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sabato 19 settembre 2015

Alberto Alesina, 20 agosto 2007: Logica ed etica.



Non ho personalmente nulla contro Alberto Alesina, che insegna l’importante materia della Economia Politica alla prestigiosa università di Harvard e per questo è giustamente considerato da molti un punto di riferimento autorevole. La responsabilità che il suo alto ruolo gli porta è pari allo zelo entusiasta con il quale egli difende costantemente le sue posizioni che alla fine si riassumono nel postulato che il mercato non può mai sbagliare. Si tratta di un dogma che ha carattere autoevidente, nel suo quadro categoriale; direi una forma di nominalismo. “Mercato” è formula abbreviata rituale per dire, infatti, ‘insieme naturale autoconsistente ed autoprogrammato la cui esistenza e risultato non è giudicabile da alcun punto esterno legittimo’. Il mercato è sempre, in ogni momento, la manifestazione dell’equilibrio di forze sovranamente libere. O, almeno, sarebbe tale se non fosse dall’esterno disturbato in modo innaturale e quindi illegittimo.
Su questa sofisticata forma di naturalismo torneremo, perché merita attenzione e più meditata riflessione, ma ora vediamo cosa stava succedendo al “mercato”, in quell’agosto del 2007.

Alberto Alesina, il 20 agosto 2007, infatti, pubblica su Il Tempo, un articolo nel quale tranquillizza gli investitori e garantisce che “il rimbalzo [dei valori di borsa] è vicino”.

Molto brevemente: a luglio Bear Stearns, una banca d’affari, annuncia che due suoi headge fund saranno insolventi, e Ben Bernanke, nuovo Presidente della FED, dichiara che la crisi dei mutui sub-prime potrebbe costare fino a 100 miliardi di dollari.
Ad agosto anche BNP-Paribas fa lo stesso annuncio perché dichiara di “non poter più valutare i suoi patrimoni”. Il problema è che, in quel mese in cui il pompiere Alesina fa il suo lavoro, i CDO non sono più prezzati dal mercato. Quel particolare “mercato” non è più liquido, nessuno li vuole perché nessuno ha più fiducia di poterli valutare e soprattutto rivendere (come sanno tutti, meno gli economisti neoclassici, nelle attività commerciali si compra solo se si pensa di poter rivendere).
Ancora in quel mese, cioè in quel preciso momento, su tutti i mercati interconnessi della finanza internazionale (in Europa e America) cala il gelo: le banche chiudono il mercato interbancario e rifiutano di prestarsi a vicenda. La BCE fa quel che Alesina loda: immette d’urgenza 95 miliardi di nuova moneta fiduciaria elettronica (linee di credito) nei mercati finanziari, in questo modo chi ha bisogno di prestiti può averli dalla BCE (impegnando “collaterali” via via di minore qualità, fino alla “spazzatura” che in alcuni casi accetta oggi). Subito dopo ne immette altro 109. Lo stesso fanno, con cifre che non si riesce bene a ricostruire sia la FED la Banca centrale del Canada, la Riserva Australiana, la Banca del Giappone.
Il 17 agosto 2007, tre giorni prima dell’articolo di Alesina, Bernake riduce leggermente i tassi di interesse. Anche lui non crede che i mercati possano davvero perdere equilibrio.

