Il
Governo italiano ha inviato una
lettera al Presidente del Consiglio Europeo che si riunisce oggi,
sottoscritta da Emmanuel Macron (Francia), Pedro Sanchez (Spagna), Sophie
Wilmes (Belgio), Kyriakos Mitsotakis (Grecia), Leo Varadkar (Irlanda), Xavier
Bettel (Lussemburgo), Antonio Costa (Portogallo), Janez Jansa (Slovenia).
Si
parla di quasi la metà degli stati dell’eurozona (9 su 19), per un totale di
212 milioni di abitanti (64% dell’area) e 7.800 mila miliardi di Pil (il 57% di quello dell’eurozona).
E’
chiaro che se andassero fino in fondo, nel Consiglio Europeo di oggi (che
include tutti i membri dell’Unione Europea, e quindi 442 milioni di abitanti e
17.000 miliardi di Pil, per cui in questo consesso si parla del 48% degli
abitanti e 45% del Pil), sarebbe una forza imponente.
Rispetto
all’attuale stato dell’epidemia i paesi firmatari sono “titolari” del 72% dei casi
in Europa e del 77% dei casi nella sola eurozona. In rapporto agli abitanti il
paese più colpito è il piccolo Lussemburgo (che ha 2,67 casi per 1000 abitanti),
seguito dall’Italia (1,24), Spagna (1,04), Belgio (0,45), Irlanda (0,34),
Francia (0,33), Portogallo (0,3), Slovenia (0,26), Grecia (0,07). Tra i paesi
che non hanno firmato spicca la Germania, con 35.700 casi (0,44) e l’Olanda,
con 6.400 (0,38), l’Austria con 5.500 (0,64), la Finlandia, con 900 (0,16), la
Svezia, 2.500 (0,25), la Polonia, con 1.000 (0,03), Romania, 900 (0,05).
Jeremy Mann |
Vediamo
la lettera:
La
lettera al Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, del Presidente
Conte e dei leader di Belgio, Francia, Grecia, Irlanda, Lussemburgo,
Portogallo, Slovenia e Spagna.
****
Caro
Presidente, caro Charles
la
pandemia del Coronavirus è uno shock senza precedenti e richiede misure
eccezionali per contenere la diffusione del contagio all’interno dei confini
nazionali e tra Paesi, per rafforzare i nostri sistemi sanitari, per
salvaguardare la produzione e la distribuzione di beni e servizi essenziali e,
non ultimo, per limitare gli effetti negativi che lo shock produce sulle
economie europee.
Tutti
i Paesi europei hanno adottato o stanno adottando misure per contenere la
diffusione del virus. Il loro successo dipenderà dalla sincronizzazione,
dall’estensione e dal coordinamento con cui i vari Governi attueranno le misure
sanitarie di contenimento.
Abbiamo
bisogno di allineare le prassi adottate in tutta Europa, basandoci su
esperienze pregresse di successo, sulle analisi degli esperti, sul complessivo
scambio di informazioni. È necessario ora, nella fase più acuta dell’epidemia.
Il coordinamento che tu hai avviato, con Ursula von der Leyen, nelle
video-conferenze tra i leader è d’aiuto in tal senso.
Sarà
necessario anche in futuro, quando potremo ridurre gradualmente le severe
misure adottate oggi, evitando sia un ritorno eccessivamente rapido alla
normalità sia il contagio di ritorno da altri Paesi. Dobbiamo chiedere alla
Commissione europea di elaborare linee guida condivise, una base comune per la
raccolta e la condivisione di informazioni mediche ed epidemiologiche, e una
strategia per affrontare nel prossimo futuro lo sviluppo non sincronizzato
della pandemia.
Mentre
attuiamo misure socio-economiche senza precedenti, che impongono un
rallentamento dell’attività economica mai sperimentato prima, abbiamo comunque bisogno
di garantire la produzione e la distribuzione di beni e servizi essenziali,
e la libera circolazione di dispositivi medici vitali all’interno dell’UE.
