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lunedì 13 aprile 2020

Nascita della Nato e della Comunità Europea, un parto gemellare






Ci sono eventi noti, raccontati in tutte le salse e tranquillamente pacifici. Tra questi la connessione tra il progetto di unificazione europea e la necessità atlantica di tenere unito il fronte contro l’Unione Sovietica.
Poi ci sono dei documenti storici che ce li fanno guardare da vicino.

Limes. Carta di Laura Canali

Questo documento messo a disposizione, con alcune esplicative carte, da Limes è di questo genere.
Il 3 aprile 1949 i vertici politico militari degli Stati Uniti e i ministri degli esteri dei paesi dell’Alleanza Atlantica si incontrano, su invito del Presidente Truman, per discutere della geopolitica di contrasto alla minaccia sovietica. L’occasione è la firma del Patto Atlantico. Vi presero parte il presidente americano Harry Truman, il segretario di Stato Dean Acheson, il segretario alla Difesa Louis Johnson e i ministri degli Esteri del Patto Atlantico: Carlo Sforza (Italia), Ernest Bevin (Gran Bretagna), Robert Schuman (Francia), Dirk U. Stikker (Olanda), Paul-Henry Spaak (Belgio), Halvard Lange (Norvegia), Lester B. Pearson (Canada), Gustav Rasmussen (Danimarca), José Caeiro de Mata (Portogallo). Nella riunione, di cui è disponibile oggi il verbale[1], il presidente americano detta con una certa decisione l’agenda del dopoguerra ai suoi sconcertati interlocutori. La minaccia è ben definita, si tratta del comunismo. Non solo quello della schiacciante forza militare sovietica[2] ma per la “forza sociale dinamica ed egualitaria” che “si nutre degli squilibri economico e sociali del mondo” e che rappresenta il “problema-base”, come dirà il presidente nel suo preambolo. Nel lungo periodo “è l’idea in sé [dell’eguaglianza] a costituire una minaccia ancor più insidiosa”. Lo scopo del Patto Atlantico è quindi di ottenere un equilibrio di potenza in modo che, “da questa sicura posizione di forza” si possano, come dice, “intraprendere una serie di iniziative tese da un lato a rimuovere nel mondo non sovietico le cause delle controversie economiche e sociali su cui il comunismo prospera, dall’altro a creare attive contromisure che minino la base della potenza sovietica”. Si fa fatica a comprendere oggi la situazione sul campo, sarebbe necessario confrontare una carta dell’epoca con una moderna. Il confine del mondo comunista è al centro della Germania, costeggia l’Austria (che, peraltro, è neutrale), include la Jugoslavia che, se pur non allineata, è comunista, costeggia la Grecia. In sostanza il confine passa a metà della Germania e per il confine italiano.
La riunione continua escludendo di rispondere alzando le spese militari (accadrà solo come conseguenza della guerra di Corea e tanto più del Vietnam), e di reprimere con la forza i partiti comunisti occidentali[3]. La politica che viene proposta, e giudicata più consona alle capacità del momento parte dal fatto che l’Urss non intende passare all’offensiva, attendendo casomai il crollo interno dei paesi capitalisti. Una politica di medio periodo e che “richiede il sacrificio di alcuni obiettivi nazionali tradizionali” agli alleati. Sei punti chiave: la Germania ed il Giappone vanno aiutati a rialzarsi;
Il primo punto è chiaro e sarà nel lungo periodo decisivo, come vedremo, parla il Segretario di Stato:

