Il
Ministro dell’industria e dell’energia del governo tedesco, Peter Altmaier dell’Udc,
ha appena pubblicato un Rapporto
preliminare per la strategia a medio termine del paese. Si tratta, come rimarca
anche Bloomberg, di un documento di grande rilevanza per il riposizionamento ideologico,
e quindi strategico, del paese guida dell’Unione Europea. Simili reazioni si
sono avute su “Il Foglio”, secondo
il quale “La Germania punta sullo
Stato per garantire un futuro alla sua industria”, o da parte de “Il Giornale”, per
il quale “Berlino alza le barricate
per difendere le imprese dallo shopping cinese”. Sono usciti anche articoli
per DW,
“German minister defends controversial
industrial strategy”, secondo il quale i critici (Ifo, ad esempio, o Lars
Feld) sostengono che sia incompatibile con un’economia di libero mercato, o il New Observer, per il
quale la Germania definisce una strategia per i “campioni” nazionali. O,
ancora, il Financial Times, che vede ‘una
tinta francese’ nel riportare in primo piano la politica industriale.
Come
scrive lo stesso Altmaier è la prima volta che viene elaborata un’esplicita
strategia industriale il cui scopo è “fornire una risposta razionale” a
questioni chiave del presente. In primo luogo l’aggressiva presenza internazionale
dei fondi sovrani cinesi e il rischio che le nuove tecnologie ‘leggere’ e basate
sull’informatica evoluta possano mettere in secondo piano la tradizionale
abilità ingegneristica ‘hard’ della Germania.
Come
vedremo il documento è uno splendido esempio di razionalità ordoliberale e
conferma, a chi fosse stato in questi anni particolarmente distratto, che le
élite centroeuropee inseriscono la propria azione in una consapevole ed
intenzionale politica di potenza che ha tradizione e storia nel paese.
Secondo
quanto sostiene il documento le “questioni
chiave del presente” sono:
-
come
sostenere i livelli di ricchezza del paese nel contesto
di politiche economiche che a volte sono protezionistiche degli altri paesi e con
riferimento alla sfida dell’innovazione? Su questa domanda centrale è innestato
un richiamo storico-ideologico ben preciso, la centralità e protagonismo dello
Stato nella tradizione ordoliberale rappresentata dalla figura chiave di Ludwig
Erhard nella “creazione e conservazione
delle prosperità”[1]. Ovviamente, come risultava
dal programma “Prosperità per tutti”[2], di Erhard, la legittimazione
di questo attivismo dello Stato è ricercata nella “promessa a tutti i
cittadini, a tutti gli strati sociali”. Una promessa che per il Ministro è stata
garantita dalla formula ordoliberale della “economia
sociale di mercato”[3] della quale viene rivendicata
la superiorità rispetto a qualsiasi forma di economia pianificata, come
dimostrerebbe anche l’introduzione di elementi di mercato in Cina[4].
-
L’equilibrio
di potere economico mondiale è in una fase di cambiamento
profonda e rapida, da un lato accelera la globalizzazione, ma dall’altro cambia;
infatti aumenta l’intervento degli Stati e cessano gli accordi multilaterali. Dunque
ci sono vincitori e perdenti, e siamo solo all’inizio di questa trasformazione.
-
La
Germania deve agire consapevolmente in questa situazione,
partecipando attivamente e con successo allo sviluppo in corso. In particolare occorre
salvaguardare le competenze tecnologiche chiave, senza restare fermi, come
Stato, e non fare nulla. In perfetta coerenza con l’approccio neoliberale la
soluzione è avere insieme sia più Stato sia più economia di mercato. Ciò perché
la composizione delle scelte individuali delle singole aziende non è
sufficiente per contrapporsi con successo alle sfide globali. La politica
industriale pubblica in questi casi deve promuovere, attivare e proteggere le
imprese e la vitalità delle forze di mercato, garantendo la conservazione dell’innovazione
e della competitività. Questa è “responsabilità e compito dello Stato”, in
linea con i principi della “economia
sociale di mercato”.
