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domenica 10 febbraio 2019

Giampaolo Pansa: “evocazione di sciabole” e deliri senili.



Degli anziani bisogna avere rispetto, ma bisognerebbe che anche loro lo avessero per se stessi. Gianpaolo Pansa è del ’35, ha l’età di mia madre e quella che aveva mio padre, ma di loro non sembra avere la lucidità. Ricordo che durante una notte in ospedale discussi utilmente con mio padre del libro di Ralf Dahrendorf “Quadrare il cerchio” che avevo letto e del quale intendevo fare un post, ho forti perplessità che potrei fare lo stesso con il nostro.



Due anni fa scrissi che certe cose non dovrebbero passare in silenzio, allora Eugenio Scalfari, su uno dei suoi sempre più sconnessi fondi su La Repubblica, arrivò a scrivere che la democrazia, al contrario della dittatura è strutturalmente e da millenni causa del malgoverno, del malaffare e della corruzione. Allora nessuna voce si alzò a difesa del nostro comune bene: la libertà.

A Piazzapulita, abbiamo l’effetto dell’abituarsi a questo elogio della dittatura, a fronte della sfida popolare, in una trasmissione di La7, l’ex giornalista Pansa, con una voce un poco impastata, ha esternato tutto il suo odio di classe per la matrice popolare dell’attuale governo, per l’assenza di un rispettabile cursus honorum, le credenziali limitate, la cultura carente di bollinatura; per i “gorilla” ai quali nega pure la comune umanità[1]. Nel suo profondo sconcerto per delle formazioni che si sono permesse di togliere sul serio, violando il copione, il potere al suo Pd, ma anche, persino a Forza Italia, Pansa ha affermato che “abbiamo un governo di t e r r o r i s t i”, scandendo bene la parola. Un governo, insiste, “che vuole fare p i a z z a  p u l i t a dell’Italia, della sua democrazia”. Il paese, quindi, “si trova schiacciato da un gruppo di persone che non hanno rispetto per nessuno”.

Tutto molto indicativo dell’animus con il quale le nostre élite, fino ad ora tranquille e garantite, libere di coltivare senza contraddittorio alcuno le proprie carriere, sazie dei propri privilegi, guardano oggi a questi barbari che sono usciti da quei deserti che hanno lasciato, loro, crescere mentre raccontavano invariabilmente che non ci sono alternative.
Il lato 5* del governo[2], quindi, per Pansa “non ha rispetto” dei saggi e dei potenti, e vuole fare “piazza pulita”, di ciò che Pansa considera essere la vera Italia e la sua vera democrazia. La vera Italia è quella che lui ha frequentato tutta la vita, che si limita ad alcuni buoni quartieri e quel popolo mobile, libero, entusiasta e cosmopolita. La sua vera democrazia è quella che resta; ormai, dopo il trentennio neoliberale, ben poco e soprattutto nulla veramente contendibile. Come non si stancano di ricordarci continuamente (nella stessa trasmissione di pensa Giavazzi) la sovranità è ormai dei consumatori e dei mercati che li servono[3].

E’ chiaro allora che Pansa, nell’assoluto sconcerto e direi nel terrore che la democrazia significhi davvero che i barbari, se sono la grande maggioranza, possono insediarsi nel tempio, ovvero nel terrore che la democrazia significhi davvero potere al popolo[4], si senta “sull’orlo del baratro”.
Egli, dunque, è davvero, poiché vi si sente, sull’orlo del baratro, ormai vede una situazione “senza vie di uscita”, come il suo amico Scalfari. Ma, continua, dicendo qualcosa di più esplicito: “o meglio, [la situazione] ne ha una sola: che questo governo se ne torni a casa, che non se ne faccia nessun altro di questo livello”. E quindi, rintracciando nell’Italia del 1919 l’antecedente storico, alla fine vede come unica alternativa è “quella di un governo di tecnici, sostenuto dai militari”.

Ripeto:
“un governo di tecnici, sostenuto dai militari”.

Ancora:
“un governo di tecnici, sostenuto dai militari”.

(E questo, per lui, non significherebbe invocare un golpe).
Ovviamente in questo caso il Presidente del Consiglio dovrebbe essere Mario Monti.

Seguono altre amenità (come quelli che “non hanno voglia di lavorare”), ma queste canzoncine neoliberali le conosciamo a memoria e quindi lasciamole perdere.

Di seguito, infine, paragonerà la vittoria delle elezioni repubblicane del 4 marzo, nel quale per la prima volta da decenni la maggioranza relativa dei votanti, sia pure attraverso un accordo politico successivo, ha espresso un governo legittimo, alla “marcia su Roma” ed al “fascismo”.

Proprio lui che invita al governo militare.

Quando il conduttore ricorda che questo governo, sarà anche composto fa “incompetenti”, ma è stato votato ed ha quindi il diritto che gli viene dalla “demo-crazia” (che non è il governo dei competenti, ovvero non è “tecno-crazia”), risponde che “il voto è come l’amore, è una scelta che può essere cambiata”.
Una risposta dalla logica claudicante, dato che invita a cambiarlo non con le elezioni (che sa di perdere) ma con le sciabole.


In un’epoca nella quale dall’altra parte del mondo ci si autoproclama Presidente, e si ricevono entusiastici sostegni a ripristinare finalmente il governo dei ‘savi’ e dei ‘ben nati’, capaci di capire l’economia aperta contemporanea, questo richiamo alle armi è sinistro e forse andrebbe preso sul serio.

Magari ricordando che invocare la fine della demo-crazia, in favore della dittatura, con l’aggravante di farlo in televisione in prima serata, sia un reato molto grave per il nostro codice penale[5].

Oppure, almeno, lasciando gli anziani in pace, insieme alle loro paure immotivate.



[1] - Nella sua foga, matrice di guerra civile, arriva a dire questo di Di Battista. Il quale, dunque, per non saper stare al suo posto, nei suoi lavori precari e nelle sue città periferiche, è subumano, un grosso e violento “gorilla”. Nome indicativamente scelto.
[2] - Proprio all’inizio afferma che Salvini è comunque meglio.
[3] - Vedi per una larga analisi, Dardot e Laval “La nuova ragione del mondo”.
[4] - Una paura di lunghissima durata, e assolutamente fondativo della forma politica oggi dominante. La cosiddetta “democrazia” americana (che Robert Dahl chiamava giustamente “poliarchia”, dato che il demos è neutralizzato) nasce esattamente su questa disattivazione per il tramite di ben accorti istituti giuridico-istituzionali. E la forma politica nella quale viviamo, nel secondo dopoguerra in particolare nella sua forma sopranazionale, estende e perfeziona questa neutralizzazione. Il sovrano non è certo ‘il popolo’, e se ne dovrà accorgere ogni volta che provi ad alzare la testa.
[5] - Art. 270 Codice Penale: “Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente una classe sociale o, comunque, a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Chiunque partecipa alle associazioni di cui al primo comma è punito con la reclusione da uno a tre anni. Le pene sono aumentate per coloro che ricostituiscono, anche sotto falso nome o forma simulata, le associazioni di cui al primo comma, delle quali sia stato ordinato lo scioglimento”.

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