Non ho personalmente nulla contro Alberto Alesina,
che insegna l’importante
materia della Economia Politica alla prestigiosa università di Harvard e per
questo è giustamente considerato da molti un punto di riferimento autorevole.
La responsabilità che il suo alto ruolo gli porta è pari allo zelo entusiasta
con il quale egli difende costantemente le sue posizioni che alla fine si
riassumono nel postulato che il mercato
non può mai sbagliare. Si tratta di un dogma che ha carattere autoevidente,
nel suo quadro categoriale; direi una forma di nominalismo. “Mercato” è formula
abbreviata rituale per dire, infatti, ‘insieme naturale autoconsistente ed
autoprogrammato la cui esistenza e risultato non è giudicabile da alcun punto
esterno legittimo’. Il mercato è sempre, in ogni momento, la manifestazione dell’equilibrio
di forze sovranamente libere. O, almeno, sarebbe tale se non fosse dall’esterno
disturbato in modo innaturale e quindi
illegittimo.
Su questa sofisticata forma di naturalismo
torneremo, perché merita attenzione e più meditata riflessione, ma ora vediamo cosa stava succedendo al “mercato”,
in quell’agosto del 2007.
Alberto Alesina, il 20 agosto 2007, infatti,
pubblica su Il Tempo, un articolo
nel quale tranquillizza gli investitori e garantisce che “il rimbalzo [dei valori di borsa] è vicino”.
Molto brevemente: a luglio Bear Stearns, una banca d’affari, annuncia che due suoi headge fund
saranno insolventi, e Ben Bernanke, nuovo Presidente della FED, dichiara che la
crisi dei mutui sub-prime potrebbe costare fino a 100 miliardi di dollari.
Ad agosto anche BNP-Paribas
fa lo stesso annuncio perché dichiara di “non poter più valutare i suoi
patrimoni”. Il problema è che, in quel mese in cui il pompiere Alesina fa il
suo lavoro, i CDO non sono più prezzati dal mercato. Quel particolare “mercato”
non è più liquido, nessuno li vuole perché nessuno ha più fiducia di poterli
valutare e soprattutto rivendere (come sanno tutti, meno gli economisti
neoclassici, nelle attività commerciali si compra solo se si pensa di poter
rivendere).
Ancora in quel mese, cioè in quel preciso momento,
su tutti i mercati interconnessi della finanza internazionale (in Europa e
America) cala il gelo: le banche chiudono il mercato interbancario e rifiutano
di prestarsi a vicenda. La BCE fa quel che Alesina loda: immette d’urgenza 95
miliardi di nuova moneta fiduciaria elettronica (linee di credito) nei mercati finanziari,
in questo modo chi ha bisogno di prestiti può averli dalla BCE (impegnando
“collaterali” via via di minore qualità, fino alla “spazzatura” che in alcuni
casi accetta oggi). Subito dopo ne immette altro 109. Lo stesso fanno, con
cifre che non si riesce bene a ricostruire sia la FED la Banca centrale del
Canada, la Riserva Australiana, la Banca del Giappone.
Il 17 agosto 2007, tre giorni prima dell’articolo di
Alesina, Bernake riduce leggermente i tassi di interesse. Anche lui non crede
che i mercati possano davvero perdere equilibrio.
E che succederà
subito dopo.
A settembre il Libor (tasso al quale le banche si
prestano il denaro) sale oltre il tasso ufficiale della Banca di Inghilterra di
un punto, dal 1998 è la prima volta che succede di nuovo (crisi del sud-est
asiatico).
Dopo il 1929, per la prima volta in assoluto, si
assiste ad un evento che si credeva cancellato per sempre: una corsa agli
sportelli di una banca. E’ Northern Rock,
il cui modello di business era prestare a breve termine alle altre banche (non
aveva CDO e non emetteva mutui). La BoE la salva con 15 miliardi di sterline e
apre altre linee per 10 miliardi.
La FED cala il tasso al 4,75%.
Ad ottobre, siamo a due mesi dalla profezia
tranquillizzante di Alesina, l’UBS
(la più autorevole banca svizzera) dichiara perdite per 3,4 miliardi per CDO. Citigroup in USA fa lo stesso per 9
miliardi (poi a marzo 2008, alla fine, ammetterà che la perdita era di 40
miliardi). Merryl Linch dichiara
perdite per 7,9 miliardi, il CEO si dimette.
