Un recente post
di Branko Milanovic, sul suo blog, dal titolo “Il 99%. Utopia e denaro” ritorna sulla questione della possibile
trasformazione dall’economia della scarsità a quella dell’abbondanza, e dunque
dallo scambio all’illimitata disponibilità. “Sharing economy”, “economia a
costo marginale zero”, “commons collaborativi”, “economia dell’accesso”, “sana
sobrietà”, “fine del capitalismo”, “economie duali”, sono molte le ipotesi
formulate da chi traguarda il semplice fatto dell’incremento costante della
produttività relativa (al lavoro umano specificamente impiegato) nella produzione
e distribuzione di sempre più beni e servizi. Abbiamo (elenco del tutto
parziale) Keynes
negli anni trenta, Francesco nella sua ultima enciclica,
Mason
con la sua ottimistica previsione di fine del capitalismo, Bauwens
con il suo modello post capitalistico emergente, Lanier con la sua ipotesi
di microaccrediti per la generazione di contenuti, Tyler
Cowen con le sue distopiche prospettive. Ne avevamo da ultimo parlato, in
termini delle possibili conseguenze distopiche a
luglio, e poi per i rischi di controllo sociale (anche nascosti in termini
attraenti ed importanti come le “città
intelligenti”).
Milanovic la
prende più da lontano, cita il Marx del “Critica
al Programma di Gotha” (1875) che evoca una “fase più elevata della società”, in cui “è scomparsa la subordinazione asservitrice degli individui alla
divisione del lavoro” (ma non la divisione stessa, in altre parole è
scomparso il potere); dopo che anche il contrasto tra “lavoro intellettuale e fisico” è scomparso (cioè la gerarchia tra
lavori più rari e pregiati e lavori più bassi e comuni), dopo che “il lavoro non è più divenuto solo mezzo di
vita, ma anche il primo bisogno della vita” (cioè dopo che il lavoro, che
resta, da obbligo diventi desiderio), “dopo
che con lo sviluppo onnilaterale degli individui sono cresciute anche le forze
produttive e tutte le sorgenti di ricchezza collettiva scorrono in tutta la
loro pienezza” (cioè dopo che l’eliminazione della estraneazione
del lavoro –qui dai Manoscritti
economico filosofici del 1844- ha eliminato tutte le “dighe” che ostacolano
lo “scorrere” della ricchezza e ne concentrano -riducendola- in poche mani il
controllo). Dopo tutto questo (in tutte queste condizioni) “solo allora
l’angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato, e la società può
scrivere sulle sue bandiere: Ognuno
secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni!” (Karl Marx, Critica del Programma di Gotha, 1875)
La condizione in
cui questa utopia si compie è dunque molto complessa: una parte –dice Milanovic-
è “una situazione in cui i beni e i servizi sono assolutamente abbondanti, non
c'è scarsità, e possiamo prendere la gran parte di loro come ci piace”. Una specie
di self service, dove dall’altro lato c’è una produzione automatica o
volontaria, come vedremo.
Prima di tornare
sulle altre condizioni elencate dal filosofo di Treviri vediamo il ragionamento
dell’economista ex Banca Mondiale: il denaro, che si immagina qui superabile,
ha la funzione principale di coordinare i piani dei singoli e delle imprese
(senza comando diretto) per orientare le risorse nella direzione “giusta”. Dove
il termine indica meramente, quella che è richiesta fattualmente (mentre in
Keynes e più nettamente in Minsky come vedremo, questo punto diventa
problematico, la stessa offerta è cruciale e va orientata in direzione socialmente
utile). Ad esempio quando vado da un bar (es, Starbucks) per comprare un caffè
(alimento a filiera lunghissima) pago e questo coordina verso il bancone una
complessa serie di azioni in tempi diversi e da parte di persone che non si
conoscono. Qualcuno fornirà attrezzi, realizzati con metallo preso da miniere e
lavorato in grandi stabilimenti, altri input chimici derivanti da una lunghissima
catena di produttori, altri produrranno il caffè che sarà lavorato ed
imbustato, raccolto e trasportato, distribuito e venduto, aperto e cucinato,
servito. Tutto perché il denaro si allunga nella filiera, fornendo a tutti la
motivazione per compiere quelle azioni. In linea di massima al prezzo minore
(non necessariamente, anzi in genere no, al costo ambientale e sociale minore).
Senza soldi,
riflette Milanovic, chi coordinerà le azioni? Qui inserisce il pezzo sul “Programma di Gotha”.
L’abbondanza rende inutile chiedere denaro. Si tratta di una abbondanza che sta già crescendo,
nelle piccole pieghe del nostro sistema di distribuzione. Da Starbucks acqua,
tovaglioli, anche miele e latte sono gratuiti e il loro prelievo non è
controllato (se si entra legittimamente, cioè per comprare). Una “cornucopia”
in cui entrano anche altri piccoli consumi (nessuno chiede di pagare se devo
dare una ricarica al cellulare, per pochi Wh, o chiedo acqua) o utilizzi (ad
esempio alcuni concerti, spettacoli all’aperto). Certo qualcuno paga per
ottenerli e poi poterli mettere a disposizione, ma il loro costo marginale di
produzione è così basso (cioè il costo che si aggiunge per un singolo utilizzo
in più) da essere trascurabile. Per questo può essere fornito gratuitamente.
