Siamo ormai al diciannovesimo anno di
guerra mondiale. Come ricorderemo la dichiarazione di inizio, dopo numerose
scaramucce e scontri preparatori, data 1 gennaio 1995, quando l’Uruguay Round,
iniziato nel 1986, si concluse con l’inaudita decisione di abolire le barriere
allo scambio dei beni, come dei servizi e delle proprietà intellettuali. 
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| Membri WTO | 
Da allora il potente WTO ha demolito
sistematicamente ogni barriera alzata nei secoli a protezione delle vite e dei
beni dei popoli del mondo, mettendo in contatto senza filtri e protezioni
tradizioni e culture diverse e sistemi sociali altamente differenti. Se si
considera che nella definizione di “servizi” sono sostanzialmente ricompresi i
capitali finanziari ed i servizi connessi, l’evento manifesta, a quasi venti
anni di distanza, tutta la sua geometrica potenza. 
I servizi finanziari, rendono possibile
ai capitali di alzarsi da terra, rifiutare il legame con le modalità di
produzione socialmente determinate che li hanno generati e muoversi, vorticosamente,
in cerca di maggiori “rendimenti” nel mondo. Cioè in cerca di un maggiore tasso
di sfruttamento di condizioni locali. Tasso che indifferentemente si può
manifestare attraverso un intervento immobiliare speculativo (da realizzare in
fretta e cedere altrettanto rapidamente, attraverso la nuvola dei derivati), l’azione
sul capitale di aziende produttive (rapidamente passate di mano tramite il loro
pacchetto azionario) o movimenti su prodotti direttamente finanziari,
assicurativi, fondati su commodities o qualsiasi altro simulacro di valore. 
Questo mondo, da allora, brucia perché le
valli sono state messe in contatto con le montagne, le colline con i laghi. Per
il metro universale del denaro sono altrettanti ostacoli. Nello sforzo di
creare dalla natura il piano uniforme omnidirezionale senza attrito di cui ha
bisogno, il codice denaro –e i suoi provvisori possessori- sta da allora
furiosamente cavalcando il mondo e travolgendo ogni ostacolo. 
La guerra mondiale cesserà quando il
piano sarà livellato, quando i capitali alzati a Cupertino o a Londra troveranno
lo stesso saggio di rendimento in ogni luogo. Questo sogno assurdo implica,
però, un incubo per molti altri: saggio di rendimento è un altro e più gentile
nome di saggio di sfruttamento. Vuol dire che il reddito ricavabile dal lavoro
sarà diventato una media tra quello americano (o tedesco) e quello nigeriano (o
cinese). 
Ovviamente a redditi simili, a parità di
prestazione, corrispondono simili livelli di tenore di vita e di garanzie,
simili livelli di sicurezza, simili di prestazioni assistenziali. 
La guerra mondiale cesserà quando i
nostri servizi saranno arrivati ad un livello intermedio tra il nostro attuale
e quello cinese attuale. Ed il nostro reddito procapite della popolazione
mediana, cioè dei lavoratori, sarà arrivato alla stessa media. 
La logica della concorrenza dice
semplicemente questo. Qualche economista più onesto lo scrive anche (ad esempio
Spence nelle ultime pagine del suo libro) ma tanto nessuno capisce. 
Invece è semplice: la concorrenza con la
Cina (ma anche, più vicino, con l’Albania dove stanno andando sempre più nostre
imprese industriali) si vince quando i nostri salari saranno intermedi tra i
1.300 euro nostri ed i 400 cinesi (certo a parità anche della produttività e di
altri fattori minori che si cerca comunque di uniformare). Quando un tenore di
vita che non possiamo più permetterci, si sarà riadattato. 
Quando non “vivremo più al di sopra dei
nostri mezzi”. 
Come pensi l’aristocrazia finanziaria
(ma in realtà si tratta di un sistema finanziario-industriale) di ottenere
questo risultato brillante (per loro) senza che ci siano reazioni è abbastanza
un mistero. Ma si sa, il denaro ha lo sguardo corto.
