Quello che segue è un intervento pubblicato sul sito di Nuova Direzione sulla crisi da coronavirus e la dinamica conseguente.
In sintesi:
La crisi in corso comporta l'effettivo rischio che, se non è controllata e ridotta, produca un cambio nella forma politica, da quella che chiamo "sovranità neoliberale", e post-democratica, nella quale viviamo, ad una "sovranità iperliberista", direttamente anti-democratica.
Questa paura diffusa, però se mal indirizzata rischia di usare inconsapevolmente strutture neoliberali per inibire l'autodifesa sociale e farci cadere in uno 'stato di eccezione' reale, per disperazione e stanchezza. Se tra le tecniche dello "stop and go", del "massive boming" di tamponi, e del "rintraccia ed isola" tradizionale, scegliamo di fatto il primo per paura del "rintraccia" del terzo, nella pratica impossibilità di dare adeguata massa al secondo (che comporterebbe una militarizzazione della vita), allora avremo continui "Stop", sempre più duri, e finiremo per disgregare società ed economia. Alla fine il modello "Elysium" al quale tendiamo si compirà completamente.
Ma il "go", allora va calibrato con saggezza, e combinato con il "rintraccia ed isola" al giusto livello di ampiezza e solidità tecnica (che non è solo tecnologica, ma soprattutto organizzativa ed umana), perché sia sostenibile nel medio e lungo periodo senza ricadere. Questa è la posta dalla quale dipende anche l'arresto delle conseguenze anti-democratiche della paura.
La paura non si combatte facendo "lo struzzo", ma ponendo in essere quelle difese efficaci, sapendone sopportare il prezzo, al fine di non dover pagare quello maggiore.
...
Se, del resto, non vogliamo pagare il prezzo di passare da una tecnocrazia (economicista) ad un'altra (igienista), dobbiamo saper affrontare politicamente i problemi, non negarli, non ridurli, non fuggire.
Affrontare politicamente una maggiore socializzazione della vita. Dalla crisi non si esce ritornando alla sovranità "neoliberale" che l'ha generata.
Questa paura diffusa, però se mal indirizzata rischia di usare inconsapevolmente strutture neoliberali per inibire l'autodifesa sociale e farci cadere in uno 'stato di eccezione' reale, per disperazione e stanchezza. Se tra le tecniche dello "stop and go", del "massive boming" di tamponi, e del "rintraccia ed isola" tradizionale, scegliamo di fatto il primo per paura del "rintraccia" del terzo, nella pratica impossibilità di dare adeguata massa al secondo (che comporterebbe una militarizzazione della vita), allora avremo continui "Stop", sempre più duri, e finiremo per disgregare società ed economia. Alla fine il modello "Elysium" al quale tendiamo si compirà completamente.
Ma il "go", allora va calibrato con saggezza, e combinato con il "rintraccia ed isola" al giusto livello di ampiezza e solidità tecnica (che non è solo tecnologica, ma soprattutto organizzativa ed umana), perché sia sostenibile nel medio e lungo periodo senza ricadere. Questa è la posta dalla quale dipende anche l'arresto delle conseguenze anti-democratiche della paura.
La paura non si combatte facendo "lo struzzo", ma ponendo in essere quelle difese efficaci, sapendone sopportare il prezzo, al fine di non dover pagare quello maggiore.
...
Se, del resto, non vogliamo pagare il prezzo di passare da una tecnocrazia (economicista) ad un'altra (igienista), dobbiamo saper affrontare politicamente i problemi, non negarli, non ridurli, non fuggire.
Affrontare politicamente una maggiore socializzazione della vita. Dalla crisi non si esce ritornando alla sovranità "neoliberale" che l'ha generata.
La crisi che stiamo
vivendo produce e produrrà un profondo mutamento. Questo sarà abbastanza
strettamente dipendente da quanto tempo durerà e dal grado di paura che sarà alla
fine tollerabile dalla nostra società. Tutto questo va ben oltre l’economico ed
il ciclo sanitario, coinvolge in modo molto diretto la sovranità[1], ovvero la forma
del potere sovrano definita nelle nostra istituzioni e pratiche politiche. Nella
modernità è, infatti, produttore di ‘sovranità’ il processo concreto che
implica il potere legittimo di tutti e presuppone la protezione fisica e
sociale delle persone. In essa è sempre in tensione dialettica la ricerca di
sintesi della volontà politica con i vincoli dell’ordinamento
giuridico e la messa in tensione di questi con la politicità diffusa
nella società.
