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giovedì 6 dicembre 2018

Città e finanza: cosa insegna la vicenda dello stadio della Roma.



Partiamo da un dettaglio: la relazione del Dipartimento Trasporti del Politecnico di Torino, a firma del prof. Bruno dalla Chiara, giunta in bozza all’amministrazione romana, sembrerebbe da notizie di stampa fornire un quadro “catastrofico” dell’impatto di eventi sportivi da tenere nello stadio sulla viabilità urbana in un vasto intorno. Le problematiche, si legge, compaiono appena si consideri l’impatto di “macro area”, ovvero quello che si determina per arrivare o per andare via con mezzi propri da Tor di Valle. La rete primaria esistente non è in grado di sopportare un nuovo attrattore di traffico di questa importanza e con caratteristiche specifiche così concentrate[1]. I disagi collettivi, ovvero la disfunzionalità urbana indotta, sarebbero “abbondanti, capillari e distribuiti”[2].
Interventi di tipo “capillare”, che quindi non possono neppure essere risolti con interventi puntuali come il “Ponte dei Congressi[3], ma che comunque se si appoggiano sulla sola via del mare/ostiense sarebbero ulteriormente aggravati.
Inoltre, sempre nella relazione, si legge che la rete su ferro richiederebbe molto più del previsto potenziamento della fermata Tor di Valle della ferrovia “Roma-Lido”, ma una globale ristrutturazione della linea per metterla in condizione di sopportare un servizio ad alto cadenzamento.



Insomma, il progetto è nel posto sbagliato.

Non è per caso che lo è.


La storia del progetto[4] mostra un costante conflitto tra la logica della valorizzazione e la logica dell’interesse pubblico che è intrinseca alla cultura dalla quale è emersa la “legge sugli stadi”[5], sistematicamente emersa con significative forzature[6] nelle pieghe di leggi finanziarie o con Dl orientati a rispondere alla pressione dei potentissimi proponenti (le società di calcio). Lo stadio non è più concepito come attrezzatura urbana a servizio della città, e dei suoi abitanti, ma come generatore di flussi economici e di valore economico-finanziario, il cui equilibrio diventa il punto determinante da salvaguardare. La legge, di fatto, mette la città a disposizione (soprattutto nella versione rafforzata imposta dal governo Gentiloni) della società sportiva, e/o dell’operatore che interviene in suo conto.

La città è, in questa vicenda, sostanzialmente ostaggio dell’esigenza di creazione di valore proprio del modo di produzione finanziario. Si può risalire a questo giudizio attraverso l’analisi della meccanica del progetto, la sua storia specifica[7], l’impatto urbano[8].
Il progetto nasce nell’area di Tor di Valle nel 2012, quando Luca Parnasi acquista terreni di bassissimo valore ed un ippodromo appena dopo chiuso[9], il sindaco di Roma era Gianni Alemanno, al governo era Mario Monti, e viene rilanciato con il nuovo presidente Pallotta non appena la legge sugli Stadi è approvata. Lo stadio è solo il 14% del volume di progetto e quasi un milione di mc sono inseriti nel progetto per “compensare” i costi che i privati devono realizzare a proprie spese per garantire la sostenibilità dell’impatto urbano e quindi la “pubblica utilità”[10]. La parte di oneri relativi alle opere di urbanizzazione ha un costo di 360 milioni[11], ci sono anche 63 ettari di verde pubblico.
La leva guida l’intera operazione che ‘mette a frutto’ il capitale disponibile nella città, e la capacità di generare ricchezza dei suoi abitanti a vantaggio dei due principali attori della vicenda: l’impresa di costruzione, che opera come ‘sviluppatore’, e il veicolo finanziario di Pallotta (la AS Roma Spv Llc).

La scelta della localizzazione, su iniziativa dello ‘sviluppatore’ è il primo e fondamentale innesco del meccanismo di valorizzazione: l’area di Tor di Valle è sede di degrado e bassi valori urbani, dunque è quella nella quale il differenziale di rendita fondiaria è massimo (la differenza tra il valore del terreno prima, quando Parnasi lo compra, e dopo, quando lo rivende a Pallotta). Seguendo un modello tipico della crescita urbana romana (e non solo), si procede quindi per ‘grandi tasselli’ nelle aree di degrado o basso valore, sviluppando investimenti che sono in grado da subito, per la promessa di valorizzazione, di generare capitali attraverso il credito bancario.
Il primo attore chiave, Parnasi intende, cioè, estrarre capitale potenzialmente disponibile nella città attraverso l’effetto alone del progetto. In questo lato dell’operazione (primo triangolo in alto a sinistra), il costruttore triangola con il sistema creditizio (verso il quale è altamente indebitato) estraendo valore dalla rendita fondiaria[12], ottenendone il sostegno con la promessa di rientrane nei debiti (cosa che mobilita l’interesse dei molti stakeholders delle banche stesse). D’altra parte (secondo triangolo) coinvolge il mercato finanziario garantendosi nuove linee di finanziamento che ne sostengano l’operatività in grave difficoltà[13].



