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martedì 7 aprile 2020

Il controllo al tempo della paura. Cronache del crollo.





L’età moderna nasce dalla paura, c’è paura sempre ed ovunque[1]. È questa la enorme forza dalla quale scaturisce la soluzione liberale del “male minore”[2]. E dalla quale scaturisce l’affidamento al sistema della tecnoscienza, la cui prima e più essenziale incarnazione è il sanitario.
Dal clima di paura del XVI secolo scaturisce anche la ragione d’essere dello Stato nazionale, che esiste e pretende di avere il monopolio della forza in quanto e per quanto protegge dalle minacce che turbano l’esistenza delle persone. Dei sudditi, in una prima fase, dei cittadini, dopo. Viceversa, la scomparsa della centralità dello Stato, o la narrazione di tale scomparsa (dato che questo al massimo si ritira lontano dallo sguardo e dalle mani dei cittadini, divenuti troppo esigenti, da retrocedere per questa via a sudditi[3]) fa venire meno questa promessa.
Si tratta di una minaccia esistenziale quindi, per l’ordine sociale e per la vita organizzata. Una minaccia per qualunque ordine sociale, sia esso capitalista o no, occidentale o orientale, del nord e del sud. Per riferirsi ad un esempio storico, anche durante i processi di state-building del periodo della decolonizzazione (1945-75) è attraverso l’estensione di servizi sanitari che è stata spesso cementata la proposta di legittimazione del nuovo stato. Nell'attuale crisi mondiale derivante dalla pandemia da  SARS-CoV-2 accade qualcosa di simile. Non è un caso che tutti i paesi del mondo, in pratica, abbiano avuto, con maggiore o minore reattività, lo stesso ciclo di risposta: scoperta-minimizzazione-attesa-allarme-misure di lock down. La ragione è che la vera minaccia non è solo alla vita di migliaia di cittadini, quanto alla funzione stessa dello stato di proteggerli. Non appena quindi la minaccia è stata percepita come reale ed imminente lo stato ha reagito enfatizzando, con misure drammatiche, la sua offerta di protezione. Ciò in Cina, Corea, Singapore, Giappone, India, come in Italia, Francia, Germania, Inghilterra, Stati Uniti. Si è trattato di una pura necessità di legittimazione. La differenza tra le misure (con, al momento, più o meno la metà dei cittadini del mondo in Lock Down, a vari gradi) deriva solo dal grado di allarme, e quindi, precisamente, dal grado di minaccia alla legittimazione.

Misure di distanziamento nel mondo 27 marzo 2020


Il fatto è che la cosa viene da lontano. Anche senza pandemia, l’offerta di protezione dalla paura è spesso resa inesigibile a causa della natura smaccatamente mercatocentrica della società che si afferma nel neoliberismo e della natura globale dei relativi mercati. Abbiamo, infatti, assistito in questi ultimi trenta anni a diversi ripiegamenti come effetto di questa inesigibilità. In particolare, la “politica della vita”[4] e la società dei consumi, che ne è il necessario ambiente[5], si sono affermati come la forma specifica che prende nella modernità contemporanea la privatizzazione della funzione di protezione in precedenza assunta dallo Stato “provvidenza”. Per un famoso testo di Giddens, del 1991, la transizione dalla modernità alla modernità contemporanea è effetto di profondi processi di “riorganizzazione del tempo e dello spazio, insieme all’espansione di meccanismi di disancoraggio”. Ovvero di dinamiche che “rendono i rapporti sociali liberi dalle influenze locali e li ricostituiscono su grandi distanze spazio-temporali”. L’effetto di questa trasformazione è la prevalenza del “rischio”, anzi della “cultura del rischio”[6].

Ciò determina la fragilità, fisica, strutturale e politica, nella quale le nostre società globalizzate sono state trovare dalla sfida del coronavirus.

Prendiamo un caso limite. A Santiago de Guayaquil, in Ecuador, da una settimana sembra che le funzioni più elementari del servizio sanitario del paese siano collassate e scomparse[7]. In una città di tre milioni e mezzo di abitanti, che fa parte di un paese di sedici, da diversi giorni non si ritirano migliaia di cadaveri. Persone che sono morte a causa dell’epidemia di coronavirus nelle loro case. La gente è quindi costretta ad abbandonare i propri cari in mezzo alle strade, davanti agli ospedali, ovunque. Alcuni pietosamente li accatastano e li bruciano alla meglio. Gli scantinati dei presidi ospedalieri sono pieni di buste nere abbandonate con il loro triste contenuto. Il paese dichiara tremilaseicento casi e solo centottanta morti, il governo teme siano tremilacinquecento i morti, ma a tutta evidenza ha smesso di contare gli uni e gli altri. Come è potuto accadere? Cosa resta di uno Stato quando neppure questo riesce a fare? Perché il presidente Lenin Moreno non riesce che a balbettare che rimedierà? Ci sono molte concause: il paese ha un’imponente emigrazione, e questa è stata diretta verso tre paesi in particolare che evidentemente svolgono la funzione di metropoli rispetto a loro, gli Usa, la Spagna e l’Italia. Da tutti e tre gli immigrati senza effettivi diritti e con posizioni precarie sono tornati precipitosamente alle loro famiglie, ma nel farlo hanno condotto il virus. La seconda è l’espulsione delle migliaia di medici cubani che tenevano in piedi la sanità ecuadoregna per dare un contentino alle richieste pressanti di Trump. La terza è la svolta neoliberale dello stesso Moreno, il quale ha accettato di smantellare il poco sistema pubblico esistente, per dare seguito a misure di austerità. Tutte e tre le dimensioni si riconducono ad una: il liberalismo globalizzato costringe a smantellare la protezione pubblica per costringere tutti a ricorrere al mercato. La privatizzazione della protezione, da ottenere con ogni mezzo, è un passaggio centrale e necessario della pretesa obsolescenza dello Stato.