Ma se la sovranità è
sempre un processo storicamente concreto e se emerge non dall’onnipotenza
solitaria di un soggetto, o dalla sua volontà, ma dalla forza costituente delle
crisi, allora qui ciò che si sta facendo, o si potrebbe fare se la crisi
durasse oltre i limiti di resistenza di sistema, è esattamente una nuova
sovranità.
“Nuova” rispetto a
cosa? L’attuale, che potremmo definire “sovranità neoliberale”, prevede una
debole volontà politica, un fortissimo vincolo dell’ordinamento giuridico (per
lo più sottratto attraverso varie forme di governance sovranazionali o infra e
sub nazionali), e una quasi inesistente politicizzazione diffusa nella società.
È quel che siamo usi chiamare post-democrazia.
La condizione ex ante
è, insomma, pessima. Per usare uno slogan famoso, qui non si tratta di tornare
alla normalità, perché era quella il problema. Ma una creazione di
sovranità per effetto di una crisi potrebbe spingerla in una direzione ancora
peggiore. Potremmo passare dalla “post-democrazia” alla “anti-democrazia”.
È questa la paura di
molti.
E, naturalmente è ben
fondata. La produzione di sovranità è sempre ambivalente, non è solo oscura,
come sembrerebbe volere Agamben[2], ma non è neppure
chiarezza e pura benevolenza. Nel processo c’è un oscuro che non è nel corpo
sovrano, anzi nel processo sovrano, bensì si radica nel potere che questo cerca
di disciplinare. Nel disordine che cerca di portare a ordine, e alla luce.
L’emergere di una
nuova forma della sovranità dalla forza costituente della crisi è quindi affidato
alla capacità che avremo di tenere in equilibrio le sue diverse forze. Inoltre,
dalla durata, dall’intensità e dalla catena di effetti mobilitati. Nulla di
quanto fatto fino ad ora dall’attuale governo italiano è particolarmente
rassicurante in questa direzione, c’è poco equilibrio e molto eccesso.
Elenchiamone la
fenomenologia provvisoriamente:
1-
è vero che ci sono, sotto la spinta
dello stato di emergenza (che può scivolare ma non lo è ancora in “stato
di eccezione”[3])
delle forzature istituzionali gravi ed un chiaro eccesso di torsione
governista dovuta ad un insieme di fattori (oggettivi e determinati
dalla situazione, infra 3; soggettivi e dovuti alla debolezza del
governo; inerziali, dovuti al clima neoliberista ed alle sue prassi
consolidate). Questo eccesso si manifesta sia nell'abuso dello strumento
giuridico scelto (Dpcm), che cerca la sua legittimazione in un D.L. non ancora
convertito dal Parlamento, sia nell'abuso di Commissioni tecniche che a loro
volta sono tipiche delle condizioni di stress decisionale (si usano i
ventriloqui per superare i centri di potere organizzativi interni e la loro
tendenza alla rispettiva paralisi). Tutte queste tendenze segnalano, più in
profondità, il cattivo disegno istituzionale del paese e le sue prassi malate e
post-democratiche.
2-
è vero che c'è il rischio di un’ulteriore
tecnicizzazione della vita e delle sue forme sociali, per il tramite
della progressiva immersione in una rete di controllo sempre più pervasiva; ma
questa tendenza è in corso da decenni ed al momento in sostanza è trattenuta
solo dai ciclopici costi economici della sua implementazione (per cui si procede
privatizzandola e per luoghi di emergente valore, contribuendo non poco a
segnare quella divaricazione centro/periferia che sempre segnaliamo) e dai
correlati costi politici.
3-
Però tutto questo non può far
dimenticare, pena ricadere per mancanza di immaginazione e capacità di pensiero
complesso, che il fatto sussiste. Lo stato di emergenza è reale. Non
giustifica, e bisogna restare vigili e critici, lo scivolamento in uno ‘stato
di eccezione’, ma giustifica ampiamente la velocizzazione delle risposte
necessarie e anche un certo rafforzamento provvisorio del controllo e
dell'automazione (ad esempio nella raccolta ed organizzazione delle
informazioni). Chi dice di no deve farsi carico delle conseguenze, anche
sulla stessa libertà e democrazia che vorrebbe difendere, ma, invece, mette a
maggior rischio.
Vediamo quali sono le
alternative che abbiamo davanti[4]. Per ora si sta seguendo quella che sembra
la strategia “del martello e della danza”[5] per la
quale si alternano fasi di duro contenimento, per abbassare il numero di
contagi e far arretrare l’epidemia a fasi nelle quali si compie una “danza”
cercando di allentare e restringere le misure, per tenere sotto controllo la
stessa.
In che modo:
1.