Il secondo attore chiave, la AS Roma Spv Llc, è al centro di flussi non meno complessi: deve pagare quasi un miliardo di euro al costruttore, e li recupera con utili da quattro fonti. Da una parte estrae risparmio finanziario dallo stock di capitale disponibile nella città di Roma, emettendo titoli di debito (Bond), dall’altra conta sui flussi derivanti dall’affitto dello stadio stesso e di parte delle infrastrutture alla AS Roma, da una parte, e degli uffici e altri spazi commerciali alla domanda urbana, dall’altra. Questi flussi sono attualizzati, con un meccanismo al centro della crisi dei mutui del 2007, ma mai abbandonata né tanto meno regolamentata più attentamente, attraverso una idonea cartolarizzazione e la distribuzione sul mercato finanziario. In questo modo si ottengono di fatto due flussi di capitale anticipato: i bond collocati[14] e i prodotti derivati dai contratti di fitto attivi[15], che determinano un immediato vantaggio per l’investitore[16].


Cosa sta accadendo qui? In questo triangolo di interessi, una piccolissima parte dei circa 1.000 miliardi di dollari all’anno che sono impiegati in grandi operazioni di rigenerazione urbana che hanno sempre lo stesso meccanismo di base: si applicano in aree deboli che sembrano “vuote”, minimizzano gli interventi pubblici (spesso attraverso operazioni di corruzione o di esplicito ricatto, fidando nella mobilità del capitale a fronte della fissità del territorio), si rapportano, sia per il capitale attratto sia per la distribuzione dei prodotti derivati e beneficiari ultimi dei flussi di remunerazione estratti attraverso i fitti dall’economia urbana, con la finanza internazionale[17].

Il punto sollevato dal Politecnico di Torino è dunque cruciale sotto diversi profili, non è affatto un caso che l’area urbana prescelta sia in debito di infrastrutture viabilistiche e difficilmente raggiungibile, una volta che sia investita da una infrastruttura di questo peso. Se non lo fosse il primo triangolo di valorizzazione non potrebbe attivarsi, e quindi non potrebbe determinare neppure il secondo. L’assenza di rendita fondiaria si scaricherebbe, come in un sistema di vasi comunicanti, sul secondo operatore, aggravando i costi dell’operazione, e quindi retroagendo sull’equilibrio triangolare tra stadio-volumi aggiuntivi-opere compensative[18], portandola fuori dei parametri competitivi internazionali.

Questa logica della valorizzazione, diversa e confliggente con quella dell’interesse pubblico, ovvero, nella corretta espressione del valore d’uso della città, dell’appropriazione di questo da parte dei suoi abitanti[19], oltre che del profilo specifico e del percorso, incorporato nella sua fisica materialità[20], è quindi strutturalmente squilibrante e ostacola per necessità trasparenza e partecipazione alle scelte. Queste, infatti, non sono traducibili in ragioni generalizzabili, ma risentono della necessità di rispondere alle logiche malate del mercato immobiliare e fondiario internazionale.

Alla fine questa è l’unica linea di difesa che ha un minimo di senso: la necessità. Oggi non si possono attrarre capitali, se non pubblici, sulle infrastrutture se ci si rifiuta a questa logica.
Ma la logica di questi progetti, come si intravede dal buco della serratura della relazione tecnica del Politecnico di Torino, neutralizza lo spazio e comprime il tempo[21] (e dunque, non per caso, dei sistemi d’ordine normativo e sociale ad essi connessi, incluso in primo luogo le forme statuali democratiche che si definiscono su spazio e tempo), determina necessariamente la resistenza del sociale, e disarticola inserendo nel delicato tessuto dell’urbano un principio alieno di valorizzazione fine a se stessa.  


Bisogna ripartire dal “diritto alla città”[22] e dal capitale pubblico, per sua natura ‘paziente’[23].



