L’ex
deputato di Podemos Manolo Monereo, su Cuartopoder, ha pubblicato un breve articolo
nel quale, mentre la Spagna e la sua Madrid sono alle prese con l’epidemia da
Coronavirus che l’ha colpita appena meno del nord Italia, con ben 1263 morti
nella città. In questo
link la traduzione in italiano a cura di Nuova Direzione. La Spagna è al
punto in cui era l’Italia sei giorni fa. A Madrid usano i palazzetti dello
sport come obitori e i malati negli ospedali al collasso sono costretti a far
aspettare i pazienti a terra, le misure di confinamento “di tipo italiano” stanno
per essere prolungate fino all’11 aprile. L’economia sarà duramente colpita,
come accadrà anche in Italia è probabile che lo sarà proporzionalmente di più
nelle regioni più ricche, che hanno molto di più da perdere. Quel che non siamo
ancora in grado di misurare è il carattere del tutto anomalo di questa crisi. Non
si tratta di una crisi da sovraccumulazione, nella quale una parte dei capitali
non riescono a completare il ciclo di valorizzazione per effetto degli squilibri
nella domanda accumulati, neppure di quella forma che prende quando si
manifesta nel circuito finanziario, con l’improvviso manifestarsi di un “momento
Minsky”[1], ma di una crisi nella
quale senza alcuna distruzione materiale il produttore è dissolto. Fino a che
dura questo arresto della socializzazione la “virtù” incorporata nel complessivo
sistema delle “macchine”, per usare le parole del famoso “frammento” dei
Grundisse di Marx[2],
viene neutralizzata e nessuna produzione avviene, come se ci fosse stata una
completa distruzione. Questa distruzione è maggiore nei luoghi di più alta
complessità, dove il sistema è più denso e maggiori le interconnessioni, nelle
quali è più alta la dipendenza. La perdita non è senza rimedio, ma la
disorganizzazione non resterà senza conseguenze e la riorganizzazione sarà
complessa e dolorosa[3].
Monereo
avvia il suo testo con una netta affermazione, del tutto condivisibile, “niente
sarà più lo stesso”. I costi della crisi saranno “morali, economici, sociali e
politici”. Per affrontarli ci vuole memoria. Bisogna ricordare “ciò che
è accaduto”, ricordare “da dove veniamo” e fare di questi ricordi il fondamento
della proposta per il paese. Tra le cose da ricordare alcune sono la necessità
di rifondare il capitalismo, di prendere atto della inefficacia della Unione
Europea e della necessità di un intervento statale robusto.
Jeremy Mann |
Si
parte da alcune conoscenze:
1) Siamo
fragili come specie. L’uomo, che è una creatura inadeguata e
poco specializzata per sopravvivere nell’ambiente naturale, una “specie indigente”,
ha dovuto reagire costruendo un mondo nel mondo;
2) Siamo
quindi “animali razionali e dipendenti”. Come scrive “non esistono
libertà al di fuori della comunità e diritti al di fuori dello Stato”. Noi
uomini siamo sempre e necessariamente “(inter)dipendenti” per tutta la vita. Questa
è la radice della contraddizione del capitalismo che “non solo non riconosce
queste basi della riproduzione sociale, ma vi si oppone radicalmente in base a
una logica presieduta dalla mercificazione delle relazioni sociali”;
3) Non
può esistere nessuna economia apolide, e non può esistere
alcun settore privato fuori delle istituzioni pubbliche. Questa verità è quella
che è mostrata nelle crisi. Questo fatto ci dice che il capitalismo è una sorta
di parassita, che vive e si radica nella riproduzione sociale che non è in grado
di garantirla, per cui periodicamente deve ricorrere (al verificarsi di “momenti
Polanyi”[4]) all’intervento riparatore
dei poteri pubblici;
4) Al
fondamento di tutto c’è lo Stato nazionale. Al momento della
verità torniamo sempre qui. Ciò che esiste “è un sistema di stati ordinati
gerarchicamente che istituzionalizzano un determinato sistema mondiale”.
