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sabato 14 marzo 2020

Andre Gunder Frank, “Sul sottosviluppo capitalista”




In questo libro[1], edito nel 1970, che raccoglie alcuni manoscritti che datano tra ottobre e novembre del 1963 e sono stati scritti a Rio de Janeiro, Frank abbozza per la prima volta la sua posizione teorica che poi troverà maggiore esplicazione dei suoi scritti della fine degli anni sessanta[2]. Lo stesso Frank, nella prefazione, individua questi scritti come l’origine della propria posizione teorica e della posizione fondamentale di critica all’ipotesi di una società stratificata, nella quale siano compresenti, ma separate, forme di società sostanzialmente diverse.


Siamo dunque in Brasile, vediamo un poco di contesto. Nel 1963 era ancora in carica il governo costituzionale, che durerà fino al 1 aprile 1964, quando un colpo di stato militare guidato dal maresciallo Humberto de Alencar Castelo Branco, appoggiato come d’uso dagli Stati Uniti, lo rovescia. Il governo costituzionale di Joan Belchior Marques Goulart[3], che era un ricco proprietario terriero di origini portoghesi, aveva proprio in quegli anni ripristinato con un plebiscito i suoi poteri presidenziali (in precedenza condivisi con l’élite militare) e stava affrontando una severa crisi economica, con inflazione all’80%. In queste difficili condizioni il suo ministro, Celso Furtado, tentò la via di nazionalizzare le compagnie petrolifere e avviare la riforma agraria. Sarà questo evento ad avviare il riorientamento del pensiero dello sviluppo sudamericano verso la rilettura del marxismo che passerà sotto il nome di “teoria della dipendenza”. La versione marxista si organizzerà in Brasile intorno alle figure di Ruy Mauro Marini[4], Theotonio Dos Santos[5], Vania Bambirra[6], e soprattutto in Cile con Andre Gunder Frank.
Il ciclo della “teoria” è dunque compreso entro due colpi di stato sudamericani, quello in Brasile e quello in Cile di nove anni dopo.

Frank parte dallo studio di Yves Lacoste, “I paesi sottosviluppati[7] nel quale il geografo francese evidenzia come i paesi cosiddetti sottosviluppati non possono essere compresi se li si astrae dalla influenza straniera, e, inoltre, dichiara che “il sottosviluppo deriva fondamentalmente dall’intrusione del sistema capitalista”. La questione è se ciò implichi anche che ci sia una connessione sistematica tra questo, il sottosviluppo, e la colonizzazione. La risposta di Frank è che la connessione è presente a condizione che si comprenda il termine in senso allargato e nella sua relazione strutturale con l’imperialismo[8].
Come scrive:

In breve ‘coloniale’, ‘imperiale’ e, io direi ‘capitalista’, si riferiscono tutti a uno stato di relazioni, e in modo particolare ad un sistema di relazioni in cui dominazione, super-subordinazione, sfruttamento, ecc. – e io vorrei aggiungere naturalmente, sviluppo e sottosviluppo – giocano un ruolo centrale[9].

Alcuni esempi che si prestano perfettamente per definire questa relazione, ma nella forma di “colonizzazione interna” sono per Frank il mezzogiorno italiano ed il sud degli Stati Uniti, e l’Irlanda. La questione dirimente è se quando si sviluppa un movimento coloniale si avvia davvero una relazione di dipendenza: la cosa non è automatica, ad esempio non è avvenuto con la Gran Bretagna verso gli Stati Uniti (nei quali i coloni erano andati con i propri capitali, che avevano investito in loco, sviluppando il paese in ultima analisi indipendentemente). Si ha invece una relazione coloniale piena quando si ha conquista politica, la qual cosa determina la decisiva circostanza per la quale le aree sottosviluppate sono costrette in un rapporto ineguale che porta contributi a quelle sviluppate, essenzialmente spostando in queste il surplus economico, mentre i centri dominanti sfruttano dissimmetrie organizzative e di mercato. Si tratta di processi nei quali i guadagni ai vincitori e i danni ai vinti non sono commisurati.
In questo passaggio cade il concetto di “surplus economico”, mobilitato da Frank con espresso riferimento alle teorie di Paul Baran[10], a Celso Furtado, Marvin Harris[11], Marshal Sahilns[12] e Raul Prebisch. Nel prosieguo, nel costruire la sua posizione vengono citati i processi di causazione circolare e cumulativa di Gunnar Myrdal[13] e criticata la concezione progressiva e continua di sviluppo economico di Rostow[14]. L’elemento cruciale è il controllo che le metropoli esercitano sull’esistenza dei settori chiave o decisivi nelle economie sottosviluppate, attraverso il controllo sulle loro borghesie locali. In tutti i casi noti, India, Cina, Africa, si passa per la creazione di economie dedite alle esportazioni, ed estrattive, e che sviluppano forme di controllo dall’interno in una spirale che si sviluppa ed alimenta da sé.
La tesi è dunque che “il sottosviluppo come lo conosciamo noi oggi, come lo sviluppo economico, sono prodotti simultanei e relativi dello sviluppo su vasta scala e di una storia di almeno più di quattro secoli di un unico sistema economico integrato: il capitalismo”[15]. In questo processo una parte sfrutta l’altra, nonostante ridiffonda in essa alcuni frutti.