Attesa sotto un ospedale

Altro esempio, l’Italia del nord. La sanità è stata ristretta a poche macchine di salute, abbandonando il presidio sociale e territoriale diffuso, ha lasciato anche il modello pubblico che l’aveva caratterizzata ai suoi esordi come Sistema Sanitario Nazionale. Creato nel 1978 come misura chiave della partecipazione del Pci al “compromesso storico”[8], dagli anni novanta è stato investito dal federalismo fiscale[9], ed a partire dagli anni dieci, in seguito alla crisi, è stato investito dalle politiche di consolidamento fiscale imposte dalla Unione Europea[10]. In particolare, la crescita del saldo primario è sempre stata ottenuta anche a carico della spesa sanitaria (e di quella dell’istruzione), circa nella misura di un terzo[11]. Gli ultimi anni hanno visto tutte le regioni disinvestire nella sanità pubblica, in parte spostando risorse sulla presunta più efficiente sanità privata, ottenendo complessivamente un saldo negativo di posti letto, capacità di trattamento, numero di addetti. Tutte queste condizioni, appena sufficienti in condizioni normali sono repentinamente crollate nelle primissime settimane di una epidemia severa, ma non certo riconducibile alle pesti che aprirono la modernità. Il risultato è un’intera nazione bloccata, migliaia di morti non necessari, un crollo verticale del sistema economico.

Per ora si sta seguendo quella che sembra la strategia “del martello e della danza[12] per la quale si alternano fasi di duro contenimento, per abbassare il numero di contagi e far arretrare l’epidemia a fasi nelle quali si compie una “danza” cercando di allentare e restringere le misure per tenere sotto controllo la stessa. Ciò fino a che non saranno disponibili affidabili vaccini o robuste terapie (ed infrastrutture nelle quali erogarle). Naturalmente la capacità mutagena del virus, che è già cambiato in almeno tre ceppi principali, e l’interconnessione non completamente arrestabile del pianeta, renderanno la “danza” piuttosto lunga e complessa. Potrebbero anche essere necessarie altre “martellate”.



Ci torniamo tra poco.

L’età moderna nasce dalla paura, e da questa scaturisce la soluzione di affidare al politico la protezione, abbiamo detto. Ciò implica che la protezione è la precondizione per l’esistenza stessa del politico ma anche del sociale. E ciò da sempre.
Dunque la soluzione moderna connette il contenimento, pratico e simbolico ad un tempo, della paura tramite il politico alla forma-Stato. Nel farlo rende possibile la socialità, ma, naturalmente comprime in qualche misura le individualità che, al contempo, le forze sprigionate dalla rivoluzione borghese avevano liberato. Si tratta di un processo grandioso che in Europa porterà il potere prima a concentrarsi nelle mani del re (inaridendo tutte quelle piccole e grandi isole di po­tere che caratterizzavano l'assetto medioevale e feudale), per quindi pas­sare, in seguito ad una profonda crisi rivoluziona­ria, nelle mani della borghesia che fonderà lo stato moderno[13]. Parte del processo è la costruzione di macchine territoriali sempre più complesse ed interconnesse, tecniche di controllo sempre più pervasive, strutture amministrative sempre più capillari ed astratte[14]. Opere pubbliche sempre più costose, e quindi sistemi di misurazione, identificazione, normalizzazione, sempre più dettagliati. Controllo capillare dei luoghi previa loro identificazione (catasto, fisco, polizia, strade regie, poste, ospe­dali, asili, pri­gioni, manifatture ecc.).
Il processo raggiunge un salto di scala molto significativo con l’insorgenza della sanità moderna, al principio del XIX secolo, e trova una sua poderosa rappresentazione nel ridisegno di Parigi alla metà del secolo[15]. La figura dell’ingegnere sanitario e del medico igienista[16], insieme a quella del moderno ospedale, nati tutti in un breve arco di decenni, incarna questa funzione protettiva[17] che si estende insieme allo Stato e ne definisce molto profondamente la legittimità. Non a caso questo processo di estensione avviene come moto di reazione all’impatto del capitalismo “manchesteriano”[18] che si era esteso come un incendio nella steppa in tutta l’Europa moderna, per propagazione dai centri britannici verso la Francia e l’Europa centrale. Al 1870 se ne vedono gli effetti di potenza nella guerra franco-prussiana[19].

In definitiva se si può dire che il processo di estensione della protezione e di legittimazione dell’attivismo dello stato è l’effetto di un grandioso processo che prende il secolo lungo tra il secondo quarto del XIX e il terzo del XX secolo, la sanità ne è uno dei centri più rilevanti.
Questo bastione è stato preso però, interamente, nella linea di attacco del post-moderno e del neoliberismo. La riduzione del pubblico nella vita delle persone è passata sistematicamente per una loro maggiore esposizione alla durezza della vita e quindi anche al rischio, alla paura, alla generazione di fragilità individuale. La sinistra ha contribuito fortemente a questo processo, peraltro, valorizzando il lato libertario dell’indebolimento delle macchine protettive novecentesche, reinterpretate come dispositivi di autorità, regimentazione, normazione e, in ultima istanza, paternalismo e patriarcato. Abbiamo illustrato il caso di Giddens, molti altri si potrebbero fare. È molto chiaro, per il sociologo inglese che la modernità contemporanea è un “processo di ritrovamento di se stessi”. Un processo che vive nella tensione tra pulsione all’autenticità e apertura al mondo determinata dai sistemi astratti che ci circondano e definiscono. Chiaramente questa esposizione è fonte di ansia, tuttavia essa in positivo è anche “stimolo per risposte utili per l’adattamento ed anche per prendere delle nuove iniziative”. Dunque, in sintesi, “la modernità è un ordine post-tradizionale in cui la domanda ‘come vivrò’ deve ricevere una risposta attraverso le decisioni quotidiane riguardanti come comportarsi, cosa indossare, cosa mangiare o altro”. La vecchia modernità, ormai superata, e propria del mondo industrializzato e capitalista, si sviluppava, invece, entro istituzioni di vigilanza come lo Stato-nazione e determinava l’emergere ovunque di organizzazioni inclusive, le quali nella stessa mossa proteggevano e limitavano. Mentre il passaggio a quella “contemporanea” si è data attraverso alcune accentuazioni e rotture: un estremo dinamismo; la separazione di tempo e spazio e il conseguente disancoraggio delle istituzioni sociali, lo sradicamento dai contesti locali e la riarticolazione in ambiti spazio-temporali definiti da segni simbolici (come il denaro) e sistemi esperti (conoscenza tecnica). In conseguenza, nella dialettica che si è istituita tra la trasformazione dell’identità personale e la globalizzazione per Giddens la soluzione può ormai emergere solo a livello individuale nel progetto del sé riflessivo e nella scelta del proprio “stile di vita”. Una scelta che sia individuale, consapevole e per questo sostenuta contro ogni stress e rischio. Naturalmente non sfugge che bisogna disporre delle adeguate risorse.