A dicembre accade l’impensabile. Bush vara il più
grande intervento governativo a salvataggio dei mercati finanziari e dei
mutuatari diventati insolventi (ed i cui valori delle case erano calati da
tempo sotto il valore dei debiti) di tutti i tempi.
La FED, insieme alle altre Banche Centrali (incluso
BCE) vara quindi crediti “illimitati” alle banche per garantirle contro il
“credit crunch”.
Ma a gennaio 2008 i mercati azionari crollano di
nuovo (travolgendo i risparmi di chi avesse creduto all’articolo di Alesina), e
la FED abbassa i tassi ancora. La Mbia
apre un altro fronte, quello delle assicurazioni, dichiara perdite per 2,3
miliardi per aver assicurato (tramite CDS) dei CDO che contenevano mutui
sub-prime.
A febbraio 2008 il governo inglese nazionalizza Northen Rock e soprattutto, Bearn Stearns (che è la quinta banca di
Wall Street) è acquistata per un valore di 240 milioni da J.P. Morgan Chase e riceve contestualmente sostegno di denaro
pubblico per 30 miliardi. In sostanza il governo federale paga J.P. Morgan per salvare Bearn Stearns.
A maggio la UBS
dichiara altre perdite (37 miliardi) e necessità di ricapitalizzazione (16
miliardi). Lo stesso fanno Barclays Bank
e RBS.
A luglio 2008 la borsa inglese precipita e in USA il
governo federale sostiene con l’incredibile somma di 5.000 miliardi di dollari
(5.000.000.000.000 $) Fannie Mae e Freddie Mac che emettevano mutui con la
garanzia implicita (che ora diventa esplicita) dello Stato. È 1/10 del PIL del
pianeta. Una somma più che sufficiente per spazzare via la fame nel mondo e
buona parte delle relative guerre.
Ad agosto, mentre i prezzi delle case continuano a
cadere ovunque (ovviamente molto di più dove più erano salite), il governo
britannico ammette quel che tutti sanno ormai: la recessione sarà dura e lunga.
A settembre 2008 il redde rationem: la borsa inglese
crolla, Fannie Mae e Freddie Mac sono nazionalizzate, Lehman Brothers annuncia perdite per 3,9
miliardi e comincia a cercare un compratore. Sono giorni affannosi ben
descritti in “Too big to fail”, un libro che bisognerebbe leggere, che si
concludono con il rifiuto di salvarla (pagando l’acquirente) come fatto per Bear Stearns ed il fallimento della
banca d’affari. È il 15 settembre 2008, la principale produttrice di CBO (ed
una delle banche più creative nel produrli in modo sempre nuovo) e molto
impegnata nel finanziamento in tutto il mondo di ogni genere di investimento
speculativo, immobiliare in primis, ma anche tecnologico o altro, fallisce
sotto il peso della totale illiquidità dei suoi titoli. Questo crollo lascia
anche i fondi monetari nei guai (i titoli erano depositati in fondi monetari).
E’ un infarto.
Il governo americano è ormai in preda al panico, e
salva Merril Lynch (acquistata da Bank of America), poi l’assicuratore più
grande del mondo AIG per il quale
viene messo insieme un pacchetto da 85 miliardi che poi saliranno, quindi a Washington Mutual (che è una fondiaria).
A Londra tocca a Hbos.
Domenica 8 settembre il Congresso americano riceve e
poi rigetta il Piano Paulson che vale 700 miliardi, utilizzabili
discrezionalmente dal tesoro per salvare le banche in difficoltà.
Le onde d’urto si susseguono: Irlanda, Islanda,
Belgio, Francia (Dexia). LA FED
estende il credito a tutti.
Ad ottobre il Congresso cede ed approva il Piano
Paulson. Il governo tedesco salva con 50 miliardi Hypo Real Estate, l’Islanda nazionalizza tutte e tre le banche (il
cui fatturato era molto superiore al PIL del paese). Il governo inglese impegna
altre 250 miliardi di sterline e poi altri 37.
Gli USA e la Gran Bretagna entrano ufficialmente in
recessione.
A novembre le banche centrali abbassano ancora i
tassi e il governo cinese impegna 586 miliardi di aiuti. La FED altri 800. Di
passaggio inizia la crisi ucraina (il governo chiede al FMI di prestargli 16
miliardi).
