Degli anziani bisogna avere rispetto, ma bisognerebbe
che anche loro lo avessero per se stessi. Gianpaolo Pansa è del ’35, ha l’età
di mia madre e quella che aveva mio padre, ma di loro non sembra avere la
lucidità. Ricordo che durante una notte in ospedale discussi utilmente con mio
padre del libro di Ralf Dahrendorf “Quadrare
il cerchio” che avevo letto e del quale intendevo fare un post,
ho forti perplessità che potrei fare lo stesso con il nostro.
Due anni fa scrissi
che certe cose non dovrebbero passare in silenzio, allora Eugenio Scalfari, su
uno dei suoi sempre più sconnessi fondi su La
Repubblica, arrivò a scrivere che la democrazia, al contrario della
dittatura è strutturalmente e da millenni causa del malgoverno, del malaffare e
della corruzione. Allora nessuna voce si alzò a difesa del nostro comune bene:
la libertà.
A Piazzapulita,
abbiamo l’effetto dell’abituarsi a questo elogio della dittatura, a fronte
della sfida popolare, in una trasmissione di La7, l’ex giornalista Pansa, con
una voce un poco impastata, ha
esternato tutto il suo odio di classe per la matrice popolare dell’attuale
governo, per l’assenza di un rispettabile cursus honorum, le credenziali
limitate, la cultura carente di bollinatura; per i “gorilla” ai quali nega pure
la comune umanità[1]. Nel suo profondo
sconcerto per delle formazioni che si sono permesse di togliere sul serio, violando il copione, il
potere al suo Pd, ma anche, persino a Forza Italia, Pansa ha affermato che “abbiamo un governo di t e r r o r i s t i”,
scandendo bene la parola. Un governo, insiste, “che vuole fare p i a z z a p u l i t a dell’Italia, della sua democrazia”.
Il paese, quindi, “si trova schiacciato da un gruppo di persone che non hanno
rispetto per nessuno”.
Tutto molto indicativo dell’animus con il quale le
nostre élite, fino ad ora tranquille e garantite, libere di coltivare senza
contraddittorio alcuno le proprie carriere, sazie dei propri privilegi,
guardano oggi a questi barbari che sono usciti da quei deserti che hanno
lasciato, loro, crescere mentre raccontavano invariabilmente che non ci sono
alternative.
Il lato 5* del governo[2],
quindi, per Pansa “non ha rispetto” dei saggi e dei potenti, e vuole fare “piazza
pulita”, di ciò che Pansa considera essere la
vera Italia e la sua vera democrazia.
La vera Italia è quella che lui ha frequentato tutta la vita, che si limita ad
alcuni buoni quartieri e quel popolo mobile, libero, entusiasta e cosmopolita. La
sua vera democrazia è quella che resta; ormai, dopo il trentennio neoliberale,
ben poco e soprattutto nulla veramente contendibile. Come non si stancano di
ricordarci continuamente (nella stessa trasmissione di pensa Giavazzi) la
sovranità è ormai dei consumatori e dei mercati che li servono[3].
E’ chiaro allora che Pansa, nell’assoluto sconcerto e
direi nel terrore che la democrazia significhi davvero che i barbari, se sono la grande maggioranza, possono
insediarsi nel tempio, ovvero nel terrore che la democrazia significhi davvero potere al popolo[4], si senta “sull’orlo del baratro”.
Egli, dunque, è davvero, poiché vi si sente, sull’orlo
del baratro, ormai vede una situazione “senza vie di uscita”, come il suo amico
Scalfari. Ma, continua, dicendo qualcosa di più esplicito: “o meglio, [la
situazione] ne ha una sola: che questo governo se ne torni a casa, che non se ne faccia nessun altro di
questo livello”. E quindi, rintracciando nell’Italia del 1919 l’antecedente
storico, alla fine vede come unica alternativa è “quella di un governo di tecnici, sostenuto dai militari”.
Ripeto:
“un governo di
tecnici, sostenuto dai militari”.
Ancora:
“un governo di tecnici, sostenuto dai militari”.
(E questo, per lui, non significherebbe invocare un golpe).
Ovviamente in questo caso il Presidente del Consiglio
dovrebbe essere Mario Monti.
Seguono altre amenità (come quelli che “non hanno
voglia di lavorare”), ma queste canzoncine neoliberali le conosciamo a memoria
e quindi lasciamole perdere.
Di seguito, infine, paragonerà la vittoria delle
elezioni repubblicane del 4 marzo, nel quale per la prima volta da decenni la
maggioranza relativa dei votanti, sia pure attraverso un accordo politico
successivo, ha espresso un governo legittimo, alla “marcia su Roma” ed al “fascismo”.
Proprio lui che
invita al governo militare.
Quando il conduttore ricorda che questo governo, sarà
anche composto fa “incompetenti”, ma è stato votato ed ha quindi il diritto che
gli viene dalla “demo-crazia” (che non è il governo dei competenti, ovvero non
è “tecno-crazia”), risponde che “il voto è come l’amore, è una scelta che può
essere cambiata”.
Una risposta dalla logica claudicante, dato che invita
a cambiarlo non con le elezioni (che sa di perdere) ma con le sciabole.
In un’epoca nella quale dall’altra parte del mondo ci
si autoproclama Presidente, e si ricevono entusiastici sostegni a ripristinare
finalmente il governo dei ‘savi’ e dei ‘ben nati’, capaci di capire l’economia
aperta contemporanea, questo richiamo alle armi è sinistro e forse andrebbe
preso sul serio.
Magari ricordando che invocare la fine della demo-crazia,
in favore della dittatura, con l’aggravante di farlo in televisione in prima
serata, sia un reato molto grave per il nostro codice penale[5].
Oppure, almeno, lasciando gli anziani in pace, insieme
alle loro paure immotivate.
[1]
- Nella sua foga, matrice di guerra civile, arriva a dire questo di Di
Battista. Il quale, dunque, per non saper stare al suo posto, nei suoi lavori
precari e nelle sue città periferiche, è subumano, un grosso e violento “gorilla”.
Nome indicativamente scelto.
[2]
- Proprio all’inizio afferma che Salvini è comunque meglio.
[3]
- Vedi per una larga analisi, Dardot e Laval “La
nuova ragione del mondo”.
[4]
- Una paura di lunghissima durata, e assolutamente fondativo della forma
politica oggi dominante. La cosiddetta “democrazia” americana (che Robert Dahl
chiamava giustamente “poliarchia”, dato che il demos è neutralizzato) nasce
esattamente su questa disattivazione per il tramite di ben accorti istituti
giuridico-istituzionali. E la forma politica nella quale viviamo, nel secondo
dopoguerra in particolare nella sua forma sopranazionale, estende e perfeziona
questa neutralizzazione. Il sovrano non è certo ‘il popolo’, e se ne dovrà
accorgere ogni volta che provi ad alzare la testa.
[5] - Art.
270 Codice Penale: “Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce,
organizza o dirige associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura
di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente una classe
sociale o, comunque, a sovvertire
violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato, è
punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Chiunque partecipa alle
associazioni di cui al primo comma è punito con la reclusione da uno a tre
anni. Le pene sono aumentate per coloro che ricostituiscono, anche sotto falso
nome o forma simulata, le associazioni di cui al primo comma, delle quali sia
stato ordinato lo scioglimento”.
Nessun commento:
Posta un commento