Due
interventi sulla dinamica politica in corso, il primo è di Ugo Boghetta[1] e si intitola “Euro5stelle
e il governo uno e trino”, lo riporto integralmente:
“Con il voto per la
presidentessa della Commissione Europea Von der Leyen il M5S è ufficialmente in
maggioranza a Bruxelles. Questo potrebbe essere un passaggio del guado. Se
così fosse, avrebbe vinto la linea Conte e, forse, dell'ineffabile Di Maio.
Pure Salvini aveva pensato di votarla ma poi non ne ha fatto niente.
Probabilmente ha preferito tenersi le mani libere per cercare di incassare
altri aumenti elettorali. Non a caso il M5S e Conte stanno tentando, con la
proposta a Commissario della Buongiorno, di legare le mani anche alla Lega. Se
Salvini resisterà alla nomina di un legaiolo, apparirà come l'unico antagonista
dell'Unione. Che questo contrasto sia reale o finto ha poca importanza.
In questo modo la
situazione italiana si confonde ulteriormente.
Il voto dei 5S,
infatti, significa che con tutta probabilità il governo avrà qualche margine di
manovra in più, a parte accenni di commedia: la Von der Leyen ha già ammonito
che avremo il debito monitorato. Di conseguenza la prossima Finanziaria
comporterà un braccio di ferro fra M5S e Lega piuttosto che con la Commissione.
Del resto, in tempi
recenti il governo ha anche accettato di ridurre un poco il deficit e congelato
due miliardi su istruzione (fra le spese più basse dell'Unione) e sostegno alle
imprese (nonostante la stagnazione).
In questo modo si
allontana quella tensione positiva che il governo gialloverde aveva comunque
prodotto l'anno scorso verso le politiche unioniste.
A tutto ciò si deve
aggiungere il sì alla TAV del Presidente del Consiglio. Decisione che parla da
sola. E conta poco per pentastellati il rifugiarsi in un voto parlamentare che
li vede perdenti a tavolino.
La situazione del M5S è, dunque, destinata a complicarsi. Da una parte, infatti, dovrà moderare i toni verso Bruxelles (e non avere il nemico esterno è un problema, lasciarlo alla Lega è suicida). Dall'altra si avvicina pericolosamente alle posizioni piddine. Mentre Salvini continua ad avere le mani abbastanza libere anche se non è privo di difficoltà. Una di queste viene dal Presidente del Consiglio. Conte, infatti, avendo evidentemente preso gusto a fare il premier, sembra giocare una sua partita per ora e per il dopo. I cosiddetti poteri forti, più avanti, potrebbero pensare a lui come cavallo di prima scelta.
La situazione del M5S è, dunque, destinata a complicarsi. Da una parte, infatti, dovrà moderare i toni verso Bruxelles (e non avere il nemico esterno è un problema, lasciarlo alla Lega è suicida). Dall'altra si avvicina pericolosamente alle posizioni piddine. Mentre Salvini continua ad avere le mani abbastanza libere anche se non è privo di difficoltà. Una di queste viene dal Presidente del Consiglio. Conte, infatti, avendo evidentemente preso gusto a fare il premier, sembra giocare una sua partita per ora e per il dopo. I cosiddetti poteri forti, più avanti, potrebbero pensare a lui come cavallo di prima scelta.
Per il M5S questo comporta una tensione elettoralistica su due fronti: rispetto alla Lega verso cui ha già perso punti e verso il PD. Ma il problema, soprattutto, riguarda l'umore che avrà quella massa (38%) che aveva votato i pentastellati e invece si è astenuta alle regionali ed alle europee.
Il M5S non sembra
essere in grado di venir fuori dal cul de sac in cui si è cacciato. Non ne ha
la cultura politica. Anzi, è la sua cultura politica ad essere il problema. La
ricerca del consenso sondaggistico ora è suicida. Ne è una prova la riduzione
dei parlamentari in modo lineare ormai arrivata al capolinea nel silenzio più
totale: senza nessun vero dibattito, come fosse una misura amministrativa. Un
taglio tipo spending review. Sarebbe stato meglio, ad esempio, abrogare il Senato
per una semplificazione democratica. Tagliare i parlamentari in tutte e due i
rami del Parlamento, invece, alza in maniera significativa e la soglia di
entrata limitando la rappresentanza politica. Per altro verso, alzare la soglia
con la legge elettorale vigente, crea un maggioritario che rischia di favorire
l’odiato Salvini che in futuro potrebbe, lui sì, governare da solo.
In questo contesto, forse ha poco senso discutere se è meglio che il governo continui. Sembra aver esaurito la sua spinta propulsiva. Appare sempre più un ‘governo tecnico’. Certo c’è il riaffacciarsi mefitico della contrapposizione Lega/PD. Ma questo non lo si evitata abbarbicandosi ad un albero quasi secco.
In questo contesto, forse ha poco senso discutere se è meglio che il governo continui. Sembra aver esaurito la sua spinta propulsiva. Appare sempre più un ‘governo tecnico’. Certo c’è il riaffacciarsi mefitico della contrapposizione Lega/PD. Ma questo non lo si evitata abbarbicandosi ad un albero quasi secco.