E che succederà subito dopo.
A settembre il Libor (tasso al quale le banche si prestano il denaro) sale oltre il tasso ufficiale della Banca di Inghilterra di un punto, dal 1998 è la prima volta che succede di nuovo (crisi del sud-est asiatico).
Dopo il 1929, per la prima volta in assoluto, si assiste ad un evento che si credeva cancellato per sempre: una corsa agli sportelli di una banca. E’ Northern Rock, il cui modello di business era prestare a breve termine alle altre banche (non aveva CDO e non emetteva mutui). La BoE la salva con 15 miliardi di sterline e apre altre linee per 10 miliardi.
La FED cala il tasso al 4,75%.
Ad ottobre, siamo a due mesi dalla profezia tranquillizzante di Alesina, l’UBS (la più autorevole banca svizzera) dichiara perdite per 3,4 miliardi per CDO. Citigroup in USA fa lo stesso per 9 miliardi (poi a marzo 2008, alla fine, ammetterà che la perdita era di 40 miliardi). Merryl Linch dichiara perdite per 7,9 miliardi, il CEO si dimette.
A dicembre accade l’impensabile. Bush vara il più grande intervento governativo a salvataggio dei mercati finanziari e dei mutuatari diventati insolventi (ed i cui valori delle case erano calati da tempo sotto il valore dei debiti) di tutti i tempi.
La FED, insieme alle altre Banche Centrali (incluso BCE) vara quindi crediti “illimitati” alle banche per garantirle contro il “credit crunch”.
Ma a gennaio 2008 i mercati azionari crollano di nuovo (travolgendo i risparmi di chi avesse creduto all’articolo di Alesina), e la FED abbassa i tassi ancora. La Mbia apre un altro fronte, quello delle assicurazioni, dichiara perdite per 2,3 miliardi per aver assicurato (tramite CDS) dei CDO che contenevano mutui sub-prime.
A febbraio 2008 il governo inglese nazionalizza Northen Rock e soprattutto, Bearn Stearns (che è la quinta banca di Wall Street) è acquistata per un valore di 240 milioni da J.P. Morgan Chase e riceve contestualmente sostegno di denaro pubblico per 30 miliardi. In sostanza il governo federale paga J.P. Morgan per salvare Bearn Stearns.
A maggio la UBS dichiara altre perdite (37 miliardi) e necessità di ricapitalizzazione (16 miliardi). Lo stesso fanno Barclays Bank e RBS.
A luglio 2008 la borsa inglese precipita e in USA il governo federale sostiene con l’incredibile somma di 5.000 miliardi di dollari (5.000.000.000.000 $) Fannie Mae e Freddie Mac che emettevano mutui con la garanzia implicita (che ora diventa esplicita) dello Stato. È 1/10 del PIL del pianeta. Una somma più che sufficiente per spazzare via la fame nel mondo e buona parte delle relative guerre.
Ad agosto, mentre i prezzi delle case continuano a cadere ovunque (ovviamente molto di più dove più erano salite), il governo britannico ammette quel che tutti sanno ormai: la recessione sarà dura e lunga.

A settembre 2008 il redde rationem: la borsa inglese crolla, Fannie Mae e Freddie Mac sono nazionalizzate, Lehman Brothers annuncia perdite per 3,9 miliardi e comincia a cercare un compratore. Sono giorni affannosi ben descritti in “Too big to fail”, un libro che bisognerebbe leggere, che si concludono con il rifiuto di salvarla (pagando l’acquirente) come fatto per Bear Stearns ed il fallimento della banca d’affari. È il 15 settembre 2008, la principale produttrice di CBO (ed una delle banche più creative nel produrli in modo sempre nuovo) e molto impegnata nel finanziamento in tutto il mondo di ogni genere di investimento speculativo, immobiliare in primis, ma anche tecnologico o altro, fallisce sotto il peso della totale illiquidità dei suoi titoli. Questo crollo lascia anche i fondi monetari nei guai (i titoli erano depositati in fondi monetari).

E’ un infarto.
Il governo americano è ormai in preda al panico, e salva Merril Lynch (acquistata da Bank of America), poi l’assicuratore più grande del mondo AIG per il quale viene messo insieme un pacchetto da 85 miliardi che poi saliranno, quindi a Washington Mutual (che è una fondiaria). A Londra tocca a Hbos.
Domenica 8 settembre il Congresso americano riceve e poi rigetta il Piano Paulson che vale 700 miliardi, utilizzabili discrezionalmente dal tesoro per salvare le banche in difficoltà.
Le onde d’urto si susseguono: Irlanda, Islanda, Belgio, Francia (Dexia). LA FED estende il credito a tutti.
Ad ottobre il Congresso cede ed approva il Piano Paulson. Il governo tedesco salva con 50 miliardi Hypo Real Estate, l’Islanda nazionalizza tutte e tre le banche (il cui fatturato era molto superiore al PIL del paese). Il governo inglese impegna altre 250 miliardi di sterline e poi altri 37.
Gli USA e la Gran Bretagna entrano ufficialmente in recessione.
A novembre le banche centrali abbassano ancora i tassi e il governo cinese impegna 586 miliardi di aiuti. La FED altri 800. Di passaggio inizia la crisi ucraina (il governo chiede al FMI di prestargli 16 miliardi).
A dicembre 2008 l’Ufficio Nazionale delle Ricerche Economiche USA confessa che la recessione era iniziata a dicembre 2007, la FED abbassa i tassi quasi a zero, siamo in condizione di “trappola della liquidità”. Ma non solo in America, praticamente dovunque. Parte dei fondi del TARP vengono dirottati per aiutare anche istituzioni non finanziarie (GM).

