A me pare che
dopo aver perso una certa quantità di tempo a discutere di cose meno urgenti
come la a tratti incomprensibile (ed in alcune occasioni irritante) riforma del
senato, e dopo aver quasi perso di vista la ben più rilevante ridefinizione
della legge elettorale, inizi la partita decisiva che può determinare sia il
destino politico di Matteo Renzi, sia e la cosa è ovviamente quella che conta,
l’esito della crisi italiana.
Non è mai facile
prendere una posizione, anche quando la cosa non conta nulla, in cose così
difficili e articolate, ma lo scontro sulla <spending review> è di quelli
che toccano la sostanza stessa del governo pubblico dell’economia, o meglio
come vedremo la possibilità stessa che tale governo sia possibile ed abbia
senso.
![]() |
| Cottarelli |
Da lungo tempo
(almeno da marzo) covava una tensione tra lo sviluppo della logica tecnica,
imperniata su una contabilità astratta che riduce a numeri quelle che sono
realtà sociali e di potere nel vivo tessuto stesso dell’articolazione (anche
storica) dei corpi sociali e delle organizzazioni pubbliche e private, e l’istinto
politico del governo (e del suo Presidente) che annusa, direi, il limite dalla
capacità di resistenza e la tenuta delle parti più esposte del sistema Italia. Ma
ora è esplosa, anticipato da un fondo di Alesina sul Corriere della Sera, il Commissario Cottarelli ha mostrato la sua
frustrazione di fronte ad un Parlamento che, emendando atti del Governo,
reintroduce margini di flessibilità e allarga la spesa.
A questa
reazione, secondo alcuni anche motivata dalla pressione interna determinata dai
nuovi consiglieri economici e potenziali rivali, Matteo Renzi, in una sede
politica (quindi del tutto appropriata) ha risposto in modo diretto: “… ma non
è Cottarelli, il punto fondamentale della revisione della spesa … il punto è
essere capaci di far passare il messaggio … i numeri non sono un problema oggi”,
il problema –come ripete da tempo- sono le scelte politiche. Sono la capacità
del Parlamento, delle forze politiche elette per questo e del Governo che ne ha
la fiducia di fare delle scelte coerenti e utili.
Ora, a questa posizione
risponde oggi Tito Boeri su La Repubblica
con un pezzo dal titolo “Chi ha svuotato
la spending review” che difende direttamente Cottarelli e la logica TINA da
esso difesa. Nel suo pezzo l’influente economista e docente alla Bocconi
(specialista dell’economia del lavoro peraltro) intreccia un complesso
ragionamento, che ripercorreremo, imperniato su una frasetta che cade al 16esimo
rigo “ma non ci sono altre strade
percorribili”. Per un economista formatosi
alla Bocconi e dottoratosi a New York, e che dopo ha compiuto un importante
percorso all’OCSE, alla Commissione Europea, consulente della BCE, dell’ILO,
della Banca Mondiale, nonché del Governo Italiano ovviamente, probabilmente non
ci sono.
Un paese come l’Italia,
con la sua tradizionale forza manifatturiera (nel 1600 la nostra meccanica era
all’avanguardia nel mondo, e lo è restata), la sua alta cultura, l’immenso
patrimonio naturale e storico-artistico, l’apprezzata umanità e sensibilità del
suo popolo, è per Boeri ben descritto dalla frase di apertura del pezzo: <un
paese ad alto debito pubblico come il nostro> in cui “ad ogni realistico e
sostenibile piano di riduzione delle tasse” deve essere affiancato (anzi “deve essere
sostenuto”) da “tagli della spesa pubblica di almeno pari importo”.
Intendiamoci, io
sono d’accordo che la revisione della spesa sia “un’operazione politicamente costosa, piena di insidie”
e che occorra “tagliare bene”, ma non lo sono che sia Vera questa identità contabile.
Se devo ridurre le tasse (che è cosa buona e giusta, ma da qualificare) non è
scontato che nella mia “partita doppia” debba necessariamente ridurre di pari
entità una uscita. Ci sono diverse ragioni per sospendere questo TINA, ma prima
di elencarle andiamo avanti: Boeri ricorda che fino ad ora nessuno è riuscito
(per la verità occorrerebbe dire quando) a ridurre la spesa, che malgrado i tanti
sforzi continua a salire e si avvicina “inesorabilmente” alla soglia dei 700
miliardi.