Questa è stata fino ad oggi l’antropologia neoliberale.

C’è un effetto finale. L’attacco neoliberale, reso apparentemente necessario ed irresistibile per effetto dello strumento principe della movimentazione di capitali, uomini e quindi della mondializzazione, ha condotto necessariamente, date le proprie premesse, al progressivo indebolimento della capacità della società organizzata di far fronte ad eventi straordinari come quelli oggi in corso. Ma ciò varrebbe anche per eventi come l’uragano Katrina, un terremoto importante, e via dicendo.
Questo è il significato più proprio dell’indebolimento dello stato.

Torniamo al coronavirus.
Avevamo parlato di “martello” e “danza”.
Del primo stiamo vedendo gli effetti[20]. Parliamo ora della seconda. Una volta rientrata la prima onda di piena dell’epidemia ci sarà da sviluppare senza indugi alcuni interventi di natura strutturale[21].

Ma se si tratta di danzare è necessario trovare il modo, mentre ancora l’emergenza da coronavirus non è completamente passata nel paese e magari è in pieno svolgimento in altre parti del mondo, di riattivare con la necessaria gradualità la produzione e la socialità.
Ci sono due possibilità, essenzialmente: la prima è di aprire selettivamente alcune attività e non aprirne molte per un periodo che potrebbe essere anche di diciotto mesi/due anni, durante i quali alternare periodi di Lock Down quando l’epidemia inizia a mettere in difficoltà il sistema di risposta sanitario e più brevi periodi di rilascio (il Mit stima periodi di contenimento di due mesi, intervallati da un mese di pausa, per diciotto mesi[22]).



Naturalmente si possono costruire in teoria quanti posti di ventilazione e soccorso possibili, per “reggere” i picchi, ma quel che non è altrettanto facile fare è istruire medici ed infermieri. Può darsi che idonee tecnologie possano aiutare, ma per quelle è probabile ci voglia molto più tempo (ad esempio, per sviluppare e implementare sistemi di automazione sanitaria[23]).
In questo primo scenario chi ne fa le spese? I primi sono tutti i luoghi nei quali si riuniscono molte persone contemporaneamente: ristoranti, caffè, bar, discoteche, palestre, hotel, teatri, cinema, gallerie d'arte, centri commerciali, fiere dell'artigianato, musei, musicisti e altri artisti, luoghi sportivi (e squadre sportive), sedi di congressi (e produttori di congressi), compagnie di crociera, compagnie aeree, trasporti pubblici, scuole private, centri diurni. Parliamo di una quota molto importante della nostra economia e della nostra vita. Se ciò si verifica ci abitueremo a fare a meno per i prossimi due o tre anni (molti stimano in almeno questo periodo il tempo nel quale sempre nuove mutazioni del virus torneranno, e torneranno, sempre diverse) di trasporti pubblici, bar, centri commerciali, sport, congressi ed eventi. In effetti sembra alquanto difficile. Vorrebbe dire tenere in animazione sospesa la società per quasi due anni, è molto difficile possa sopravvivere economicamente e socialmente. Faccio un esempio, Roma ha circa 13 milioni di visite turistiche all’anno, di cui la metà di fascia alta. La spesa diretta di questi turisti è stimata ufficialmente in 7 miliardi (più magari 1 altro miliardo semisommerso dovuto ad Airbnb), il 12% del Pil della città. Complessivamente in Italia sono 100 milioni di visite turistiche. Lavorano nel settore nella capitale poco più di 30.000 persone su 1.700.000, ma c’è un consistente indotto nei settori del commercio, della ristorazione, e ci sono 100 milioni di incassi del Comune per tassa di soggiorno. Il saldo complessivo del turismo vede spese in Italia per circa 40 miliardi e spese all’estero (dei turisti italiani) per 24 miliardi, è quindi una voce attiva della nostra bilancia commerciale.
Possiamo a lungo termine farne a meno? Non sfuggirà che perdere introiti diretti, ma soprattutto molti posti di lavoro diretti ed indiretti, moltissima integrazione del reddito per “lavoretti” di vario genere, quota decisiva del fatturato di settori importanti, commerciali e ristorativi, produce una dinamica cumulativa che rischia di alimentarsi. La perdita di gettito fiscale induce riduzione dei servizi e peggioramento della qualità della vita e dello stato di manutenzione, ciò allontana ulteriori attività, e questo aumenta la perdita, così via.

La seconda possibilità è che si attivi una mitigazione di questa prospettiva che può derivare nel medio termine solo dal potenziamento di sistemi di controllo e tracciamento.

È abbastanza noto il menù di base:
a-      Screening approfondito, e per priorità, della popolazione per rilevare chi è immune (se possibile), chi è malato asintomatico, ma contagioso, chi non è entrato in contatto con il virus (a partire da settori cruciali, come i medici, i poliziotti, gli addetti alla logistica, i gestori dei servizi locali, gli addetti al trasporto pubblico), si parte pare con 100.000 rilevazioni;
b-      Potenziamento massivo della sorveglianza sanitaria attiva sul territorio, e distribuzione di presidi di prossimità, in modo da ridurre il tempo tra la segnalazione di soccorso o allarme e l’intervento qualificato, stiamo cominciando;
c-      Controllo delle persone circolanti per identificare in tempo reale o retrospettivo chi sia portatore del virus e tutti i suoi contatti;
d-      Identificazione delle aree potenzialmente contaminate;
e-      Identificazione delle merci potenziali veicoli di contagio e la loro distribuzione;
f-       Tempestiva sanificazione delle aree e confinamento in quarantena delle persone;
g-      Controllo molto più specifico nelle aree di affollamento e di lavoro;
h-      Misure di confinamento e quarantena al confine delle aree in sicurezza per merci e persone (in particolare al confine esterno del paese), per farle entrare in esse;
i-       Confinamento e controlli approfonditi, eventualmente assistiti da dispositivi di sanificazione, al confine delle aree in quarantena (in caso di aree limitate) per uscire da esse.