Il problema, semmai, è
riflettere in via ipotetica su come e su cosa sarebbe meglio cadesse. Poiché il
modo di cadere non è neutro. Ci parla del possibile futuro.
Le grandi questioni
aperte sono tante. Per i 5S l'occasione per prendere in contropiede Salvini è
il Regionalismo Differenziato. Anche in questo caso però Conte sta preparando
il papocchio. Un papocchio gravissimo perché ogni compromesso è inaccettabile
stante l’enorme situazione di frammentazione dei diritti fondamentali. Al
contrario, bisognerebbe mettere mano alle modifiche al Titolo V. E
ricominciare, esatto, ricominciare ad attuare l’articolo 3 della Costituzione.
La situazione per certi aspetti è ottima, avrebbe detto Mao, ma la condizione dell'area sovranista-costituzional-socialista non lo è altrettanto. In primo luogo, La tensione strategica della rottura dell'Unione-euro si allontana a causa del governo gialloverde. In secondo luogo vengono al pettine carenze dovute all'approccio propagandistico noeuro e la difficoltà a trovare il bandolo della matassa in Italia. La problematica, infatti, andrebbe affrontata dal lato interno. Andrebbe posta a tema la: QUESTIONE ITALIANA. Un approccio che sembra non allettare perché richiede impegno, studio, sperimentazioni, verifiche. Serve conoscere quello che non si sa. Capire quello che non si capisce. Bisognerebbe chiedersi come riesce a stare in piedi un paese dove, apparentemente, non funziona quasi nulla sul piano economico, sociale, culturale, democratico, istituzionale. Dove c'è una crisi dei fondamentali: l'istruzione, la sanità, la giustizia, l'ambiente, i trasporti, l'acqua, i rifiuti. Dove ci sono più emigranti italiani che immigrati. E dove, a complicare il quadro analitico, i giovani emigranti sono in gran parte del centro nord e delle grandi città con alti tassi di occupazione.
La situazione per certi aspetti è ottima, avrebbe detto Mao, ma la condizione dell'area sovranista-costituzional-socialista non lo è altrettanto. In primo luogo, La tensione strategica della rottura dell'Unione-euro si allontana a causa del governo gialloverde. In secondo luogo vengono al pettine carenze dovute all'approccio propagandistico noeuro e la difficoltà a trovare il bandolo della matassa in Italia. La problematica, infatti, andrebbe affrontata dal lato interno. Andrebbe posta a tema la: QUESTIONE ITALIANA. Un approccio che sembra non allettare perché richiede impegno, studio, sperimentazioni, verifiche. Serve conoscere quello che non si sa. Capire quello che non si capisce. Bisognerebbe chiedersi come riesce a stare in piedi un paese dove, apparentemente, non funziona quasi nulla sul piano economico, sociale, culturale, democratico, istituzionale. Dove c'è una crisi dei fondamentali: l'istruzione, la sanità, la giustizia, l'ambiente, i trasporti, l'acqua, i rifiuti. Dove ci sono più emigranti italiani che immigrati. E dove, a complicare il quadro analitico, i giovani emigranti sono in gran parte del centro nord e delle grandi città con alti tassi di occupazione.
Basterebbe farsi una
semplice domanda: perché nonostante questa situazione in Italia non ci sono i
gilé gialli?
La domanda è semplice, ma le risposte non lo sono altrettanto. Eppure bisogna cercarle!”
Ugo Boghetta
Il
secondo articolo che vogliamo riportare è di Gabriele Pastrello[2], anche questo in forma
integrale, pur nella sua lunghezza, il titolo è “A chi conviene far cadere
il governo?”:
“Come si presenta oggi
la situazione se qualcuno, 5S o Lega, volesse andare a elezioni anticipate?
I 5S sono in croce per
aver perso il 50% degli elettori. Hanno un leverage in Parlamento grazie al
33% di seggi, ma non nel paese. Hanno due alternative: un governo di 'unità
nazionale’ col PD (e FI) - ovviamente né 5S né PD reggerebbero un governo
'politico’ insieme - per liberarsi di Salvini. Ma dato lo scarto col consenso assomiglierebbe
a un colpo di stato. E poi cosa combinerebbero col PD? Il 'più uno’ è la sola e
unica carta. Ma questa forse è la ragione per cui Zingaretti, vittima designata
di un 'più uno’ data la sua cromosomica moderazione, non ne ha una gran voglia.
Ma andare alle elezioni, certificare il crollo e poi consegnarsi comunque alla
maggiore capacità di manovra del PD (per lunga esperienza, anche se non per
capacità eccelsa), sembra un suicidio.
Il quale PD sta
litigando su due linee presunte diverse ma che hanno alla base la stessa
premessa che è: riprendersi i voti dai 5S è possibile; anzi è l’unica
possibilità di ripresa (i voti popolari se ne sono andati, non tornano, né interessano).
La prima, moderata, cioè zingarettiana e franceschiniana, sconta che nel breve
periodo gli elettori 5S non sarebbero disposti al ritorno, ma contano
sull’abbraccio mortale di governo col partito, ‘à la Mitterand’, per far
scattare nuovamente il ‘voto utile’. Quella di Renzi che pensa invece che
bisogna prima sfasciare del tutto i 5S, e solo dopo dare la caccia ai voti.