Non è molto
chiaro cosa succede a tale soglia, ma andiamo avanti, Boeri afferma che la spending
review (letteralmente “revisione della spesa”, ma nella mente dell’economista
milanese: “riduzione della spesa”) è “in questo momento la priorità numero uno
per l’azione di politica economica di qualunque governo che voglia rilanciare l’economia
italiana”.
Mi fermo un
attimo, leggendo queste formule passano così, velocemente, e lasciano un
piccolo deposito di ovvietà nella mente del lettore: ridurre le spese è l’unica
via per rilanciare l’economia italiana. Non per garantire la stabilità al
bilancio pubblico, o alla gestione del debito pubblico (coda che avrebbe una
certa robustezza contabile); no, per rilanciare l’economia. Per accettare che
ridurre in termini assoluti i pagamenti che lo Stato fa in Italia, a cittadini
e imprese italiane, per acquistare beni e servizi, e realizzare investimenti sia
l’unica via per rilanciare il benessere dei medesimi cittadini ed imprese
richiede una serie di atti di fede. Precisamente occorre non avere alcun dubbio
che la spesa (ogni spesa è l’incasso di qualcuno) è più efficace
complessivamente quando è fatta da un privato rispetto a quando è fatta dal
pubblico. Occorre anche pensare che gli investimenti che il pubblico compie
sono per definizione più inefficienti. Occorre credere che il pubblico disperde
energie che il privato metterebbe più a frutto. Occorre dimenticare che i 700 miliardi di spesa dello Stato sono 700 miliardi di incassi di cittadini ed imprese italiane.
In effetti
questa è stata la canzone di successo di un trentennio. Quello nel quale il prof.
Boeri si è formato.
Certamente a
questo punto c’è un problema con il Governo Renzi, ma c’è un problema io credo
con qualsiasi governo democratico eletto: se ogni spesa, di qualsiasi genere e
per qualsiasi scopo (magari con l’eccezione della polizia e magistratura
necessarie per garantire il diritto di proprietà) è inutile e dannosa, in effetti ha ragione Nozick e l’intero
Stato non serve. Allora basterebbe lasciare che la Bocconi indicasse un plenum
di superesperti e saremmo a posto.
Se la “costituency”
del Governo Renzi doveva essere, cito: “più si taglia, maggiori le riduzioni
delle tasse”, evidentemente la politica non ha spazio di azione. Ogni decisione
collettiva non ha senso, ogni eventuale piano di investimenti o indirizzo
anche, e tutto quel che si deve fare è ridurre il prelievo di risorse, al fine
di lasciare che il mercato le distribuisca al meglio. Il prof. Boeri non si
deve essere accorto (mentre, ad esempio, lo ha ben capito il suo collega RaghuramRajan) che il mercato in questi ultimi anni ha clamorosamente fallito nell’allocare
le risorse, concentrandole in poche mani e utilizzandole per lo più per
alimentare bolle creditizie.
Sono questi
fallimenti, del resto, che non solo in Italia spiegano il fenomeno dell’espansione
della spesa pubblica negli anni di crisi: essa cresce per aiutare il settore
finanziario, accantonare risorse per i meccanismi di salvataggio europei, pagare
gli ammortizzatori sociali automatici e semiautomatici senza i quali troppi
morirebbero di fame, coprire lo sbilanciamento che deriva dalla riduzione della
base fiscalmente attiva data l’enorme disoccupazione e sottoccupazione. E’ in
altre parole, la crisi che genera il deficit, non l’inverso.
Ma il nostro,
come peraltro Cottarelli nel suo blog, descrive la situazione in questo modo, è colpa della
politica democratica (il Parlamento) che “complici” (si è complici in un reato
normalmente) i ministri che ha per quattro volte, superando l’opposizione della
Ragioneria dello Stato, aumentato le spese. Il governo, insomma, cambia
marginalmente la composizione della spesa senza ridurla.
Nel seguito
prende toni parzialmente diversi, e che mi sento di poter condividere (è del
tutto evidente che una ricomposizione e riqualificazione della spesa pubblica
sia necessaria, anzi sia attività permanente) affermando che per quattro volte
si è tentato, senza successo, di andare oltre la logica dei “tagli lineari”
(che è distruttiva) per approdare alla riduzione delle aree di “spreco ed
inefficienza”. Non ci sono infatti dubbi che ci sono aree di vasta inefficienza nella
spesa pubblica (come, del resto, ci sono in genere in ogni grande
organizzazione consolidata), e anche lo “spreco”, se visto in questa accezione
è un termine utilizzabile. Anche se a rigore, dato che la mia spesa è il tuo incasso, non ci può essere spreco assoluto (a meno di bruciare i soldi nel
caminetto con le finestre aperte).