Preservare il funzionamento del mercato unico è fondamentale per fornire a
tutti i cittadini europei la migliore assistenza possibile e la più ampia
garanzia che non ci saranno carenze di alcun tipo.
Siamo
pertanto impegnati a tenere i nostri confini interni aperti al necessario
scambio di beni, di informazioni e agli spostamenti essenziali dei nostri
cittadini, in particolare quelli dei lavoratori transfrontalieri. Abbiamo anche
bisogno di assicurare che le principali catene di valore possano funzionare
appieno all’interno dei confini dell’UE e che nessuna produzione
strategica sia preda di acquisizioni ostili in questa fase di difficoltà
economica. I nostri sforzi saranno prioritariamente indirizzati a garantire la
produzione e la distribuzione delle attrezzature mediche e dei dispositivi di
protezione fondamentali, per renderli disponibili, a prezzi accessibili e in
maniera tempestiva a chi ne ha maggiore necessità.
Le
misure straordinarie che stiamo adottando per contenere il virus hanno ricadute
negative sulle nostre economie nel breve termine. Abbiamo pertanto bisogno
di intraprendere azioni straordinarie che limitino i danni economici e ci
preparino a compiere i passi successivi. Questa crisi globale richiede una
risposta coordinata a livello europeo. La BCE ha annunciato lo scorso giovedì
19 marzo una serie di misure senza precedenti che, unitamente alle decisioni
prese la settimana prima, sosterranno l’Euro e argineranno le tensioni
finanziarie.
La
Commissione europea ha anche annunciato un’ampia serie di azioni per assicurare
che le misure fiscali che gli Stati membri devono adottare non siano ostacolate
dalle regole del Patto di Stabilità e Crescita e dalla normativa sugli aiuti di
Stato. Inoltre, la Commissione e la Banca Europea per gli Investimenti (BEI)
hanno annunciato un pacchetto di politiche che consentiranno agli Stati membri
di utilizzare tutte le risorse disponibili del bilancio dell’UE e di
beneficiare degli strumenti della BEI per combattere l’epidemia e le sue
conseguenze.
Gli
Stati membri dovranno fare la loro parte e garantire che il minor numero
possibile di persone perda il proprio lavoro a causa della temporanea chiusura
di interi settori dell’economia, che il minor numero di imprese fallisca, che
la liquidità continui a giungere all’economia e che le banche continuino a
concedere prestiti nonostante i ritardi nei pagamenti e l’aumento della
rischiosità. Tutto questo richiede risorse senza precedenti e un approccio
regolamentare che protegga il lavoro e la stabilità finanziaria.
Gli
strumenti di politica monetaria della BCE dovranno pertanto essere affiancati
da decisioni di politica fiscale di analoga audacia, come quelle che
abbiamo iniziato ad assumere, col sostegno di messaggi chiari e risoluti da
parte nostra, come leader nel Consiglio Europeo.
Dobbiamo
riconoscere la gravità della situazione e la necessità di una ulteriore
reazione per rafforzare le nostre economie oggi, al fine di metterle nelle
migliori condizioni per una rapida ripartenza domani. Questo richiede l’attivazione
di tutti i comuni strumenti fiscali a sostegno degli sforzi nazionali e a
garanzia della solidarietà finanziaria, specialmente nell’Eurozona.
In
particolare, dobbiamo lavorare su uno strumento di debito comune emesso
da una Istituzione dell’UE per raccogliere risorse sul mercato sulle
stesse basi e a beneficio di tutti gli Stati Membri, garantendo in questo modo
il finanziamento stabile e a lungo termine delle politiche utili a contrastare
i danni causati da questa pandemia.