A dicembre 2008 l’Ufficio Nazionale delle Ricerche
Economiche USA confessa che la recessione era iniziata a dicembre 2007, la FED
abbassa i tassi quasi a zero, siamo in condizione di “trappola della
liquidità”. Ma non solo in America, praticamente dovunque. Parte dei fondi del
TARP vengono dirottati per aiutare anche istituzioni non finanziarie (GM).
Poi la storia continua… e ancora non è finita.
Ora torniamo ad agosto del 2007, l’11 agosto sul Corriere della Sera Giulio Tremonti rilascia una intervista a Mario
Sensini in cui ricorda una sua previsione di crisi di un anno precedente e
conferma una valutazione di elevato rischio a carico dei mercati finanziari
USA. Ripetendo critiche consolidate l’ex ministro del governo Berlusconi accusa
l’economia finanziaria di essersi distaccata da quella “reale” e di essersi
“automoltiplicata vertiginosamente”. Dunque “certo, in America, si trovano il
principio e la fine di una crisi potenzialmente globale”, si rischia quindi l’attivazione
di quella che chiama una “catena di crisi” che dipende da un enorme stock di
liquidità e dalla perdita subita dai mutui immobiliari. Certo, poi valuta che
il rischio sia soprattutto americano, ed il contagio limitato all’Europa
dell’Est.
Il 20 agosto, dunque, su Il Tempo, Alberto Alesina risponde a Tremonti ed ai timori che da
molte parti si stanno allargando da tempo sulla natura della crisi e le sue
prospettive. Da mesi, infatti, oltre agli scricchiolii che abbiamo descritto si
moltiplicano i fallimenti dei mutuatari, le procedure legali di recupero dei
crediti, ed il mercato immobiliare comincia a calare. A gennaio
Allen Sinai rassicurava che “non c’è più pericolo di recessione” (e
all’intervistatore che gli risponde stupito “più?” confessa che nel 2006 c’era
stato un momento di pericolo, causato da “cinque trimestri consecutivi di prezzi
delle case in caduta, e specialmente due trimestri di picchiata violentissima
nell' apertura di nuovi cantieri di costruzioni residenziali”).
Alesina è sicuro: “non ci sarà nessuna crisi del 1929 come dice Tremonti”. Si tratta solo di una “correzione”, del tutto normale e fisiologica che sarà tenuta sotto controllo dalle Banche Centrali che “stanno reagendo in maniera appropriata”. I mercati (come diceva anche Sinai otto mesi prima) sono infatti vicini alla fine della caduta e quindi si riprenderanno. Insomma, i due “esperti” (uno dei quali è un trader e dunque scusabile, sta solo lavorando, l’altro dovrebbe essere uno studioso indipendente dal business) consigliano implicitamente di comprare. Ed in fretta, infatti “il rimbalzo potrebbe essere imminente”.
Certo, “ultimamente si era esagerato un po’ a
prestare denaro grazie a tassi di interesse troppo bassi” per questo “ora è in
atto una forte correzione”, ma è “tutto qui”.
Tremonti accusava il problema di un “eccesso di
liquidità”, e infatti l’intervistatore lo teme e fa l’obiezione a lungo portata
avanti dalla Bundesbank (presso il board della BCE) negli ultimi anni: “le
Banche centrali che stanno allentando i cordoni non rischiano di alimentare la
speculazione? Per sanare il male alla radice i tassi d’interesse non dovrebbero
semmai essere alzati?” Ma Alesina, sulle orme di Milton Friedman e della sua
famosa analisi del comportamento della FED come causa della depressione degli
anni trenta, risponde che la priorità è invece impedire il crollo. Dunque
quando tutto scricchiola bisogna impedire troppi fallimenti, poi in un secondo
momento “bisogna facilitare il riaggiustamento, ma in modo graduale, con i
regolamenti e i controlli”, teniamolo a
mente.
