“Tasselli urbani”
E’ una vicenda come tantissime altre,
durata ad oggi dodici anni, da quando il Comune di Salerno ha approvato un
Piano Attuativo[1] di riqualificazione dell’area
allora appartenente al demanio marittimo compresa tra il porto commerciale e il
porticciolo turistico. Il fronte urbano verso il mare della città, in un’area
delicatissima e soggetta a numerosi vincoli paesaggistici, ne viene ridisegnato
precisamente al punto in cui si avvia la serie di palazzi del primo novecento,
il Teatro Verdi, la Villa Comunale.
Come scrivono[2] alcuni
intellettuali in un appello al Ministro, si tratta dell’inizio dello storico lungomare
urbano, punto di snodo della città e deposito di irrinunciabili elementi
identitari, parte essenziale della iconografia tradizionale della città. Secondo
la loro valutazione si tratta di “ambiti aventi valore estetico e tradizionale,
strategicamente rilevanti per la forma urbis e per il paesaggio costiero di Salerno,
da custodire, valorizzare e tramandare integri alle prossime generazioni”.
Il progetto fu affidato ad una ‘archistar’[3] e
si è concretizzato in un’ampia palazzata semicircolare (appunto, un “crescent”)
a mezzaluna, alta sette piani, con galleria commerciale, porticato verso la
piazza in tal modo ricavata, area uffici e destinazione residenziale di lusso[4].
L’intervento di riqualificazione, ad
iniziativa privata[5], prende quindi avvio nel
2009, con un annuncio del sindaco, ma solo nel 2011 viene posata la prima
pietra. Intorno alla vicenda, non ancora conclusa, si sono nel frattempo moltiplicati
gli atti giudiziari, in particolare per la necessaria autorizzazione
paesaggistica: prima rilasciata per ‘silenzio-assenso’, poi annullata con
sentenza penale, in conseguenza decurtata delle due torri che avrebbero dovuto
garantire l’interesse pubblico[6], e
oggetto di una sentenza del Consiglio di Stato[7], di
difformità dal progetto autorizzato[8]
con conseguente sequestro e successivamente dissequestro[9], di
richieste di confisca in quanto abusivo[10].
Intorno a questa vicenda si è mobilitata
Italia Nostra[11], sono stati prodotti
appelli, formati Comitati di cittadini[12],
sono disponibili materiali e schede informative[13].
Il punto di vista difeso dall’ex sindaco, ed ora
Presidente della Regione Campania, si può desumere da questo
video del 2016: si lamenta la perdita, per l’interruzione del cantiere, di
2.000 posti di lavoro, quindi dei mille parcheggi, la perdita di tempo per le
battaglie “finto-ambientaliste”, il danno ai commercianti “che non hanno avuto
la possibilità di richiamare i consumatori”, infine lamenta che “qualcuno si è
divertito” ad opporsi. De Luca immagina che la riqualificazione dell’area “diventerà
un polo di attrazione unico per l’Italia e per l’Europa”, infatti, “non c’è in
Europa un altro attracco per navi da crociera bello come quello realizzato sulla
stazione marittima”.
La “logica della valorizzazione”
Ma
cosa ha di rilevante, di generale, questa vicenda locale? Per alcuni versi assomiglia a quella dello Stadio
della Roma, di cui avevamo parlato in un precedente post:
-
Qui la prospettiva
della città fisica (“la ville” di Sennett[14]),
richiamata nell’appello di Settis e Montanari, e della comunità insediata (“la
citè”), viene piegata alla logica inflessibile della generazione di flussi
economici il cui equilibrio diventa il
punto determinante da salvaguardare a qualsiasi costo,
-
la città,
in questo caso Salerno, quindi diventa ostaggio
dell’esigenza di creazione di valore, propria del modo di produzione
finanziario, generato dal differenziale tra quello ex ante del sito ed il
potenziale sul mercato nazionale ed internazionale,
-
Il progetto,
quindi, ‘mette a frutto’ il capitale
disponibile nella città e anche la capacità di generare ricchezza dei suoi
abitanti, trasformandoli in valore mobilizzabile dai privati,
-
Proprio per questo,
e come nell’area di ‘Tor di Valle’ a Roma, lo sviluppatore sceglie un’area di degrado urbano e bassi valori fondiari e vi imposta
un progetto la cui scala non è relazionata alla città, ma alla necessità di
massima attrazione di risorse dalla finanza internazionale[15],
il modello di crescita urbana per ‘grandi tasselli’ prevede invariabilmente e
necessariamente questa meccanica.
-
In definitiva è
all’opera il conflitto tra la “logica
della valorizzazione”, alla quale si riferisce anche l’ex sindaco, e la “logica dell’interesse pubblico”.
Cosa succede in questo modello di crescita
urbana?
L’attivazione del ciclo finanziario
Nel triangolo di interessi che si genera
intorno a queste operazioni, viene attratta una piccolissima parte dei circa
1.000 miliardi di dollari all’anno che sono impiegati in grandi operazioni di
rigenerazione urbana che hanno sempre lo stesso meccanismo di base:
1.
si applicano in aree deboli che sembrano “vuote”,
2.
minimizzano la parte di compensazione pubblica (spesso attraverso operazioni di corruzione o di
esplicito ricatto, fidando nella mobilità del capitale a fronte della fissità
del territorio),
Il promotore privato del progetto, grazie
ad operazioni di questo genere, è, in altre parole, come se si collocasse in
posizione baricentrica tra le due forme della città (quella fisica e quella
sociale) e il sistema della finanza locale e internazionale. Grazie all’utilizzo
di capitale locale di avvio (sotto forma fissa o mobile) il progetto sfrutta
differenziali di valore fondiari e immobiliari, quanto più grandi quanto
meglio, ed estrae dalla “Citè” (user, residenti e lavoratori), i flussi di rendita
necessari per confezionare, da parte della finanza estrattiva, i ‘titoli’ di
cui il mercato è in continua ricerca.