La seconda
osservazione che Milanovic fa è che quando questo avviene gli utenti non si
ingozzano (noi non entriamo in ogni bar che superiamo per chiedere un altro
bicchiere di acqua, o riempirci le tasche di tovaglioli, non passiamo i mesi ai
concerti gratuiti) perché quando sappiamo essere sempre disponibili è razionale
usarli solo se e quando servono. La seconda parte della frase di Marx “…a ognuno secondo i suoi bisogni” sembra quindi
realizzabile nel regno dell’abbondanza. Almeno per alcuni bisogni (e qui Keynes faceva agire la distinzione complicata
tra bisogni di base e secondari che è molto meno inessenziale di quanto possa
sembrare a prima impressione).
Che succederebbe
se tra alcune decine di anni sempre più merci, o servizi, entrassero nell’era
del “costo marginale zero” immaginato
da Rifkin? È una tendenza in corso, cinquanta anni fa acqua e carta costavano
tanto da dover sempre pagare per averla (c’era chi con un carretto la vendeva
per strada, almeno a Napoli). Magari tra qualche decina di anni il caffè sarà
gratuito, e si entrerà nel locale per fare altro. E la lista sarà in crescita.
Se un domani la
maggior parte di quel che oggi consumiamo per vivere bene sarà gratuito chi li produrrà? Non lavoratori
salariati o comunque remunerati, perché poi il denaro non gli servirebbe e
dunque non avrà valore (sembra ragionare Milanovic). In sostanza saranno
macchine e persone che volontariamente (la prima parte della frase di Marx “da ognuno secondo le sue capacità”)
presteranno una parte del proprio tempo perché
gli piace farlo. Quando, cioè “il
lavoro non è più divenuto solo mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita”
si fanno tante cose gratuitamente (come scrivere o leggere questo blog, o quello di Milanovic, che vale) perché piacciono.
I lavori ripetitivi, riducibili a routine (anche sofisticate), faticosi o
pericolosi saranno fatti da macchine o da software (si può leggere Brynjolfsson
su questo), la cui programmazione magari sarà realizzata da comunità open
source collaborative ancora gratuitamente e distribuite apertamente. A costo
marginale zero.
Reputazione,
socializzazione e orgoglio saranno premio sufficiente per milioni di giovani o
meno giovani intelligenti programmatori e creativi.
Ma anche servizi
(come la ristorazione) potrebbero essere distribuiti a costo zero da sistemi
automatizzati (magari con cibo stampato in 3D) o quasi (con cuochi umani che
prestano la loro creatività perché ne sono soddisfatti) o in circuiti social
(che stanno già cominciando).
Qui Milanovic vede il primo problema: ci sarà sempre qualcosa migliore, e qualcosa
peggiore (in termini di servizio, personalizzazione, qualità o creatività ed
innovazione). Dunque senza prezzo come si organizzerà la distribuzione e l’accesso
(il migliore sarà più desiderato)? Tramite le “code”?
E poi il secondo,
lui dice che almeno un 1% delle attività sarà sempre non automatizzabile e
troppo difficile o spiacevole per essere prestato gratuitamente (in altre
parole, in alcune attività ancora necessarie potrebbe esserci carenza di
offerta spontanea). Per quanto marginale (1%) non è una cosa evitabile. In queste
condizioni (scarsità) torna la necessità del denaro.
E con esso la
distinzione e l’ineguaglianza economica.
Inoltre il terzo,
il progresso (tecnologico) e l’innovazione generano scarsità locali (fino a che
l’innovazione non si diffonde) e dunque replicano le condizioni di necessità di
un meccanismo di gestione del razionamento. Cioè del denaro.
Si arriva ad una
conclusione che piacerebbe molto a Latouche (in effetti è quel che dice): solo
in una economia stazionaria, senza progresso tecnologico e con un certo grado
di autoritarismo (per eliminare le carenze di offerta di lavoro spontaneo)
potrebbe esserci assenza completa di denaro. E quindi di ineguaglianza
economica.
Senza il secondo
requisito (autoritarismo) possiamo avere “il 99% di utopia ma non il 100%”.
Senza il primo
(cioè con un’economia in crescita ed una società in trasformazione) neppure
quella.
Dunque, dice
Milanovic, “così la natura fondamentale del progresso economico si rivela nel
suo dilemma essenziale: il progresso economico ci sta rendendo più ricchi ogni
giorno, ma ci lascia ugualmente insoddisfatti. La piena felicità è
possibile solo nella stagnazione”. Dello stesso avviso era anche Keynes, che
nel 1930 ipotizzava, infatti, che la crescita sarebbe giunta ad un momento di
piena abbondanza dal quale sarebbe entrata in “stato stazionario”.