Poi la storia continua… e ancora non è finita.

Ora torniamo ad agosto del 2007, l’11 agosto sul Corriere della Sera Giulio Tremonti rilascia una intervista a Mario Sensini in cui ricorda una sua previsione di crisi di un anno precedente e conferma una valutazione di elevato rischio a carico dei mercati finanziari USA. Ripetendo critiche consolidate l’ex ministro del governo Berlusconi accusa l’economia finanziaria di essersi distaccata da quella “reale” e di essersi “automoltiplicata vertiginosamente”. Dunque “certo, in America, si trovano il principio e la fine di una crisi potenzialmente globale”, si rischia quindi l’attivazione di quella che chiama una “catena di crisi” che dipende da un enorme stock di liquidità e dalla perdita subita dai mutui immobiliari. Certo, poi valuta che il rischio sia soprattutto americano, ed il contagio limitato all’Europa dell’Est.

Il 20 agosto, dunque, su Il Tempo, Alberto Alesina risponde a Tremonti ed ai timori che da molte parti si stanno allargando da tempo sulla natura della crisi e le sue prospettive. Da mesi, infatti, oltre agli scricchiolii che abbiamo descritto si moltiplicano i fallimenti dei mutuatari, le procedure legali di recupero dei crediti, ed il mercato immobiliare comincia a calare. A gennaio Allen Sinai rassicurava che “non c’è più pericolo di recessione” (e all’intervistatore che gli risponde stupito “più?” confessa che nel 2006 c’era stato un momento di pericolo, causato da “cinque trimestri consecutivi di prezzi delle case in caduta, e specialmente due trimestri di picchiata violentissima nell' apertura di nuovi cantieri di costruzioni residenziali”).

Alesina è sicuro: “non ci sarà nessuna crisi del 1929 come dice Tremonti”. Si tratta solo di una “correzione”, del tutto normale e fisiologica che sarà tenuta sotto controllo dalle Banche Centrali che “stanno reagendo in maniera appropriata”. I mercati (come diceva anche Sinai otto mesi prima) sono infatti vicini alla fine della caduta e quindi si riprenderanno. Insomma, i due “esperti” (uno dei quali è un trader e dunque scusabile, sta solo lavorando, l’altro dovrebbe essere uno studioso indipendente dal business) consigliano implicitamente di comprare. Ed in fretta, infatti “il rimbalzo potrebbe essere imminente”.
Certo, “ultimamente si era esagerato un po’ a prestare denaro grazie a tassi di interesse troppo bassi” per questo “ora è in atto una forte correzione”, ma è “tutto qui”.