Il progetto è, quindi, un moltiplicatore
di valore; ma è molto di più, si tratta del luogo nel quale si genera il valore
e si garantisce la sua stabilità internazionale[17]. Domina
il meccanismo di produzione di valore (‘fittizio’) della rendita[18] (che
Marx definisce come appropriazione monopolistica del “plusprofitto” nel Capitale, III, cap. 46), che interferisce
profondamente, strutturandolo, con la capacità della città di essere forza
produttiva, nel garantire e consentire la riunione dei lavori e delle persone
che li svolgono, delle conoscenze-in-uso (mentre le conoscenze astratte sono
ormai ubique e despazializzate) e delle tecniche, di molti mezzi di produzione.
Non è un caso che il progetto sia così
enorme, e non è un caso che sia posto in un luogo così visibile e
caratterizzante, lo stesso fatto che sia disegnato da un’archistar[19], i
triangoli di valorizzazione non si
potrebbero attivare, e l’assenza di un differenziale ‘competitivo’, ovvero al
livello atteso dai mercati finanziari, renderebbe impossibile l’operazione.
Lo avevamo già
visto nel caso, certo molto più rilevante, ma del quale Salerno è un
esempio in sedicesimi, di Londra. Negli ultimi trenta e più anni il mercato dei
capitali ha letteralmente reinventato il settore immobiliare, anche in casi
come il progetto di Nine Elms[20] (8
miliardi di sterline, 20.000 unità abitative) i diritti sulle case sono venduti
sul mercato internazionale prima della effettiva costruzione. Non è affatto una
circostanza secondaria, o casuale, dopo la crisi finanziaria del 2008 i flussi
di capitale in cerca di destinazioni sono enormemente aumentati, come riflesso
delle politiche di espansione monetaria messe in campo da tutte le Banche
Centrali. Un immane flusso di denaro creato dal nulla necessita, per essere
chiamato in esistenza, di ‘titoli’ che il sistema ombra bancario confeziona instancabilmente.
Si stima un flusso di denaro in cerca di titoli (ovvero di prodotti finanziari
altamente complessi, costruiti a partire da contratti di debito e relativa
promessa di rimborso) di oltre mille miliardi di dollari all’anno. Solo a New
York sono investiti in grandi operazioni immobiliari cartolarizzate almeno
settantacinque miliardi all’anno e a Londra altri cinquanta. Ma che succede se
non c’è abbastanza domanda locale? Non molto di grave, almeno in prima battuta,
perché il mercato internazionale è avido di occasioni, e colloca i beni
distribuendoli nel mondo.
Cosa succede in questo modo? Diverse cose,
in effetti: da una parte la domanda distribuita nel mondo, attraverso la
capacità di mettere in connessione e di disseminare ovunque della finanza, crea
una pressione al rialzo dei prezzi immobiliari che, nei casi più densi, può
mettere in gravi difficoltà coloro i quali sono connessi al livello locale,
innescando fenomeni di gentrificazione; dall’altra, e soprattutto, una domanda
sconnessa dal livello locale è
insaziabile. Quindi lo diventa anche il consumo di suolo e di città.
Detto in altro modo non esiste realmente tutta la domanda per
questi beni e quindi la necessità di
produrli. La domanda è stimolata solo dalla loro capacità relativa (cioè in
relazione ad impieghi alternativi) di fornire “garanzie” tecnicamente
accettabili per gli strumenti finanziari di credito. È in sostanza un modo di
amplificare il denaro fiduciario creato nel sistema, poggiandolo (per così
dire) in cemento e ferro. La cui ragione di esistenza non è in domande di beni,
o di servizi da localizzare, ma in se stesso: cioè nel denaro.
Nella forma che ha il denaro oggi.
Quella che è all’opera, si potrebbe dire, è una “tecnologia” che estrae valore locale,
lo converte in una metrica riconoscibile e comune, generando una dinamica di
dipendenza. Infatti attraverso questa messa-in-contatto sostanzialmente
atopica, la potente tecnologia sociale del denaro tramite la finanza
informatizzata contemporanea, inaridisce alcuni
territori e ne densifica altri.
Genera quindi nuove dominazioni. Inoltre la preferenza per le grandi operazioni
immobiliari come sottofondo di questi castelli di valore, determina una crescita per blocchetti, per enclave. E
rafforza la tendenza a dividere la “città dei ricchi” da quella “dei
poveri”. Distrugge anche, nel fare ciò, il “capitale spaziale” diffuso,
cioè quella sottile caratteristica delle città cresciute nel tempo di avere in
sommo grado connessione fisica, ma anche qualità adeguata e intensità di
attività, culture, relazioni immateriali, tradizioni, capacità diffusa. Un
insieme di costituzioni materiali e strutture di rapporti fondate su
tradizioni, consapevolezze, fiducia e coesione che non è progettabile. Ma
che si può favorire o difendere.
