Ci
sono eventi noti, raccontati in tutte le salse e tranquillamente pacifici. Tra questi
la connessione tra il progetto di unificazione europea e la necessità atlantica
di tenere unito il fronte contro l’Unione Sovietica.
Poi
ci sono dei documenti storici che ce li fanno guardare da vicino.
Limes. Carta di Laura Canali |
Questo
documento messo a disposizione, con alcune esplicative carte, da Limes è di
questo genere.
Il
3 aprile 1949 i vertici politico militari degli Stati Uniti e i ministri degli
esteri dei paesi dell’Alleanza Atlantica si incontrano, su invito del
Presidente Truman, per discutere della geopolitica di contrasto alla minaccia
sovietica. L’occasione è la firma del Patto Atlantico. Vi presero parte il presidente americano
Harry Truman, il segretario di Stato Dean Acheson, il segretario alla Difesa Louis
Johnson e i ministri degli Esteri del Patto Atlantico: Carlo Sforza (Italia), Ernest
Bevin (Gran Bretagna), Robert Schuman (Francia), Dirk U. Stikker (Olanda), Paul-Henry
Spaak (Belgio), Halvard Lange (Norvegia), Lester B. Pearson (Canada), Gustav Rasmussen
(Danimarca), José Caeiro de Mata (Portogallo). Nella riunione, di cui è
disponibile oggi il verbale[1], il presidente americano
detta con una certa decisione l’agenda del dopoguerra ai suoi sconcertati interlocutori.
La minaccia è ben definita, si tratta del comunismo. Non solo quello della
schiacciante forza militare sovietica[2] ma per la “forza sociale
dinamica ed egualitaria” che “si nutre degli squilibri economico e sociali del
mondo” e che rappresenta il “problema-base”, come dirà il presidente nel suo
preambolo. Nel lungo periodo “è l’idea in sé [dell’eguaglianza] a costituire
una minaccia ancor più insidiosa”. Lo scopo del Patto Atlantico è quindi di
ottenere un equilibrio di potenza in modo che, “da questa sicura posizione di
forza” si possano, come dice, “intraprendere una serie di iniziative tese da un
lato a rimuovere nel mondo non sovietico le cause delle controversie economiche
e sociali su cui il comunismo prospera, dall’altro a creare attive contromisure
che minino la base della potenza sovietica”. Si fa fatica a comprendere oggi la
situazione sul campo, sarebbe necessario confrontare una carta dell’epoca con
una moderna. Il confine del mondo comunista è al centro della Germania,
costeggia l’Austria (che, peraltro, è neutrale), include la Jugoslavia che, se
pur non allineata, è comunista, costeggia la Grecia. In sostanza il confine
passa a metà della Germania e per il confine italiano.
La
riunione continua escludendo di rispondere alzando le spese militari (accadrà
solo come conseguenza della guerra di Corea e tanto più del Vietnam), e di
reprimere con la forza i partiti comunisti occidentali[3]. La politica che viene
proposta, e giudicata più consona alle capacità del momento parte dal fatto che
l’Urss non intende passare all’offensiva, attendendo casomai il crollo interno
dei paesi capitalisti. Una politica di medio periodo e che “richiede il
sacrificio di alcuni obiettivi nazionali tradizionali” agli alleati. Sei punti
chiave: la Germania ed il Giappone vanno aiutati a rialzarsi;
Il
primo punto è chiaro e sarà nel lungo periodo decisivo, come vedremo, parla il
Segretario di Stato:
“Noi vediamo Germania e Giappone
come centri – al momento neutralizzati, ma inevitabilmente destinati a risorgere
– di grande potenza, posti fra l’Urss e l’Occidente. Non vi è dubbio alcuno che
l’Urss si ponga come obiettivo principale l’assorbimento della Germania
nell’orbita sovietica. Vi sono già segnali che l’Urss sta invertendo la dura
politica economica di saccheggio della Zona orientale e sta incoraggiando la
rinascita del nazionalismo tedesco con l’idea che una rinata Germania, alleata
con i sovietici, sarebbe quasi imbattibile. Naturalmente il Cremlino è ben
conscio che la Germania potrebbe puntare a est come a ovest, ma spera di
evitarlo mediante lo stretto controllo del partito comunista. Dal punto di
vista occidentale, anche noi ci rendiamo conto dei pericoli insiti
nell’incoraggiare la rinascita tedesca. Crediamo tuttavia che i vantaggi
di orientare la Germania verso Occidente e di controbattere le mosse
sovietiche giustifichino il rischio calcolato.
