Sul “Corriere
della Sera” Federico Fubini ha pubblicato una intervista
al senatore a vita ed ex premier Mario Monti nel quale quest’ultimo ha prodotto
una serie notevolissima di affermazioni e minacce.
Inizia chiamando “realtà
oggettiva” la “realtà internazionale”, con i suoi rapporti di forza e la
divisione del lavoro che comporta[1], e
quindi apparenza fittizia la
condizione materiale nella quale vive la maggioranza del paese, con la quale
questo governo, nel bene come nel male, ed in entrambe le sue componenti, è in
contatto come non accadeva da decenni, più precisamente ha paragonato lo stato
delle forze politiche che dall’opposizione sono giunte nelle stanze dei bottoni
(o, meglio, come vedremo, nella sua anticamera) a “l’equivalente politico di
una bolla speculativa”.
Leggiamo:
“Vede, credo che le
forze che sostengono questo governo non avessero mai avuto veri momenti di
confronto con la realtà oggettiva, con la realtà internazionale. Vivevano
nell’equivalente politico di una bolla speculativa”.
Cosa succede adesso secondo Monti? Molto
semplicemente, che la realtà si è
presentata.
“Ora mi pare
che l’impatto con la Commissione europea sia stata la prima vera
occasione di scoperta della realtà, per politici che avevano in testa solo una
propria versione di essa tutta costruita per demonizzare il passato”.
La “realtà” è dunque incarnata nella Commissione
Europea, questa ne è il sancta sanctorum.
In una società teocratica, prendiamo ad esempio
l’antico Egitto, vi è una struttura che determina un dispositivo di accesso
graduato al ‘vero’ del mondo, un dispositivo profondamente gerarchico e creante
ordine: il tempio. Questo è
normalmente composto di almeno cinque elementi ricorrenti:
-
l’ingresso monumentale, visibile a tutti e costruito per segnalare e contemporaneamente
nascondere il luogo della manifestazione del potere, nel tempio egizio si
chiama “pilone”.
-
Un ampio cortile,
circondato di colonne, al quale tutti i fedeli ammessi nel tempio possono
accedere, ma è l’unico posto nel quale possono farlo.
-
Una sala successiva,
chiusa e retta da colonne, nella quale entrano solo i sacerdoti e necessaria
per compiere i riti di purificazione per poter andare oltre.
-
Un piccolo ambiente,
al quale accedono solo pochi, nel quale si preparano le offerte, il vestibolo.
-
Infine il luogo della ‘realtà’: il santuario, nel quale c’è il naos, la casa del Dio. Qui accedono
solo pochissimi alti sacerdoti.
Monti è uno di questi alti sacerdoti, e indica ai
subalterni quale offerta va
preparata.
Ma dice anche, sulla base di una domanda
servizievolmente predisposta dal diacono di rango più basso, quale è il prezzo
dell’ira del Dio.
Fubini:
In Europa chiamano «Tsipras moment», dal nome del premier greco, la fase in cui
un populista accetta di cambiare strada per salvare il proprio Paese. Sta
accadendo in Italia?
Monti: «Credo di sì. L’impatto con la Commissione e forse la scoperta che fuori dall’Italia non si pensa affatto che dopo le Europee di maggio questa Europa sia morta, avranno contribuito. Certe idee facevano parte della bolla nella quale vivevano nostre forze di governo. Invece hanno visto che una Commissione efficace e la straordinaria unità di tutti gli Stati membri nel sostenerla, quindi hanno capito che bisogna fare qualcosa. Credo che stiamo arrivando allo “Tsipras moment”.
Monti: «Credo di sì. L’impatto con la Commissione e forse la scoperta che fuori dall’Italia non si pensa affatto che dopo le Europee di maggio questa Europa sia morta, avranno contribuito. Certe idee facevano parte della bolla nella quale vivevano nostre forze di governo. Invece hanno visto che una Commissione efficace e la straordinaria unità di tutti gli Stati membri nel sostenerla, quindi hanno capito che bisogna fare qualcosa. Credo che stiamo arrivando allo “Tsipras moment”.