“Logica dell’interesse pubblico”
È in questo senso che la logica della valorizzazione è diversa, e
confliggente, con la logica dell’interesse
pubblico, ovvero della corretta espressione del valore d’uso della città, e
della appropriazione di questo da parte dei suoi abitanti, della “citè”, ma
anche in conflitto con il profilo specifico, ed il percorso, incorporato nella
fisica materialità della “ville”. È in questo senso che è strutturalmente
squilibrante, sotto i due profili della città (“ville” e “citè”), e ostacola
anche il bene pubblico essenziale della trasparenza e partecipazione alle scelte.
Le scelte intrinseche e necessarie[21]
al progetto non sono, infatti,
traducibili in ragioni generalizzabili, ma risentono della necessità di rispondere
alla logica malata del mercato immobiliare e fondiario internazionale[22].
Alla fine questa è l’unica linea di difesa
che ha un minimo di senso: la
necessità. Oggi non si possono attrarre capitali, se non pubblici, sulle
infrastrutture se ci si rifiuta a questa logica.
Ma la logica di questi progetti
neutralizza lo spazio e comprime il tempo[23] (e
dunque, non per caso, dei sistemi d’ordine normativo e sociale ad essi
connessi, incluso in primo luogo le forme statuali democratiche che si
definiscono su spazio e tempo), determina necessariamente la resistenza del
sociale, e disarticola inserendo nel delicato tessuto dell’urbano un principio
alieno di valorizzazione fine a se stesso.
“Diritto alla città” e contrappesi
conservatori
Questa è la ragione per la
quale bisogna ripartire dal “diritto alla
città”[24] e
dal capitale pubblico, per sua natura ‘paziente’[25].
Ma c’è anche bisogno di contrappesi di valore, qualcosa che ostacoli questa
logica atopica e questa ‘rapidità’ violenta, espressione della centralità della
competizione (a ben vedere evocata come logica profonda del progetto da De
Luca) che è il cuore della pratica neoliberale[26], e questo può essere
rintracciato nel deposito di valore del
territorio fisico: quel territorio che è stato fatto da mille mani nel tempo,
che è il sedimento della cura e del ‘far bene’ le cose[27], lentamente, perché durino.
Cose fatte perché servivano, perché il loro valore era in ultima analisi
presente nell’uso che la società doveva farne. Un deposito di valore che
sostiene con il suo senso le vite delle generazioni che arrivano.
Considerando
tutto ciò occorre riprendere a mettere le mani nella macchina
valorizzante e riorientare le forze socializzanti incorporate nell’urbano verso
forme di inclusione capacitante non guidata dal mercato, ed usare a
tal fine il capitale pubblico per uscire dal dominio assoluto della logica
della valorizzazione.
L’obiettivo
deve essere di contrastare la separazione della società urbana e del suo
insediamento in aree connesse e sconnesse e marginali, isole di valore e bacini
dell’ira. Il motore di questo processo, che si determina per suo proprio moto,
è la formazione della rendita.
Una politica
di contrasto di questi processi, e di costruzione della soggettività urbana,
deve passare allora per la riappropriazione (secondo la lezione di
Lefebvre[28]) e
la rivalutazione dell’urbano come ‘opera’, più che ‘merce’,
come produttore più che occasione di rendita
In questo senso l’urbanistica,
o se volete la pianificazione del territorio[29]
(che è più preciso), è un vero e proprio firewall contro la speculazione e,
rallentando gli usi “caldi” ed inefficienti del denaro, incentiva al contempo
quelli più produttivi. Spinge quindi indirettamente l’innovazione e
l’occupazione di qualità.
Il consumo di suolo
È questo il quadro nel quale
il meccanismo che si vede all’opera nel Crescent
interferisce con la capacità della città (“ville” e “citè”) di essere forza
produttiva.
Né in
sé può essere soluzione l’attuale entusiasmo per le politiche “consumo
di suolo zero”, in quanto se non sono sensibili ai meccanismi di formazione
delle rendite (che si nutrono di differenziali di valore potenziale,
amplificati dalla macchina della finanza), queste possono anzi contribuire a concentrarle. Infatti, se si riduce
l’offerta di suolo “valorizzabile”, in vista della pur giusta considerazione
della salvaguardia della naturalità, si incentiva la concentrazione dei valori
e con questa si attiva la macchina autovalorizzante della rendita. Ma questa,
se lasciata correre con la sua tendenza autoaccrescitiva e l’indifferenza per
il valore d’uso locale, può determinare in modo collaterale e non voluto una
simmetrica espulsione dei meno forti, dei più giovani, dei meno cittadini, e la
loro parallela concentrazione nei luoghi residuali. Può determinare la
creazione di ulteriori “periferie”, nelle quali può crescere la rabbia.
La creazione di “luoghi ricchi”, la
rigenerazione mossa dalla rendita fondiaria, può allora avere come contraltare
automatico la creazione ed il rafforzamento di “luoghi poveri”, dove calano
drasticamente con la riduzione della complessità sociale le opportunità di
scoperta, di scambio[30]. Quella che gli urbanisti
chiamano la mixitè e la serendipity (la capacità di trovare ciò che non si
cerca).
Allora si può dire che l’accesso ai
diritti sociali passi necessariamente anche per una corretta e ordinata
formazione della rendita. In particolare per il contrasto all’impoverimento di
capitale spaziale che al tempo accresce e rende manifeste le ineguaglianze.