Questo se ci si
mette nella prospettiva “dell’ultimo giorno” (della storia economica), nelle
condizioni elencate da Marx (ma tutte) si avrebbe uno stato stazionario a
bassissima ineguaglianza economica e di potere, dove l’ineguaglianza funzionale
(cioè la divisione del lavoro) è allineata con ambizioni e desideri di ognuno
(cioè non
è alienata).
Quali condizioni?
Primo, la scomparsa della “subordinazione
asservitrice alla divisione del lavoro” (il lavoro non sarà più una necessità,
ma un desiderio libero); secondo, la
scomparsa della gerarchia tra lavori pregiati e non (quindi tra diversi schemi
di remunerazione, insieme alla remunerazione stessa); terzo, la caduta delle barriere che organizzano, accumulandolo, il
lavoro in poche mani e ne inibiscono le potenzialità, rendendolo “estraniato”.
La terza condizione
è forse il motore che rende comprensibile l’idea: l’uomo ha potenzialità e
plasticità illimitate ma viene costretto dalla divisione del lavoro e dalla
subordinazione (che deriva dallo stato di necessità senza disporre delle
possibilità), a contenerle, specializzandole, entro le catene di produzione e
controllo preformate. Da un certo livello di sviluppo in poi, e da un certo
livello di meccanizzazione in particolare, questo non libera forze produttive ma le limita. È come una diga che
conserva in una sola mano acqua che altrimenti “scorrerebbe” in tutta la
pienezza, rendendosi disponibile. La cosa si capisce oggi nei termini della
sharing economy, dell’attivazione spontanea e della produzione condivisa e
cooperativa, del crowfunding, delle potentissime potenzialità aperte dalla
messa in contatto di mani e menti attraverso le infrastrutture informatiche e
di comunicazione sostanzialmente gratuite (a costo marginale nullo) oggi
disponibili. E’ il punto di Bauwens.
Da ognuno secondo le sue capacità… amplifica cioè le capacità, permettendo ad ognuno
di scoprirne di nuove, di sorprendersi. Nel linguaggio di Amartya Sen, “capacita”.
Ma che si vede se ci si mette invece nella prospettiva
dello scorrere dei giorni? Che di fatto
questa dinamica di abbondanza implica una crescente marginalità. Nelle condizioni
in cui le “dighe” sono tutte ancora alzate, e la divisione del lavoro è
alienata, produrre sempre di più con sempre meno input umani implica che sempre
più persone (che sarebbero gli ex input) semplicemente non servono. È vero che avranno alcuni servizi e beni gratuiti o
quasi (ad esempio quelli di intrattenimento, così essenziali per il controllo
sociale), ma contemporaneamente saranno esclusi completamente dai “beni di
desiderio” (cioè quelli che la nostra società espone ai nostri occhi come
essenziali per essere una donna o un uomo completo e risolto, che catturano il
nostro “immaginario”). Questo è il nodo intorno al quale gira una parte molto
rilevante dell’enciclica
di Francesco.
Lo avevamo
scritto in “La
grande trasformazione del lavoro e le sue (possibili) conseguenze distopiche”,
dal punto di vista dello scorrere se crescono gli “inutili”, crescerà l’assistenza
paternalista e (implicitamente) autoritaria. Aiutata dalle potentissime armi
della creazione e diffusione di informazione, dalle stesse che generano la
condivisione e la sharing economy (in questa direzione gli avvertimenti di Lanier
sul Big data, ma non solo), dalle infrastrutture
“smart”. Crescerà la polarizzazione sociale e territoriale (come bene vede Tyler
Cowen, pur traendone conclusioni divergenti dalle mie). Crescerà il già
molto avanzato degrado del tessuto democratico e della capacità di
emancipazione incorporata nella nostra struttura sociale. Diminuirà la
capacitazione (Sen), aumenterà l’estraneazione e l’alienazione (Marx) e
cresceranno le forme di disciplinamento e controllo (Foucault).
Io vedo,
insomma, lungo la strada per l’abbondanza materiale il rischio di avere un
paesaggio di altissime dighe e rigagnoli che portano acqua sporca e
insufficiente a miserabili borghi sovraffollati dall’alto (della diga) ben
sorvegliati. Una società disciplinare dell’intrattenimento, organizzata da
potentissime tecnomacchine burocratiche (non necessariamente pubbliche) che con
un solo gesto inseparabile assistono, sostengono e controllano centinaia di
milioni di “inutili”, ogni tanto radunati per qualche plebiscito.
Ai produttori di
simboli e spettacoli di intrattenimento resterà il ruolo di produttori “utili”
(al controllo) mentre ai proprietari delle dighe il paradiso in terra della cornucopia.
Una specie di
parco giochi nel quale chi si distrae e non guarda lo spettacolo sarà
rapidamente identificato, sorvegliato ed osservato, minuziosamente definito e
sanzionato.
Siamo già molto
avanti in questo sentiero, e bene lo vede il papa, la domanda è semplice e
inaggirabile: chi possiede e per
cosa? Verso cosa deve essere responsabile?
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