Monereo
quindi mette il dito nella piaga. La Spagna, ma quel che scrive vale anche per
l’Italia, mutando ciò che c’è da mutare, ha sofferto di un complesso di inferiorità
per essere restata indietro quando l’industrializzazione ed il capitalismo
industriale si svilupparono, sulla base di quello mercantile, nei paesi di cultura
nordica, prima l’Inghilterra (in una staffetta con l’Olanda), poi nel corso
dell’ottocento la Germania e la Francia. Questo significa che, come scrive, “Il
treno della modernità è stato perso” e per molti il sogno europeo è stato di
poterlo raggiungere, finalmente. La Spagna, segnata da guerre civili sanguinose
negli anni trenta del novecento, e poi da “una feroce oligarchia patrimoniale”
e dalla dittatura (che, ricordo, è durata fino al 1975) cerca una via di fuga
nei governi progressisti, come quello di Felipe Gonzales, che puntano a fuggire
dalla Spagna, dalla sua storia, le sue tradizioni, per raggiungere finalmente
ed in modo definitivo la modernizzazione. L’Europa è, insomma, una via di
salvezza, contemporaneamente una fonte di finanziamento per costruire quello
stato sociale che la Spagna non ha mai avuto. Questo, segnala Monereo, è il
senso comune che fonda un consenso sociale che ancora dura, in Spagna come in
Italia, verso il progetto europeo.
Quindi
ora si fa strada una nuova amarezza. Molti si accorgono improvvisamente che per
cambiare la società spagnola bisogna fare l’opposto: lasciare che la Spagna resti
uno stato nazionale. Europei siamo comunque, con le diverse culture e
radicamenti. Ma non si parla di questo quando si nomina l’Unione Europea. Concretamente
quando si parla del processo di integrazione europea si individuano “un insieme
di istituzioni, organizzate dagli Stati attraverso Trattati e che si è
progressivamente configurato come un ordinamento giuridico egemonico di fronte
alle costituzioni di singoli Stati presi singolarmente”. In realtà se si dice,
come spesso si fa, che la Ue non è all’altezza del compito si fa un errore di
memoria e di analisi.
L’Unione
Europea, malgrado quel che dice nella sua ossessiva propaganda, non esiste per
risolvere i problemi dei cittadini, aiutare gli stati a risolvere le crisi
economiche, le pandemie o gli altri mali sociali. Pensare questo è “chiedere
delle pere agli olmi”. Chi lo fa sta semplicemente facendo ideologia, invece che
analisi della correlazione delle forze. In effetti “L’UE nasce e si sviluppa
per imporre una logica sociale basata sulle quattro libertà (libera
circolazione di capitali, persone, beni e servizi) e sulla radicale opposizione
al tipo di potere politico emerso dopo la seconda guerra mondiale; cioè
allo Stato sociale e al costituzionalismo democratico e, assai al di là, a un
conflitto di classe che ha reso ingovernabili le democrazie e che ha favorito
un nuovo tipo di società, altre strutture di potere e relazioni personali
basate sul controllo sociale del economia”.
Se
questo è vero l’Ue ha semplicemente fatto il suo lavoro. E lo ha fatto molto
bene.
In
effetti essa “ha depoliticizzato l’economia pubblica, omogeneizzato la classe politica,
neutralizzato il conflitto sociale e costituzionalizzato il neoliberismo come l’orizzonte
insormontabile del nostro tempo”. Le sue istituzioni, “organizzano,
disciplinano e danno coerenza alle diverse borghesie e attuano una serie di
politiche (ordo)liberali che costruiscono il mercato e nuove relazioni
tra società civile e politica”. Quel che scompare in questo modo è niente di
meno che l’autogoverno democratico, in favore di complesse procedure
multilivello che servono essenzialmente a consacrare il controllo dei poteri
economici sugli Stati[5].
Ora,
se questa è la situazione, di sfondo per Monereo nascono due problemi connessi:
-
La crisi del coronavirus renderà necessario
ricostruire, quando cesserà, un paese economicamente devastato, con gravi
problemi sociali e moralmente senza orizzonte.
-
Questa necessità, ed i sacrifici fatti,
creeranno le condizioni per una forte ripresa di conflitto sociale e ciò in un
contesto di disorientamento delle élite. Le società quindi cambieranno molto,
in che direzione dipenderà dalla correlazione delle forze.
Stiamo
affrontando, insomma, una situazione sconosciuta.