Ciò che
diventa indispensabile ad una corretta “agenda
urbana”, non è quindi solo la riduzione del consumo di suolo, ma anche e
prioritariamente la regolamentazione dei processi di trasformazione urbana, che
sono necessari, e quindi della vita civile che in essa si svolgono, agendo in
modo aperto e consapevole (e democraticamente fondato) sulla costituzione
materiale e sulla struttura della combinazione fisica e delle relazioni che si
istituiscono nella città e nel territorio. E farlo in direzione della riduzione
delle differenze non necessarie, ad esempio ad una corretta divisione del
lavoro, e della segregazione di individui e gruppi.
Un
regolamento edilizio a consumo di suolo zero
Un piccolo e
modesto esempio è in un recentissimo Regolamento
Edilizio emanato da un comune di ca. 40.000 abitanti a nord di Napoli[31].
In questo Regolamento, in uno dei comuni record nel consumo di suolo, si dichiara
che:
ü “Il suolo è
una risorsa ambientale essenziale per l’esistenza dell’uomo e delle altre
specie viventi, esso esplica una serie di funzioni che lo pongono di diritto al
centro degli equilibri ambientali, gioca un ruolo prioritario nella
salvaguardia delle acque sotterranee dall'inquinamento, nel controllo della
quantità di CO2 atmosferica, nella regolazione dei flussi idrici
superficiali con dirette conseguenze sugli eventi alluvionali e franosi, nel
mantenimento della biodiversità, nei cicli degli elementi nutritivi.
ü Il suolo
permeabile rappresenta una risorsa particolarmente scarsa nel Comune.
ü Qualunque
trasformazione urbana dovrà prevedere un bilancio almeno non negativo in
termini di suolo permeabile”.
Ma questo principio,
che è tipizzato in apposite norme regolamentari, è accompagnato dall’affermazione
della centralità dei diritti sociali e
civili nell’accesso ai servizi urbani ed alla stessa qualità della città,
quindi allo sforzo di limitare i fenomeni di segregazione per ceti e livelli di
reddito. Viene riconosciuto, nello stesso momento in cui si dichiara l’arresto
del consumo di ulteriore suolo, che “la città è anche una macchina produttiva,
letteralmente fonte di produzione, attraverso i meccanismi di formazione della
rendita. L’accesso ai diritti sociali, precondizione perché i diritti civili
trovino significato, passa quindi anche per l’ordinata e corretta formazione di
questa”.[32]
Terzo elemento
guida è la qualità ed il capitale
spaziale:
ü “Occorre in
particolare contrastare l’impoverimento di capitale spaziale che rende
manifeste le ineguaglianze, contribuendo a fissarle. Regolamentare i processi
di trasformazione urbana, e della vita civile che in essa si svolgono, deve
consapevolmente agire sulla costituzione materiale e la struttura delle
combinazioni e relazioni fisiche che si determinano in essa in direzione della
riduzione delle differenze non necessarie e della segregazione. La città deve
favorire l’inserimento degli individui e delle famiglie nella vita sociale,
culturale, professionale e politica e garantire ad ognuno riconoscimento e
rispetto. Lo sforzo principale dei processi di trasformazione urbana,
regolamentati dagli strumenti urbanistici dovrà dunque essere di garantire a
tutti il diritto di non essere esclusi, periferici, stigmatizzati ed ignorati,
invisibili.
ü Occorrerà
quindi, in ogni processo di trasformazione, dare priorità alla sicurezza, alla
prossimità, alla comunicazione, alla connessione. E contrastare, dove e quando
possibile, le separazioni difensive, il rinchiudersi, il ritagliarsi fuori.
ü Garantire
porosità, permeabilità ed accessibilità nella struttura spaziale e la
manifestazione del collettivo”.
E,
naturalmente, la salvaguardia della dimensione ambientale e della vulnerabilità[33].
Quindi, alla
luce di questi principi, strettamente interconnessi e da prendere come un
unicum, i criteri fondamentali del governo del territorio sono individuati nel “riuso
e nella rigenerazione urbana”. Questa “consiste in un insieme coordinato di
interventi urbanistici, edilizi e socio-economici nelle aree urbanizzate,
compresi gli interventi volti a favorire l’insediamento di attività di
agricoltura urbana, quali orti urbani, orti didattici, orti sociali, ed orti
condivisi, che persegua l’obiettivo della sostituzione, del riuso e della
riqualificazione dell’ambiente costruito in un’ottica di sostenibilità ambientale,
di contenimento del consumo di suolo, di localizzazione dei nuovi interventi di
trasformazione nelle aree già edificate, di innalzamento del potenziale
energetico-ambientale, di riduzione dei consumi idrici ed energetici e di
realizzazione di adeguati servizi primari e secondari.
Si tratta di
dinamiche in sostanza del tutto normali e peraltro sempre attivate in ogni
processo di trasformazione, in certo senso fanno parte della vita e della
normale evoluzione, ma richiedono una espressa responsabilità e
riconoscimento. Individuare la dinamica di formazione della rendita, anche nei processi di densificazione e riuso
tipici delle politiche ‘zero consumo di suolo’, aiuta a combattere le
strutture esclusivamente ‘estrattive’, costringendole almeno in parte a
restituire il valore che catturano”.