Cosa è l’ “Tsipras
Moment”?
Prendiamo questa
breve cronistoria, parliamo di eventi che, muovono dalle elezioni di gennaio e
hanno un primo passo nella crisi di febbraio per la rinegoziazione dei
programmi di aiuto[2], quindi si trascina fino
alla redde rationem che si svolge in quindici giorni a luglio 2015:
1- dopo
cinque mesi di trattative estenuanti l’Eurogruppo presenta alla Grecia un
ultimatum negli ultimi giorni di giugno;
2- Tsipras,
in una drammatica conferenza improvvisa notturna risponde dichiarando di non
avere il mandato per accettarlo (data la piattaforma elettorale) e quindi
convoca un referendum di lì a tre giorni per sottoporre il quesito ai greci
stessi;
3- Domenica
5 luglio il NO alla proposta europea vince con oltre il 60% dei suffragi;
4- Lunedì
Tsipras legge il dato come una indicazione a definire un migliore accordo
restando comunque nell’Euro e spinge Varoufakis alle dimissioni;
5- La
BCE stringe le condizioni per l’accesso da parte delle banche greche ai fondi
di emergenza (che consentono di tenere aperti gli sportelli). Per comprendere
quel che è successo vale la pena ricordare una cosa: in un mondo normale una
banca centrale ha la funzione di risolvere questo problema, non di crearlo[3].
6- Dal
7 luglio riprendono i colloqui e viene dato tempo fino a giovedì (2 giorni) ai
greci per presentare un “piano di riforme credibile”;
7- Mercoledì
8 luglio, con un drammatico colpo di scena il governo greco presenta una
formale proposta di nuovi aiuti al Fondo europeo, ma l’accompagna subito dopo
con una lista di riforme ancora più severa di quella bocciata al referendum. Il
mandato elettorale e l’indicazione referendaria sono traditi;
8- La
Merkel immediatamente toglie dal tavolo la svalutazione del debito (qui siamo a
giovedì 9 luglio), e la Grecia formalizza la sua lista;
9- Sabato
11 luglio l’Eurogruppo manifesta profonda sfiducia e da Berlino arriva
improvvisamente un documento del Ministero delle Finanze (questo è importante)
che chiede impegni molto più concreti (rispetto a quelli da loro stessi
richiesti appena una settimana prima, poi bocciati nel referendum ed infine
accettati dal governo greco) o l’uscita temporanea della Grecia dall’Euro (per
cinque anni); si tratta di una assoluta novità, in quanto fino a questo momento
il tema era solo affidato al dibattito, a qualche articolo di Sinn e alla
stampa anglosassone;
10- Nella drammatica
giornata di domenica 12 luglio, mentre il FMI fa filtrare il documento in cui
come si è poi saputo chiede il taglio del debito e l’Unione dei Trasferimenti,
il vertice dei capi di stato a 28 è annullato e convocato uno dei soli membri
dell’eurozona (19) nel quale viene richiesto ultimativamente alla Grecia di
fare riforme in parlamento entro pochi giorni;
11- Lunedì 13 luglio
è chiuso un accordo capestro, nel quale a fronte di draconiane misure di
austerità la Grecia ottiene nominalmente 84 miliardi (in realtà solo 12) a
fronte di un pacchetto di privatizzazioni a garanzia, da mettere in un fondo
indipendente con una tecnica sperimentata nell’unificazione tedesca, dotato di
50 miliardi di asset.
Le reazioni internazionali a questo esercizio di brutalità
sono molto nette[4].
Insomma, questo
è il momento Tsipras, un esercizio di controdemocrazia nettamente definito
e di potere esercitato al di là di ogni procedura e formalità da parte di
organi non istituiti e che non rispondono a nessuna procedura, o che le forzano
senza ritegno appena diventi ‘necessario’.
Per Monti, dunque, siamo arrivati a questo: un
“Momento Tsipras”, solo un poco più diluito nel tempo. La “realtà” si sta
manifestando anche ai poveretti che sono appena entrati nella prima stanza,
dopo essere restati sempre fuori, nei campi.
