Un articolo
di Carlo De
Benedetti davvero significativo, non certo per quel che dice ma per la sua autorevolezza
ed il suo ruolo, non ultimo nell’editoria. Oggi che persino Rampini queste cose le scrive e dice in
televisione, guadagnandosi in risposta facce da scandalo in chiesa, anche il Sole 24 Ore può permettersele qualche
volta.
Per l’ingegnere, ormai ottantenne e presidente del
Gruppo Editoriale l’Espresso, proprietario de La Repubblica (dunque datore di lavoro di Rampini), L’Espresso e via dicendo, gli Stati Uniti
sono oggi sull’orlo di un cambiamento di ciclo storico. Elaborando uno
schematismo piuttosto rozzo, ma efficace, attribuisce questo cambiamento all’insorgenza
di una nuova generazione che porta al centro della vita pubblica la propria ‘agenda’.
In base alla sua ricostruzione, come i ‘baby
boomers’ (la generazione del ’68 e seguenti) hanno portato al potere il
neoliberismo, ovvero un assetto economico rivolto contro l’inflazione, al
prezzo di far crescere le ineguaglianze, nella difesa della loro forza vitale
individuale, così i “millennials”,
disgustati dalle crescenti ineguaglianze e traditi dalla disgregazione della
middle class[1], vogliono nuovamente “istituzioni forti, governi forti, un senso
di una direzione sociale condivisa, impegno civile e – da un punto di vista
dell’economia – un rinnovato desiderio di inflazione”.
È per questo, secondo l’ingegnere, che in Usa emergono
figure mai viste in primo piano come Bernie Sanders o giovani come Alexandria Ocasio-Cortez. Politici
le cui posizioni non sono estremiste ma
necessarie, “poiché la insostenibilità del sistema attuale che ha generato
tante ineguaglianze lascia poche speranze per il proseguimento dello status quo”.
Leggere da un imprenditore di questa centralità, non
ultimo nel sistema dei media, che il sistema attuale è insostenibile e non ha
speranza, in effetti è piuttosto impressionante.
Ed allora il business
as usual va considerato perso? Si.
Secondo l’ingegnere “le forze contro un ritorno sono troppo potenti”. Ovunque
cresce il populismo e diventa impopolare il capitalismo di mercato, con il suo individualismo edonista
malamente travestito da rivendicazione di diritti[2],
che era stata la cifra degli anni ottanta. Con esso le
sinistre[3].
Il rovesciamento avverrà intorno ad alcuni nodi: la riproposizione
di un conflitto strategico, questa volta con la Cina, che porterà il mondo ad
un assetto diverso dalla globalizzazione unipolare degli anni novanta; l’eccessiva
concentrazione di alcune grandi corporation[4],
come Google e Facebook o Amazon, ma anche gli indecenti profitti monopolistici
dell’industria farmaceutica; la finanza e le sue pratiche distorcenti, come il
buyback di azioni da parte delle corporation; l’andamento delle retribuzioni,
salario minimo e orario di lavoro.
Molti di questi temi richiedono un deciso aumento
della spesa, e quindi un ribilanciamento della tassazione. Ma anche, per
aggirare la difficoltà di ottenerla nel medio termine, diventa necessaria “una massiccia espansione
del deficit fiscale”.
Insomma, come è già avvenuto una volta, quel che era impensabile diventerà
nuovamente ovvio, e quel che era ovvio diventerà impensabile.
Uno degli strumenti di questo rovesciamento che De
Benedetti immagina è la Modern monetary
theory (Mmt) che nasce da una riflessione e radicalizzazione di idee
keynesiane che “dà un fondamento intellettuale al passaggio verso trend
inflazionistici rispetto a quelli deflazionistici che hanno caratterizzato gli
ultimi quaranta anni”.
Contrariamente alla retorica imperante negli ultimi
quaranta anni, mediamente quando il denaro accumulato vale di più (ovvero le merci si
deflazionano) guadagna chi ne ha, e quando vale di meno (perché i prodotti del
lavoro crescono di valore) guadagna chi produce. Insomma, da un'economia
rivolta a tutelare i capitali e le varie forme di rendita si passa ad una forma
economica rivolta a spingere la produzione ed il lavoro. In una società deflazionaria,
eufemisticamente nota come “della grande
moderazione”[5], il passato mangia il
futuro e la conservazione prevale sull'innovazione, mentre in una società
della crescita (inflazionaria, secondo la terminologia dell’ingegnere) è il
contrario. La società è più dinamica e mobile, il futuro si prende la sua
rivincita sulla rendita[6].
Del resto al termine del ciclo deflattivo è diventato tutto
insostenibile. E questa insostenibilità la sentono sulle loro spalle i “millennials”,
che quindi dismettono gli abiti post-moderni dei padri e tornano ad essere ‘materialisti’[7].
Sono “giovani ed indebitati”, non possono permettersi la spensierata leggerezza
dei “baby boomers”.