Vi
sono valide ragioni per sostenere tale strumento comune, poiché stiamo tutti
affrontando uno shock simmetrico esogeno, di cui non è responsabile alcun
Paese, ma le cui conseguenze negative gravano su tutti. E dobbiamo rendere
conto collettivamente di una risposta europea efficace ed unita. Questo
strumento di debito comune dovrà essere di dimensioni sufficienti e a lunga
scadenza, per essere pienamente efficace e per evitare rischi di
rifinanziamento ora come nel futuro.
I
fondi raccolti saranno destinati a finanziare, in tutti gli Stati Membri, i
necessari investimenti nei sistemi sanitari e le politiche temporanee volte a
proteggere le nostre economie e il nostro modello sociale.
Con
lo stesso spirito di efficienza e solidarietà, potremo esplorare altri
strumenti all’interno del bilancio UE, come un fondo specifico per spese legate
alla lotta al Coronavirus, almeno per gli anni 2020 e 2021, al di là di quelli
già annunciati dalla Commissione.
Dando
un chiaro messaggio di voler affrontare tutti assieme questo shock unico, rafforzeremmo
l’Unione Economica e Monetaria e, soprattutto, invieremmo un fortissimo segnale
ai nostri cittadini circa la cooperazione determinata e risoluta con la quale
l’Unione Europea è impegnata a fornire una risposta efficace ed unitaria.
Abbiamo
inoltre bisogno di preparare assieme “il giorno dopo” e riflettere sul modo
in cui organizziamo le nostre economie attraverso i nostri confini, le catene
di valore globale, i settori strategici, i sistemi sanitari, gli investimenti
comuni e i progetti europei.
Se
vogliamo che l’Europa di domani sia all’altezza delle sue storiche aspirazioni,
dobbiamo agire oggi e preparare il nostro futuro comune. Apriamo pertanto il
dibattito ora e andiamo avanti, senza esitazione.
Firmato
da
Sophie
Wilmès, Primo Ministro del Belgio
Emmanuel
Macron, Presidente della Repubblica francese
Kyriakos
Mitsotakis, Primo Ministro of Greece
Leo
Varadkar, Primo Ministro of Ireland
Giuseppe
Conte, Presidente del Consiglio dei Ministri italiano
Xavier
Bettel, Primo Ministro del Lussemburgo
António
Costa, Primo Ministro del Portogallo
Janez
Janša , Primo Ministro della Slovenia
Pedro Sánchez, Primo Ministro della Spagna
Un
breve commento.
Cosa
si sta dicendo qui? Che la crisi da coronavirus in corso è esterna e non è
colpa di nessuno, che per affrontarla si interromperanno gli scambi e disgregheranno
le “catene del valore” (ovvero la connessione di fornitori e clienti di ogni
singola impresa), che nello sforzo di canalizzare le risorse contro l’aggressione
virale ci sono aziende strategiche e non, che le prime vanno tenute in attività
e protette dalle possibili aggressioni ostili, che i danni per i cittadini e l’economia
vanno compensati da spesa pubblica, che per farla serve che ci sia un’emissione
di titoli di debito comune, garantita in solido.
Nel
luogo della lettera in cui si arriva al punto, e si chiede uno strumento di
debito comune, alle medesime condizioni e per tutti, la frase successiva
risponde all’obiezione luterana sempre ripetuta, che il debito è colpa e
Qui
il caso è diverso, nessun paese è responsabile.
Quindi
la lettera accende una piccola luce sul futuro e specifica che da ora bisognerà
“organizzare le economie”, ovvero le catene del valore globali, i settori
strategici, i sistemi sanitari e gli investimenti comuni.
Dunque
nel campo di battaglia si è schierato un esercito, ed ha dichiarato le sue
intenzioni.
Al
contempo è sceso in campo un generale, Mario Draghi sul Financial Times, ha
scritto un articolo
di grande decisione e rilevanza.