Per dare
attuazione a questi principi, oltre diversi elementi procedurali, nel corpo del
Regolamento, quindi, sono inseriti elementi di disciplina della qualità urbana,
come all’art 90[34], nel
quale è indicato l’obbligo di trasferire al territorio caratteri di qualità e
considerare a tal fine sei criteri:
1.
il decoro urbano,
2.
la bellezza,
3.
la compatibilità ambientale,
4.
l’efficienza energetica,
5.
il confort abitativo,
6.
la salute dei cittadini.
Ma anche, e
soprattutto, la connessione tra la qualità architettonica ed urbana al fine di “ridurre
i fenomeni di segregazione e l’impoverimento di capitale spaziale”,
manifestando e fissando le ineguaglianze. E, anzi, la progettazione dovrà,
continua, “facilitare, ogni qual volta possibile, l’inserimento dei cittadini,
degli individui e delle famiglie, nella vita sociale, culturale, professionale
e politica, garantendo ad ognuno riconoscimento e rispetto”.
Conclusione
In questo
testo, partendo dall’esempio di un’operazione immobiliare sulla linea di costa
della città di Salerno, uno dei luoghi di affermazione della logica del ‘grande
progetto urbano’ e dello sviluppo urbano come competizione tra città per l’attrazione
di capitali, imprese (anche turistiche) e persone, è stata messa in evidenza, e
criticata, la “logica della
valorizzazione”, intrecciata al modo di produzione finanziario di valore,
per i suoi effetti sulla città.
Effetti,
bisogna sottolineare che impattano sia sulla città fisica (che qui abbiamo chiamato,
sulla scorta di Sennett “ville”) come sulla città sociale (che abbiamo chiamato
“citè”), e sul suo funzionamento congiunto.
Alla logica
che mette a valore potenziali locali, indipendentemente dal loro valore d’uso, e quindi massimizza
esclusivamente la rendita (generata dall'appropriazione monopolistica del valore
di scambio), occorre opporre il “diritto alla città”, e quindi la “logica dell’interesse pubblico”.
Aiuta il
contrappeso conservatore fornito dalle regole e dalle procedure, che quindi non
devono mai essere forzate, per la loro capacità di incorporare profondamente la
logica del valore d’uso e della responsabilità sociale, ed aiuta la difesa del
principio di non consumare suolo senza un robusto motivo.
“Consumo di suolo zero”, visto nell’ottica
qui difesa è però un presidio insufficiente, nel senso che da solo rischia di
essere colonizzato dalla “logica della valorizzazione”, contribuendo
involontariamente a polarizzare ulteriormente i valori e la creazione di
periferie. Dunque, passare dalla centralità del valore di scambio (e della rendita) al
valore d’uso, nella prospettiva di un’unità tra “ville” e “citè”, implica al
contempo proseguire nello sforzo, sempre arduo, di limitare i fenomeni di
enclosure, segregazione e di definizione degli spazi per ceti omogenei e
livelli di reddito. Di contenere quindi ogni forma di reciproca chiusura che
determina la rottura del patto di solidarietà, distruggendo in radice il senso
dell’essere una comunità insediata.
Per
ottenerlo bisogna rigettare la riduzione del “valore” a numero astratto,
ricomprendendone l’enigma, e comprendere che la “ricchezza” non è nella
rendita, ma è intorno a noi e sotto in nostri piedi.
La ricchezza
siamo noi, quando riusciamo a stare insieme.
[1]
- Si dice “piano attuativo” uno strumento urbanistico esecutivo, ovvero che
abilita l’edificazione, in attuazione ad un Piano Urbanistico.
[2]
- In questo
appello, diretto al Ministro e firmato da Salvatore Settis, Tomaso Montanari,
ed altri 48 urbanisti e intellettuali italiani. Nell’appello si definisce ‘speculativo’
l’intervento e quindi unicamente orientato alla ‘logica del profitto’, e si
richiama l’alterazione dello skyline e di “elementi identitari entrati a far
parte dell’iconografia tradizionale della città”, inoltre si richiamano violazioni
e forzature procedurali e i procedimenti penali allora in corso (che vedevano
coinvolto anche il sindaco, poi assolto), ma anche l’annullamento delle
autorizzazioni paesaggistiche da parte del Consiglio di Stato
[3]
- L’architetto catalano Riccardo Bofil.
[4] -
Si tratta di 120 appartamenti su 5 piani del fabbricato compresi tra metrature
di 65 e 145 mq, al piano terrea sono presenti 80 locali commerciali e 100 box
nell’interrato.
[5] -
Il gruppo promotore è il Gruppo Rainone, e l’investimento inizialmente previsto
è di ca 30 milioni.
[6]
- In quanto sede di uffici pubblici come l’Autorità Portuale e il Comune.
[7]
- Sentenza n. 6233/2013 della Sezione VI, poi ribadita con sentenza 1472/2014 stessa
Sezione.
[8]
- In particolare l’altezza dell’edificio Trapezio, che è più basso, e che è
stato oggetto di un sequestro nel 2013, poi dissequestrato nel 2016.
[9]
- Dissequestro nel 2014 da parte della II Sezione Penale, condizionato al
rilascio di Permessi a Costruire che, a loro volta, poggiano necessariamente
sulla vigenza della Autorizzazione Paesaggistica, per il tribunale rilasciata
nel 2013. Tuttavia è proprio questa Autorizzazione, necessaria anche per il
dispositivo di dissequestro, ad essere annullata dalla sentenza penale del
2016. Si veda questo
articolo.
[10]
- Da parte dei pubblici ministeri nel corso del procedimento penale.