“Noi vediamo Germania e Giappone come centri – al momento neutralizzati, ma inevitabilmente destinati a risorgere – di grande potenza, posti fra l’Urss e l’Occidente. Non vi è dubbio alcuno che l’Urss si ponga come obiettivo principale l’assorbimento della Germania nell’orbita sovietica. Vi sono già segnali che l’Urss sta invertendo la dura politica economica di saccheggio della Zona orientale e sta incoraggiando la rinascita del nazionalismo tedesco con l’idea che una rinata Germania, alleata con i sovietici, sarebbe quasi imbattibile. Naturalmente il Cremlino è ben conscio che la Germania potrebbe puntare a est come a ovest, ma spera di evitarlo mediante lo stretto controllo del partito comunista. Dal punto di vista occidentale, anche noi ci rendiamo conto dei pericoli insiti nell’incoraggiare la rinascita tedesca. Crediamo tuttavia che i vantaggi di orientare la Germania verso Occidente e di controbattere le mosse sovietiche giustifichino il rischio calcolato.
Qualsiasi politica alleata che non consenta una ragionevole opportunità di rinascita tedesca può spingere quella nazione fra le braccia dell’Urss. Di conseguenza, sollecitiamo le potenze occidentali ad adottare una comune politica di sostegno alla rinascita economica tedesca, accelerando lo sviluppo di istituzioni democratiche e combattendo attivamente la sovversione comunista. Tale politica non prevede l’abbandono di adeguati controlli di sicurezza mediante il divieto di mantenere alcuni specifici tipi di impianti industriali e mediante restrizioni sulle forze armate, se non addirittura proibendone del tutto la formazione. L’opinione dei nostri esperti sulla Germania è che bisogna incoraggiare un governo tedesco occidentale ragionevolmente centralizzato con opportuni freni e bilanciamenti fra il potere federale e quello statale, rimuovendo altresì le restrizioni alla ricostruzione economica tedesca e integrando gradualmente la Germania nel blocco europeo occidentale.”

A questa forte posizione, come prevedibile, viene alzata un’obiezione dalla Francia. Schuman esplicita forti dubbi. Propone al suo posto la “neutralizzazione perpetua della Germania”[4]. La risposta americana fu netta, una nazione di questa dimensione e storia non può essere mantenuta permanentemente in soggezione, soprattutto quando due opposte potenze ne desiderano il sostegno. La strategia è piuttosto di integrarla:

“nell’integrazione del Reich come un partner autosufficiente in una sempre più unita Europa occidentale. Vincolando l’economia tedesca a una rafforzata Oeec, integrando le future Forze armate tedesche in una difesa occidentale unificata e rendendo la Germania membro a pieno titolo del Consiglio e del Parlamento dell’Europa che si svilupperà, potremo far liberamente sfogare le energie tedesche e fornire ai tedeschi una ragione per darsi da fare in quanto membri a pieno titolo insieme agli altri paesi occidentali”.

Questo è il primo nucleo e l’orizzonte strategico del processo di unificazione continentale.
La Gran Bretagna pone la stessa questione su un altro piano, non di minaccia militare ma commerciale. Come dice “il governo di sua Maestà è ben poco interessato alla rinascita della competizione commerciale tedesca”. E la stessa cosa vale per il Giappone.
A queste obiezioni il Segretario replica approfondendo il punto:

“Questo è uno dei rischi calcolati di cui parlava il Presidente. Se la Germania deve rinascere, le deve esser consentito di poter competere per ot­tenere una quota dei mercati mondiali. Un grado crescente di cooperazione economica europea, come intendiamo mostrarvi fra breve, può offrire in questo caso una soluzione.”

Per il Giappone è ancora peggio, in quanto l’Urss ha occupato parte della Corea e la Manciuria, per non parlare della Cina di Mao, tradizionali mercati di sbocco. Si rende necessario aprire alle merci giapponesi mercati protetti come quelli delle Filippine, del sud-est asiatico, dell’India e anche delle stesse Americhe, Africa ed Europa.
Da questa considerazione il tavolo si sposta su un punto cruciale, il “problema coloniale”. Come dice il Segretario:

“Il mio governo è preso tra due fuochi da una parte dal desiderio di sostenere le potenze coloniali europee, dall’altra dalla necessità di stabilire buone relazioni con i nuovi Stati che sono sorti in Asia, per prevenire il loro avvicinamento all’Urss. Anche questa è un’area critica dove noi crediamo che le potenze coloniali debbano subordinare gli interessi più immediati al problema principale di fronteggiare il comunismo. A parte il Regno Unito, è nostra opinione che le potenze coloniali stiano poco accortamente sacrificando i loro interessi di lungo periodo in un disperato tentativo di ristabilire i modelli di dominio coloniale prebellici. Noi dobbiamo guardare con simpatia alla tendenza storica al nazionalismo che si riscontra in molte aree sottosviluppate e comprendere che, se si vogliono preservare i legami a lungo termine con queste aree, va sostituita l’insostenibile politica di oppressione coloniale con l’incoraggiamento e la cooperazione con i regimi coloniali indigeni. Di certo l’azione di polizia dell’Olanda e la prolungata lotta della Francia con Ho Chi-Minh comportano non solo un alto costo in vite e denaro, ma danno ben poco ritorno in termini politici. Nella migliore delle ipotesi, si può riuscire a reprimere temporaneamente il nazionalismo locale, ma facendo così incoraggiamo solamente il radicalismo indigeno e forniamo all’Urss un’occasione d’oro. Noi dobbiamo riconoscere in questo caso l’inevitabile, nessuna questione di questo tipo colpisce il nostro orgoglio.”

A questa durissima requisitoria, quasi un ultimatum, l’Olanda replica con fermezza ed orgoglio (mal riposto):

“Devo obiettare alla descrizione, fatta dal Segretario, della politica olandese come reazionaria. Il regime repubblicano era chiaramente comunista ed era una piccola minoranza che cercava di imporre il suo volere alla maggioranza della popolazione indonesiana. L’Olanda ha bisogno delle risorse indonesiane per la ricostruzione della sua economia e non vi rinuncerà né se ne tirerà fuori. Inoltre, siamo preoccupati che gli Stati Uniti subentrino agli interessi olandesi nelle Indie per lo sfruttamento della ricchezza economica dell’area.”

La replica americana è nettissima, tradotta significa o lasciate le colonie o non avrete i nostri dollari.

“Riguardo alla sua prima affermazione, per quanto ci è dato di capire, il governo di Sjahrir era relativamente moderato, tanto che ha represso una ribellione comunista a Giava. Concesso che i prodotti del Sud-Est asiatico sono essenziali per molti paesi occidentali, non possiamo che guardare con favore al momento in cui, stabilizzatasi la situazione, il commercio con quell’area continui e si espanda. Questi nuovi Stati sono ancora sottosviluppati e hanno bisogno di ogni tipo di aiuto per la loro crescita economica. Solamente gli Stati Uniti e l’Europa possono fornire un aiuto in questo senso e ciò eserciterà un’inesorabile spinta verso l’Occidente. A breve e a lungo termine, scambiando i capitali e i prodotti occidentali con le materie prime, verranno gettate le basi per un rapporto economico molto più conveniente della repressione armata. Il punto quattro del programma presidenziale è un’arma tremenda fra le nostre mani. E vorrei ricordarvi che il Congresso non intende finanziare indirettamente attraverso l’Erp le avventure coloniali.”

E, ancora:

“I nostri ambienti militari sono assai disturbati dalle dimensioni dello sforzo militare francese e olandese in Indonesia e in Indocina, che catalizza forze essenziali alla difesa dell’Europa occidentale. Non possiamo essere troppo favorevoli a riarmare l’Europa occidentale se si permettono ripiegamenti di truppe verso guerre coloniali senza speranza. Alla finfine, quello della difesa è un vitale problema di famiglia.”

Seguono indicazioni militari specifiche per l’Europa e volte a rendere possibile combattere dalla data del 1956 o poco prima. Ma insieme alla difesa militare, e per lo stesso motivo è necessario, sostiene il Segretario di Stato, che l’Europa si impegni con il massimo sforzo ad un’unificazione politica ed economica. Anche qui non è un’opzione ma un netto ordine: “Devo avvertirvi però che il Congresso vorrà vedere qualche risultato più tangibile di qualche diagramma sulla produzione economica, se volete assicurarvi i fondi desiderati”. 