nonostante ne risulti un concentramento regionale in regioni sottosviluppate e settori sottosviluppati in regioni sviluppate come conseguenza dello stesso processo di un irregolare sviluppo capitalista. La contraddizione fra sviluppo e sottosviluppo può essere associata alla contraddizione fra una classe e l’altra, quella tra i beneficiari dello sfruttamento e quanti allo sfruttamento contribuiscono nel processo dello sviluppo capitalista[16].

Si tratta di un “complicato sistema multiplo di stratificazione”, nel quale il termine chiave “capitalismo” va attribuito ad “un unico sistema economico e sociale su scala mondiale”, il quale risale nei secoli e non va riferito solo al relativamente recente fenomeno dell’industrializzazione. Qui c’è la traccia originaria di una polemica che infine scoppierà alla fine degli anni novanta, ovvero trenta anni dopo[17].
Intanto in questo scritto del 1963 si avvia la polemica che Frank svilupperà costantemente verso le teorie dello sviluppo latinoamericane di scuola keynesiana (ma anche alcune marxiste) che attribuivano alla borghesia un ruolo intermedio progressista, dovendo in una prima fase combattere, “il feudalesimo”. Questo per Frank è invece, in particolare nelle colonie sudamericane, importato ed imposto dalle relazioni capitaliste esterne (in prima fase di tipo mercantiliste); è dunque “di tipo europeo”, ma con una fondamentale differenza: si tratta di strutture sociali ed economiche “aperte”, mentre un feudo è per definizione una formazione sociale “chiusa”. Dunque, le strutture locali di dominazione non sono “feudali”, ma capitaliste. Ne sono il prodotto nella condizione della dipendenza.
Anche distinguere tra una fase “mercantilista” ed una “capitalista (industrialista)” è un errore di prospettiva, le somiglianze sono più importanti delle differenze. Si tratta di un unico processo continuo che, per certi versi non è finito. I paesi sottosviluppati vivono ancora in quello che per loro è un sistema mercantilista, perché nessuno ha ancora creato uno sviluppo industriale realmente indipendente che non sia stato dopo pochi anni reincorporato, dal punto di vista del mondo sottosviluppato, nel sistema essenzialmente mercantilista guidato dalle “metropoli”.
È questo che istituisce l’imperialismo. Il termine per Frank non va inteso come un “impero” di alcuni paesi particolari, ma, nel quadro della “teoria della dipendenza” della quale qui si pone l’assiomatica, “essenzialmente come un certo tipo di rapporto fra metropoli o i suoi membri e la periferia. Questo è il modo in cui Lenin intese il concetto, cioè il modo in cui Marx e Smith e probabilmente Petty prima di loro lo intesero”[18]. Imperialismo è dunque un’espressione che incorpora ed interessa tutto il sistema capitalistico contemporaneo. O, per dirlo in altre parole:

“l’imperialismo contemporaneo non si ferma davvero al monopolio coloniale classico; le sue vittime sono ‘libere’. Non prende primariamente la forma di investimenti di titoli, ma piuttosto di investimenti diretti in una forma relativamente nuova. Prende la forma relativamente minore dell’estrazione di materie prime, nonostante il petrolio giochi ancora un ruolo importante, ed appare in misura crescente come esportazione e produzione straniera di innumerevoli merci industriali, agricole, e culturali e di servizi. Inoltre in misura crescente, coinvolge meno la produzione metropolitana di queste merci o di questi servizi di quanto non coinvolga il controllo metropolitano e lo sfruttamento di questo processo che avviene altrove”[19].