Qualsiasi politica alleata che non
consenta una ragionevole opportunità di rinascita tedesca può spingere quella
nazione fra le braccia dell’Urss. Di conseguenza, sollecitiamo le potenze
occidentali ad adottare una comune politica di sostegno alla rinascita
economica tedesca, accelerando lo sviluppo di istituzioni democratiche e
combattendo attivamente la sovversione comunista. Tale politica non prevede
l’abbandono di adeguati controlli di sicurezza mediante il divieto di mantenere
alcuni specifici tipi di impianti industriali e mediante restrizioni sulle
forze armate, se non addirittura proibendone del tutto la formazione.
L’opinione dei nostri esperti sulla Germania è che bisogna incoraggiare un
governo tedesco occidentale ragionevolmente centralizzato con opportuni freni e
bilanciamenti fra il potere federale e quello statale, rimuovendo altresì le
restrizioni alla ricostruzione economica tedesca e integrando gradualmente la
Germania nel blocco europeo occidentale.”
A
questa forte posizione, come prevedibile, viene alzata un’obiezione dalla
Francia. Schuman esplicita forti dubbi. Propone al suo posto la
“neutralizzazione perpetua della Germania”[4]. La risposta americana fu
netta, una nazione di questa dimensione e storia non può essere mantenuta
permanentemente in soggezione, soprattutto quando due opposte potenze ne
desiderano il sostegno. La strategia è piuttosto di integrarla:
“nell’integrazione del Reich come
un partner autosufficiente in una sempre più unita Europa occidentale.
Vincolando l’economia tedesca a una rafforzata Oeec, integrando le future Forze
armate tedesche in una difesa occidentale unificata e rendendo la Germania
membro a pieno titolo del Consiglio e del Parlamento dell’Europa che si
svilupperà, potremo far liberamente sfogare le energie tedesche e fornire ai
tedeschi una ragione per darsi da fare in quanto membri a pieno titolo insieme
agli altri paesi occidentali”.
Questo
è il primo nucleo e l’orizzonte strategico del processo di unificazione
continentale.
La
Gran Bretagna pone la stessa questione su un altro piano, non di minaccia
militare ma commerciale. Come dice “il governo di sua Maestà è ben poco
interessato alla rinascita della competizione commerciale tedesca”. E la stessa
cosa vale per il Giappone.
A
queste obiezioni il Segretario replica approfondendo il punto:
“Questo è uno dei rischi calcolati
di cui parlava il Presidente. Se la Germania deve rinascere, le deve esser consentito
di poter competere per ottenere una quota dei mercati mondiali. Un grado
crescente di cooperazione economica europea, come intendiamo mostrarvi fra
breve, può offrire in questo caso una soluzione.”
Per
il Giappone è ancora peggio, in quanto l’Urss ha occupato parte della Corea e
la Manciuria, per non parlare della Cina di Mao, tradizionali mercati di
sbocco. Si rende necessario aprire alle merci giapponesi mercati protetti come
quelli delle Filippine, del sud-est asiatico, dell’India e anche delle stesse
Americhe, Africa ed Europa.