Ma Alesina (come il suo sodale Giavazzi, che è della
stessa opinione) va anche oltre, stima un effetto sul PIL italiano “modestissimo”,
e coglie l’occasione per ribadire (repetita iuvant) che comunque l’Italia ha
altri problemi, fare le famose “riforme”, ridurre l’eccesso di spesa pubblica,
le pensioni, i contratti degli statali, …
A questo punto al buon Alberto viene meno la logica
(si sa, quando lo schema generale si impone…) e la stessa persona che un minuto
prima aveva detto che dopo l’allentamento per salvare i mercati dai fallimenti
(ma non era il fallimento il principio morale e il freno funzionale che istituisce
il mercato?) bisognava usare “regolamenti e controlli” per “facilitare il
riaggiustamento”, dice che “È facile dire ‘regolamentiamo’: ma come? I governi
non devono farsi prendere la mano, non devono mettersi a lanciare proclami o a
intervenire chissà come, perché le regole già ci sono. Quanto ai divieti,
secondo me vanno proibiti i conflitti di interesse, per esempio le banche non
possono gestire fondi e poi rifilare ai loro clienti prodotti scadenti. Ma con
i divieti non andrei oltre”.
Dunque, oggi si salva con denaro pubblico chi
dovrebbe fallire e domani non si mettono nuove regole “perché già ci sono”.
Ma se ci sono, cosa è andato storto al punto che
oggi bisogna interrompere la logica del mercato ed impedire a chi ha sbagliato
di fallire? Attenzione, perché lo dice bene Raghuram Rajan in “Terremoti
finanziari” (anche se non è della mia parrocchia, lettura imprescindibile),
salvare chi ha sbagliato rende razionale farlo, e dunque cambia radicalmente le
regole del gioco reale.
Al nostro sembra venire meno la logica, anzi direi
meglio, ad Alesina sembra venire meno l’integrità intellettuale, perché ciò che
sta dicendo in realtà è “non fate male ai miei amici (e clienti)”; anche se
hanno talmente sbagliato da doverli salvare con denaro pubblico in modo
indiscriminato. Non fate male al mio mondo.
Ed allora che cosa si deve fare con i prodotti
finanziari pericolosi (quelli che poi si chiameranno, con metafora
antropologica, “tossici”)? Semplice, “ci
si difende così: il cliente deve rifiutarsi di investire in un prodotto che non
capisce, o troppo complicato anche se crede di capirlo”. E qui ancora una
volta, senza accorgersene supera il limite, perché aggiunge: “Io se non capisco
non compro. Investo in maniera tradizionale”.
E l’intervistatore (che, devo dire, mi sembra assai
più sveglio dell’intervistato), subito coglie il punto e chiede: “I prodotti
finanziari derivati possono essere così complicati che non li capisce neanche
un professore di Economia di
Harvard?” E lui risponde “sicuramente”.
Dunque
ricapitoliamo: 1- i mercati stanno
funzionando bene e la crisi non è reale, anzi tra poco ricomincerà la crescita;
2- ma comunque le banche centrali devono intervenire per evitare “troppi
fallimenti”, solo dopo riequilibrare il mercato con nuove regole; 3- ma non
davvero, perché quelle che ci sono bastano; 4- l’unica cosa giusta la devono
fare i consumatori, non comprando i prodotti “poco chiari”; 5- come fa lui che
non li compra.
Dunque questi prodotti finanziari, che provocano “troppi”
fallimenti (concetto scivoloso per chi crede che i mercati si riequilibrino da
soli), sono così oscuri che nessuno li capisce (neppure i professori di
Harvard) ma non devono essere
regolamentati. Suppongo che lo standard di investitore onnisciente cui la
teoria pensa sia molto più competente dei professori con phd in economics.
La logica dunque pencola, ma l’etica?
Che cosa, esattamente, sta facendo Alesina (insieme
a tanti altri, si intende) quando scrive su un giornale che non è precisamente
letto solo dai docenti di Harvard che i mercati stanno per ripartire?
Sta consigliando, dall’alto della sua autorità, proprio
a quegli investitori che non capiscono abbastanza di comprare i prodotti che
giudica “oscuri”. E questo deriva proprio
dalla sua valutazione, perché sta dicendo che i titoli che sono scesi (perché influenzati
direttamente o indirettamente da quei prodotti finanziari sotto attacco)
saliranno. Sta implicitamente consigliando di comprare proprio quelli.
Lo faceva anche Allen Sinai a gennaio, ma ad un
mercante non si chiede di essere etico (o no?), ad uno “scienziato” si.
Questo piccolo episodio secondo me dice moltissimo
sulla pratica concreta della disciplina economica e la sua cattura da parte dei
mercati finanziari.
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