Ambedue le linee ignorano che circa solo l’1% del 33% degli elettori 5S, ha
votato PD alle europee. Cioè la grandissima maggioranza, al netto di quelli
tornati con Salvini, piuttosto che votare PD preferisce la coabitazione con Salvini
o l’astensione. Non una premessa esaltante.
Quindi ai 5S non resta
altro che tenere sotto pressione Salvini - per contenerlo, anche se ormai gli
resta poco da contenere - con gli scandali che i centri liberal-europeisti
anti-russi stanno montando pretestuosamente. (Bisognerebbe capire il perché di
questa recrudescenza. Che la Russia possa minacciare la democrazia in
Occidente, USA ed Europa, dall'alto della sua impotenza politica globale, è semplicemente
ridicolo. Però, evidentemente, come testa di turco residuato della psicosi
della guerra fredda sedimentata in decenni pare che un po’ funzioni - invece
del 'rosso sotto il letto’, 'il rosso nel computer' -, quantomeno tra le élite;
dubito tra gli elettori. E questo è un problema per loro. Si ostinano in una strategia
solo 'diffamatoria’ fino a qua perdente).
Quindi i 5S non sapendo
cosa fare pensano meglio restare al governo (è più conveniente anche
personalmente. ma io credo che questo sia un by-product non la ragione
principale della scelta. Restare è bello e anche buono).
Altra musica per Salvini.
Perché non va alle elezioni? la Lega tutta sbava, vede sullo sfondo circa un
raddoppio di deputati, di crescita di peso, di ministeri, prebende etc. etc. Con
l'alleanza con la Meloni la maggioranza assoluta è probabile. E quasi sicuramente
un pezzo di FI si staccherebbe da Berlusconi per una maggioranza numericamente
blindata. e allora perché no?
Incominciamo dal
fattore Mattarella. Pare che il presidente abbia abbandonato (quantomeno come
piano A) l'idea di un governo istituzionale del presidente (PD-5S-FI; si
direbbe a guida Conte come suggerito da Franceschini ed esplicitato da Mieli) per
un governo elettorale 'di garanzia’. Cosa vuol dire ‘di garanzia’? I governi
dimissionari di regola restano per l'ordinaria amministrazione e per
organizzare le elezioni. In questo caso, invece, verrebbe formato un altro
governo, ugualmente destinato alla sfiducia, ma che dovrebbe invece portare
alle elezioni.
Di quale garanzia c'è
bisogno? Non è chiaro. A meno che la garanzia necessaria non sia Salvini fuori
dal Ministero degli Interni, Ministero che sta presidiando con molta determinazione.
Certo che con Salvini privato di leve di controllo potrebbe succedere di tutto
durante la campagna elettorale. La bufala russa potrebbe diventare un elefante.
Personalmente non credo che l'elettorato salviniano ci farebbe molto caso ma le
élite liberal-democratiche mondiali, dagli USA a Roma, passando per Londra restano
convinte, nonostante le continue smentite elettorali, che queste strategie
diffamatorie funzionino.
Comunque se Salvini le
teme qualche ragione ce l'ha. Notoriamente il fango si deposita e difficilmente
evapora. personalmente ritengo lo scandalo russo una pressoché totale bufala. Che
traffichini vicini a Salvini abbiano pensato di inserirsi in grandi affari,
magari promettendo riconoscenza tangibile a chi li lasciasse fare (il che
sarebbe indubbiamente reato), mi pare ovvio (ne ho già viste altre di
situazioni in cui arrembanti ignoti cercavano di infilarsi in affari più grandi
di loro tra Italia e Russia).
Salvini è stato
scioccamente incauto a negare la conoscenza di Savoini quando anche un bambino
sapeva che sarebbe stata la prima cosa a saltare fuori. Pessima reazione
d'istinto, negare tutto. Ma che Savoini potesse entrare in un business tra ENI e
Rozneft grazie alla conoscenza di Salvini è puro dilettantismo. Salvini o Savoini
avrebbero dovuto rivolgersi a Berlusconi per sapere come si fa a interpolare
interessi privati in affari di stato con la Russia. Lui ne è un grande esperto.
Il fatto è che un'alluvione di rivelazioni sul tema anche se poi fossero
penalmente non rilevanti o solo poco, lo potrebbero costringere a una campagna
sulla difensiva. E comunque qualcosa di penalmente rilevante molto
probabilmente ci sarà. Anche se non quello che viene agitato.
E questo è un primo
motivo per non andare alle elezioni subito. La paura di uscirne politicamente
se non azzoppato comunque bruciacchiato, a danno delle sue grandi ambizioni.
Un secondo motivo è il
confronto con la UE. È il momento di cominciare a definire la Finanziaria per
il prossimo anno. Abbiamo evitato per un soffio la procedura di infrazione e
lo spread è calato. Ma dobbiamo ringraziare solo la crisi europea per questo.