Jeremy Mann |
Leggiamolo:
“La
pandemia di coronavirus è una tragedia umana di proporzioni potenzialmente
bibliche. Molti oggi vivono nella paura della propria vita o in lutto per i
propri cari. Le azioni intraprese dai governi per evitare che i nostri sistemi
sanitari vengano travolti sono coraggiose e necessarie. Devono essere
supportati. Ma queste azioni comportano anche un costo economico
enorme e inevitabile. Mentre molti affrontano una perdita di vite umane,
molti altri affrontano una perdita di sostentamento. Giorno dopo giorno, le
notizie economiche stanno peggiorando. Le aziende affrontano una perdita di
reddito nell'intera economia. Molti stanno già ridimensionando e licenziando i
lavoratori. Una profonda recessione è inevitabile. La sfida che
affrontiamo è come agire con sufficiente forza e velocità per evitare che la
recessione si trasformi in una depressione prolungata, resa più profonda da una
pletora di valori predefiniti che lasciano danni irreversibili. È già chiaro
che la risposta deve comportare un aumento significativo del debito pubblico.
La perdita di reddito sostenuta dal settore privato - e qualsiasi debito
accumulato per colmare il divario - deve alla fine essere assorbita, in tutto o
in parte, dai bilanci pubblici. Livelli di debito pubblico molto più
elevati diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie
e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato.
È il ruolo corretto dello stato utilizzare il proprio bilancio per proteggere i
cittadini e l'economia dagli shock di cui il settore privato non è responsabile
e che non può assorbire. Gli Stati l'hanno sempre fatto di fronte alle
emergenze nazionali. Le guerre - il precedente più rilevante - sono state
finanziate da aumenti del debito pubblico. Durante la prima guerra mondiale, in
Italia e Germania tra il 6 e il 15% delle spese di guerra in termini reali fu
finanziato dalle tasse. In Austria-Ungheria, Russia e Francia, nessuno dei
costi continui della guerra furono pagati con le tasse. Ovunque, la base
imponibile è stata erosa dai danni di guerra e dalla coscrizione. Oggi è a
causa dell'angoscia umana della pandemia e della chiusura. La domanda
chiave non è se ma come lo Stato dovrebbe mettere a frutto il proprio bilancio.
La priorità non deve essere solo quella di fornire un reddito di base a coloro
che perdono il lavoro. Dobbiamo innanzitutto proteggere le persone dalla
perdita del lavoro. In caso contrario, emergeremo da questa crisi con
un'occupazione e una capacità permanentemente inferiori, poiché le famiglie e
le aziende lottano per riparare i propri bilanci e ricostruire le attività
nette. I sussidi per l'occupazione e la disoccupazione e il rinvio delle tasse
sono passi importanti che sono già stati introdotti da molti governi. Ma
proteggere l'occupazione e la capacità produttiva in un momento di drammatica
perdita di reddito richiede un immediato sostegno di liquidità. Ciò è
essenziale per tutte le imprese per coprire le proprie spese operative durante
la crisi, siano esse grandi aziende o ancora di più piccole e medie imprese e
imprenditori autonomi. Diversi governi hanno già introdotto misure di benvenuto
per incanalare la liquidità verso le imprese in difficoltà. Ma è necessario un
approccio più completo. Mentre diversi paesi europei hanno diverse
strutture finanziarie e industriali, l'unico modo efficace per entrare
immediatamente in ogni falla dell'economia è di mobilitare completamente i loro
interi sistemi finanziari: mercati obbligazionari, principalmente per grandi
società, sistemi bancari e in alcuni paesi anche le poste sistema per tutti gli
altri. E deve essere fatto immediatamente, evitando ritardi burocratici. Le
banche in particolare si estendono in tutta l'economia e possono creare denaro
istantaneamente consentendo scoperti di conto corrente o aprendo linee di
credito. Le banche devono prestare rapidamente fondi a costo zero
alle società disposte a salvare posti di lavoro. Poiché in questo
modo stanno diventando un veicolo per le politiche pubbliche, il capitale
necessario per svolgere questo compito deve essere fornito dal governo sotto
forma di garanzie statali su tutti gli ulteriori scoperti o prestiti. Né la
regolamentazione né le regole di garanzia dovrebbero ostacolare la creazione di
tutto lo spazio necessario nei bilanci bancari a tale scopo. Inoltre, il
costo di queste garanzie non dovrebbe essere basato sul rischio di credito
della società che le riceve, ma dovrebbe essere zero indipendentemente dal
costo del finanziamento del governo che le emette. Le aziende, tuttavia,
non attingeranno al supporto di liquidità semplicemente perché il credito è
economico. In alcuni casi, ad esempio le aziende con un portafoglio ordini, le
loro perdite possono essere recuperabili e quindi ripagheranno il debito. In
altri settori, probabilmente non sarà così. Tali società potrebbero essere
ancora in grado di assorbire questa crisi per un breve periodo di tempo e
aumentare il debito per mantenere il proprio personale al lavoro. Ma le loro
perdite accumulate rischiano di compromettere la loro capacità di investire in
seguito. E, se l'epidemia di virus e i blocchi associati dovessero durare,
potrebbero realisticamente rimanere in attività solo se il debito raccolto per
mantenere le persone impiegate in quel periodo fosse infine cancellato.