Più
in dettaglio, gli obiettivi del Programma sono:
-
lavorare con le parti al recupero della
competenza tecnologica e della leadership
industriale, a livello nazionale, europeo e mondiale in tutti i settori
permanenti.
-
Farlo come condizione della performance
economica complessiva della Germania e del benessere dei suoi cittadini.
-
Aumentando gradualmente la quota del
valore aggiunto industriale verso il 20% su base europea e il 25% su base
nazionale.
-
Utilizzando essenzialmente le forze del
mercato privato e solo eccezionalmente l’intervento diretto dello Stato.
Descrivendo
la situazione di background e quindi le sfide il Rapporto individua una
congiuntura nella quale il vantaggio dell’industria tedesca si sta rapidamente
riducendo. Fino ad ora i costi di manodopera e produzione relativamente più
alti erano stati compensati efficacemente dalla superiorità tecnologica e
quindi in termini di qualità. Ma i paesi competitori, ed in primis la Cina,
stanno riducendo rapidamente il gap, grazie a joint venture, acquisizioni, ed
investimenti in ricerca. D’altra parte ci sono settori, come i nuovi materiali
e le innovazioni di automotive sostenibile, nei quali la Germania è in ritardo.
Oppure come l’accesso globale e “l’economia piattaforma”, che sono egemonizzati
dagli Usa o in Cina.
Invece
nella IA la ricerca è abbastanza avanzata, ma le applicazioni sono indietro,
ciò pone anche un problema di sovranità dei dati, ma più in generale di
digitalizzazione (come ricordava qualche giorno fa Ashoka Mody[5]).
Altro
settore arretrato è quello delle biotecnologie, o nella più generale ‘economia
delle start-up’, data la presenza decisiva della finanza venture americana.
In
definitiva il futuro e la competitività dell’industria tedesca dipende dalla
capacità della parte pubblica di individuare e stimare le linee di sviluppo più
promettenti in tempo utile, senza farsi catturare dal successo attuale, che
potrebbe facilmente essere vanificato in futuro.
Del
resto tutti gli altri principali paesi fanno una cosa del genere:
-
gli Stati Uniti si facevano guidare dai
grandi gruppi tecnologico come Apple, Amazon, Google, Microsoft, che investono
centinaia di miliardi di dollari in ricerca per la IA, la digitalizzazione, la
guida automatica e la biotecnologia. L’attuale amministrazione ha modificato la
rotta verso la protezione e stimolazione delle industrie di base come quelle
metallurgiche, l’automotive e l’agricoltura.
-
Il Giappone investe sull’industria
automobilistica, la IA, la robotica.
-
La Cina svolge una politica industriale
molto attiva in oltre dieci settori-chiave, e con la nuova via della seta cerca
di controllare la logistica mondiale. Il rischio è che in caso di successo
interi settori potrebbero vedere il predominio cinese e dunque l’impossibilità
di competere.
Dunque
è necessario padroneggiare le nuove tecnologie, in particolare quelle ‘di base’
e potenzialmente ‘dirompenti’, come la digitalizzazione guidata dall’intelligenza
artificiale, nella medicina diagnostica e nella guida, ad esempio, e lo
sviluppo di piattaforme informatiche di messa in contatto dei fornitori e
richiedenti dei servizi. Questa modalità di relazione e di gestione del mercato
può creare, per il Rapporto, grandi vantaggi in termini di disponibilità e trasparenza
dei prezzi, ma può anche agire nel senso opposto se sono interamente monopolizzate
da pochi grandissimi attori che controllano dati e capitali[6].
Un
altro settore chiave è la combinazione di automazione produttiva e
comunicazione sulla base di piattaforme (Industria 4.0[7]), altri sono le
nanotecnologie, le biotecnologie, i nuovi materiali e l’informatica
quantistica.