Nell’intervista è anche segnalato che hanno
contribuito a segnalare la forza del potere, quindi la realtà del mondo, eventi
artificiosamente predisposti, come la manifestazione (di poche migliaia di
persone, forse ventimila) di Torino delle “Madamine” e soprattutto i discorsi
che si tengono nella succursale del Tempio: la Confindustria[5].
Da qui, avendo
detto tutto[6],
Monti avanza qualche minimo distinguo su Moscovici (colpevole di provenire
dalla ‘pigra’ Francia, e non dalla ‘virtuosa’ Germania, evidentemente, o da
qualcuno dei suoi tanti vassalli) e ricorda la flessibilità erogata a Renzi per
consentirgli di fermare i populisti, ma alla fine giustifica che Bruxelles
cerchi di fermare il governo eletto italiano.
Ancora una volta.
[1]
- Per la quale, in sintesi, il nord-Europa deve restare il cuore industriale e finanziario del continente, alcune
regioni a corona sia all’Est (Polonia, Repubblica Ceca) al nord (Danimarca,
Olanda) all’ovest (parte della Francia) e al sud (pianura padana), fare da
subfornitori e contoterzisti, subalterni nella catena logistica e finanziaria
tedesca, le altre regioni si devono specializzare secondo i loro ‘vantaggi
comparati’ in luoghi di svago per i ceti medi superiori europei (Grecia, sud
della Spagna, sud Italia), piccole isole defiscalizzate per le gradi imprese
multinazionali (Irlanda, Lussemburgo), o fornitori alimentari (sud Italia, sud
Spagna) fruendo del lavoro schiavistico importato dal nord Africa e dal resto
del mondo. Ovviamente i paesi periferici si devono ancora acconciare a fornire
manodopera istruita e disponibile per comprimere il costo del lavoro al centro,
garantendo la permanenza del suo vantaggio competitivo che crea la struttura
gerarchica dei ‘vantaggi comparati’ di cui sopra.
[2]
- Ciò che accade prima è che a gennaio Tsipras a sorpresa vince
le elezioni sulla base di una devastante e continua crisi economica e ha
sostituito il governo Samaras. Il fantasma di una politica popolare cammina per
l’Europa. A febbraio, avendo ricevuto un mandato popolare molto chiaro in
proposito, il nuovo governo Greco avvia la trattativa per la ristrutturazione
del debito con le autorità europee, il mondo osserva. Ad esempio Stiglitz scrive
“Un
racconto greco” nel quale conclude così “raramente le elezioni
democratiche lasciano un messaggio chiaro come quello greco”, se l’Europa dice
di no, “sta dicendo che la democrazia non ha alcuna importanza, almeno quando
si tratta di economia”. Ma allora, “perché non chiudere la democrazia”? Krugman
scrive “La
crisi greca e la ‘pace cartaginese’”, commentando con grande
sconcerto le durissime richieste che vengono da Bruxelles (o Berlino?), viene
preteso un avanzo primario mai visto, del 4,5%, per pagare i debiti. Krugman
ipotizza che le autorità europee vogliano, semplicemente, che la Grecia
fallisca allo scopo di dare un esempio a chi volesse un domani seguirne le
orme, ad esempio, dice, la Spagna, la Francia e l’Italia. Il 19 febbraio la BCE
avanza
una minaccia diretta ad uno dei paesi che la compongono: la linea di credito di
emergenza (necessaria in ogni banca
centrale del mondo, come garanzia di liquidità dei depositi per impedire
che si avviino corse agli sportelli in presenza di situazioni solvibili ma poco
liquide), nota come ELA,
sarà sospesa a fine mese (dopo 9 giorni), se la Grecia non raggiunge un
accordo. L’Eurogruppo (l’insieme dei Ministri delle Finanze europei) ha la
posizione di punta della lancia. Vengono
allo scoperto le forze che governano il grande nord (e non solo),
insieme le favole e le paure che nutrono l’opinione pubblica, i miti e
l’orgoglio di paesi che sentono di “fare il proprio dovere” e per questo si
sentono superiori, i ricordi ed il potere delle élite che hanno trionfato