O i governi compensano i mutuatari per le loro spese, o quei mutuatari
falliranno e la garanzia sarà resa valida dal governo. Se il rischio morale può
essere contenuto, il primo è migliore per l'economia. Il secondo percorso sarà
probabilmente meno costoso per il budget. Entrambi i casi porteranno i governi
ad assorbire una grande parte della perdita di reddito causata dalla chiusura,
se si vogliono proteggere posti di lavoro e capacità. I livelli del
debito pubblico saranno aumentati. Ma l'alternativa - una distruzione
permanente della capacità produttiva e quindi della base fiscale - sarebbe
molto più dannosa per l'economia e infine per il credito pubblico. Dobbiamo
anche ricordare che, visti i livelli attuali e probabilmente futuri dei tassi di
interesse, un tale aumento del debito pubblico non aumenterà i suoi costi di
servizio. Per alcuni aspetti, l'Europa è ben equipaggiata per
affrontare questo straordinario shock. Ha una struttura finanziaria granulare
in grado di incanalare i fondi verso ogni parte dell'economia che ne ha
bisogno. Ha un forte settore pubblico in grado di coordinare una risposta
politica rapida. La velocità è assolutamente essenziale per l'efficacia.
Di fronte a circostanze impreviste, un cambiamento di mentalità è necessario in
questa crisi come lo sarebbe in tempi di guerra. Lo shock che stiamo affrontando
non è ciclico. La perdita di reddito non è colpa di nessuno di coloro che ne
soffrono. Il costo dell'esitazione può essere irreversibile. Il ricordo delle
sofferenze degli europei negli anni '20 è abbastanza una storia di
ammonimento. La velocità del deterioramento dei bilanci privati -
causata da una chiusura economica che è sia inevitabile che desiderabile - deve
essere soddisfatta della stessa velocità nello schierare i bilanci pubblici,
mobilitare le banche e, in quanto europei, sostenersi a vicenda nella ricerca
di evidentemente una causa comune”.
Se i nove governi affermano che non è
colpa di nessuno e che bisogna sia sostenere sia ristrutturare le economie
europee, ma ragionano in termini di capitali da raccogliere sul mercato a
condizioni di mercato, sia pure eguali per tutti, Draghi dice una cosa diversa.
Intanto ricolloca la crisi che nel
paludato linguaggio delle segreterie era solo “senza precedenti”, come “tragedia
di proporzioni bibliche”. Dichiara il costo economico essere al contempo “enorme
ed inevitabile” e la recessione sia “profonda” sia “inevitabile”.
Abbiamo dunque al primo passaggio
della sua stringente logica un costo economico “enorme” ed una recessione “profonda”
(che potrebbe mutare in “depressione”[1]) entrambe
inevitabili.
A ciò che è inevitabile bisogna
rispondere inevitabilmente. E qui si diventa perentori, “la risposta deve
comportare un aumento significativo del debito pubblico”.