La
politica industriale tedesca, dunque, deve:
-
riaffermare
la sovranità e la capacità industriale e tecnologica,
-
riconoscere e proteggere l’importanza di
avere tutti gli anelli della catena del
valore internamente nel paese, dove queste sono state interrotte, o sono a
rischio occorre operare prevenire un’ulteriore erosione o invertirne il corso,
-
lottare
per ogni posto di lavoro industriale, che è molto difficile
da recuperare in seguito, per tutte le industrie, vecchie e nuove,
-
rafforzare
le PMI, in particolare le medie aziende molto specializzate,
-
ma,
al contempo, “le dimensioni contano”, quindi bisogna avere campioni nazionali in grado di
competere alla pari con i giganti americani o cinesi, cosa che negli ultimi
anni non è accaduto, tutti grandi gruppi sono storici, nessuno è emerso negli ultimi
cinquanta anni,
-
assicurarsi che il divieto di acquisizione di società da parte di concorrenti
stranieri si applichi per la sicurezza nazionale, come oggi, ma anche nei
settori sfidati di leadership tecnologica sopra ricordati. In questi casi lo Stato
può fornire assistenza e in casi limite intervenire direttamente per acquisirle;
“pertanto è prevista la creazione di una struttura nazionale di partecipazione
regolata dal Parlamento” che operi nei casi più grandi, di importanza economica
e di rilevanza “esistenziale”, e in modo appropriato e proporzionale. Un esempio
di immediata partecipazione statale necessarie è per ridurre la distanza
competitiva che si sta creando nel settore della guida automatica,
-
stabilire
che la protezione, attraverso interventi statali necessari
per ragioni politiche generali, ed anche i sussidi mirati sono necessari per “compensare
gli effetti negativi della concorrenza”, ripristinando condizioni di parità, “ciò
deve essere possibile in conformità con la normativa UE”, ad esempio bisogna
agire:
o
sui prezzi dell’energia elettrica e dell’energia,
o
sull’importo delle imposte sulle società,
o
sull’impatto dei contributi di sicurezza
sociale (che devono essere sempre inferiori al 40%),
Forse
spaventato dalle conseguenze di vasto profilo di quanto fin qui detto, in linea
con la tradizione ordoliberale, ma in frizione con la retorica liberoscambista,
segue la recita di un catechismo:
-
“Lo stato non può in
nessun momento prendere decisioni commerciali per gli individui. Le aziende
intervengono. Ogni azienda deve decidere da sola quale strategia vuole tenere e
quali investimenti realizzare. Questo deriva dalla convincente unità di decisione
e responsabilità. Ecco perché è compito di ogni azienda, che si tratti di
investire in nuove tecnologie o no. Come il risultato di un'azione
imprenditoriale deve rendere il successo e il fallimento altrettanto possibili
se l'economia di mercato deve avere successo.
-
Lo stato non dovrebbe
essere arbitro ed intervenire nella competizione tra le singole società, né
nella competizione nazionale né in quella internazionale. È l'unico modo in cui
il processo dell'allocazione ottimale delle risorse può avere successo, il
miglior fornitore può affermarsi per il massimo valore aggiunto per tutti.
-
I principi del mercato e
il vantaggio comparativo (Ricardo) restano validi. L’attenzione ad essi e la
loro esecuzione sono nell'interesse di tutti gli interessati. Garantiscono che
il successo di un'economia non è a spese di un'altra. Piuttosto possono
crescere insieme e diventare più forti se riconoscono questi principi e li applicano”.