Tremonti accusava il problema di un “eccesso di liquidità”, e infatti l’intervistatore lo teme e fa l’obiezione a lungo portata avanti dalla Bundesbank (presso il board della BCE) negli ultimi anni: “le Banche centrali che stanno allentando i cordoni non rischiano di alimentare la speculazione? Per sanare il male alla radice i tassi d’interesse non dovrebbero semmai essere alzati?” Ma Alesina, sulle orme di Milton Friedman e della sua famosa analisi del comportamento della FED come causa della depressione degli anni trenta, risponde che la priorità è invece impedire il crollo. Dunque quando tutto scricchiola bisogna impedire troppi fallimenti, poi in un secondo momento “bisogna facilitare il riaggiustamento, ma in modo graduale, con i regolamenti e i controlli”, teniamolo a mente.
Ma Alesina (come il suo sodale Giavazzi, che è della stessa opinione) va anche oltre, stima un effetto sul PIL italiano “modestissimo”, e coglie l’occasione per ribadire (repetita iuvant) che comunque l’Italia ha altri problemi, fare le famose “riforme”, ridurre l’eccesso di spesa pubblica, le pensioni, i contratti degli statali, …
A questo punto al buon Alberto viene meno la logica (si sa, quando lo schema generale si impone…) e la stessa persona che un minuto prima aveva detto che dopo l’allentamento per salvare i mercati dai fallimenti (ma non era il fallimento il principio morale e il freno funzionale che istituisce il mercato?) bisognava usare “regolamenti e controlli” per “facilitare il riaggiustamento”, dice che “È facile dire ‘regolamentiamo’: ma come? I governi non devono farsi prendere la mano, non devono mettersi a lanciare proclami o a intervenire chissà come, perché le regole già ci sono. Quanto ai divieti, secondo me vanno proibiti i conflitti di interesse, per esempio le banche non possono gestire fondi e poi rifilare ai loro clienti prodotti scadenti. Ma con i divieti non andrei oltre”.
Dunque, oggi si salva con denaro pubblico chi dovrebbe fallire e domani non si mettono nuove regole “perché già ci sono”.
Ma se ci sono, cosa è andato storto al punto che oggi bisogna interrompere la logica del mercato ed impedire a chi ha sbagliato di fallire? Attenzione, perché lo dice bene Raghuram Rajan in “Terremoti finanziari” (anche se non è della mia parrocchia, lettura imprescindibile), salvare chi ha sbagliato rende razionale farlo, e dunque cambia radicalmente le regole del gioco reale.

Al nostro sembra venire meno la logica, anzi direi meglio, ad Alesina sembra venire meno l’integrità intellettuale, perché ciò che sta dicendo in realtà è “non fate male ai miei amici (e clienti)”; anche se hanno talmente sbagliato da doverli salvare con denaro pubblico in modo indiscriminato. Non fate male al mio mondo.

Ed allora che cosa si deve fare con i prodotti finanziari pericolosi (quelli che poi si chiameranno, con metafora antropologica, “tossici”)? Semplice, “ci si difende così: il cliente deve rifiutarsi di investire in un prodotto che non capisce, o troppo complicato anche se crede di capirlo”. E qui ancora una volta, senza accorgersene supera il limite, perché aggiunge: “Io se non capisco non compro. Investo in maniera tradizionale”.
E l’intervistatore (che, devo dire, mi sembra assai più sveglio dell’intervistato), subito coglie il punto e chiede: “I prodotti finanziari derivati possono essere così complicati che non li capisce neanche un professore di Economia di Harvard?” E lui risponde “sicuramente”.

Dunque ricapitoliamo: 1- i mercati stanno funzionando bene e la crisi non è reale, anzi tra poco ricomincerà la crescita; 2- ma comunque le banche centrali devono intervenire per evitare “troppi fallimenti”, solo dopo riequilibrare il mercato con nuove regole; 3- ma non davvero, perché quelle che ci sono bastano; 4- l’unica cosa giusta la devono fare i consumatori, non comprando i prodotti “poco chiari”; 5- come fa lui che non li compra.
Dunque questi prodotti finanziari, che provocano “troppi” fallimenti (concetto scivoloso per chi crede che i mercati si riequilibrino da soli), sono così oscuri che nessuno li capisce (neppure i professori di Harvard) ma non devono essere regolamentati. Suppongo che lo standard di investitore onnisciente cui la teoria pensa sia molto più competente dei professori con phd in economics.


La logica dunque pencola, ma l’etica?
Che cosa, esattamente, sta facendo Alesina (insieme a tanti altri, si intende) quando scrive su un giornale che non è precisamente letto solo dai docenti di Harvard che i mercati stanno per ripartire?
Sta consigliando, dall’alto della sua autorità, proprio a quegli investitori che non capiscono abbastanza di comprare i prodotti che giudica “oscuri”. E questo deriva proprio dalla sua valutazione, perché sta dicendo che i titoli che sono scesi (perché influenzati direttamente o indirettamente da quei prodotti finanziari sotto attacco) saliranno. Sta implicitamente consigliando di comprare proprio quelli.

Lo faceva anche Allen Sinai a gennaio, ma ad un mercante non si chiede di essere etico (o no?), ad uno “scienziato” si.

Questo piccolo episodio secondo me dice moltissimo sulla pratica concreta della disciplina economica e la sua cattura da parte dei mercati finanziari.

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