Bruxelles aveva bisogno
dei voti italiani come si è visto. Fin dall'inizio, ricatto via pressione sullo
spread e richiesta di sostegno per gli equilibri della commissione, sono andati
di pari passo. E, alla fine, non puoi distruggere un paese se hai bisogno dei
suoi voti. Senza questo bisogno avremmo davvero visto i sorci verdi (quelli già
progettati da lontano nel documento dei 5 Saggi nel 2015, nel no-paper di Schäuble
del 2017 e nel progetto di riforma bancaria e unione monetaria del 2018).
Ma, per fortuna nostra,
i cantori dell'europeismo anti-populisti raccontavano frottole quando entusiasticamente
decretavano la fine della minaccia populista: cioè la prospettiva della
conquista della maggioranza al Parlamento europeo da parte dei partiti
‘populisti’. Una minaccia mai esistita peraltro (come non era mai esistito -
come mi disse un autorevole sondaggista - il presunto sorpasso dei 5S sul PD
nelle europee del 2014; pericolo però sbandierato ossessivamente dai media, e
che contribuì al 41% di Renzi). Che i partiti 'populisti’ potessero conquistare
la maggioranza nel Parlamento europeo era semplicemente una favola (e se lo
dicevano loro era solo la classica propaganda mobilitante preelettorale). Si capiva
bene anche prima, dai sondaggi, che non sarebbero andati al di là del 30-35%.
La campagna anti-populista
in realtà ha funzionato un po’, probabilmente, tenendoli al di sotto del 30%. Ma
questo risultato, invece di segnare la fine della crisi politica europea ne ha
mostrato tutta la gravità. Infatti gli elettori, pur accorsi in parte a fermare
il ‘populismo’, si sono ben guardati di premiare l'asse del Bene, lo storico bastione
dell'europeismo, la Grosse Koalition europea (in analogia con quella tedesca):
i due partiti principi del parlamento da sempre. Partito Popolare Europeo e Partito
Socialista Europeo, i quali sono invece sono passati dal 55% dei seggi al 45%,
perdendo seccamente la maggioranza assoluta, da sempre perno della stabilità
politica europea.
Per gli ottimisti, sarebbe
bastato sommare a quel risultato i seggi dei Verdi e dei Liberali per una
nuova maggioranza del Bene europeista dell'oltre il 60%. Ma i numeri si
lasciano sommare senza protestare. I partiti molto meno. La Von der Leyen non
ha avuto i voti dei Verdi e dei Liberali. a dimostrazione che la crisi europea è
ben più profonda delle superficiali contrapposizione europeisti-populisti. e
ancora peggio non ha avuto neppure 'tutti’ i voti popolari e socialisti. Il che
non preannuncia un autunno facile in Germania per la Grosse Koalition tedesca. E
ha avuto invece voti dei populisti polacchi e ungheresi, più i 5S italiani, voti
che possono essere sempre revocati.
Se finora il Parlamento
europeo non aveva mai messo i bastoni sulle ruote della Commissione, la
situazione che si apre potrebbe far venire tentazioni. Tutto ciò, sommato al
fatto che Sanchez (acclamato mesi fa come l'araldo della vittoria europeista
contro il populismo) non sia riuscito a fare il governo in Spagna, è un chiaro
sintomo della crisi strisciante. per non parlare dello scontro sul Brexit,
Scontro che la
prepotenza europea e il servilismo (nonché l’arroganza antipopolare di pretta
marca liberale) di parte della ruling class britannica hanno portato vicino al
punto di rottura dell'uscita senza nessun accordo. Esito quasi impensabile fino
a un anno fa; ma provocato dall'imposizione di una clausola umiliante negli
accordi (il cosiddetto backstop: cioè, o l'UK resta nel Mercato comune e il Brexit
è solo di nome - una presa in giro del Referendum - o, se vuole davvero uscire
dal Mercato comune, molla l'Irlanda del Nord). Clausola che ha provocato le
dimissioni della May e una reazione di opinione pubblica che ha portato al
governo un team che pare deciso a giocare a ‘va banque’ sul no-deal (i dirigenti
europei non ci credono, ma se non lo facesse Johnson sarebbe finito prima di
cominciare).
Ma questa crisi è tutta
in fieri. non si è ancora sviluppata. E se oggi Salvini facesse cadere il
governo, andasse a elezioni, magari le vincesse e diventasse Presidente del Consiglio,
si troverebbe nella scomoda posizione di dover promettere di mantenere le
promesse fatte (Flat-Tax, ad esempio; uno sforamento dei conti intollerabile
per l’UE) avendo però davanti ancora la vecchia Commissione (piena della sua
arroganza imperiale paneuropea) che volentieri si assumerebbe il lavoro sporco
di mettere le premesse per umiliare l'Italia (richieste ultimative di rispetto
dei parametri e esplosione dello spread) lasciando alla nuova il compito di
gestire la posizione di vantaggio acquisita.
Tutt'altra situazione
con il governo in carica. Non vi è dubbio che Conte e 5S abbiano aperto crediti
a Bruxelles, non solo passati, ma futuri, nella misura i cui la maggioranza
raccogliticcia della Von der Leyen, non è proprio il massimo della stabilità
(v. polacchi e ungheresi).
E quindi un do ut des
con l'Italia è pensabile. Certo un do ut des all'interno dei vincoli europei,
quindi al massimo limitate flessibilità. Però neppure minacce di infrazioni che
automaticamente danneggiano paese e bilancio aumentando lo spread. Certamente questi
limiti, se danno respiro al governo, però tarpano le ali alle promesse di Salvini
- in primis Flat-Tax - come pure alle promesse vaghe di rilancio economico del
paese.
