Le
donne e gli uomini che videro finire la guerra, che adolescenti si affacciarono
sul mondo di rovine che seguì e seppero, con l’energia dei venti anni, essere
parte della ricostruzione.
Donne
che udirono i discorsi di Togliatti e di De Gasperi e su di essi formarono la
propria visione.
Uomini
che appena diciottenni seguirono con il fiato sospeso i lavori dell’assemblea
costituente.
Perdiamo
chi sapeva ancora ricordare i gusti di un tempo da lungo trascorso.
Chi
aveva toccato, di sfuggita, i soldati americani che passavano per le strade e
preso le loro caramelle, e poi con quelle stesse mani avevano esercitato il
diritto di voto di nuovo.
Perdiamo
le menti che avevano pensato a James Dean quando, il 30 settembre 1955, morì
sulla sua Porsche 550, e al colpo di stato contro Peron in Argentina.
Chi
pochi anni dopo vide Fulgencio Batista lasciare l’Avana, mentre l’Unione
Sovietica lanciava il primo razzo nello spazio profondo e Aldo Moro diventava
segretario della Democrazia Cristiana.
Perdiamo
i testimoni degli entusiasmanti anni delle decolonizzazioni dei paesi del “terzo
mondo”, quando tutto sembrava possibile.
Restiamo
senza le nostre madri, i nostri padri amati.
La
saggezza del loro consiglio per i nostri figli, il sorriso paziente di chi sa
di aver vissuto tempi peggiori, il passo lento di chi conosce la vita.
Se
anche tutto questo fosse solo questo,
sarebbe
troppo.
Immenso
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