Dovremo passare per una soppressione, più o meno temporanea, del mercato e per
forme di pianificazione imperativa della vita economica e pubblica. Se tutto
deve essere fatto per superare l’emergenza, tuttavia il modo in cui avviene “segnerà
il tipo di ripresa e di ricostruzione sociale nel paese”. C’è, come giustamente
ricorda, il precedente della crisi del 2008 (un “momento Minsky”) nella quale i
neoliberali, ignorando il loro plateale fallimento, riuscirono ad usare l’emergenza
per imporre ancora una dose maggiore del veleno: più tagli sociali, più
subordinazione dei lavoratori, più ineguaglianza. Potrebbero anche ora tentare
la stessa mossa, sfruttando lo stato di eccezione.
Un
modo per l’Italia sarebbe richiedere il “soccorso” del Mes[6], magari nelle condizioni
evocate dal Presidente Conte[7]. Su questo tema si sta
aprendo un grosso scontro[8] che indica con una certa
precisione il punto di conflitto nominato da Monereo per la Spagna.
Attraverso
l’attivazione del “toolkit” del Mes[9] verrebbero infatti attivati
dei meccanismi di consolidamento dei conti pubblici, agiti dall’esterno e
vincolanti, i quali impedirebbero di risolvere una crisi che morde, con il
gergo degli economisti, sia dal “lato dell’offerta” sia dal “lato della domanda”
(paralisi delle aziende e delle catene produttive, di rango internazionale, e
drastica riduzione dei redditi e della capacità di acquisto), con forte
protagonismo dello stato nazionale e relativa indipendenza. Ovvero, per dirlo
in altro modo, impedirebbero alle forze scatenate dalla crisi sociale di agire
per rimettere in questione l’egemonia delle frazioni della borghesia nazionale,
interconnessa da catene di interesse con quella europea dei paesi “core”.
Quale
la differenza con semplice debito nazionale emesso tramite le aste del Tesoro,
utilizzando la sospensione del Patto di Stabilità[10]? È molto semplice, quello
è debito nazionale ordinario, e rientrerebbe pienamente in ogni possibile
manovra sul debito che si dovesse attuare in condizioni di grave stress ed
emergenza. Il Mes è debito esterno.
Come
scrivono 103 economisti in un loro appello
di questi giorni:
“Si
tratta in effetti solo di uno strumento di disciplina che gli Stati egemoni
vogliono usare per imporre il loro dominio su quelli che cadano in difficoltà.
Ne vogliono fare la chiave di accesso agli interventi della Bce, una chiave che
sarebbe pagata con la “grecizzazione” di chi incautamente vi facesse ricorso,
ossia l’impoverimento del paese e la sua successiva spoliazione da parte delle
economie più forti”.
Tornano
al pezzo di Monereo, si può concludere che se quel che bisogna compiere è una
ricostruzione nazionale e sociale, allora, bisogna, intanto, “risolvere i
problemi della sinistra con la Spagna” (ovvero della sinistra con l’idea di nazione).
E quindi non solo contestare la cultura egemonica dei diritti civili, che sono una
variante del liberalesimo, quanto soprattutto “costruire un blocco sociale storico
con una volontà di alternativa e di governo che abbia come asse un nuovo
progetto di paese”.
Sarà
anche poco realista, ma questo è il momento.
Bisogna
improvvisare, ritrovando le proposte per un futuro alternativo, come dice, “nella
società, nell’immaginario collettivo e nella memoria dei 15M. In questo
momento, si tratta di prendere nota della situazione con occhi puliti”.
Gli
“occhi puliti” sono la cosa più difficile.
[1] - Un “Momento Minsky” è l’attimo nel quale muta in modo cruciale
il sentimento dei mercati e si passa repentinamente da un tono ottimista ad una
generale avversione al rischio. Quando comunque crollano le “piramidi del
debito” (a causa di un qualsiasi elemento scatenante) lo stop asciuga il
credito per tutti. Nel mutato clima emotivo avviene allora un brusco contatto
con la realtà ed aziende e creditori solvibili si trovano improvvisamente a non
esserlo più (è il motivo per cui Krugman nega che nella congiuntura il problema
sia strutturale). La conseguente corsa alle liquidazioni delle attività provoca
una riduzione accelerata di prezzo, e questo alimenta ulteriormente la caduta.
In conseguenza si crea una dinamica
deflazionista: ogni giorno che passa, il potere di acquisto della moneta
aumenta”, per i debitori questa è una maledizione, perché se la riduzione dei
prezzi è più rapida della riduzione dei debiti il relativo valore reale aumenta
nel tempo (come ricordava Fisher). Naturalmente, aumentando l’onere dei debiti
contratti la deflazione fa crescere i fallimenti e le insolvenze (che provocano
altri fallimenti, perché la tua insolvenza è il mio mancato reddito).