Da
questa considerazione il tavolo si sposta su un punto cruciale, il “problema
coloniale”. Come dice il Segretario:
“Il mio governo è preso tra due
fuochi da una parte dal desiderio di sostenere le potenze coloniali europee,
dall’altra dalla necessità di stabilire buone relazioni con i nuovi Stati che
sono sorti in Asia, per prevenire il loro avvicinamento all’Urss. Anche questa
è un’area critica dove noi crediamo che le potenze coloniali debbano
subordinare gli interessi più immediati al problema principale di fronteggiare
il comunismo. A parte il Regno Unito, è nostra opinione che le potenze
coloniali stiano poco accortamente sacrificando i loro interessi di lungo
periodo in un disperato tentativo di ristabilire i modelli di dominio coloniale
prebellici. Noi dobbiamo guardare con simpatia alla tendenza storica al
nazionalismo che si riscontra in molte aree sottosviluppate e comprendere che,
se si vogliono preservare i legami a lungo termine con queste aree, va sostituita
l’insostenibile politica di oppressione coloniale con l’incoraggiamento e la
cooperazione con i regimi coloniali indigeni. Di certo l’azione di polizia
dell’Olanda e la prolungata lotta della Francia con Ho Chi-Minh comportano non
solo un alto costo in vite e denaro, ma danno ben poco ritorno in termini
politici. Nella migliore delle ipotesi, si può riuscire a reprimere
temporaneamente il nazionalismo locale, ma facendo così incoraggiamo solamente
il radicalismo indigeno e forniamo all’Urss un’occasione d’oro. Noi dobbiamo
riconoscere in questo caso l’inevitabile, nessuna questione di questo tipo
colpisce il nostro orgoglio.”
A
questa durissima requisitoria, quasi un ultimatum, l’Olanda replica con
fermezza ed orgoglio (mal riposto):
“Devo obiettare alla descrizione,
fatta dal Segretario, della politica olandese come reazionaria. Il regime
repubblicano era chiaramente comunista ed era una piccola minoranza che cercava
di imporre il suo volere alla maggioranza della popolazione indonesiana.
L’Olanda ha bisogno delle risorse indonesiane per la ricostruzione della sua
economia e non vi rinuncerà né se ne tirerà fuori. Inoltre, siamo preoccupati
che gli Stati Uniti subentrino agli interessi olandesi nelle Indie per lo
sfruttamento della ricchezza economica dell’area.”
La
replica americana è nettissima, tradotta significa o lasciate le colonie o non
avrete i nostri dollari.
“Riguardo alla sua prima
affermazione, per quanto ci è dato di capire, il governo di Sjahrir era
relativamente moderato, tanto che ha represso una ribellione comunista a Giava.
Concesso che i prodotti del Sud-Est asiatico sono essenziali per molti paesi
occidentali, non possiamo che guardare con favore al momento in cui,
stabilizzatasi la situazione, il commercio con quell’area continui e si espanda.
Questi nuovi Stati sono ancora sottosviluppati e hanno bisogno di ogni tipo di
aiuto per la loro crescita economica. Solamente gli Stati Uniti e l’Europa
possono fornire un aiuto in questo senso e ciò eserciterà un’inesorabile spinta
verso l’Occidente. A breve e a lungo termine, scambiando i capitali e i
prodotti occidentali con le materie prime, verranno gettate le basi per un
rapporto economico molto più conveniente della repressione armata. Il punto
quattro del programma presidenziale è un’arma tremenda fra le nostre mani. E
vorrei ricordarvi che il Congresso non intende finanziare indirettamente
attraverso l’Erp le avventure coloniali.”
E, ancora:
“I nostri ambienti militari sono
assai disturbati dalle dimensioni dello sforzo militare francese e olandese in
Indonesia e in Indocina, che catalizza forze essenziali alla difesa dell’Europa
occidentale. Non possiamo essere troppo favorevoli a riarmare l’Europa
occidentale se si permettono ripiegamenti di truppe verso guerre coloniali
senza speranza. Alla finfine, quello della difesa è un vitale problema di
famiglia.”
Seguono
indicazioni militari specifiche per l’Europa e volte a rendere possibile
combattere dalla data del 1956 o poco prima. Ma insieme alla difesa militare, e
per lo stesso motivo è necessario, sostiene il Segretario di Stato, che
l’Europa si impegni con il massimo sforzo ad un’unificazione politica ed
economica. Anche qui non è un’opzione ma un netto ordine: “Devo avvertirvi però
che il Congresso vorrà vedere qualche risultato più tangibile di qualche
diagramma sulla produzione economica, se volete assicurarvi i fondi desiderati”.