Il processo avviene infiltrando il capitale nei paesi sottoposti, comprando quel che c’è e creando rapporti dominati, nel quali il paese ormai incorporato subisce l’estrazione del surplus (attraverso varie tecniche, i diritti di proprietà intellettuale, il servizio del debito, etc). In questo modo gli anni del dopoguerra “sono stati un periodo di sempre maggiore incorporazione delle economie sottosviluppate nel vasto sistema capitalista-imperialista, penetrandone sempre più profondamente, legandole sempre più fortemente e -penso- aggravandone ulteriormente la struttura ed il grado di sottosviluppo”. In questo modo si è avuta una crescita sempre maggiore dell’investimento nelle economie periferiche, ma a beneficio prevalente del centro. Ciò non è risolto, come vorrebbe un’applicazione allora in voga della proposta di Robert Solow dal considerare[20] la tecnologia come variabile essenziale dello sviluppo. Come abbiamo visto[21] in conseguenza di questa tesi si ipotizzava che lavorando alla frontiera della tecnica il capitale sarebbe affluito naturalmente nei paesi non sviluppati e li avrebbe trascinati nella convergenza con quelli sviluppati. A questa ipotesi Frank replica che, lungi dall’essere la soluzione a tutti i problemi del mondo sottosviluppato, si tratta solo un ulteriore monopolio che rafforza l’imperialismo. Un tema che Samir Amin riprenderà e svilupperà[22].