In questa guerra ventennale è da tempo
in corso una “battaglia europea” particolarmente cruenta. Il percorso di
creazione dell’intera costruzione europea si inserisce direttamente in questo
quadro (che ha notevolmente contribuito a costruire) e non sarebbe
assolutamente comprensibile altrimenti. L’Unione Europea, con la sua
disfunzionale deformazione caratteristica (un omone con un braccio colossale ed
un altro rachitico), non ha alcun senso se non si percepisce la dominazione di
questo pacchetto di interessi e la trappola nel quale, intenzionalmente ma in
modo poco avveduto, ha condotto tutte le forze sociali e politiche europee. Se
non si comprende il disegno tecnicamente eversivo che lo sottende. 
Fortunatamente i principali agenti
provvedono continuamente a ricordarcelo. Soccorre
dunque il generoso Mario Draghi, che con rituale comunicazione periodica (simile a quella del 14 luglio) ci
chiede di rinunciare alla nostra sovranità per affidare ad un non meglio
precisato “organo europeo” (presumibilmente emanazione del Consiglio) il
controllo delle “riforme strutturali”, senza le quali non cresceremmo.
Cosa sono le “riforme strutturali”? La
formula ha un sapore mistico. Si tratta della Salvezza che deve essere
abbracciata, senza la quale nessuna possibilità di grazia è data. Ma in effetti
è ancora molto semplice: si tratta di continuare la guerra, rendere ancora più
veloce la circolazione, eliminare ogni vecchio attrito, aumentale la
flessibilità. 
Consentire ai titolari dei capitali di
investirli rapidamente, senza tante storie, senza precauzioni, limiti, garanzie
(ad esempio per il paesaggio,
rispetto ad una speculazione immobiliare condotta da un fondo assicurativo
inglese, o italiano; per l’ambiente,
rispetto ad un investimento industriale; per il lavoro, nello stesso caso o nei servizi), responsabilità (a partire
dalla esazione fiscale del valore prodotto nel paese). Secondo la visione del
banchiere, infatti, i mitici “investitori” sono scoraggiati dal clima
autorizzativo, dalla fatica che fanno per avere i permessi; poi dal mercato del
lavoro, ancora troppo legato e troppo costoso; infine dalle leggi.
Io
credo che tutti siano scoraggiati: dalla mancanza di
opportunità, dalla carenza di domanda per i propri prodotti i servizi, dall’eccesso
di indebitamento dei privati e delle imprese, dalla indisponibilità del sistema
bancario –che ha avuto e continua ad avere immensi privilegi dallo stato- a
fare la sua parte generando credito. Che il nostro paesaggio vada maggiormente
tutelato, perché è un essenziale patrimonio di cui disponiamo; che l’ambiente
vada protetto e soccorso, non sfruttato; che il lavoro vada qualificato e
valorizzato, innalzato e potenziato sia in termini di salari sia di
produttività (due cose che normalmente vanno insieme, come troppo spesso si
dimentica); che la responsabilità di tutti coloro che producono ricchezza sia
anche verso il paese che lo ha reso possibile. Gli “investitori” siamo tutti
noi, e dovremmo trovare nella cura per i luoghi e per le culture che ci hanno
fatto ciò che siamo la ragione per fare la nostra parte. 
A chi sposta una fabbrica dall’altra
parte dell’Adriatico per lucrare qualche centinaio di euro di minore salario ai
propri lavoratori, va con fermezza richiesto di avere pari condizioni di
accesso. Se la fabbrica garantisce eguale protezione dell’ambiente, del
paesaggio e delle condizioni di lavoro, i prodotti equamente possono essere in
competizione con i nostri. Ma se il risultato della produzione è ottenuto
sfruttando il territorio in misura maggiore, generando maggiori esternalità,
sfruttando i lavoratori (in rapporto al diverso potere di acquisto) in modo
selvaggio, o grazie a facilitazioni fiscali non sostenibili (e dunque
competitive) dovrebbe essere diritto difendersi.
Se vogliamo parlare di riforme, iniziamo
da queste: eliminazione di ogni dumping fiscale entro la UE e innalzamento di
barriere compensative (possibili anche entro la camicia di forza delle regole
del WTO se si vuole e si ha coraggio) verso i paesi che intenzionalmente fanno
dumping verso di noi; riforma della tassazione delle grandi corporation (se la
pressione fiscale complessiva deve calare, quella alle corporation deve
iniziare); welfare europeo comune (almeno il livello di base); salario minimo
europeo.
E parliamone nel Parlamento Europeo (e
nei Parlamenti Nazionali), non certo nel Board della BCE, che, come ricorda
anche Foa,
in questi temi non ha da dire, non deve
parlare, non può farlo.
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