Va anche aggiunto che
questa situazione può aprire conflitti dentro la Lega. Il corpaccione politico
della Lega - amministratori in primo luogo, ma anche centri di potere economico
collegati sistematicamente - è sommamente disinteressato ad aprire conflitti
con l'Europa. A loro basta mettere le mani sui fondi per finanziare le Grandi
Opere, sui fondi europei che già toccano alle regioni e sulle possibilità che
un governo della Lega può aprire, senza parlare che parte della Flat-Tax potrebbero
farsela da soli con la regionalizzazione differenziata.
Ma questa non può
essere la linea di Salvini. Se non 'consegna’ la Flat-Tax a tutti gli elettori
di tutte le regioni, e un po’ di rilancio per tutto il paese, rischia molto. Il
caso 5S è un monito. Hanno promesso il reddito di cittadinanza. Hanno dato solo
spiccioli e a pochi. Il consenso al Sud è crollato dimezzando il partito
nazionale.
La novità di Salvini è
aver trasformato la Lega in partito nazionale. Ma, se il corpo politico del Nord
impone la propria visione e i propri interessi, sarà difficile mantenere la
presa politica in altre zone dell'Italia; che è quella che sta facendo la differenza
tra il 15% storico della Lega (Nord), e l’attuale percentuale fino quasi il 35.
E la politica sull'immigrazione potrebbe non bastare.
Quindi Salvini deve
fare l'equilibrismo su una linea stretta. Perché a lui converrebbe forse tenere
aperto il conflitto dentro il governo, precostituendo una linea preelettorale presentandosi
come quello che vorrebbe fare di più, ma ne è impedito dall'obbedienza
europeista dell'alleato, i 5S. I 5S ovviamente possono non gradire molto, ma almeno
con il loro europeismo di risulta si coprirebbero dal lato PD, e comunque
restano al governo, il che, data la caduta di consenso, può dare loro il tempo
necessario per riorganizzarsi e prepararsi per una nuova linea. Mentre se
uscissero adesso dovrebbero affrontare i contraccolpi essendo del tutto allo
sbando all'interno.
Con un'elezione a
primavera intanto la crisi europea potrebbe svilupparsi e rendere più chiari i
termini degli equilibri. Il Brexit potrebbe aver aperto una guerra fredda con
l'Europa (come da più parti ormai si dice), potrebbe essersi aperta (anzi, quasi
sicuramente lo sarà) una crisi della Grosse Koalition. Con la drastica caduta
di voti e sondaggi, l'SPD non può assolutamente continuare nell’appoggio
subalterno alla CDU. Quantomeno ci dovrà essere una lunga e durissima
ricontrattazione sul programma di governo (tenendo a mente che la CSU - junior-partner
di destra della CDU - il cui candidato presidente è stato silurato, sarà un ostacolo
non piccolo ad accordi). E restano le crisi spagnola, e forse anche quella
francese (i ‘gilet gialli’ sono davvero estinti?).
In queste condizioni la
Commissione, ma più in generale il vertice europeo, potrebbe avere problemi più
impellenti che non aprire un fronte conflittuale duro con l'Italia. Per non
parlare della resa dei conti definitiva con questo paese, già adombrata negli
articoli dell’economista tedesco Sinn del 2011 e 2012, in cui si parlava di
possibile uscita dall'euro, pensando in primo luogo alla Grecia, ma subito dopo
all’Italia, poi al rapporto dei 5 Saggi che esigeva un'espulsione ‘automatica’
dei paesi fiscalmente indisciplinati (in primis Grecia, ma poi l’Italia), e poi
il no-paper del 2017 e i vari progetti nel 2018 che avrebbero messo l’Italia in
estrema difficoltà, se non a rischio Trojka. Un governo leghista certo non si
vedrebbe fare nel 2020 ponti d'oro, ma forse neppure minacciare sfracelli, dati
gli altri fronti conflittuali aperti.
Per cui, nonostante
tutto, parrebbe più conveniente sia ai 5S che alla Lega, continuare questa
insopportabilmente conflittuale coabitazione per aspettare tempi migliori per ambedue
per andare alle elezioni.
Ma si sa l’uomo propone
e Dio dispone. O magari anche manine o manone di servizi”.
Gabriele Pastrello
I
due testi partono dalla formazione della Commissione Europea e dal voto di
fiducia che il M5S ha, risultando decisivo, reputato dovergli dare. Si tratta
di un evento spartiacque, in quanto il ‘movimento senza forma’ (ideologica),
con questo atto sceglie di assumere la forma più solida tra quelle oggi presenti
sulla scena politica europea: quella dell’europeismo di governo.
Ma
questo evento sembra aprire una frattura (ulteriore) tra le due forze di
governo le quali se avevano qualcosa in comune era l’opposizione al governismo
del centro politico, e quindi al suo europeismo.
Come
scrive Boghetta, “in questo modo la situazione italiana si confonde ulteriormente”.
