroso e rispettoso per ogni singola goccia di acqua, ogni parola, ogni frammento; ma senza costringerli in partenza tutti insieme.
Non stringerò,
dunque il discorso entro una disciplina, né ricercherò le confortevoli mura di
un codice, mi tratterrò dalle conclusioni, dall’ipotizzare un nuovo paesaggio.
Il Sapere non interessa a questo esercizio.
La libertà e la
fertilità si.

Nessun commento:
Posta un commento