Neil Ferguson e l’Imperial College di
Londra hanno ipotizzato[6] che il lock down non sia
sostenibile fino all’effettiva eradicazione del virus, poiché focolai possono
riaccendersi e/o essere reimportati, e quindi quando il fattore R(t) fosse
portato molto in basso (in Italia ora è stimato 0,5 dal circa 3 che aveva in
Lombardia all’avvio, quando la crescita era esponenziale), converrà comunque riaprire
anche se dopo un poco bisognerà richiudere tutto. La strategia proposta, “stop
and go”, è quindi di andare avanti con due mesi di blocco ed un mese di
riapertura fino a che l’esistenza di cure efficaci, un vaccino o una naturale
immunizzazione di gregge, possano riportare la cosa a normalità. Magari facendolo
in modo differenziato per territori[7] (ma attivando forti
controlli tra questi). La stima è orientativamente di farlo fino alla fine del
2021. Si tratta di una prospettiva tragica.
2.
La seconda alternativa è stata proposta
da un articolo[8]
su Lancet, e prevede di fare test, ovvero tamponi, a tutta la popolazione ogni
settimana, per diverse settimane consecutive. Anche se condotto solo su alcune
regioni questa strategia di “massive bombing” comporterebbe parecchie
decine di milioni di test al mese (fino ad ora l’Italia ha fatto 1,6 milioni di
test, al quarto posto nel mondo) ed una mobilitazione di tipo militare.
3.
La terza è il cosiddetto “rintraccia-e-isola”,
una pratica normalmente descritta nei manuali epidemiologici, per essa ci vuole
una sorveglianza intensiva, test, quarantene mirate. Per avere senso la prima
fase deve aver avuto un notevole successo (perché troppi casi rintracciati
determinano un sovraccarico non gestibile). In sostanza è la strategia per
l’avvio di un’epidemia, per impedirne l’ulteriore sviluppo, non per la fase
conclamata, quando gli infetti portatori sono ormai troppi.
La situazione dunque
può essere descritta come uno stato di emergenza che non ha soluzioni facili e
prevede scelte in condizioni di elevata incertezza tra alternative sfavorevoli.
Appunto “stop and go”, “massive bombing” o “rintraccia ed isola”, che se condotte
a lungo porteranno comunque rilevanti cambiamenti sociali, politici, tecnici.
Il tempo però è la
variabile essenziale. Più durerà la crisi, e più stressante per i sistemi
sociali, economici e politici sarà, quanto più probabilmente lo “stato di emergenza”
scivolerà, anche sotto la spinta di forze interessate, in “stato di eccezione”.
In altre parole, in queste condizioni ci vuole equilibrio perché il permanere a
lungo di uno stato “di emergenza” può esso stesso costringere, per paura e
stanchezza, la società ad autorizzare l'instaurarsi di quello “di eccezione”,
al fine di procedere più velocemente lungo 1 e 2, e, appunto, riavere un
“ordine”. Ma un ordine che scaturisca dalla disgregazione e dalla paura fuori
del controllo può essere, questo sì, oscuro.
Si tratterebbe, in tal
caso, di una sorta di sovranità “iperliberista”. Se quella “neoliberale”
è una sovranità con debole volontà politica, forte vincolo e quasi inesistente
politicizzazione diffusa, questa sarebbe ancora più debole nella volontà
politica (democratica), ma iperpotente nel vincolo giuridico e nelle relative tecnostrutture,
e totalmente inibita sotto il profilo della capacità di politicizzazione
diffusa.
Insomma, il rischio è
che dallo “stato di eccezione” si passi alla sovranità anti-democratica.
Al modello “Elysium”[9], nel quale una ristretta
élite di ricchi possessori dei mezzi di produzione e dei loro gestori si
sganci, lasciando macchine e tecnostrutture di controllo automatiche a gestire
la massa disperata del popolo.
Non può essere
sottovalutato, il rischio è che il mondo sia avvolto dall’oscurità.
Ma la fonte ultima
dell’oscurità non sarà in tal caso la digregazione e la paura che direttamente la
provocheranno, bensì sarà la causa di queste. Cadremo nell’oscurità se cederemo
alla distruzione sistematica delle condizioni della difesa che la società può
opporre. Vi cadremo se falliremo e assisteremo, via via più impotenti, ad una
successione di “stop and go” sempre più parossistici in un contesto di
crescente disgregazione sociale ed economica.
Del resto, è da tempo
che falliamo. Il problema non è il virus, ma la normalità che ha interrotto.
L’attacco alla vita[10] è stato già compiuto
dalle strutture che, messe in piedi ed utilizzate da ben specifiche forze[11], hanno reso endemica
nella nostra società la disoccupazione, l’angoscia, la deprivazione, la miseria
e la fame. Ed hanno messo sotto costante attacco, e ridotto in condizioni di
“anoressia” le strutture dello Stato, il welfare e il sistema sanitario in primis,
che avrebbero dovuto essere il primo bastione di difesa.