[1] - Banalmente, si arriva tutti insieme e tutti insieme si va via.
[2] - A pag. 26 si leggerebbe: “sono molti gli interrogativi che accompagnano gli studi prodotti per questo intervento e troppo evidenti sono le criticità fin da ora riscontrate per poter fornire un giudizio positivo in merito alle possibili ricadute sul traffico stradale capitolino; traffico già normalmente in stato di forte congestione, e che, nel complesso, non vede trarre beneficio dagli interventi infrastrutturali a carico della rete: la sola unificazione della viabilità in corrispondenza dell'intervento e il Ponte dei Congressi non possono risolvere le criticità già ora presenti che in futuro verrebbero acuite da un tale intervento".  Dunque “è sufficiente che un singolo anello della catena venga meno per generare un ulteriore aggravio di questa situazione già compromessa”.
[3] - Cfr. p.16
[4] - In sintesi (si veda anche qui), a marzo 2014, solo quattro mesi dopo la pubblicazione della ‘legge sugli stadi’, il proprietario della AS Roma, James Pallotta, presenta un progetto per lo stadio da 55.000 posti, insieme ad un “Business Park” che include ben tre grattacieli progettati da Daniel Libeskind, e alcune opere infrastrutturali: il prolungamento della Metro B fino a Tor di Valle ed il “Ponte di Traiano” per collegare la via Ostiense con l’autostrada A91 e quindi Fiumicino. Il costo stimato del progetto era di 1 miliardo di euro. A questo link un video del progetto. Il sindaco dell’epoca (Ignazio Marino) era favorevole, mentre l’opposizione dei M5S contraria. Alle dimissioni di Marino seguì una campagna elettorale con posizioni immutate (la Raggi si dichiarò contraria al progetto), successivamente, con il M5S al governo l’assessore all’urbanistica, Paolo Berdini, tenne il progetto fermi fino al febbraio 2017. Tra le obiezioni diversi punti di diritto successivamente risolti dal Governo Gentiloni con la seconda versione della Legge. Dimessosi Berdini la Raggi raggiunse un accordo per il via libera al progetto in cambio della rinuncia alle torri, da una parte, e lo stralcio del “Ponte di Traiano”, per conservare l’equilibrio economico-finanziario dei proponenti. Superato questo ostacolo ne sorse un altro: la Soprintendenza pose il vincolo sul vecchio stadio da demolire (l’ippodromo di Tor di Valle, opera dell’architetto Lafuente). Ma il governo cittadino va avanti e rimodula la “Delibera di pubblico interesse” (la prima sotto la giunta Marino), ed il vincolo alla fine cade. Ultima tegola: quando tutto sembrava andare verso la conclusione della Conferenza dei Servizi in regione (cui deve seguire il voto della variante urbanistica in Consiglio Comunale), un’inchiesta irrompe a maggio 2018 sul progetto con l’arresto del costruttore Luca Parnasi. Seguono fasi convulse e la sostituzione della società di costruzione, ma il sindaco di Roma, al fine di superare i dubbi sui pareri ottenuti nel corso del procedimento richiede una due diligence al Politecnico di Torino su uno dei punti più delicati della ‘Delibera di interesse pubblico’, le opere viabilistiche a corredo.
[5] - Legge 27 dicembre 2013, n. 147, commi 304-305 (Governo Monti), poi modificato dal DL 24 aprile 2017, n.50, convertito con Legge 21 giugno 2017, n.96 (governo Gentiloni).
[6] - La legge, nella seconda versione, prevedeva che “lo studio di fattibilità può comprendere la costruzione di immobili con destinazioni d'uso diverse da quella sportiva, complementari o funzionali al finanziamento o alla fruibilità dell'impianto sportivo. Ciò ai fini del raggiungimento del complessivo equilibrio economico finanziario dell'iniziativa o della valorizzazione del territorio in termini sociali, occupazionali ed economici. Dalla citata costruzione di immobili con destinazione d'uso diversa da quella sportiva è esclusa la realizzazione di nuovi complessi di edilizia residenziale”. Inoltre lo Studio di Fattibilità può anche prevedere la demolizione e ricostruzione, anche con diversa volumetria e sagoma” di un impianto sportivo.
[7] - Nella quale l’autorità pubblica è posta continuamente sotto pressione da un operatore privato che dispone di una enorme macchina di consenso, il tifo di almeno metà dei cittadini romani, e non si fa alcuno scrupolo di utilizzarla (dichiarazioni di Totti, degli allenatori di turno, dello stesso presidente che minaccia apertamente disinvestimenti).
[8] - Principalmente, ma non esclusivamente, riferito all’impatto sul funzionamento di un’ampia parte della città che ne risulterebbe drammaticamente congestionata.
[9] - A gennaio 2013.