Questa semplice esigenza potrebbe portare a:
1-      Controllare gli spostamenti e la localizzazione di ogni cittadino fuori del suo domicilio per l’intero percorso e tracciamento attivo di tutti quelli che sono segnalati perché a rischio contagio attraverso il proprio dispositivo di comunicazione (con o senza App specifica);
2-      Individuare tempestivamente tutti i contatti intercorsi, anche per semplice incrocio fortuito, con tutte le persone che risultassero contagiate, interrogando la banca dati che contiene i tracciati, per l’intero periodo di incubazione e attività;
3-      Incrociare i dati ed i tracciati di movimento con punti di controllo sul territorio, come telecamere con riconoscimento facciale, portali attivi in grado di leggere l’identificativo del telefono, e, peraltro, di ogni oggetto facendo anche uso di reti wireless pubbliche e pervasive;
4-      Tracciare completamente il ciclo di vita delle merci, fino a destinazione, in modo da poter identificare qualsiasi oggetto che sia stato toccato da una persona che risultasse infetta (tecnologia Rfid o simile).

Per ottenere questi risultati serve:
I-                   Un sistema dati in grado di tracciare ogni persona e tutti i suoi spostamenti sull’intero territorio e di essere interrogato rapidamente e con precisione;
II-                Una rete di sensori nel territorio in grado di fornire riscontri della geolocalizzazione delle merci;
III-              Una rete di sensori nei luoghi di affollamento, in grado di fornire una localizzazione del movimento delle persone e l’identificazione di coloro i quali fossero entrati nel raggio di influenza di una persona potenzialmente contaminata e/o positiva;
IV-             L’interfaccia delle telecamere disponibili sul territorio con software di riconoscimento facciale, per fornire punti di incrocio delle geolocalizzazioni;
V-                L’intensificazione dell’automazione, per ridurre la presenza umana e certamente la sua densità, nei luoghi di lavoro e produzione.




E’ chiaro che alcuni letterati, diversi filosofi, molti intellettuali al sicuro nelle loro comode case, che non dovranno mai correre il rischio di stare otto ore al giorno in una sudaticcia sala con centinaia di altri colleghi, diranno che tutto questo è uccidere i diritti di libertà di tutti (come dice, ad esempio, Francesco Benozzo[24]), in quanto radicalmente in contrasto con la “politica della vita” alla quale sono abituati da qualche decennio. Ovvero con l’oggettiva confluenza del neoliberismo, per chi se lo può permettere, con l’estetica libertaria e la sua “critica artistica”[25].

Ma è possibile che abbastanza inevitabilmente domani se vorrai prendere un aereo, o forse anche un treno, dovrai poter dimostrare che non sei entrato in contatto con persone potenzialmente infette, o aver attraversato aree a rischio, negli ultimi venti giorni. Ciò per proteggere gli altri, ed in particolare i più deboli di noi[26]. E una tale certificazione potrà essere prodotta solo dal sistema informatico (peraltro in tempo reale). Certo si può certamente pretendere un’assoluta privacy, e la distruzione dei dati trascorso un certo numero di giorni, ma l’alternativa rischia di essere di passare venti giorni all’arrivo, o prima della partenza, in un’area di quarantena[27]. Parimenti potrebbe darsi che si debba avere un simile bollino per andare ad un concerto, entrare in luoghi pubblici potenzialmente affollati. Noi potremmo anche non accorgercene, potrebbe essere il nostro dispositivo di comunicazione (che diventerebbe obbligatorio come la carta di identità e la cui assenza potrebbe essere rilevata dai sensori[28]), a segnalarci ed abilitarci.
Il ritorno dello Stato alla sua funzione primaria di garanzia della sicurezza della vita stessa, e quindi di garanzia sanitaria, potrebbe insomma comportare qualcosa di simile all’immane trasformazione che le città europee subirono nel corso dell’ottocento[29]. La medicina, come dicevano gli igienisti nella prima parte del 1800, tornerà ad avere in modo evidente “dei rapporti intimi con l’organizzazione sociale”; il tema tornerà, o potrebbe tornare, ad essere quello di ridefinire gli spazi urbani e la sua dotazione infrastrutturale[30] per “riorganizzare contatti e transiti”.
Potrebbe esserci però una nuova forma di digital divide[31], e questo aprirebbe ulteriori dimensioni nella lotta alle ineguaglianze. Tutto ciò potrebbe accelerare in modo decisivo la fuoriuscita dai residui ancora resistenti della società del novecento, quella del lavoro sicuro e stabile, della protezione garantita per grandi unità di senso, conducendoci ancora più velocemente, sulla spinta della sicurezza e dell’igiene, verso un mondo in cui ad una minoranza di connessi e vincenti, rapidi, flessibili, carichi di energia e di ottimismo, ma anche apolidi, tendenzialmente refrattari alla responsabilità, si oppongono maggioranze variegate e frammentate (in effetti una molteplicità di minoranze anche esse) che utilizzano e sono usate nella grande macchina produttiva diffusa, restando in posizione sostanzialmente passiva e subalterna e una crescente area marginale degli esclusi a vario grado respinti[32]. I primi mobili, che accettano i controlli tecnologici, i secondi ancora più vincolati e fermi.



Siamo davanti ad un enorme punto di ambiguità e grandissimi rischi.