“Di conseguenza:
‘palla nera’ per deregulation, individualismo e disinflazione; ‘palla bianca’ per più
governo, più attenzione al collettivo, più inflazione”.
Ci vorrà tempo, ma la direzione è data.
[1] - In un autentico coro, che ormai
non riesce più a non riconoscere che la middle class occidentale è il vero
agnello sacrificale della globalizzazione neocapitalista, si può ricordare Bagnasco,
“La
questione del ceto medio”, Branko
Milanovic, “Mondi
divisi”, “Ingiustizia
globale”.
[2] - Si veda ad esempio, Mark Lilla “L’identità
non è di sinistra”.
[3] - Ad esempio si veda Luca Ricolfi “Sinistra
e popolo”, oppure il libro di Jonathan Friedman “Politicamente
corretto”, e Spannaus “La
rivolta degli elettori”
[4] - Secondo una recente
ricostruzione di Salvatore Biasco, per dire, l'80% dei profitti nel mondo è
prodotto dal 10% delle società, il 2% delle multinazionali (su una base di
oltre 40.000) possiede l'80% del controllo delle stesse, un nucleo ancora più
piccolo di 147 multinazionali, ne possiede il 40%, di queste 100 sono
finanziarie. A grandi linee 100 multinazionali finanziarie controllano qualcosa
come il 30% dei profitti nel mondo. Profitti che dipendono in parte molto
rilevante dall'appropriazione della proprietà intellettuale. Con la stessa
tendenza alla concentrazione bisogna ricordare che il 70% del commercio
mondiale dipende dalle multinazionali (e che, dunque, circa 400 multinazionali,
per lo più americane, generano più di metà del commercio mondiale).
[5] - Si veda questo vecchio post, “Compromessi
sociali, la grande moderazione”.
[6] - Anche se il focus è diverso
questo tema è trattato anche in Piketty, “Il
capitale del XXI secolo”.
[7] - Per questo schema “postmoderni”
vs “materialisti”, in funzione del soddisfacimento delle esigenze di base si
veda Ronald Inglehart, “La
società postmoderna”, e per una applicazione più politica Antony
Giddens, “Identità
e società moderna”.
Capito per caso in questo blog. Trovo un'apologia di una posizione di uno dei finanzieri più spregiudicati d'Italia che sembra auspicare più inflazione; e tutto questo "da sinistra", invocando una pseudo-teoria come la MMT. Rileggo, perchè mi sembra di diventar matto; e trovo invece conferma. L'inflazione spingerebbe la produzione e il lavoro! Ma andatelo a dire ai Tedeschi di Weimar o a chi, come me, ha visto i suoi primi stipendi (1980) mangiati mese dopo mese da un'inflazione del 24%, che il punto unico di contingenza non riusciva a seguire.
RispondiEliminaGrazie del commento. A parte il "mi sembra di diventar matto". Due cose: nessuna apologia di De Benedetti, il proprietario di La Repubblica non ha la mia simpatia e non la ha mai avuta, descrivo solo quel che ha detto. Sulla questione della inflazione (verso la deflazione, ovviamente), lei fa due esempi incongui, in quanto il primo è di iperinflazione (peraltro durata pochi anni ed in un clima di guerra civile combattuta, sia pure a macchia di leopardo, con centinaia di morti), il secondo è effetto della riduzione della scala mobile (da 1984) per effetto del Decreto di San Valentino. Scala mobile introdotta in Italia nel 1945 ed estesa tra il 1975 ed il 1977 mentre l'inflazione (in tutto l'occidente, essendo per lo più importata) saliva. Quella fiammata inflattiva ha origine geopolitica, ed è effetto del disordine dei primi anni settanta, non è un fenomeno normale. L'inflazione di cui qui si parla è fisiologica, nell'ordine di pochi punti percentuali, e c'è un largo consenso sulla sua desiderabilità (es. Stiglitz, Krugman, Hz-Joon Chang, Richard Koo, etc..).
EliminaQuanto alla MMT, si tratta semplicemente di una applicazione di concetti keynesiani, normalmente nella versione rafforzata, ma coerente, di Hyman Minsky. Una cosa piuttosto normale e tranquilla, su cui si può benissimo dissentire (ad esempio dissente il mio amico Sergio Cesaratto), ma non chiamare una 'pseudo-teoria'. Almeno se non si crede che l'unica teoria valida sia quella propagandata a schermi unificati in tutte le università occidentali e clamorosamente contraddetta dai fatti (che hanno testa dura) da almeno un decennio. Comunque anche qui, io riportavo solo quanto detto dal signore in questione (e questo riportava un semplice fatto: il Partito Democratico americano, in cerca di una razionalizzazione per aumentare la spesa e rispondere alle domande sociali, si sta rivolgendo anche alla MMT). Poi ognuno può valutare i fatti come vuole.
Elimina