Ciò
significherà che il governo cadrà? Né Boghetta, né Pastrello (soprattutto) lo pensano,
anzi, in effetti anche se non è probabilmente una manovra concertata (in una
logica “dei due forni” che richiederebbe ben maggiore controllo politico)
questa divaricazione allargherà gli spazi di azione verso Bruxelles. Ma ciò non
significa, ha ancora ragione Boghetta, che il polo “Lega” del governo sia meno
europeista, o meno subalterno alla logica di controllo esterno (o “vincolo esterno”)
che l’architettura istituzionale europea impone.
D’altra
parte Pastrello evidenzia come i 5S non abbiano margini strategici per sfuggire
da questo governo.
La
Lega immagina di avere da guadagnare dalle nuove elezioni (probabilmente anche
grazie alla riduzione dei parlamentari, che favorisce come ovvio, e sottolinea
Boghetta, i partiti di maggioranza relativa nei diversi collegi). Ma c’è il
rischio che le forze europeiste e il Presidente Mattarella che ne interpreta ed
esprime l’orientamento impongano un “governo di garanzia” (a guida tecnica). Con
l’opportuna pressione esterna (e magari un attacco dei “mercati” pilotato)
qualcuno potrebbe sperare che ottenga la fiducia dal Parlamento. Pastrello non
la prende in considerazione e penso abbia ragione, a nessuna forza davvero
conviene intestarsi un governo debole, continuamente a rischio e pur tuttavia
chiamato ad intestarsi un’altra dose di “sacrifici”[3]. Allora l’eventuale “governo
di garanzia” in effetti dovrebbe solo impedire che sia Conte, con Salvini Ministro
dell’Interno, a gestire le elezioni anticipate. Ma in questo caso cadrebbe per
la Lega la garanzia di un controllo sugli apparati dello Stato nella delicata
fase della compagna elettorale, e qualche rischio (leggi inchieste sul finanziamento
russo) c’è, pur se bufala, come dice bene Pastrello.
Inoltre
l’entrata del 5S nella maggioranza che sostiene il governo europeo è certa
promessa di guai, se si va alla rottura.
Quindi
Salvini rischia a rompere sia nella gestione delle elezioni, sia, e più, nell’eventuale
governo che potrebbe formare insieme alla Meloni. Come giustamente sottolinea Pastrello
la situazione europea continua ad essere sull’orlo di una crisi politica molto
grave, che potrebbe scaricarsi, con il via libera degli ex soci dei 5S, su un
governo chiamato a mantenere promesse elettorali mentre tutto rallenta.
Ma
poiché la base sociale della Lega, in modo non dissimile da quella degli altri ‘partiti
di equilibrio’, è tutto meno che antieuropeista[4], si tratta di uno scenario
(restare soli a sostenere l’urto della contraddizione palese tra la politica
nazionale, che impone politiche di stimolo audaci, e le logiche europee, che
obbligano alla ‘austerità’ e crescente) nel quale le tensioni interne crescerebbero
enormemente.
E
qui si profila dunque tutta la complessità della equazione politica che ha reso
possibile il momento: anche se non in modo programmato è stata
ripetuta nei fatti la mossa compiuta da Berlusconi al suo esordio, unire un doppio
populismo a radicamento territoriale parziale per fare una maggioranza[5], mettendo insieme due
nemici strutturali che, però, avevano in comune un nemico principale nel
duopolio sconfitto Partito Democratico e Forza Italia. Tuttavia la Lega aveva
il problema di dover crescere verso il sud, smarcandosi dalla ridotta nordica
che determinava un tetto alla crescita, e il M5S, che al sud aveva la sua
roccaforte, il problema di trovare una forma. La prima, che è la cosa più
vicina ad un Partito nello scenario politico italiano, era cresciuta dalle
bassezze della fase Maroni grazie alla mossa del cavallo di spostare il peso
della contrapposizione dalla lotta a “Roma ladrona” ed al “sud parassita” verso
l’esterno (l’Europa). Complice una crisi che non passa questa mossa aveva
aperto spazi di crescita sia al nord sia al centro-nord, grazie alla crisi
renziana del corpo elettorale della sinistra PD. Ma ora la Lega era al governo,
e doveva estendere la strategia verso sud, cercando di salire oltre il 18% ca.
ad una dimensione nazionale più autosufficiente, e quindi in contatto con il “nemico”
europeo.
Tuttavia
l’Europa è tutto meno che un nemico per buona parte della sua base sociale
tradizionale, e quindi si è cercata una mossa disperata (ma di successo nel
breve termine): la “doppia distrazione” della polemica sui vincoli, ma senza
mordere, e della faccia feroce sull’immigrazione. Se la seconda ha portato
cospicua dote, anche grazie alle reazioni automatiche della sinistra, la prima però fa crescere le tensioni interne. E comunque sono entrambe strategie a caduta
tendenziale del profitto. Fino che dura questa doppia distrazione produce il miracolo politico dello sfondamento della Lega (ex “nord”) anche al sud e
quindi la speranza di poter andare al governo del paese (quasi) da sola.
Ciò
è stato reso possibile, ovviamente, dal fallimento del M5S, incapace di fare
politica visibile e di dare il senso di avere un progetto nel momento in cui le
sue proposte-bandiera sono state svuotate.