E perché? La bomba arriva esattamente
a questo passaggio. Anni di controinformazione, analisi condotte con il
metodo dei saldi settoriali, insistenza sul debito privato e sulla eccessiva
valutazione di quello pubblico ottengono improvvisamente piena legittimazione. A
decine di servili ripetitori del senso comune economico devono essere scoppiate
le orecchie: “la perdita di reddito sostenuta dal settore privato - e qualsiasi
debito accumulato per colmare il divario - deve alla fine essere assorbita, in
tutto o in parte, dai bilanci pubblici”.
Ripetiamo:
-
le perdite del settore privato ed i debiti accumulati, devono essere
assorbiti dai bilanci pubblici.
E il “moral hazard”? E la “colpa”? E …
l’horror vacui qui colpisce anche buona parte della sinistra storica, che ha
inconsapevolmente interiorizzato una versione della narrativa ordoliberale,
immaginando che lo stato debba essere “austero” perché l’economia sia “sana”.
Cosa accade se, in condizioni date
come queste, le perdite anche esse inevitabili (e, come vedremo, senza colpa)
del settore privato, cittadini e imprese, sono assorbite nei bilanci pubblici?
Che il debito pubblico sale, che sale in modo “permanente”, e che il debito
privato viene “cancellato”.
C’è una glossa di teoria, “È il ruolo
corretto dello stato utilizzare il proprio bilancio per proteggere i cittadini
e l'economia dagli shock di cui il settore privato non è responsabile e che non
può assorbire”.
Quindi è inevitabile, si deve agire, tramite
l’espansione del debito pubblico.
Come? Qui c’è il punto. Il “se” è
superato. Restano alcune cose:
- non
fornire solo reddito di base (es, helicopter money), ma proteggere le persone
dalla perdita del lavoro,
- garantire
sostegno alla liquidità immediato,
Arriva la seconda bomba.
In una strategia rivolta a garantire
liquidità all’economia reale, imprese e famiglie, Draghi propone di utilizzare
le banche, che sono capillarmente diffuse. E propone che queste aprano linee di
credito e scoperti di conto corrente, immediatamente e senza aspettare
liquidità (quindi senza aspettare la Bce o altri), perché queste “possono
creare denaro istantaneamente”.
Ripetiamo:
-
“Le banche … possono
creare denaro istantaneamente consentendo scoperti di conto corrente o
aprendo linee di credito”.
E le riserve? E il buon padre di
famiglia? E … anche qui l’horror vacui colpisce buona parte della sinistra
storica, che non lo sapeva ma era rimasta ai tempi del dollaro-oro.
In sostanza le banche devono prestare
soldi creati dal nulla, istantaneamente, a imprese che conservano l’occupazione.
E lo devono fare a costo zero. La ragione è che le imprese, non
licenziando, sostituiscono il pubblico che in caso diverso dovrebbe intervenire
garantendo un reddito ed un lavoro.
Ovviamente il denaro si crea dal
nulla, ma deve essere restituito (schematicamente una banca apre una scrittura
contabile, che ad un certo punto deve essere chiusa), e quindi prestare a costo
zero lascia impregiudicato l’assorbimento del danno delle mancate restituzioni.
Serve qualcuno che faccia fronte e chiuda le scritture. Per questo il governo
nello schema di Draghi non impegna denaro immediato per sostenere l’occupazione,
ma presta garanzie alle banche per coprire il loro rischio. Ed il costo di
queste garanzie, anche esso, deve essere zero.
Questa è la terza bomba,
comincia ad assomigliare ad un bombardamento a tappeto. Il costo zero è come l’illimitato,
sono altri due tabù. Si deve guadagnare dal sudore della fronte.
-
Ripetiamo,
“il costo di queste garanzie non dovrebbe essere basato sul rischio di credito
della società che le riceve, ma dovrebbe essere zero indipendentemente
dal costo del finanziamento del governo che le emette”.