Come avevamo già scritto, nel medio periodo tutto questo porterà probabilmente importanti cicli di investimento, con la conseguente possibilità di essere parte della ripresa, soprattutto se questi avvenissero con un importante protagonismo pubblico, come è nella natura dell’impegno di re-estensione della protezione. Ma porterà anche un enorme spiazzamento e la possibilità di amplificare le differenze centro-periferia. E, se la cosa non viene gestita secondo un piano sotto stretto controllo democratico, porterà anche ad un’ulteriore periferizzazione di tanti. Senza uno sforzo collettivo erculeo per rendere disponibili le risorse necessarie alla riproduzione individuale e sociale e la riconversione di uomini e territori le tensioni saliranno, insomma, in modo insostenibile.
Questa è dunque una delle arene di maggiore rilevanza e di più grande delicatezza che avremo davanti a medio termine, nell’arco dei prossimi due o tre anni. La protezione sociale è necessaria e sempre di più lo sarà, ma deve andare di pari passo alla consapevole condivisione della propria produzione di informazione e nel potenziamento e difesa del “diritto alla città”[33], ovvero il diritto di ciascuno (diritto sociale, non civile, si potrebbe dire) a disporre di un’esperienza spaziale adeguata a sostenerne la vita e non segregante. Attraverso un’ampia discussione collettiva, cui il sapere tecnico sarà abilitato a partecipare, ma senza avere l’unica parola, bisognerà porre la questione decisiva del soggetto che è legittimato a chiedere che tipo di territorio che vogliamo, che persone vogliamo essere, a quali rapporti sociali aspiriamo, che rapporto intendiamo promuovere con la natura, e, naturalmente, con le tecnologie che riteniamo convenienti. Dunque, il “diritto alla città” non è un diritto individuale di accesso alle risorse originariamente concentrate nella città stessa: piuttosto è il diritto a cambiare insieme alla città, in modo da renderla conforme ai desideri, insieme scoprendoli. Non è una cosa nuova: la visione originaria del socialismo consisteva proprio in questa idea secondo la quale in futuro le società potranno essere interamente ristrutturate secondo il modello di una spontanea comunità solidale per impulso dei propri stessi membri. Cioè per una capacità da essi stessi sviluppata a orientarsi spontaneamente gli uni verso gli altri, superando l’egoismo e dedicandosi ognuno in modo disinteressato alla autorealizzazione dell’altro.
La creazione di informazione, e la consapevolezza insieme della comune interdipendenza, cosa che può essere il frutto migliore di questa esperienza tragica può essere anche occasione per comprendere, finalmente, che gli esseri umani non possono essere liberi da soli, ma solo entro relazioni sociali che li rendano tali, cioè entro la “libertà sociale” che il socialismo intende istituire. Non si tratta solo di realizzare un sistema distributivo più giusto (ottenendo l’uguaglianza, magari al prezzo di un potenziamento dell’amministrazione, cosa che in certi limiti avverrà), ma anche ed insieme di creare le condizioni di una nuova forma di vita comunitaria. Consapevole della nostra comune compresenza. Una forma in cui la “libertà” sia determinante sia sul piano dell’individuo, che si orienta verso la comunità per la soddisfazione delle sue finalità (in primis quella di base della propria sicurezza), sia su quello della comunità stessa, che è una creazione consensuale della “fratellanza”, ovvero della “simpatia” reciproca (termine presente nei moralisti settecenteschi, in particolare scozzesi).
La cosa è abbastanza semplice da capire: noi stessi usiamo spesso il termine comunità, intendendo una condivisione di finalità ed un senso di comunanza e reciproca simpatia (che si manifesta automaticamente, ad esempio, quando due connazionali si incontrano in un paese estero non familiare) che porta ad un certo grado di disponibilità a farsi carico dei bisogni dell’altro, ovvero un certo grado di essere-sé nell’altro (secondo una fulminante formula di Hegel) sia pure nel quadro di unità anonime.

Però la vera via di uscita, per evitare tutto ciò deve essere molto di più. Una profonda razionalizzazione degli apparati produttivi e delle macchine territoriali, riducendo l’inutile differenziazione dei prodotti e le tante fonti di lavoro improduttivo, scegliendo quali attività sono in effetti superflue, inutili, dannose, quali forma di solitudine nella folla sono da disincentivare. Un grande lavoro collettivo, a regia pubblica, volto ad ampliare sia l’indipendenza del paese sia la sua robustezza, garantendo la partecipazione di tutti alla produzione, alla sua organizzazione, alla vita, ai suoi frutti.

Ma questo è un discorso che bisognerà continuare.