[11]
- Che ha notificato la sentenza, che assolve i 22 imputati, ma nella quale la
nota dell’allora Sovrintendente, con la quale veniva rilasciato l’indispensabile
autorizzazione, è stata dichiarata falsa, in conseguenza ne deriva la nullità
delle autorizzazioni paesaggistiche e dunque l’illegittimità del progetto
(cfr., articolo
su “Il mattino” e questo
sulla stampa locale).
[14]
- Cfr. la distinzione posta da Richard Sennett nel suo libro conclusivo della ‘trilogia
dell’homo faber’, “Costruire
e abitare”. La città è la sua forma fisica “la ville”, ma è anche la società
insediata che abita in essa “la citè”. Arte di costruire verso arte di abitare.
[15]
- Per un’analisi della capacità di espandere i profitti attraverso l’espansione
continua del campo di ciò che può essere “finanziarizzato” si veda Saskia
Sassen, “Espulsioni,
Brutalità e complessità nell’economia globale”. Per la studiosa le economie “reali” si contraggono ovunque perché
ormai il cosiddetto “sviluppo economico” (cioè la somma algebrica, modestamente
positiva, della perdita di molti e della immensa accumulazione di pochi)
“dipende dalla pratica di estrarre dei beni in qualche parte del mondo per
inviarli altrove”. Questo comportamento è “predatorio”, ma viene esercitato più
che da alcune élite, come normalmente si sintetizza, da “formazioni predatorie” che sono
combinazioni sempre mutevoli di élite e capacità sistemiche il cui principale
fattore abilitante è naturalmente la finanza che spinge il sistema verso sempre
maggiore concentrazione.
[16]
- Si può leggere anche, per questa
analisi, “Qualche
nota sulla rendita urbana”. ….
[17]
- Il particolare modo di produzione della finanza sottomette a sé tutte le
macchine produttive contemporanee, e riesce a farlo nella relazione, sempre più
forte, tra il sistema finanziario, che eroga crediti in relazione alle attese
di futuro, i valori fondiari ed il ciclo economico (riconoscendo in ciò,
considerato il carattere fiduciario del
denaro stesso, la sua dimensione “fittizia”). Quella
relazione di automoltiplicazione ricorsiva che sembra generare, creandolo dal
nulla, valore proprio quando si innesta un feedback tra la disponibilità
positiva degli attori economici, l’attesa di valorizzazione futura e
l’attivazione di nuovo credito su risorse scarse e posizionali. Un valore che
appare come una sorta di “pasto gratis”, e come tale è sempre salutato con
entusiasmo ed accuratamente coltivato (nella disciplina urbanistica degli anni
novanta da nuovi e pieni di ottimismo orientamenti di “marketing” urbano e
territoriale non a caso accompagnato da deregolazione).
Non
a caso, man mano che il modo di produzione finanziario si afferma, a partire
dai tardi anni settanta, i tradizionali strumenti che erano stati elaborati per
lo più nel novecento, come la regolazione degli usi del suolo (ancora
cardine della architettura della pianificazione a livello comunale), le
procedure autoritative di esproprio per pubblica utilità (a valore agricolo) e
la capacità fiscale di avviare opere pubbliche sono sempre più disinnescati.
Ne viene naturalmente meno anche la capacità di resistere ai meccanismi di
formazione della rendita più deleteri per le formazioni sociali incardinate
nelle costituzioni spaziali che chiamiamo città. Costituzioni che sono in
effetti il patrimonio comune.
[18]
- L’incremento della quantità di un astratto indicatore di scambio come il
denaro, ottenibile nell’eventuale compravendita da un bene cosiddetto
“immobile” (in quanto essenzialmente caratterizzato dalla sua posizione), non
corrisponde a vedere bene all’aumento di alcun bene d’uso concreto. Non viene,
cioè, prodotto nulla di diverso quando una casa in un dato luogo, conformemente
alle altre limitrofe in analoghe condizioni, vede attribuirsi dai “compratori”
(reali o potenziali) una maggiore attrattività nella metrica astratta del
denaro necessario per averne l’uso esclusivo (ed il diritto di rivendita,
soprattutto).
Quel
che Jhon Stuart Mill chiamava, conformemente ad una antica tradizione,
“diventare ricco nel sonno”, è però sempre effetto di un mutamento della
distribuzione della capacità di sostentamento sociale, ovvero, nei suoi
termini, “proviene dai frutti delle fatiche altrui, che non ricevono” (M,
1848).
[19]
- La logica perversa della grande firma e del grande concorso si manifesta qui,
in relazione alla grande stagione dei progetti di recupero urbano per “grandi progetti”,
come logica intimamente connessa con la fase di finanziarizzazione
internazionale. Ad essa consustanziale ed indispensabile.