C’è un problema, le regole prudenziali
delle convenzioni di Basilea. Vanno sospese, “Né la regolamentazione né le
regole di garanzia dovrebbero ostacolare la creazione di tutto lo spazio
necessario nei bilanci bancari a tale scopo”.
Abbiamo poi la quarta bomba. Per
alcune imprese e “mutuatari”, il debito alla fine andrebbe cancellato. O
tramite il fallimento e la copertura delle perdite da parte del governo o
direttamente da questo lasciandole in vita.
Insomma, il debito pubblico salirà
per tenere in vita la società. L’alternativa sarebbe peggiore. Ma salirà come?
Senza aumentare i costi di servizio.
Qui non entra nel dettaglio,
strettamente parlando un enorme incremento del debito pubblico, e la sua detenzione
permanente, senza aumento dei costi del servizio di questo (ovvero in sostanza
creando moneta) è possibile se gli Stati emettono titoli a scadenza illimitata,
non redimibili, ed a tasso zero e se la Banca Centrale li acquista e li
detiene. Un simile titolo non è “di mercato” per definizione e corrisponde ad
una monetizzazione del debito.
Ogni altra soluzione aumenta i costi
del servizio, soprattutto alla luce degli enormi volumi qui prefigurati.
Ciò non significa che i bilanci delle
Banche Centrali (i titoli sarebbero poi da redistribuire pro quota nei vari
bilanci) resteranno permanentemente ‘gravati’ da un attivo enorme, senza
rendimento[2], ma
che la progressiva espansione dell’economia li renderebbe sempre meno
rilevanti. In fondo il debito pubblico è sempre stato riassorbito in questo
modo, il suo vero problema è esclusivamente il costo del suo servizio, ovvero
il monte degli interessi annuali che lo stato paga[3].
Tutto ciò va fatto in fretta, e senza
remore, perché, ultima bomba: “La perdita di reddito non è colpa di nessuno
di coloro che ne soffrono”.
Abbiamo un esercito che si è schierato
ed abbiamo un generale che sembra volerne prendere la testa.
La battaglia si combatterà e penso
che sarà persa. Troppo forte è l’inerzia del pensiero unico ordoliberale
(attenzione, non che questa posizione sia rivoluzionaria, è comunque una variante di affidamento
al mercato, ma con notevole incremento della presenza pubblica[4]). Nella
scaramuccia di cavalleria dei giorni scorsi, in sede di Eurogruppo, è stato
chiaro l’animus dell’armata nordica.
Mentre Peter Altmeier dichiara per la
Germania che “Impediremo una svendita degli interessi economici e industriali
tedeschi” (Wir werden einen Ausverkauf deutscher Wirtschafts- und
Industrieinteressen verhindern) e, in inglese, in quanto rivolto oltre manica, “Germany
is not for sale”, al contempo l’Olanda e la Germania, unite, hanno rigettato
ogni ipotesi di messa in comune del debito. Sempre Altmeir, cambiando oggetto,
ha detto che “la discussione sugli eurobond è un dibattito sui fantasmi” (Die
Diskussion über Euro-Bonds ist eine Gespensterdebatte) e ha aggiunto che “dalla
lezione degli anni '70 abbiamo imparato che lo Stato non può salvare tutti” e
che “l'Innovazione è più importante delle sovvenzioni” (Innovation ist
wichtiger als Subvention). Insomma, gli interessi economici e industriali
tedeschi saranno sostenuti contro qualsiasi nemico, ma quelli degli altri
devono restare esposti. Per gli altri vale il principio che non si sovvenziona.
Per sé vale che “il nostro scopo non
è solo proteggerci da acquisizioni nemiche (feindlichen[5]), ma
anche evitare mancanza di capitale e di liquidità”, per gli altri, per i
nemici, ovvero noi, solo se siamo capaci di farcela, se siamo “innovativi”.
Lo scontro delle cavallerie, la
classica scaramuccia di avvio, è andato così.