[1] - Lucien Febvre, “Il problema dell’incredulità nel secolo XVI. La religione di Rabelais”, Einaudi, 1978, p.380.
[2] - Jean -Claude Michéa, “L’impero del male minore”, 2007.
[3] - Mi riferisco ovviamente al deficit di democrazia dell’Unione Europea. Deficit che è, si badi bene, del tutto strutturale e non casuale. Ad esempio si può leggere Peter Mair, “Governare il vuoto”, 2016.
[4] - Si veda Antony Giddens, “Identità e società moderna”, 1991.
[5] - Scrive Zygmund Bauman, “lo Stato ‘sussidiarizza’ la battaglia contro le paure ‘abbassandola’ alla sfera della ‘politica della vita’, gestita e condotta dagli individui, e al tempo stesso appalta ai mercati dei consumi la fornitura delle armi per combatterla”, in “Paura liquida”, Laterza 2006.
[6] - Il “rischio” al quale l’autore inglese guarda come attivatore dell’individualizzazione e dei percorsi di vita riflessivi, è in Inglehart presente (nel richiamo di Beck, che è autore in comune) sotto il profilo della dimensione naturale, ma proprio perché ormai escluso da quella economica. La revoca di questa condizione di relativa eguaglianza e protezione farebbe semplicemente crollare la condizione “postmoderna”. Non così per Giddens. Questi definisce, con un caratteristico spostamento sul piano individuale, la sicurezza necessaria all’individuo per affrontare la vita e confrontarsi con i “rischi attivanti” come “corazza protettiva” che, formatasi nell’età infantile, fonda la “fiducia di base” (cioè nella continuità dei comportamenti altrui e nella stabilità del mondo concreto e reale), rende l’individuo capace di tenere sotto controllo la “sensazione di caos” e la conseguente, altrimenti insorgente, “paralisi della volontà”. Allora la modernità contemporanea è in sostanza una “cultura del rischio” in cui la potenziale paralisi è tenuta sotto controllo dalla fiducia nella stabilità e nell’inertizzazione dei possibili pericoli provenienti dal mondo esterno. Ciò che l’uomo contemporaneo compie è un “salto di fede” (p.8), che attiva un comportamento riflessivo del sé e il lavoro necessario per scegliere il proprio stile di vita, creando ex post quella coerenza nella storia di vita che non è più disponibile ex-ante. In qualche modo il rischio prende il centro della scena e viene anche attivamente ricercato entro certi limiti come parte di un “pacchetto complessivo”, ovvero di uno “stile di vita” autoassunto riflessivamente. Si tratta in altre parole di stabilire una traiettoria entro l’ambiente sociale e luoghi ormai invasi da meccanismi di disancoraggio (p.194) che si estendono a tutte le dimensioni della vita e della natura.
[7] - Si veda “Dramma Ecuador”, Corriere della Sera.
[8] - Istituito con la legge 833/1978 in forma di un diritto universale, in attuazione del dettato costituzionale che definisce la salute come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. La distribuzione delle risorse, al fine di garantire l’uniformità del servizio, era affidata ad un Piano Sanitario Nazionale ed a livello locale nelle Unità Sanitarie Locali.
[9] - Le riforme che stravolgono questo sistema sono orientate alla riduzione ed efficientamento della spesa sanitaria ai fini espressi ed espliciti di consentire al paese l’adesione all’Unione Europea, costituita secondo parametri di tipo liberista. Ne fa espressione il D.Lgs 502/1992, che trasforma le Usl in Asl, sottoponendole a criteri di mera efficienza economica. Ma è stata anche investita dalle contemporanee e sinergiche (nell’indebolimento dello stato centrale) spinte separatiste, fino alla riforma del “titolo V” (legge costituzionale 3/2001) che ha portato alla definizione regionale della sanità italiana. Svolge particolare rilevanza il D.Lgs 56/2000 che rende autonoma la fiscalità regionale
[10] - La spesa sanitaria italiana è scesa in particolare nel periodo 2010-18, cumulando una riduzione di circa 37 miliardi (su circa 120) e rispetto al Pil attestandosi al 6,85% (rispetto al massimo del 7,4%). Il numero di posti letto è di 3,18 posti per mille abitanti, inferiore alla media Ocse (4,73) e persino alla povera Grecia (4,21). Per un confronto, la Germania ne ha più del doppio (8) e la Francia poco meno del doppio (5,96).
[12] - Si veda qui.
[13] - “Lo stato che nel secolo XVII sorse e si impose nel conti­nente europeo è effettivamente un'opera dell'uomo differente da tutti i prece­denti sistemi di unità politica.  Lo si può persino considerare il più importante prodotto del secolo della tecnica, il primo meccanismo moderno in grande stile e, secondo una centrata definizione di Hugo Fischer, la machina machinarum” (C.  Schmitt, Der leviathan in der Staatslehere des Thomas Hobbes, Hamburg 1938.  Citato nell'appendice di Stato e rivoluzione in Inghilterra di Mario Tronti, Milano 1977, Pag.  322). 
[14] - In questo pe­riodo emerge la concezione di stato apparato che non si ri­duce a nessuna persona particolare (neanche il re, fatto salvo un periodo iniziale); una struttura che esige l'uniformità, e che occupa tutto il corpo sociale senza lasciare alcuna zona franca, “otturandone tutti i pori” (K.  Marx).  Un simile livello di pervasività e uniformità non era stato mai raggiunto in passato e nasce insieme allo sviluppo delle forze produttive e all'emergere di una classe nuova aperta e vivace tendenzialmente onnicom­prensiva e generale. Nel suo testamento politico il cardinale Richelieu scriveva: “Questa probità richiede che tutti coloro che si oc­cupano del governo dello Stato non solo camminino con il medesimo passo, ma, poichè agiscono tutti per il medesimo fine, tengano anche un linguaggio simile”.
[15] - “La generazione presente non ha la minima idea di cosa fosse questa porzione di Parigi (fra il Louvre e I’Hotel de Ville) prima della sua completa trasformazione dal 1852 al 1854. Essa non sa che la prima sezione della rue de Rivoli, che fiancheggia il giardino delle Tuileries, si arrestava di tronco [...]; al di là si trovava un quartiere immondo, composto di sordide abitazioni, solcato da stradine strette, che dalla rue St.-Honoré si stendeva fino alla place du Carrousel, che occupava per la sua maggior parte.  Questo quartiere copriva quasi tutta la superfice attuale della place du Palais Royal, poi continuava senza interruzione lungo il Louvre, che chiudeva a ovest e a nord, fino alla cosiddetta place de la Colonnade, ostruita anch’essa da costruzioni ignobili, e si collegava ai quartieri, non meno impraticabili alla circolazione, che si stendevano fino alla misera place de Grève; [...] Davanti all’Hotel de Ville, nell’intervallo che separava la vecchia place du Chatelet e lo spazio irregolare chiamato place de Grève, l’occhio era afflitto da orribili cloache chiamate rue de la Tannerie, della Vielle-Tannerie, [...] E quale popolazione vi abitava! No! quelli che non hanno come me, percorso la vecchia Parigi di quest’epoca in ogni senso, non possono farsi un’idea giusta, malgrado ciò che forzatamente ne resta; dal momento che non ho alcunché trascurato per migliorarla, e che per quanto lenti siano i loro effetti, i vincoli della Loi d’alignement e di quella dei Batiments da un lato, e le esigenze di un pubblico che diviene sempre più esigente dall’altro, non hanno potuto alla fine, nel corso di trent’anni, che produrvi alcuni cambiamenti positivi. Tuttavia, è di moda, presso alcuni archeologi [...], ammirare sulla fiducia questa vecchia Parigi[...] Che le vie strette e tortuose soprattutto nel centro fossero quasi impenetrabili alla circolazione, sporche, puzzolenti, malsane, di questo non gliene importa nulla. Che i nostri sventramenti abbiano dotato vecchi e nuovi quartieri di spazio, di aria, di luce, di verde e di fiori, in una parola di ciò che dispensa la salute, al tempo stesso rallegrando la vista, bell’affare! ma, in tutti i casi, non è affar loro. Ma, brava gente, che dal fondo delle vostre biblioteche sembrate non aver visto nulla, citate almeno un vecchio monumento degno di interesse, un edificio pregevole per l’arte, curioso per i suoi ricordi, che la mia amministrazione abbia distrutto, e del quale invece non si sia occupata per liberarlo e per quanto possibile per valorizzarlo visivamente!” (Haussmann, Memorie, op.cit. corsivi nostri.)
[16] - In particolare, il medico diventa “igienista” e dice, con esemplare chiarezza di intenti e di ruolo, di voler servire la science du gouvernement. Si legge, ad esempio, nel programma del primo numero delle ‘Annales d'hygiene publique et de mèdecine legale’: “La medicina non può solamente porsi l'obiettivo di studiare e di guarire le malattie, essa ha dei rapporti intimi con l'organizzazione sociale; talvolta ella aiuta il legislatore nel confezionare le leggi, sovente ella chiarisce ai magistrati la loro applicazione, e sempre veglia, con l'amministrazione a mantenere la sanità pubblica... L'igiene pubblica, che è l'arte di conservare la sanità agli uomini riuniti in società, è chiamata a ricevere un grande sviluppo e a fornire numerose applicazioni al perfezionamento delle nostre istituzioni... essa può, per la sua associazione alla filosofia e alla legislazione, esercitare una grande influenza sul cammino dello spirito umano. Essa chiarisce i moralisti e concorre al nobile compito di diminuire il numero delle infermità sociali. Le penurie e i crimini sono le malattie della società che il lavoro [dell'igienismo] deve guarire, o, almeno, ridurre...” (Dal programma del primo numero delle ‘Annales d'hygiene publique et de mèdecine legale’, 1829, p.V, VI, VII.) I rapporti con la organizzazione sociale (già applicare il termine “organizzazione” alla società è interessante) sono dunque “intimi”; la medicina, infatti, aiuta e più spesso “chiarisce” ai magistrati la applicazione -si tratta dunque di un sapere eminentemente pratico- e “sempre veglia” per mantenere la sanità pubblica.  Vengono messe in luce il suo valore per il “cammino dello spirito umano” e concetti teorici e pratici come “infermità sociali”; ma anche una ulteriore capacità di “chiarire”; questa volta i moralisti.  Importante, infine, la metafora di “penurieil te,a tornerà" e “crimini” come malattie della società. Inteso in questo senso l'igienismo dà una forma a politiche “che coniugano dimensione spaziale, architettura dell'habitat e salute pubblica”.