[10] - Successivamente posta con Deliberazione n.132 votata dall’Assemblea Capitolina il 22 dicembre 2014.
[11] - Suddivise in opere a compensazione (asse di collegamento Ostiense-A91, ponte carrabile sul Tevere e viadotto di approccio, svincolo autostradale Roma-Fiumicino, riunificazione e messa in sicurezza Ostiense, ponte ciclopedonale Magliana, stazione Tor di Valle con ponte, sfioccamento metro B e messa in sicurezza del fosso di Vallerano) per 195 milioni; opere a standard (parcheggi a raso, multipiano, circolazione interna, passerella pedonale, verde pubblico e sistema smaltimento acque idrovore) per 124 milioni; opere da realizzare con contributo di costo di costruzione (parco fluviale Ovest, pontile Est-pontile Ovest, intervento su via dei Dasti, videosorveglianza) per ca 44 milioni.
[12] - Valore, questo è il punto, che sarebbe notevolmente inferiore in una zona della città meglio servita e per questo molto più costosa.
[13] - Una società immobiliare è come una bicicletta, se si ferma cade immediatamente. Per questo deve avere necessariamente in corso progetti ad alto rendimento con i quali tenere liquide le sue linee di credito.
[14] - Che generano un flusso negativo di cassa per la loro remunerazione nel tempo.
[15] - Che, invece, assorbono il flusso positivo di cassa, si veda ad esempio, Saskia Sassen “Londra si autodistrugge: del ciclo edilizio al tempo della finanza estrattiva”, o “Laurie MacFarlaine, la ricchezza è generata dalla rendita”.
[16] - Per inciso è molto probabile, secondo il modus operandi delle società finanziarie come quelle di Pallotta (il “Raptor Fund”) che ad operazione chiusa, anche prima del completamento della costruzione, si avrà da parte sua il disinvestimento e quindi la vendita della società ad un investitore con diverso profilo di rischio.
[17] - Si può leggere anche, per questa analisi, “Qualche nota sulla rendita urbana”.
[18] - Il presupposto, tipico della finanza contemporanea, che l’investimento si deve coprire immediatamente e deve essere competitivo con altri possibili in altre aree (pena la mancata attrazione dei capitali), determina l’incremento necessario dei volumi ‘compensativi’ al crescere del costo a mc. Ma questi a loro volta determinano un incremento dei costi di compensazione, e questi di quelli, in un inseguimento reciproco.
[20] - Quel che alcuni chiamano “genius loci”.
[21] - Mette a valore il potenziale, generato dal progetto, dell’area recidendo le relazioni con il suo intorno specifico, grazie alla potenza di ricombinazione, incorporamento, ed uniformazione, della tecnica finanziaria (si veda, ad esempio, Saskia Sassen, “Espulsioni”, o David Harvey, “L’esperienza urbana”).
[22] - Il termine come è noto è stato formulato da Henri Lefebvre nel suo libro del 1968 Il diritto alla cittàed indica il diritto di ciascuno di disporre, ma collettivamente, come diritto sociale, di una esperienza spaziale adeguata a sostenere una vita decente e dignitosa e non segregante o controllata. Indica un mutamento del soggetto che è legittimato a porre la domanda circa il tipo di città che vogliamo, il tipo di persone che vogliamo essere, i rapporti sociali cui aspiriamo, il rapporto che intendiamo promuovere con la natura, e, naturalmente, con le tecnologie che riteniamo convenienti. Dunque il “diritto alla città” non è un diritto individuale di accesso alle risorse originariamente concentrate nella città stessa: piuttosto è il diritto a cambiare insieme alla città, in modo da renderla conforme ai desideri, insieme scoprendoli. È un diritto collettivo (sociale) e non individuale (civile), e si traduce necessariamente nell’esercizio di un potere collettivo sul processo di urbanizzazione. Il “diritto alla città”, insomma, ossia il controllo della stretta relazione fra urbanizzazione, produzione e uso delle eccedenze di capitale, è quindi essenziale per riportare sotto controllo sociale la dinamica del capitalismo. Perché gli attori sociali imparino, attraverso le lotte per il riconoscimento, a riferirsi gli uni agli altri non come strumenti del reciproco egoismo (sotto l’egemonia del valore di scambio), ma come soggetti di bisogni. Agendo l’uno-per-l’altro, intrecciando i piani di vita condividendo la comune preoccupazione per l’autorealizzazione. La libertà non è, in questa visione che sarà sconfitta, realizzabile dai singoli ma da una formazione collettiva adeguata.
[23] - Come noto il termine è adoperato in modo sistematico da Mariana Mazzucato (si veda “Lo stato innovatore”).

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