Oggi c’è la battaglia. Avremmo bisogno
di Decimo Claudio Druso (detto “germanico”), ma abbiamo solo Giuseppe Conte. Perderemo.
Ma non finirà qui. I popoli nordici
hanno una strana caratteristica: sembrano sempre vincere, perché hanno una
grande capacità operativa, ma poi alla fine perdono sempre e rovinosamente,
perché non avendo la forza sufficiente vogliono troppo e non lasciano nulla.
Finiscono per coalizzare tutti contro di loro, ed anche allora continuano,
dritti, come un caprone lanciato nella corsa e la testa bassa. Ora pensano di
aggirare questo ostacolo, che la sorte ha posto davanti ai piedi, assorbendo i
nostri capitali e le nostre aziende, come fecero con quelle della Germania
dell'est[6]
quando cadde il muro e come hanno fatto per venti anni al tempo dell'euro.
Ma tutto sta arrivando al suo termine[7].
Il mondo non è già più quello della “fine
della storia” tardo novecentesca[8], il
baricentro si sposta verso est e noi siamo geograficamente, culturalmente,
storicamente meglio posizionati. Tra qualche tempo dovremo rovesciare le
cartografie d'Europa.
Tra dieci anni vedremo chi ha perso e
chi ha vinto. Ma, come è accaduto già due volte, il prezzo per loro sarà
altissimo.
[1] - Nel gergo economico una “recessione”
è un evento ciclico relativamente normale, una “depressione” è una stagnazione
permanente e difficilmente risolvibile dell’economia come quella del 29-39
aperta dalla crisi finanziaria e conclusa solo dalla seconda guerra mondiale.
[2] - Non sarebbe molto diverso se i
titoli avessero un rendimento, una volta nel bilancio della banca centrale,
perché questa deve restituire gli utili ai rispettivi Tesori. Come accade ora
per la quota (20%) del debito già detenuto e che potrebbe benissimo essere
annullato senza alcuna conseguenza pratica.
[3] - Bisogna notare che questo
pagamento di interessi, che in Italia è attivato fino ad essere vicino ai cento
miliardi, rappresenta un trasferimento netto di risorse dalla generalità dei
cittadini ai renditieri che posseggono titoli di debito. È, insomma, un fattore
tra i più rilevanti di incremento delle ineguaglianze e uno strumento potente
di redistribuzione verso l’alto.
[4] - L’intero meccanismo proposto da
Draghi è preordinato a salvaguardia delle gerarchie sociali e nazionali
attuali. Limita l’intervento pubblico ad un consolidamento dello status dei
rapporti di classe, si mette a salvaguardia del sistema delle imprese attuale,
in qualche modo congelandolo. Certo, l’alternativa è diventare una colonia
interna (ancora di più) del capitale nordico, ma ciò che serve è ben altro e
molto più.
[5] - Come giustamente scrive Vincenzo
Costa “Feindlich” allude a nemico,
un termine che non si usa a cuor leggero. Non dice competitori: dice nemici.
Allude al fatto che chi non riesce a proteggere la propria economia, chi non è
in grado di sostenerla in questo momento, diventerà un terreno di conquista per
altri. Perderà il dominio sui settori strategici, la sovranità sulle scelte di
politica economica: diventerà una colonia. (cfr https://www.facebook.com/vincenzo.costa.79025/posts/106587930990528)
[6] - Si veda il testo di Vladimiro
Giacchè.
[7] - Si veda “Riavviare
l’economia in Cina, cronache del crollo”
[8] - Titolo del famoso libro di
Francis Fukuyama.
bellissimo articolo, complimenti!
RispondiEliminaSono affascinato dalla lettura delle sue analisi. Ma per quale motivo, mi chiedo e Le chiedo, continuo ad aver più paura della recessione prossima e ventura in luogo del presente COVID-19?
RispondiEliminaLa ringrazio inviandole un cordiale e caloroso saluto.