Inoltre, bisogna notare che il carattere imperialista e colonialista del capitalismo non si manifesta solo tra paesi diversi, ma “anche all’interno di un solo paese. Lo schema internazionale di sviluppo-sottosviluppo è riprodotto a livello nazionale fra regioni e settori economici”. Anzi, generalmente più un paese è sottosviluppato quanto più sono grandi le differenze interne. Quindi, ne segue una tesi importante e generale: “lo sviluppo e il sottosviluppo regionale e settoriale non possono essere adeguatamente capiti se non in relazione fra loro e naturalmente in relazione allo sviluppo capitalista a livello mondiale”[23]. E quindi ne segue che “il giudizio tradizionale circa lo sviluppo e il sottosviluppo a livello nazionale, secondo cui lo sviluppo regionale è stato raggiunto in modo indipendente e/o attraverso la diffusione della metropoli, mentre il sottosviluppo regionale è ritenuto ‘iniziale’ e ‘tradizionale’ è un giudizio altrettanto inadeguato quando l’approccio che il giudizio convenzionale fa del livello internazionale”. Un caso tipico è il rapporto tra il Nord ed il Sud degli Stati Uniti nel quale il sud è una regione sottosviluppata sin dall’inizio e la guerra lo sanziona, inoltre lo conferma lo spostamento, in particolare durante la grande depressione della popolazione verso il nord per andare ad affollare slums e quartieri popolari. Bisogna notare che questo sottosviluppo delle periferie non è provocato da generiche inadeguatezze nella capacità o nell’azione amministrativa, ma “dall’inadeguatezza degli interessi generati dal capitalismo per lo sviluppo della periferia, che ordinariamente causa, mantiene e promuove”. Questa inadeguatezza si sposa e si allea con quelle forze che, nella periferia stessa, hanno interesse a mantenerla sottosviluppata. Ma bisogna tenere presente che questa stessa alleanza, tra la metropoli e le forze interne nelle periferie interessate alla conservazione della relazione di dipendenza esiste solo fino a che “rappresenta l’interesse delle forze metropolitane preponderanti”[24]. 
Il capitalismo è, insomma, diffusionista e sfruttatore e non diffusionista e equilibrante, come vorrebbe l’analisi neoclassica, secondo la quale il commercio tra le nazioni tende ad eguagliare i prezzi dei fattori tra di loro. Se fosse vera l’ipotesi neoclassica centri e periferie andrebbero spontaneamente e progressivamente ad annullarsi per arrivare, secondo quanto ipotizza il teorema di Hecksher-Ohlin, ad un’uniforme e piatta eguaglianza. A confutazione di questa tesi Gunder Frank cita il testo di Gunnar Myrdal che abbiamo già letto[25] e che era uscito sei anni prima, e quello dell’anno successivo di Hirschman[26], rifacendosi alla loro tesi che gli “effetti di risucchio” superano sempre quelli di “propagazione”. Si ha quindi una spirale circolare accumulativa che si autorafforza, che produce da una parte ulteriore sviluppo, dall’altro ulteriore sottosviluppo.
Questa struttura fondamentale del capitalismo ha, per Frank, numerose ed importanti conseguenze. La stessa divisione analitica tra borghesia e proletariato, nel modello a due classi marxiano, viene coinvolta in questa concettualizzazione duplice e con essa l’ipotesi di alleanze interclassiste “nazionali”, per eliminare le influenze estere. Per Frank allearsi con la borghesia “nazionale”, o “industriale” o “progressista”, per buttare fuori gli stranieri dal “corpo economico capitalista nazionale”, per poi sperare di raccogliere la ricompensa come maggiore sviluppo è illusorio. Anche se si spera che questa forza politica, guidata dal “partito” (evidentemente comunista brasiliano, o cileno) e quindi dagli operai “alla lunga avrà la capacità di sottrarre la direzione dell’intero processo alla borghesia e di porla nelle mani degli operai”, si produrrà un fallimento. La ragione è semplice: “imperialismo e agricoltura non sono ali o settori dell’economia nazionale, che possono essere più solidamente attaccati o tagliati via come si vuole, senza cambiare la struttura capitalista fondamentale dell’economia nazionale. Infatti, sebbene esistano discontinuità di organizzazione generate dallo stato all’interno del sistema capitalistico mondiale, non esistono affatto economie ‘nazionali’ nel senso reale ed importante del termine”. Dunque, tutti i membri, inclusi quelli impegnati nell’agricoltura di sussistenza, partecipano completamente alla struttura di classe, come ogni altro. Ne segue che “una linea politica o economica di ‘penetrazione’ nel settore ‘feudale’ o ‘precapitalista’ e di ‘incorporazione’ nell’economia nazionale è puro non senso. Questo avvenne molto tempo fa. Una politica di ‘liberazione’ dell’economia ‘capitalista nazionale’ dall’imperialismo è follia. Non può essere realizzata”[27].
La ragione che Frank adduce è piuttosto semplice: tutti i segmenti si collocano per il rapporto che hanno con l’estrazione di surplus dagli strati inferiori. Si possono ben dividere in gruppi e sottogruppi separati dalla posizione rispetto all’asse centro-periferia, ma se l’attività del proletariato li sfiderà, minacciando la base di sfruttamento della loro partecipazione al processo produttivo, la risposta sarà univoca: “i vari gruppi borghesi faranno sì che i loro comuni interessi di sfruttamento, determinino la loro politica. Questa doppia tendenza può essere osservata tra i gruppi di interesse borghesi nelle metropoli, nella periferia e nelle sue varie parti, e tra tutti quanti messi insieme. Non è una cooperazione o un innato amore reciproco che fa sì che la borghesia metropolitana (e i suoi gruppi con interessi contrastanti al suo interno) e la periferica ‘borghesia compradera’, la ‘borghesia industriale nazionale’ (se esiste) e i proprietari terrieri ‘feudali’ uniscano le loro forze, specialmente quando c’è una torta da dividere; è la comune minaccia a tutti questi che deriva dalla partecipazione al processo produttivo come sfruttatori del proletariato. Collettivamente non possono aiutarlo, sebbene a molti piacerebbe, e sebbene a certi membri e rappresentanti del proletariato piacerebbe che venisse fatto”[28].

La tesi è insomma che il sottosviluppo è in realtà sia un prodotto sia parte del potere motore del capitalismo. In definitiva si può dire che lo sviluppo capitalista è sempre contraddittorio, si basa sullo sfruttamento e genera simultaneamente sviluppo e sottosviluppo. La contraddizione sviluppo/sottosviluppo si articola precisamente sia come differenza regionale, sia tra nazioni. Sia sviluppo sia sottosviluppo sono processi; non è corretto pensare al primo come processo ed al secondo come stato.