[20]-
Sul sito di una vecchia centrale a carbone,
a Battersea, che era stata definitivamente chiusa nel 1983 e che restava abbandonata
ed inquinata per mancanza di risorse dell’amministrazione cittadina e di
investitori interessati, nel 2013 un consorzio malesiano ha proposto un Master
Plan sull’intero comparto urbano per un investimento di 8 miliardi di sterline
(secondo altri 15). Uffici, alberghi, centri commerciali, impianti sportivi,
aree verdi e 20.000 alloggi, una città come Lodi. Boris Johnson lo vede come “una
cooperazione ideale tra il capitale pubblico e quello privato”. Le case sono vendute
a 1.800.000 sterline per il lotto minimo da due stanze quando non sono ancora
costruite. Per il mercato immobiliare internazionale è subito un prodotto di grande
successo ed i prezzi lievitano. Seguono altri due quartieri di ristrutturazione
radicale e circa 40 grattacieli, tutti prodotti per il segmento del lusso
internazionale, ovvero per quella esigua ma consistente fascia di altissima
borghesia alla quale sono andati, secondo molte analisi, il 90% dei guadagni di
ricchezza di questi anni. Secondo Kyle Spence i primi 3.500 appartamenti,
ancora da completare, sono stati nel frattempo venduti in Malesia, Singapore e
Hong Kong, non necessariamente per abitarvi, ma probabilmente come investimento
finanziario. Più in generale risulta che ben 1/3 delle compravendite
immobiliari londinesi non sono effettuate verso residenti del Regno Unito, e
questa domanda affamata di case pregiate a qualsiasi prezzo, sta facendo
lievitare in modo incontrollato il mercato, in sostanza “il mercato immobiliare
di Londra non ha quasi più nulla a che fare con Londra”. Ciò che accade è molto
semplice, e rappresenta per la Sassen “il lato oscuro del nuovo business
globale immobiliare”: la classe media istruita, che è indispensabile alla
dinamica della città come formazione sociale e produttiva vitale, è schiacciata
ed espulsa. Ma questo segmento, formato da giovani, istruiti, creativi e
capaci, è indispensabile per gestire un’economia di servizi, cioè
specificamente per la funzione di “città globale” di Londra.
Che
succede se gli impulsi di prezzo, si estendono e propagano all’intera città,
alterando i valori immobiliari e dei fitti in modo disgiunto dalla
capacità di spesa locale? Ovviamente avviene un “riallineamento delle classi
sociali” a svantaggio dei più giovani, dei meno forti e talvolta dei più
creativi. Quella che potrebbe ideare la prossima applicazione “distruttiva” (in
questo termine gergale rientra, ad esempio, un nuovo software “social”, una app
per mobile, o una piattaforma di “sharing”). Si crea dunque un ambiente povero,
nel quale calano drasticamente le opportunità di scoperta e scambio, la mixitè
o la serendipity.
Un
mercato dei fitti che un funzionario del governo chiama “assurdi”, ostacola in
modo decisivo anche iniziative come la “New Tech Initiative” per promuovere
start-up. O costringe grandi banche, come Deutsche Bank o HSBC a trasferirsi a
Birmingham. Il motivo è interessante: “perché il numero di assenze per malattia
dei dipendenti a Londra a causa di stress e superlavoro è aumentato
drammaticamente”.
[21] Il presupposto, tipico della finanza
contemporanea, che l’investimento si deve coprire immediatamente e deve essere
competitivo con altri possibili in altre aree (pena la mancata attrazione dei
capitali), determina l’incremento necessario dei volumi ‘compensativi’ al
crescere del costo a mc. Ma questi a loro volta determinano un incremento dei
costi di compensazione, e questi di quelli, in un inseguimento reciproco.
[23] -
te a valore il potenziale,
generato dal progetto, dell’area recidendo le relazioni con il suo intorno
specifico, grazie alla potenza di ricombinazione, incorporamento, ed
uniformazione, della tecnica finanziaria (si veda, ad esempio, Saskia Sassen, “Espulsioni”, o David Harvey, “L’esperienza urbana”).
[24]
- Il termine come è noto è
stato formulato da Henri Lefebvre nel suo libro del 1968 “Il
diritto alla città” ed
indica il diritto di ciascuno di disporre, ma collettivamente, come diritto
sociale, di una esperienza spaziale adeguata a sostenere una vita decente e
dignitosa e non segregante o controllata. Indica un mutamento del soggetto che
è legittimato a porre la domanda circa il tipo di città che vogliamo, il tipo
di persone che vogliamo essere, i rapporti sociali cui aspiriamo, il rapporto
che intendiamo promuovere con la natura, e, naturalmente, con le tecnologie che
riteniamo convenienti. Dunque il “diritto alla città” non è un diritto
individuale di accesso alle risorse originariamente concentrate nella città
stessa: piuttosto è il diritto a cambiare insieme alla città, in modo da
renderla conforme ai desideri, insieme scoprendoli. È un diritto collettivo (sociale)
e non individuale (civile), e si traduce necessariamente
nell’esercizio di un potere collettivo sul processo di urbanizzazione. Il
“diritto alla città”, insomma, ossia il controllo della stretta relazione fra
urbanizzazione, produzione e uso delle eccedenze di capitale, è quindi
essenziale per riportare sotto controllo sociale la dinamica del capitalismo.
Perché gli attori sociali imparino, attraverso le lotte per il riconoscimento,
a riferirsi gli uni agli altri non come strumenti del reciproco egoismo (sotto
l’egemonia del valore di scambio), ma come soggetti di bisogni. Agendo
l’uno-per-l’altro, intrecciando i piani di vita condividendo la comune preoccupazione
per l’autorealizzazione. La libertà non è, in questa visione che sarà
sconfitta, realizzabile dai singoli ma da una formazione collettiva adeguata.
[25]
- Come noto il termine è adoperato
in modo sistematico da Mariana Mazzucato (si veda “Lo stato innovatore”).
[26]
- Cfr, ad esempio, l’analisi di Dardot e Laval in “La
nuova ragione del mondo”, ma anche il libro di David Harvey, “L’esperienza
urbana”.