[17] - Nel corso del XVIII secolo viene, infatti, in evidenza il problema della qualità dell'aria. La importanza di argomenti quali quelli collegati con l'igienizzazione é accentuata da un intreccio di tempi lunghi ed eventi traumatici. In questo senso un evento che assume una certa importanza é la “lunga marcia” del colera che arriverà a Parigi, partendo dall'India e compiendo un viaggio durato quattordici anni, il 30 marzo 1832: un fatto che produce la massima impressione sui contemporanei. L'evento produce o favorisce mutamenti profondi nelle politiche: “davanti al pericolo di ‘ulcerazione della città’ tutti concordano sull'urgenza di una ridefinizione degli spazi urbani al fine di riorganizzare sia i contatti tra i corpi che i transiti all'interno della città”. (George Teyssot, “Introduzione”, “Città e utopia nell’illuminismo inglese di George Dance il giovane”, Officina ed. p.XVII.) Inoltre, la imponente crescita della città, soprattutto a seguito della inurbazione di ingenti popolazioni economicamente deboli, rende ‘il quadro materiale non più alla misura degli abitanti’ come dice Luis Chevalier. Ne consegue la necessità di elaborare: “un'unica strategia che vuol arrestare il contagio, [e] si ripromette insieme [sia] di riorganizzare i contatti [che] di istituire una distanza fra i corpi: la paura del contagio é intimamente connessa agli obiettivi di moralizzazione delle ‘classi laboriose e pericolose’ [(Balzac)]” (idem, p. XVIII) In sintesi, quindi, il colera del 1832 sottolinea la gravità delle patologie urbane: sia la miseria delle classi inferiori che la insalubrità diffusa e, più in generale, la crisi dell'intero sistema-città. Il colera, grazie al suo carattere di malattia epidemica rese attualissimo il programma igienista, in quegli stessi anni elaborato dalla rivista medica ‘Annales d'hygiene publique et de mèdecine legale’ e affermò, in via definitiva, la centralità della questione urbana come anche la necessità di uno sguardo critico non più settoriale ma contemporaneamente articolato ed unitario.
[18] - Così detto nel secolo. Il capitalismo del laissez faire.
[19] - Nella quale svolge un grande ruolo l’artiglieria e la maggiore capacità di spostamento ferroviario e quindi di concentrare le forze prussiane.
[21] - Si veda “Il discorso di Conte. Cronache del crollo”, e per un elenco più completo “Coronavirus e economia di guerra”, di Nuova Direzione. Lo abbiamo già scritto, si tratta di:
1.       Investire con modalità di urgenza tutte le somme necessarie nella sanità, dando priorità alle macchine salvavita, ai Dpi, al personale medico ed infermieristico, quindi alle strutture, ai centri territoriali, ai servizi sociali di prevenzione;
2.       Requisire tutte le strutture disponibili, se necessarie ad erogare servizi indispensabili, soprattutto al sud;
3.       Precettare tutto il personale necessario ad erogare i servizi di prima necessità;
4.       Garantire la protezione a coloro che devono continuare a lavorare, minimizzandone il numero, assicurando il più rigoroso rispetto delle norme e contemporaneamente l’irrigidimento di queste;
5.       Integrare il reddito, con la Cig in deroga o Reddito di Cittadinanza straordinario, di chiunque dichiari una riduzione tra il 30% ed il 100% del reddito, fino al massimo di 1.000 euro;
6.       Garantire con mezzi pubblici la distribuzione, precettandola o sostituendola, se le catene logistiche interne dovessero entrare in crisi;
7.       Garantire liquidità a tutte le imprese solvibili, ed ai servizi professionali, cooperativi, del terzo settore, tramite linee di credito a garanzia pubblica, interessi zero e tempi adeguatamente lunghi di rientro, seguendo l’esempio tedesco, utilizzando Inps e Cassa Depositi e Prestiti;
8.       Imporre alle industrie idonee, qualunque sia la nazionalità della proprietà, programmi di fabbricazione, fornendogli specifiche, assistenza tecnica, mandati, per rendere indipendente il paese delle principali forniture strategiche, partendo da quelle mediche, in considerazione del possibile crollo delle supply chain mondiali;
Nel frattempo:
9.       Nazionalizzare tutte le imprese, finanziarie o non, che dovessero entrare in crisi non risolvibile per effetto della crisi e quindi creare un veicolo di gestione delle imprese pubbliche e nazionalizzate, sul modello della vecchia Iri;
10.    Per gestire tutto questo con il minimo dell’inefficienza, creare un centro di pianificazione di emergenza, dotato dei necessari poteri;
11.    In favore del sostegno del reddito, sospendere immediatamente il pagamento dei mutui e degli affitti (provvedendo con risorse pubbliche ad attenuare l’impatto sulle controparti), per chiunque dichiari una riduzione del reddito superiore al 30%;
12.    Sospendere per un anno in modo generalizzato i pagamenti fiscali a tutti i cittadini ed a tutte le imprese con un fatturato inferiore a una soglia da definire;
13.    Sospendere per un anno ogni rateizzazione, a qualsiasi titolo;
Misure di lungo periodo e strutturali.
14.    Ribadire la priorità dell’interesse nazionale su quello sovranazionale, dellaCostituzione sui Trattati Europei, dei cittadini sulle istituzioni finanziarie;
15.    Sospendere, e poi revocare, tutte le normative europee che fossero in conflitto con queste misure di emergenze, necessarie per la sopravvivenza della nazione;
16.    Sospendere, e poi revisionare profondamente, la normativa bancaria di Basilea;
17.    Sospendere, e poi revocare, il Mes.
18.    Imporre alla BCE di adempiere al suo mandato a garanzia della stabilità economica, e di acquistare in ultima istanza tutte le emissioni di debito si rendessero necessarie, se del caso impiegando un veicolo intermedio a controllo pubblico, anche in deroga ai suoi regolamenti;
Riprendere il controllo, italexit
19.    Se questo non avviene riprendere immediatamente la piena sovranità.
[25] - Luc Boltanski, Eve  Chiappello, “Il nuovo spirito del capitalismo”, Gallimard 1999.
[26] - Cfr. “Perdiamo”.
[27] - “Naturalmente nessuno sa esattamente come sarà questo nuovo futuro. Ma si può immaginare un mondo in cui, per salire su un volo, forse si dovrà essere iscritti a un servizio che tracci i vostri spostamenti attraverso il vostro telefono. La compagnia aerea non sarebbe in grado di vedere dove siete andati, ma riceverebbe un avviso se foste stati vicini a persone infette o a punti caldi della malattia“ (“Non torneremo più alla normalità”).
[28] - Non è affatto impossibile, basterebbe che una telecamera a riconoscimento facciale, unita ad un sensore con tag attivo incroci la nostra presenza con l’assenza del terminale a noi intestato.
[29] - Si veda, ad esempio, la trasformazione della Parigi di Haussmann, “Parigi, 1840-1869. Haussmann e la reinvenzione della città”.
[30] - La IOT territoriale, come le cosiddette “smart cities”, sono, il grande progetto in cui tutte le più grandi multinazionali e i governi più saggi sono impegnati grazie alla disponibilità tecnologica di diffondere la sorveglianza a due vie tutto intorno a noi. Un settore che, secondo Cisco, prima della crisi era stimato della potenzialità ad espandersi fino a valere 408 miliardi di dollari nel 2020 e connettere almeno 40 miliardi di dispositivi. Attraverso sensori e dispositivi di comunicazione inclusi su oggetti, persone e manufatti (l”Internet delle cose”) potranno essere trasmessi nelle due direzioni dati su consumi e desideri, richieste ed informazioni, e potranno essere ricordati che cosa diciamo, con chi e quando. Sempre. “La rete” ricorderà tutto. Un simile progetto ha l’ambiguo potenziale di servire insieme due scopi di disciplinamento: verso il cittadino reso debole e marginale renderà possibile erogare servizi, svaghi, e creare relazioni a basso costo (al limite nullo), metterà in contatto, ma contemporaneamente, nello stesso esatto gesto, sorveglierà ogni evento, desiderio, contatto e relazione, prevenendo (grazie all’uso di software previsionali e capaci di interpretare i segnali statisticamente più rilevanti) la formazione del dissenso, o meglio il suo addensamento. Una simile infrastruttura potenzierebbe il controllo territoriale attraverso la diffusione di software di riconoscimento facciale, e/o segnali attivi dagli oggetti che abbiamo con noi, in grado di comunicare in tempo reale intorno a noi ciò che di rilevante ci riguardi (a negozi, fornitori di servizi, agenti di polizia). Insomma, l’internet delle cose e la smart city che ne è l’estensione in una società “a coda lunga” può diventare indispensabile. Può contenerci e circondarci.
[31] - Quella forma di ineguaglianza che deriva dalla incapacità, o indisponibilità, a disporre di strumenti digitali adeguati ad essere abilitati.
[33] - Cfr. Henry Lefebvre, “Il diritto alla città”, 1968