Quindi il buon
Boeri esce con una frase che condivido in pieno: “il tratto comune di tutti
questi tentativi è stata l’idea che si possa affidare un’impresa titanica come
la spending review a un uomo solo al comando, a un tecnico per quanto di grande
valore o anche a un gruppo di tecnici”; peccato che la chiuda “senza un forte
supporto politico”. Il punto è che non si tratta di “supporto”; la politica non
deve “supportare” la tecnica economica nella determinazione dell’azione collettiva,
di regolazione della dinamica sociale ed economica, e di distribuzione. La
politica democratica deve “guidare” la tecnica; nel senso di dargli gli obiettivi ed i
valori. E' questa la funzione che la logica democratica gli assegna.
Del resto, con buona pace per la vocazione imperialista degli economisti di "acqua dolce", non c'è una sola tecnica. Esistono solo le tecniche e le visioni contrapposte di cordate intellettuali e organizzative in reciproco, costante, conflitto.
Allora il “supporto” del governo non deve servire alla Verità tecnica per “vincere le resistenze” (che pure ci sono e sono in parte da
superare) delle amministrazioni locali, e ancor meno per imporre le modifiche
legislative e costituzionali. Visto in questo modo, vorrei attirare l’attenzione,
il sapere tecnico dell’economia, nella logica TINA, impone letteralmente la
propria visione implicita della società e del suo funzionamento alle Amministrazioni
elette e allo stesso Parlamento anche nella sua funzione costituzionale.
Questa logica
meramente contabile, da “partita doppia”, mutuata da una sotterranea ed
implicita assimilazione dello Stato sovrano e del Paese stesso ad un’azienda isolata
(i cui conti devono quadrare in ogni tempo, pena l’insolvenza ed il fallimento),
determina una riduzione totale dei margini di decisione collettiva. Una riduzione ingiustificata, perché uno Stato non è essenzialmente come una famiglia, è tutta un'altra cosa.
Allora per il
professore deve essere Renzi stesso che, “se vuole essere preso sul serio” (la
cosa suona volutamente minacciosa, ed in effetti lo è) deve assumere su di sé questo
che è per Boeri “il compito principale di un paese indebitato come il nostro”. Un paese nel
quale, come in Spagna, si operino scelte difficili “come i tagli delle
retribuzioni nominali”.
Questa è la
partita decisiva perché si tratta di decidere se questa posizione culturale,
che peraltro piano piano sta diventando minoritaria anche nel dibattito tecnico
economico internazionale, deve essere accettata pedissequamente dalla politica
italiana, o è possibile –modestamente- per un partito che ha avuto milioni di
voti di cittadine e cittadini che vorrebbero vedere affrontati i loro problemi,
avere una sua idea di sviluppo e provare a portarla avanti.
La “Revisione
della Spesa” è una cosa buona e giusta; è indispensabile, e dovrebbe essere
fatta sempre. Dovrebbe esserci un Ministero permanente che revisiona e
ricompone la spesa. Ma ci sono tante
alternative. Ci sono tante opinioni. Ci sono tante tecniche.
Ridurre in
termini reali gli stipendi, in un quadro deflattivo (o stagnante), quando il
problema nasce da una carenza ciclopica di domanda aggregata, malgrado ogni
stimolo possibile, potrebbe aggiungere nel breve e medio termine solo ulteriori
elementi di sofferenza. Ridurre in generale la spesa, in termini assoluti, si
traduce immediatamente in riduzione del PIL, se non ben qualificata. Ridurre le tasse
potrebbe tradursi solo in maggiori trasferimenti di risorse all’estero sotto forma
di sottoscrizione di titoli finanziari tedeschi.
Ancora intendiamoci, anche ridurre le tasse
è cosa buona e giusta, come anche ridurre inefficienze e sprechi. Ma le tasse
che bisogna ridurre sono solo agli incapienti (introducendo anche una tassa
negativa) ed ai ceti meno abbienti, al limite alla classe media inferiore (su questo mi pare lo stesso
Boeri concordi); e i tagli vanno fatti, per ricomporre la spesa in direzione di
maggiori investimenti produttivi.
Se questo è l’invito
mi pare da accogliere, ma allora la decisione è essenzialmente politica, andrà
presa ascoltando più la società che non i professori universitari entro le loro
confortevoli aule, e discussa apertamente in Parlamento.

Nessun commento:
Posta un commento