annettendo paesi e digerendoli (l’ultima la stessa Germania dell’Est). Viene in
luce, ancora una volta, la stretta alleanza, economica e politica, tra la
grande industria e la finanza rivolta alla cattura ed imbrigliamento di ogni
concorrente esterno. Prende il centro della scena il loro agente primario:
Wolfgang Schauble. Questi risponde un secco ‘no’ anche alle proposte di
compromesso, faticosamente avanzate al prezzo di rotture e lacerazioni interne
in Syriza e sulle quali Gabriel era possibilista, Juncker favorevole, e Merkel
silenziosa. Il 20 febbraio viene stipulato un accordo
provvisorio tra l’eurogruppo (l’organo meno democratico dell’Unione,
dato che in sostanza non esiste e non è regolato) ed il Governo Greco per la
proroga dei prestiti in scadenza (MFFA) ai fini di completare la discussione su
un nuovo Programma di “aiuti”. Le autorità democratiche greche si impegnano a
presentare un elenco di misure di “riforma” (ovvero di austerità) tre giorni e
viene fissato una nuova scadenza negoziale al 23 aprile. L’accordo, se ci sarà,
sarà necessario per erogare le tranche di aiuti già previste ed il
trasferimento dei profitti SMP (che sarebbero soldi greci). I fondi liberati, dice una importantissima clausola
dell’accordo, “can only be used for bank recapitalisation and resolution costs”
e le autorità greche, arrendendosi, “reiterate their unequivocal commitment to
honour their financial obligations to all their creditors fully and timely…
have also committed to ensure the appropriate primary fiscal surpluses or
financing proceeds required to guarantee debt sustainability”.
[3] - Le banche centrali sono nate e
si sono sviluppate per impedire che le crisi di liquidità, tipiche di ogni
sistema bancario, nel quale i capitali non sono costantemente a disposizione
perché vengono impiegati in investimenti, alcuni illiquidi, in presenza di
situazioni solvibili avendo tempo, si traducessero in "assalto agli
sportelli" e quindi crack. Quel che ha fatto la banca centrale estera ed
eterodiretta è stato il contrario, ha provocato la corsa agli sportelli (dei
bancomat).
[4]
- Si può ricordare quanto riportato in questo
post a caldo nel quale è raccontata sia la prima reazione di
Varoufakis, sia quella della stampa inglese, americana, francese, di parte
della Spd. Oppure la reazione
molto dura di Jurgen Habermas, secondo il quale “la Germania ha gettato via
settanta anni in una notte”. Quindi una più meditata reazione
dello stesso Varoufakis, a commento di un piano di Schauble per avere un
Commissario per il Bilancio che abbia i poteri di supervisionare i bilanci
nazionali (svuotando i Parlamenti eletti di tale essenziale potere
costitutivo). Infine ricordo il bel
discorso al Bundestag del leader della Linke Gregor Gysi sul
pacchetto di salvataggio alla Grecia come “scardinamento della democrazia
parlamentare” e politica “antieuropea”. Si può ricordare anche la posizione di
Sahra Wagenknecht ad agosto 2015, quando dichiara
che il pacchetto di aiuti comporterà solo impoverimento e debiti ancora più
elevati, o questo
in cui chiede solidarietà anziché ricatti
(anche qui)
o chiama
“vittoria di Pirro” il risultato del negoziato.
[5]
- In particolare quello di Carlo Bonomi all’assemblea di Assolombarda, che ha
fatto valere, secondo Monti, la golden share sulla base della Lega.
[6] -
Il tutto è la condizione di subalternità
coloniale dell’Italia, come degli altri ‘pigs’, condannata ad essere al
massimo contoterzista della filiera industriale nordica, come la Polonia, o al
minimo fornitore di manodopera e luogo di svago turistico (il ruolo della
Grecia nella divisione del lavoro europea).

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