La
sostanza della politica portata avanti dalla Lega si mostra invece in politiche come
la “flat tax” (che avvantaggia e fa sperare alle proprie clientele, in particolare
al centro-nord) e il “regionalismo differenziato” (che colpisce direttamente il
“sud parassita”), ma queste politiche sono a somma politica zero: mentre coltivano il nord scavano il consenso al sud, aumentando il rischio
di volatilità della posizione di forza acquisita.
A
questa fase della dinamica tuttavia l’equazione politica sembra risolta: la Lega ha
mangiato il consenso al sud del M5S e ha tenuto contemporaneamente il suo al nord; tutti guardano
ai “nemici esterni” e la base sociale interna aspetta i due premi lungamente
attesi.
Ma,
come scrive Pastrello, “Salvini deve fare l’equilibrismo su una linea
stretta”. Non può davvero andare allo scontro con l’Europa, e tanto meno
con la Germania, intrecciata con l’economia del nord del paese e con le sue
borghesie, ma senza farlo non può consegnare alcuna “merce” (tanto più essendo
all’opposizione del governo europeo, cosa alla quale è stato costretto dalla
forza della sua stessa retorica elettorale). Fino a che sta al governo con un
partner (ormai junior) può scaricare sui suoi numeri parlamentari ridondanti la
responsabilità dell’inefficacia, ma se andasse da solo dovrebbe sciogliere il
nodo e l’equazione salterebbe irrimediabilmente.
Come
argomenta efficacemente Pastrello può essere allora meglio attendere e sperare
che in primavera, tra brexit e crisi della “Grosse coalition” (e chi sa cosa
nel quadro internazionale in evoluzione), la situazione sia tale da impedire a
Bruxelles di aprire il “fronte sud” della guerra europea.
Resta
il punto politico: il governo ha abbastanza chiaramente
esaurito qualsiasi spinta propulsiva che gli si voleva attribuire da parte di
alcuni, Boghetta lo chiama “un albero quasi secco”. E ci sono sul tavolo almeno
due progetti che distruggerebbero la sostanza del paese: la riforma fiscale e
il regionalismo differenziato.
Con
un governo nel quale lo scontro di classe (quel che si intravedeva nel
risultato di marzo) sta scivolando sul fondo, e le vecchie e storiche élite
riprendono il sopravvento nell’una come nell’altra forza di governo, meglio allora
tentare le urne che consentire il completamento del tradimento. Una coalizione
nata per dare risposta alle tante periferie, schiacciate dal network dei poteri
interconnessi alla dinamica polarizzante del progetto di potenza imperiale
europeo, sta finendo per rovesciarsi in un ulteriore puntello, a causa della
sua insipienza e per le sue contraddizioni strutturali.
Certo,
si potrebbe dire, c’è il rischio che la caduta per sfarinamento, sotto il peso
delle tante contraddizioni e delle opposte agende (diagonali alle stesse forze),
della formazione governativa apra la strada a soluzioni “montiane”, o anche
peggio. L’analisi condotta dai due autori sopra citati tenderebbe ad escludere
l’imminenza di tale rischio; è più facile che si insedi un governo elettorale,
relativamente innocuo, e poi si vada al confronto elettorale. Ciò che emergerà
da questo dipenderà da come e su cosa è avvenuta la rottura, dal quadro nel
quale avverrà e dall’orientamento che prenderà l’enorme massa di elettori
scontenti e disillusi.
Ma
soprattutto, si può temere ogni cosa ma da una sola bisogna davvero guardarsi: dalla
paura. Dare la parola alla democrazia, alla fine, è la cosa giusta, davanti
alla prospettiva di una lenta consunzione che continui ad allargare la forbice
tra i bisogni del paese e le risposte che la politica riesce a produrre.
Boghetta
propone quindi un’agenda che rifiuta la paralisi strategica creata dalla paura
di ciò che potrebbe venire dopo:
1- opposizione
intransigente, costi quel che costi, ai progetti della
Lega (Nord) e ripresa del tema dell’attuazione dell’art 3 della Costituzione
Italia; effettiva eguaglianza.
2- Ripresa
del lavoro di comprensione del paese, che sembra costantemente
sull’orlo di una crisi sociale e politica terminale, ma che non si muove, perché?
Sono
due ottime proposte.
[2] - Non
pubblicato, con il permesso dell’autore.
[3] - Cantilena,
quella dei ‘sacrifici’, iniziata nei primi anni settanta e mai terminata,
ovviamente sempre a danno dei soliti.
[4] - Su
questa analisi si veda, “Giochi
di specchi ed equivoci. Il caso della Lega” e poi “Discussioni
sull’Italia. Lotta nazionale e/o lotta di classe?”, eventualmente anche “Antonio
Gramsci, ‘Notarelle sul Machiavelli’”.
[5] - All’epoca
il Polo delle Libertà (alleanza tra Forza Italia e Lega) e il Polo
del buon Governo (alleanza tra Forza Italia e Alleanza Nazionale), crearono
una doppia maggioranza che trovava equilibrio solo nel ruolo per questo centrale
di Forza Italia.