Questo è un passaggio rilevante: “non confermata dall’esame dell’evidenza storica è la nozione quasi universale comune alla visione popolare e a quella convenzionale, secondo cui essendo decollata in modo indipendente, la metropoli ora diffonde o diffonderà o farà filtrare nella periferia i mezzi necessari perché anche i paesi sottosviluppati si sviluppino. L’evidenza del passato e del presente è che lontano dal diffondere lo sviluppo, il rapporto tra metropoli e la periferia amplia lo scarto tra i due e genera una struttura ancora più profonda di sottosviluppo nella periferia”.

Esiste, infatti, un unico sistema sociale ed economico che comprende tutto il mondo non socialista, fino all’ultima fattoria isolata.

Non ci sono scorciatoie. Questa potente idea porterà Gunder Frank nei turbolenti ed entusiasmanti anni successivi a impegnarsi in prima persona nel tentativo di Salvator Allende e poi, fallito questo e avviata l’ondata di restaurazione degli anni settanta, a rifugiarsi nella “teoria dei sistemi mondo”, che in qualche modo sono la logica estremizzazione di queste idee contenute in nuce sin dal 1963.




[1] - Andre Gunder Frank, “Sul sottosviluppo capitalista”, Jaca Book, 1971
[2] - Ovvero Andre Gunder Frank, “Capitalismo e sottosviluppo in America Latina”, 1967; Andre Gunder Frank, “America Latina: sottosviluppo o rivoluzione”, Einaudi, 1969.
[3] - Il Presidente pochi anni dopo morirà, nei mesi della cosiddetta “operazione Condor”, per una sospetta crisi cardiaca. Il 27 gennaio 2008, il quotidiano Folha de S. Paulo ha pubblicato una relazione dell'agente uruguaiano Mario Neira Barreiro, che ha dichiarato che Goulart è stato avvelenato per ordine di Sérgio Fleury, agente del Departamento de Ordem Política e Social del regime militare brasiliano. L'ordine sarebbe stato dato dall'allora presidente Ernesto Geisel (1907-1996).
[4] - Per la figura di Marini si veda “Ruy Mauro Marini: un pensiero rivoluzionario per il XXI secolo”.
[5] - Per Theotonio dos Santos si veda “Adeus Theotonio, compagno di lotte e di resistenze senza fine
[6] - Si veda “Vania Bambirra”.
[7] - Yves Lacoste, “I paesi sottosviluppati”, 1963
[8] - Su questo importante tema si veda la recente discussione tra gli economisti indiani Utsa e Prabhat Patnaik e David Harvey, “Un dialogo sull’imperialismo: David Harvey e Utsa e Prabhat Patnaik”.
[9] - Andre Gunder Frank, cit., p.18
[10] - Paul A. Baran, “Il surplus economico”, Feltrinelli, 1962 (ed. or. 1957)
[11] - Marvin Harris, un antropologo americano, innovatore dell’approccio materialista di ispirazione marxista nelle scienze antropologiche. Per Harris sono le condizioni materiali delle società che determinano il pensiero e i costumi socio-culturali. I suoi studi sul campo si sono svolti in Brasile (1950-51, e 1962-65) e Ecuador (1960) infine in India (1976).
[12] - Marshal Sahlins, è un antropologo statunitense, influenzato da Karl Polanyi, i testi citati da Frank risalgono al 1958, si veda Marshal Sahlins, “Un grosso sbaglio. L’idea occidentale di natura umana”, 2008.
[13] - Si veda Gunnar Myrdal, “Teoria economica e paesi sottosviluppati”, 1957.
[14] - Walt Whitman Rostow, “Gli stadi dello sviluppo economico”, Cambridge 1960
[15] - Andre Gunder Frank, cit. p.61
[16] - Andre Gunder Frank, cit. p. 62
[17] - Si veda Andre Gunder Frank, “Re orient”, 1998
[18] - Andre Gunder Frank, cit. p. 72
[19] - Andre Gunder Frank, cit. p. 77
[20] - Robert Solow, “Technical change and the aggregate production function”,  in “Review of economics and statistics”, 29, 1957
[22] - Samir Amin, “Lo sviluppo ineguale”, Einaudi, 1973.
[23] - Andre Gunder Frank, cit. p. 88
[24] - Andre Gunder Frank, cit. p. 92
[25] - Gunnar Myrdal, “Teoria economica dei paesi sottosviluppati”, London, 1957
[26] - Albert Hirschman, “The strategy of economic development”, Yale University Press, 1958
[27] - Andre Gunder Frank, cit. p. 107
[28] - Andre Gunder Frank, cit. p. 109

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