Quindi
la Germania è sì impegnata per mercati aperti, e per l’espansione del multilateratismo
come garanzia verso il protezionismo, ma contemporaneamente deve “lavorare intensamente
per eliminare le disuguaglianze e gli svantaggi esistenti”. E quindi
contrastare attivamente le distorsioni della concorrenza negli altri paesi, a
tale scopo:
1- Revisionare
la dottrina degli aiuti di Stato e del diritto alla concorrenza,
2- Abilitare
aiuti temporanei in settori di elevata innovazione,
3- Contrastare
il dumping e l’abuso di posizione dominante,
4- Facilitare
le aggregazioni industriali nelle aree in cui servono grandi dimensioni per
competere.
Questa
politica industriale deve peraltro, per il documento, anche diventare la
politica della UE; quindi anche nei paesi nei quali è in corso una
deindustrializzazione (es. Italia) questa deve essere fermata[8]. Si propone la formazione
di un “Consiglio dei Ministri dell’Industria”.
Non
sfugge che se faccio discendere il benessere dei cittadini, e la legittimazione
dell’azione e della stessa esistenza della funzione pubblica, dalla presenza di
‘campioni nazionali’ e di leadership nei settori di punta interpretando la competizione come predominio, il confine tra ‘libero’
mercato di scambio e ‘distorsione’ diventa confuso. Dal punto di vista che si
assume, e che si difende orgogliosamente, il
nazionalismo economico è solo a qualche centimetro di distanza.
La
Germania, insomma, conferma ancora una volta che quando il proprio interesse
nazionale, e quello delle sue principali lobbies, è minacciato è capace di svolte
repentine. Purtroppo, anche quando prende una linea che potrebbe essere
condivisa, tende a farla per le ragioni che riverberano la sua storia[9].
[1]
- La differenza tra liberalismo classico e neoliberalismo, in particolare nella
versione ordoliberale, è che il secondo enfatizza molto di più l’ordine come
dovere politico e l’appello alla responsabilità individuale, che lo porta a
temere l’economia di comando (Ropke) e l’eccessiva crescita del potere dello
Stato, causa della dissoluzione del legame sociale per effetto della
deresponsabilizzazione. Tuttavia l’azione dello Stato è legittima e necessaria
proprio per promuovere l’aumento della qualità della vita (l’argomento qui
stilizzato da Altmaier),e per creare un’organizzazione
economicamente efficiente e rispettosa della dimensione morale dell’uomo, come
dice Eucjker, 1952, “capace di funzionare e degna dell’uomo”. Centrale, nella
prospettiva ordoliberale, in questo similmente a quella neoliberale, è la concorrenza,
che si va a sostituire in posizione centrale anche al libero mercato
competitivo fondato sullo scambio e
quindi alla metafisica naturalistica (e teologica) della ‘mano invisibile’. La concorrenza
è il principio cardine dell’ordine economico, capace di salvaguardare al
contempo la libertà. Ma, questo il punto cruciale, la concorrenza non è un dato
naturale, ma l’essenza che deve essere imposta in forza di una ‘decisione di
base’, come diceva Erhard. Gli interventi statali sono quindi possibili e
necessari, ma devono essere ‘giusti’ in base agli obiettivi istituiti e una ‘politica
regolatrice’ orientata ad eliminare gli ostacoli frapposti all’affermazione dei
principi di concorrenza.
[2]
- L. Erhard, “Benessere per tutti”,
Garzanti, 1957. In questo libro lo Stato è posto come protettore supremo della
concorrenza e della stabilità monetaria. L’intervento pubblico è legittimo in
quanto ogni cittadino ha diritto di godere di uguaglianza di diritti e di un
quadro istituzionale stabile. Gli interventi devono riferirsi sempre a regole
generali e mai privilegiare singole posizioni, avvantaggiandole.