“È stato esaurientemente reso chiaro a tutti voi che solo da uno sforzo di unità maggiore potremo creare un equilibrio di potenza senza costi proibitivi. Collegando le economie europee a una cooperazione politica più stretta sortiremo due effetti. Dando una base solida alla ricostruzione potremo ridurre la minaccia comunista interna e parallelamente fornire la base potenziale indispensabile per un adeguato, futuro riarmo. Gli europei devono riconoscere che la situazione economica prebellica si è ormai dissolta, che ciò di cui l’Europa ha bisogno non è un ritorno agli schemi economici del 1938, ma un approccio interamente nuovo, se vuole ottenere capacità di esistenza indipendente.” 

Non c’è scelta, l’Europa è sconfitta, e l’amico americano lo ricorda con il minimo necessario di cortesia.

“L’Europa orientale è quasi permanentemente uscita dall’orbita occidentale e sebbene noi speriamo in una sostanziale rinascita del commercio, ciò avverrà su nuove basi rispetto a prima. Gli investimenti europei all’estero, come molto del suo patrimonio, sono spariti e quindi devono essere trovati nuovi metodi per riequilibrare il suo rapporto commerciale con il resto del mondo. I passi necessari sono stati indicati, seppure con qualche esitazione, dalla Oeec; l’Europa deve cogliere quest’opportunità”.

Al ministro italiano, che chiedeva di aprire i mercati americani per disporre delle risorse per acquistare a sua volta importazioni e onorare prestiti, replica ancora sullo stesso punto: “Riteniamo che in Europa occidentale debba formarsi un nuovo sentimento di unità, un nuovo scopo dinamico che riesca a ridare vigore a spiriti cinici e prostrati dalla guerra, un antidoto, in un certo senso, al richiamo del comunismo internazionale”.
E, conclude perentoriamente il presidente Truman:

“il teatro decisivo resta l’Europa occidentale, il solo complesso di potere sufficientemente forte, con il sostegno americano, da far pendere la bilancia del potere mondiale e il solo che, se conquistato dall’Urss, potrebbe renderla pressoché invincibile. Vi abbiamo illustrato ciò che a nostro avviso è assolutamente necessario, se vogliamo che il blocco di sicurezza atlantico si trasformi da potenza sulla carta a solida realtà, riconoscendo pienamente i rischi calcolati, i sacrifici comuni e le enormi difficoltà sottintese. Questo governo è conscio che i progressi saranno necessariamente lenti e pieni di complicazioni, ma è fermamente convinto della necessità di dover anzitutto tener sempre presente l’obiettivo di fondo di integrare tutte le sfaccettature delle nostre politiche a questo fine”.


L’atto finale di sottomissione di Spaak (il ministro belga), che parla a nome di tutti chiude la comunicazione.

Se gli europei vogliono la protezione ed i dollari americani devono accettare che la Germania, come il Giappone siano ricostruiti e che si costituisca, certo gradualmente, il “sogno” europeo. Se ne discuterà, certo, in Parlamento otto anni dopo, ma era tutto stabilito.

Ventotene veramente ha ben poco a che fare.

Queste sono cose serie, non sogni.


[1] - Il documento è pubblicato da Limes, disponibile anche on line, nell’aprile 2020.
[2] - Che avrebbe potuto facilmente conquistare, già nelle fasi finali della guerra l’intera Germania.
[3] - Ovvero esclude, come dice, “una spietata soppressione del comunismo nei nostri paesi”. La ragione principale è che “si arriverebbe alla violazione delle istituzioni fondamentali che stiamo cercando di preservare. Sopprimere i partiti comunisti potrebbe anche non essere d’estrema utilità, mentre in vece potrebbe inquinare la fiducia nelle libertà civili e promuovere un clima di tipo autoritario”.
[4] - Sulla base del Piano Morgenthau, “Germany is our problem”, 1945, che prevedeva di eliminare le industria nella Ruhr e nella Saar per trasformare l’intera Germania in un paese a vocazione agricola e pastorale. In questa forma il piano fu abbandonato nel settembre del 1946 con il discorso del Segretario di Stato James f. Byrnes “Nuova dichiarazione politica sulla Germania”.

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