[27]
- Oggetto dell’analisi di Sennett, a partire da “L’uomo
artigiano”, poi da “Insieme”
e, ovviamente, dal terzo, “Costruire
ed abitare”.
[28]
- Cfr. “Il
diritto alla città”, 1968, e “Spazio
e politica”, 1974.
[29]
- Come sostenevo in “La
pianificazione del territorio può contribuire a salvare il mondo”.
[31]
- Si tratta del Comune di Arzano, nel quale il consumo di suolo ha superato l’85%
del suolo disponibile. Un comune quale sono presenti due aree industriali di
grande dimensione e moltissimi problemi di tenuta sociale. Cfr. Nuovo
Regolamento Edilizio Comunale, approvato 10/03/2018.
[32]
- Il principio recita: “L’effettiva possibilità di godere dei propri diritti
civili e sociali si manifesta anche nell’accesso ai servizi urbani ed alla
qualità della città. Ne fa parte lo sforzo di limitare i fenomeni di enclosure,
segregazione e definizione degli spazi per ceti e livelli di reddito. Si tratta
di una forma di reciproca chiusura che rende indisponibili i diritti sociali e
determina la rottura del patto di reciproca solidarietà, distruggendo in radice
il senso dell’essere una comunità insediata.
La
città è anche una macchina produttiva, letteralmente fonte di produzione,
attraverso i meccanismi di formazione della rendita. L’accesso ai diritti
sociali, precondizione perché i diritti civili trovino significato, passa
quindi anche per l’ordinata e corretta formazione di questa. Il Regolamento,
secondo le norme vigenti, dovrà assicurare la tutela della concorrenza, il
contrasto a fenomeni di concentrazione dei valori a seguito di corrispondenti
fenomeni di polarizzazione sociale e di eccessivi gradienti di qualità urbana”.
[33]
- “Le trasformazioni urbane devono essere preordinate alla riduzione della
vulnerabilità ai cambiamenti climatici, all’efficienza energetica, all’affermazione
dell’economia circolare e alla lotta all’economia dello scarto. Devono favorire
ovunque il potenziamento del nesso energia-informazione-risorse, la rivoluzione
dei prosumers (di chi da sé si produce ciò che consuma, energia e cibo), quella
dei makers, la sharing economy, la mobilità sostenibile, la IoT e le smart
cities, la connessione alle molte forme dell’innovazione.
Assumere
infatti la responsabilità dei comportamenti che si producono significa
conoscere la propria impronta sul mondo e i carichi che questa impone, quindi
usare meglio le risorse, consapevoli della dinamica del loro esaurimento,
potenziare l’impiego di risorse locali, ricercare la durevolezza, riusare e
recuperare, minimizzare l’impiego di energia, riciclare”.
[34]
- ART.90
-CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE E FUNZIONALI DEGLI EDIFICI
1. La
progettazione degli interventi edilizi relativi a nuove costruzioni,
ricostruzioni, sopraelevazioni, ampliamenti e ristrutturazioni, oltre a
rispettare le norme tecniche per le costruzioni in zona sismica e le
disposizioni fin qui enunciate, deve essere sostenibile e di qualità, con
l’obiettivo di trasferire al territorio oggetto di trasformazione caratteri di
qualità ambientale a livello urbanistico e architettonico, che consideri:
1. il
decoro urbano;
2. La
bellezza;
3. la
compatibilità ambientale;
4. l’efficienza
energetica;
5. il
confort abitativo;
6. la
salute dei cittadini.
2. La
progettazione, pertanto, deve mirare alla scelta di un complesso di soluzioni
utili a trasformare l’edificio in uno strumento di captazione, accumulo e
distribuzione di energia, quali: orientamento e forma dell’edificio,
dimensionamento e distribuzione degli ambienti interni, scelta dei materiali,
delle tecnologie costruttive riguardanti principalmente l’involucro esterno,
delle chiusure, delle partizioni interne ecc..
Quanto sopra deve essere basato sui principi
dell’architettura bioclimatica, la cui applicazione consente un corretto uso
del territorio comunale, la riduzione dei consumi energetici, l’utilizzo di
energie rinnovabili, la salubrità degli ambienti interni e un equilibrio tra le
esigenze dell’uomo e la salvaguardia dell’ambiente naturale, la riduzione della
produzione di rifiuti
4. La
qualità architettonica dovrà mirare a garantire maggiore uniformità di qualità
urbana nella città anche al fine di ridurre i fenomeni di segregazione e
l’impoverimento di capitale spaziale che ne deriva, rendendo manifeste le ineguaglianze
e contribuendo anzi a fissarle.
5. La
progettazione dovrà facilitare, ogni qual volta possibile, l’inserimento dei
cittadini, degli individui e delle famiglie, nella vita sociale, culturale,
professionale e politica, garantendo ad ognuno riconoscimento e rispetto. Dovrà
quindi dare priorità alla comunicazione, alla creazione di reciproca
prossimità, alla apertura e connessione, contrastando la tendenza a
rinchiudersi, alla separazione difensiva.
6. Anche
con riferimento alla corte tradizionale arzanese, ove possibile la
progettazione dovrà quindi ricercare, nella determinazione dell’impianto
tipologico, porosità, permeabilità e manifestazione del collettivo.
complimenti per la completa e per questo forse complessa analisi. Un articolo da far leggere ai tanti amministratori locali. Da metabolizzare
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