[2] - Karl Marx, “Lineamenti
fondamentali di economia politica”, Einaudi, 1976 (scritto 1857), quaderno
VI, 584, p.706.
[3] - Ne abbiamo parlato in “Disorganizzazione
e riorganizzazione. Coronavirus e cronache del crollo”.
[4] - Si definisce “momento Polanyi” una complessiva crisi sociale che deriva dalla invasione da parte dell'economico di ambiti del mondo della vita non mercatizzabili.
[5] - Si veda, ad esempio, A La Spina,
G. Majone, “Lo
Stato regolatore”, Il Mulino, 2000.
[6] - Il quale incorpora sempre misure
di “condizionalità”, nell’indefettibile logica debitore/creditore
indispensabili per garantire che il primo onori il suo impegno (cfr. regolamento
472/2013, art 7). Ci sono diversi aspetti che rendono in una condizione di
crisi-mondo come quella attuale una simile mossa particolarmente improvvida dal
punto di vista del paese nel suo complesso: il debito assunto con il ricorso
al Mes è “senior”, come quelli del FMI, deve essere ripagato per primo e non
può essere sottomesso a ridenominazione o altri meccanismi di svalutazione o ‘consolidamento’
del debito pubblico; è esercitato in posizione di creditore da un’agenzia
politicamente poco responsiva e coperta da scudo legale, peraltro in mano a
funzionari nordici; le condizionalità, cfr, art.7(5), possono essere
unilateralmente modificate dalla direzione del Mes, come abbiamo visto in più
riprese accadere in Grecia nel 2015 con riferimento alla Troika; qualunque debito
in condizione di presumibile crisi economica e deflazione tende ad espandersi e
diventare una gabbia eterna.
[7] - Che sono l’assenza di condizionalità
e l’emissione, anche in fase immediatamente successiva, da parte di questo di “coronavirus
bond” per espandere la portata dell’intervento (attualmente il Mes ha solo 80
miliardi di versamenti che portano ad una capacità di circa 400 miliardi, che
possono arrivare a 700). A questa prospettiva si è registrata una apertura del
Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, che però è
probabilmente l’istituzione europea più debole, dopo l’inesistente Parlamento
Europeo, nella crisi attuale (la più forte è la Bce, segue il Consiglio Europeo
e le sue articolazioni) e l’apparente sostegno della Francia. Tuttavia si è
registrata la ferma opposizione dell’Olanda (che, in genere, parla per la
Germania). Peraltro una Sentenza della Corte di Giustizia Europea del 2012 ha
stabilito che il Mes è compatibile con il diritto europeo solo se dà prestiti “condizionati”.
[8] - Da una parte politici come Paolo
Gentiloni, commissario europeo per l’Italia, o il ministro Gualtieri, dall’altra
recentemente il capo politico del Movimento Cinque Stelle, Vito Crimi, che dopo
aver aderito ad un appello
di 103 economisti contro la gestione della crisi, ha avvisato che il movimento
potrebbe negare l’appoggio alla maggioranza, facendo cadere il governo, se il
Mes viene attivato senza aver fatto tutti i passaggi istituzionali previsti
dalla Legge 324/2912.
[9] - Si tratta di sei
diversi tipi di prestiti: l’acquisto di titoli di Stato dei paesi alle prese
con correzioni macroeconomiche (è stato il caso della Grecia, ma anche delle
crisi del credito di Portogallo, Irlanda e Cipro); l’acquisto di titoli di
debito pubblico sul mercato primario e secondario; la ricapitalizzazione delle
banche; la ricapitalizzazione diretta delle istituzioni. Ogni strumento prevede
delle precise condizioni da applicare ai paesi destinatari del prestito, che
vanno dall’adozione di riforme macroeconomiche alla sorveglianza sulle regole
del settore bancario. Possono essere individuate soluzioni specifiche per paese.
[10] - Anche se non è ancora ufficiale l’Eurogruppo
ha, su proposta della Commissione, dichiarato che può essere attivata la
clausola del Patto di Stabilità e Crescita che ne sospende il meccanismo di
controllo macroeconomico (il famoso 3%) in caso di grave crisi esogena.
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