La situazione economica dell'Italia attuale è profondamente diversa da quella che si respirava nel 2011 quando il Presidente Napolitano mise in campo Monti. Allo stesso tempo è profondamente differente anche la situazione dell'UE e, al suo interno, degli altri 4 grandi Paesi dell'Euro Area.
RispondiEliminaPer comprendere bene questo credo sia utile ricostruire quale era lo stato dell'arte in quegli anni e cosa è successo.
Allora il problema Italia era montato perché, da un lato la situazione economica dello stivale si era fortissimamente deteriorata (il debito estero netto superava il 30% del PIL) e, dall'altro, le Banche Francesi e Tedesche, che avevano da poco scampato il pericolo di fare la fine della Lehman grazie ai soldi ricevuti, via le terze mani del governo greco, dal neonato fondo ESFS, potevano tranquillamente diventare il braccio operativo della Commissione Europea che voleva mettere in riga il nostro Paese, shortando i BTP.
La Grecia, la Spagna, il Portogallo, e l'Italia erano, a vari livelli, dipendenti dal flusso di risparmio dei paesi Core (fra i quali, allora, era ascrivibile anche la Francia che aveva conservato a fatica una posizione patrimoniale verso l'estero positiva). L'esplosione della crisi Greca aveva bruscamente e definitivamente interrotto questo flusso finanziario. Le banche del Nord, che continuavano ad avere eccedenza di risparmio ed erano state salvate dalle 2 crisi via prestiti statali diretti (caso Lehman) o indiretti (Grecia Portogallo e Spagna) tramite l'ESFS poi trasformato in ESM, avevano chiuso i rubinetti del finanziamento. Grecia, Portogallo e Spagna si erano adattate al nuovo regime. Berlusconi era molto più recalcitrante a farlo. Andava fatto Fuori. Così fu.
Ora che tutti erano allineati, la Germania e la Francia potevano dare il via alla BCE per convincere definitivamente i mercati che l'Euro non sarebbe esploso. Draghi ebbe carta bianca a muoversi sia nelle fase del What ever we Take, sia nella successiva fase di deflazione con il QE. La visione tedesca del mondo (Crescere sfruttando il consumo degli altri) era definitivamente diventata la politica dell'intera Euro Area.
Ed infatti tutti i paesi del sud hanno dovuto, in quegli anni, operare una forte deflazione interna per ritornare ad essere competitivi e far sparire il segno meno dalle partite correnti.
Anche l'Italia fece la sua parte, ma Monti, da bravo studente e convinto assertore della Austerità Espansiva, fu diligentissimo e, a differenza di quanto facevano Spagna e Portogallo, non cercò di mitigare la feroce deflazione interna usando la leva del defict di bilancio. Il risultato è noto e, oramai, accettato anche da chi invocava quelle tragiche scelte. Tanto per essere chiari, il problema di aver ammazzato i consumi per azzerare il deficit di parte corrente e, allo stesso tempo, rispettare le regole del Fiscal Compact, non è stato solo la recessione che ne è scaturita, ma, soprattutto, aver distrutto una bella fetta delle Imprese di Beni e Servizi che avevano nel mercato interno il loro principale acquirente. Questo tessuto imprenditoriale sarà molto difficile da ricostruire (se mai ci riusciremo). Io credo che sia ascrivibile a questa doppia sciagurata scelta se ancora oggi il nostro PIL è inferiore di oltre il 4% rispetto al 2007.(Segue)
Segue
RispondiEliminaPero gli anni sono passati e ciò che è sopravvissuto alla Distruzione Creatrice è diventato molto più forte.
Oggi l'Italia ha, dopo Olanda e Germania, il terzo più alto surplus di Partite Correnti dell'Euro Area.
Oggi il vero "malato" è la Francia che dal 2009 ha visto la sua bilancia commerciale diventare negativa, ha progressivamente accumulato deficit finanziari verso l'estero ed oggi si trova esattamente con un Debito Netto verso Non Residenti di circa il 30% del PIL: come l'Italia del 2011!
E più sostiene la sua economia, attraverso il Deficit di Bilancio, più il debito cresce!
Dal canto suo la Germania, che ha rigorosamente ridotto il Debito/PIL a meno del 60%, sta scoprendo che solo la domanda estera non è più sufficiente per crescere. L'industria tedesca, che negli anni aveva progressivamente fatto fuori tutti i concorrenti dell'Euro Area, batte in testa, compressa sia da un aumento del costo del lavoro maggiore di quello fatto registrare dai suoi concorrenti (Noi e la Spagna in primis, sia dal deterioramento delle infrastrutture per la mancanza di investimenti pubblici. Anche a Berlino dovranno tornare a fare politica fiscale espansiva, pena una fortissima tensione popolare.
Se questo quadro che ho disegnato corrisponde al vero (e così dovrebbe, essendo basato sui dati dell'Eurostat), la nuova Commissione Europea avrà molti più problemi da affrontare, in sede di leggi Finanziarie autunnali, non solo "l'anomalia Italia". Macron ri-presenterà un Deficit superiore ai limiti. La Spagna farà altrettanto. La Germania, che ha spazio da vendere, dovrà usarlo. Oltretutto si entra in questa fase con al BCE senza molte armi a disposizione.
A chi può convenire riportare l'attenzione sull'Italia?