2 commenti:

  1. Buongiorno,
    Lei quindi ritiene che si debba, sulla base dei dati epidemiologici disponibili e dunque per superare quella che si prospetterebbe come una lunga emergenza, correre il rischio di affidarci al potere che, attraverso l'impiego della tecnologia, ci controllerà, ed eventualmente limiterà i movimenti al fine di proteggerci, pur sapendo che tale potere non coincide esattamente e solo con lo Stato? Oppure quando Lei parla di "ritorno dello Stato alla sua funzione primaria di garanzia della sicurezza della vita stessa" si riferisce ad uno Stato che, proprio perché ricostituito dalla paura, è già riuscito a divincolarsi speditamente dalle varie prese "esterne"?
    La ringrazio per le riflessioni che Lei usa pubblicare in rete.

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    1. Io ritengo che questa crisi, per ragioni che sono insieme stringenti e funzionalizzabili da volontà plurime e non tutte trasparenti, possa essere un acceleratore potente di tendenze che comunque sono in movimento. Tendenze che contengono una promessa di maggiore efficienza (e quindi in potenza ricchezza) e insieme anche di dominio. Cosa si realizzerà dipenderà dalla lotta. Come si vede dalla ultima parte. Ovviamente ci dovrò tornare, ma già così era molto lungo (peraltro sul tema del controllo attraverso la tecnologia e sul lato oscuro di Iot, smart cities, e industria 4.0, come la cosiddetta sharing economy e gig economy (o "piattaforma) tra il 2014 ed il 2016 avevo fatto parecchi post, alcuni richiamati in nota.

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