[3]
- Nel saggio di Bohm, “Società privata e
economia di mercato”, 1966, viene rovesciata la tradizionale gerarchia tra
diritto pubblico e diritto privato e quindi fonda il “sociale” come gioco tra
individui sottomessi ad un unico ordine giuridico (di diritto privato). “Economia sociale di Mercato”, termine
messo in campo da Muller-Armack, fra i negoziatori del Trattato di Roma,
significa allora economia di mercato e nella quale si instaura la ‘democrazia
del consumo’ per mezzo della concorrenza. L’economia è ‘sociale’ perché
obbedisce alle scelte dei consumatori, un concetto che fu inizialmente
criticato dai socialisti, per i quali il termine rinviava casomai a solidarietà
e cooperazione. Ma per Armack questa forma produce la massima ricchezza e
benessere, ed è ‘ordine artificiale’ istituito con un atto definitorio degli
scopi essenziali di una società. Nel definirli è dunque l’atto (di fondare la
concorrenza come principio di ordine) che costituisce la società, rovesciando
il meccanismo rousseuiano. Dunque, anche se può non sembrare, la “economia
sociale di mercato” degli ordoliberali è proprio direttamente opposta allo
Stato Sociale, o stato welfarista, il cui funzionamento tende a ridurre la
concorrenza.
[4]
- Casomai sarebbe il peculiare sistema misto, nel quale tuttavia predomina ampiamente
lo Stato che provvede a garantire i risultati economici ed individuali, ad
essere all’origine del successo cinese. E’ difficile immaginare due culture
così lontane.
[5]
- Ashoka Mody non si stupisce
dell'avvio della recessione nella seconda metà del 2018 in Germania. Secondo la
sua analisi le cause sono molteplici: il rallentamento del commercio mondiale
nel 2018 e dell'economia cinese, a sua volta causato in parte dalla interruzione
di stimoli che rischiavano di far crescere eccessivamente bolle immobiliari e
creditizie nel paese orientale, in parte dai conflitti commerciali in corso.
Secondo fattore, il calo vertiginoso delle vendite di auto, diesel in particolare, sul mercato interno tedesco a causa degli
scandali avviati dagli Usa. C'è molta geopolitica in questa congiuntura, ma c'è
anche molta fragilità strutturale del sistema tedesco: un'enorme dipendenza
dalla domanda estera, e paradossalmente dalle politiche pseudo-keynesiane che
in patria si rifiutano ma che all'estero si sfruttano parassitariamente.
Ancora, l'obsolescenza della struttura industriale e persino della cultura
tecnica a causa di storiche carenze di investimenti pubblici e privati in
un'economia interamente rivolta alla tesaurizzazione finanziaria. Ora
servirebbe la politica, ma gli interessi costituiti di un'industria che vale il
14% del Pil e che non si vuole rinnovare verso la motoristica elettrica e verso
una maggiore elettronica che oscura i tradizionali punti di forza
ingegneristici del paese, li impediscono. La Germania, sostiene Mody, rischia
di perdere la corsa tecnologica globale, mentre l'economia si polarizza tra
vecchi lavori sicuri in sofferenza, per l'internazionalizzazione delle reti di
produzione, e il lavoro povero che si estende, e quindi mentre il quadro
politico si frammenta. Cfr “German
is a diminished giant, and that spells trouble for Europe”.
[6]
- Ad esempio Amazon, cfr “Amazon
e il suo monopolio”
[7]
- Cfr, “Industria
4.0 e le sue conseguenze”.
[8]
- La coerenza con il primato della ‘capacità competitiva’, che significa della
capacità di prevalere, dei campioni e dei settori nazionali, con l’affermazione
che l’intera Europa deve industrializzarsi scaturisce dalla pratica: con il
mercato interno più forte, e con la corona di paesi satellite istituita, la
Germania è nella posizione di subordinare le altre filiere produttive,
incorporandole in posizione subalterna nella propria rete logistica e di
subfornitori. In linea di massima è quanto sta succedendo, come si vede anche
dalle reazioni dei ceti imprenditoriali del nord Italia al rischio di scontro
e/o rottura.
[9]
- Si veda, ad esempio, Marc Bloch, “La
natura imperiale della Germania”, Emile Durkheim, “La
Germania al di sopra di tutto”.
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