“È stato esaurientemente reso
chiaro a tutti voi che solo da uno sforzo di unità maggiore potremo creare un
equilibrio di potenza senza costi proibitivi. Collegando le economie europee a
una cooperazione politica più stretta sortiremo due effetti. Dando una base
solida alla ricostruzione potremo ridurre la minaccia comunista interna e
parallelamente fornire la base potenziale indispensabile per un adeguato,
futuro riarmo. Gli europei devono riconoscere che la situazione economica
prebellica si è ormai dissolta, che ciò di cui l’Europa ha bisogno non è un
ritorno agli schemi economici del 1938, ma un approccio interamente nuovo, se
vuole ottenere capacità di esistenza indipendente.”
Non
c’è scelta, l’Europa è sconfitta, e l’amico americano lo ricorda con il minimo
necessario di cortesia.
“L’Europa orientale è quasi
permanentemente uscita dall’orbita occidentale e sebbene noi speriamo in una
sostanziale rinascita del commercio, ciò avverrà su nuove basi rispetto a
prima. Gli investimenti europei all’estero, come molto del suo patrimonio, sono
spariti e quindi devono essere trovati nuovi metodi per riequilibrare il suo
rapporto commerciale con il resto del mondo. I passi necessari sono stati
indicati, seppure con qualche esitazione, dalla Oeec; l’Europa deve cogliere
quest’opportunità”.
Al
ministro italiano, che chiedeva di aprire i mercati americani per disporre
delle risorse per acquistare a sua volta importazioni e onorare prestiti,
replica ancora sullo stesso punto: “Riteniamo che in Europa occidentale debba
formarsi un nuovo sentimento di unità, un nuovo scopo dinamico che riesca a
ridare vigore a spiriti cinici e prostrati dalla guerra, un antidoto, in un
certo senso, al richiamo del comunismo internazionale”.
E,
conclude perentoriamente il presidente Truman:
“il teatro decisivo resta l’Europa
occidentale, il solo complesso di potere sufficientemente forte, con il
sostegno americano, da far pendere la bilancia del potere mondiale e il solo
che, se conquistato dall’Urss, potrebbe renderla pressoché invincibile. Vi
abbiamo illustrato ciò che a nostro avviso è assolutamente necessario, se
vogliamo che il blocco di sicurezza atlantico si trasformi da potenza sulla
carta a solida realtà, riconoscendo pienamente i rischi calcolati, i sacrifici
comuni e le enormi difficoltà sottintese. Questo governo è conscio che i
progressi saranno necessariamente lenti e pieni di complicazioni, ma è
fermamente convinto della necessità di dover anzitutto tener sempre presente
l’obiettivo di fondo di integrare tutte le sfaccettature delle nostre politiche
a questo fine”.
L’atto
finale di sottomissione di Spaak (il ministro belga), che parla a nome di tutti
chiude la comunicazione.
Se
gli europei vogliono la protezione ed i dollari americani devono accettare che
la Germania, come il Giappone siano ricostruiti e che si costituisca, certo
gradualmente, il “sogno” europeo. Se ne discuterà, certo, in Parlamento otto anni dopo, ma era tutto stabilito.
Ventotene
veramente ha ben poco a che fare.
Queste
sono cose serie, non sogni.
[1] - Il documento è pubblicato da Limes,
disponibile anche on line, nell’aprile 2020.
[2]
- Che avrebbe potuto
facilmente conquistare, già nelle fasi finali della guerra l’intera Germania.
[3]
- Ovvero esclude, come dice, “una
spietata soppressione del comunismo nei nostri paesi”. La ragione principale è
che “si arriverebbe alla violazione delle istituzioni fondamentali che stiamo
cercando di preservare. Sopprimere i partiti comunisti potrebbe anche non
essere d’estrema utilità, mentre in vece potrebbe inquinare la fiducia nelle
libertà civili e promuovere un clima di tipo autoritario”.
[4]
- Sulla base del Piano
Morgenthau, “Germany is our problem”, 1945, che prevedeva di eliminare
le industria nella Ruhr e nella Saar per trasformare l’intera Germania in un
paese a vocazione agricola e pastorale. In questa forma il piano fu abbandonato
nel settembre del 1946 con il discorso del Segretario di Stato James f. Byrnes
“Nuova dichiarazione politica sulla Germania”.
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