Un bastione
bucherellato che ha retto a fatica in alcune regioni ed è crollato di schianto
in Lombardia.
Dove ha retto si è trattato di frammenti ancora abbastanza incredibilmente
operativi del ‘trentennio glorioso’ erede dell’età moderna[12].
La stessa ragione d’essere dello Stato è quindi chiamata in causa. Esso esiste
e pretende di avere il monopolio della forza in quanto e per quanto protegge
dalle minacce che turbano l’esistenza delle persone. Viceversa, la scomparsa
della centralità dello Stato, o la narrazione di tale scomparsa[13] fa venire meno questa
promessa.
È
il venire meno di questa promessa che oggi vediamo davanti ai nostri occhi
nelle parole di quell’infermiere costretto alla scelta tragica su chi salvare
tra sette[14].
Ma
il venir meno di questa promessa, oggi dovrebbe essere chiaro, è una minaccia
esistenziale per l’intero ordine sociale e per la vita organizzata. Una
minaccia per qualunque ordine sociale, sia esso capitalista o no,
occidentale o orientale, del nord e del sud[15], democratico o comunista,
secolare o teocratico. Vale in particolare da noi, in Europa, dove la riduzione
del pubblico nella vita delle persone è passata sistematicamente per una loro
maggiore esposizione alla durezza della vita e quindi anche al rischio, alla
paura, alla generazione di fragilità individuale. La sinistra ha contribuito
fortemente a questo processo, peraltro, valorizzando il lato libertario
dell’indebolimento delle macchine protettive novecentesche, reinterpretate come
dispositivi di autorità, regimentazione, normazione e, in ultima istanza,
paternalismo e patriarcato.
Ciò
ha determinato la fragilità, fisica, strutturale e politica, nella quale le
nostre società globalizzate sono state trovare dalla sfida del coronavirus.
Questo
è il senso specifico nel quale è la normalità ad essere il problema.
Prendiamo
come esempio l’Italia del nord. La sanità è stata ristretta a poche macchine di
salute, abbandonando il presidio sociale e territoriale diffuso, ha abbandonato
anche il modello pubblico che l’aveva caratterizzata ai suoi esordi come
Sistema Sanitario Nazionale. Esso, creato nel 1978 come misura chiave della
partecipazione del Pci al “compromesso storico”[16], dagli anni novanta è
stato investito dal federalismo fiscale[17], ed a partire dagli anni
dieci, in seguito alla crisi, è stato investito dalle politiche di
consolidamento fiscale imposte dalla Unione Europea[18]. In particolare, la
crescita del saldo primario è sempre stata ottenuta anche a carico della spesa
sanitaria nella misura di un terzo[19]. Gli ultimi anni hanno
visto quindi tutte le regioni disinvestire nella sanità pubblica, in parte
spostando risorse sulla presunta più efficiente sanità privata, ottenendo
complessivamente un saldo negativo di posti letto, capacità di trattamento,
numero di addetti. Tutte queste condizioni, appena sufficienti in condizioni
normali sono repentinamente crollate nelle primissime settimane di una epidemia
severa, ma non certo paragonabile alle pesti che aprirono la modernità. Il
risultato è un’intera nazione bloccata, migliaia di morti non necessari, un
crollo verticale del sistema economico.
Non è dunque un caso che tutti i paesi del mondo, in pratica,
abbiano avuto, con maggiore o minore reattività, lo stesso ciclo di risposta: scoperta-minimizzazione-attesa-allarme-risposta
(misure di lock down). La ragione è che la vera minaccia non è solo alla
vita di migliaia di cittadini, quanto alla funzione stessa dello stato di
proteggerli. Non appena quindi la minaccia è stata percepita come reale ed
imminente lo stato ha reagito enfatizzando, con misure drammatiche, la sua
offerta di protezione. Ciò in Cina, Corea, Singapore, Giappone, India, come in
Italia, Francia, Germania, Inghilterra, Stati Uniti. Anche se con le differenze
di modo e tempo in tutti i casi si è trattato di una pura necessità di
legittimazione[20]
e quindi di sopravvivenza della forma regolatoria.
Il problema è che in tutti gli scenari, ridotta l’incidenza della
crescita epidemica esponenziale delle prime fasi, nelle fasi successive di apertura
e monitoraggio bisognerà graduare luoghi e contatti secondo una scala di
rischio di contagio[21]. Chi ne
farà le spese? I primi sono tutti i luoghi nei quali si riuniscono molte
persone contemporaneamente: ristoranti, caffè, bar, discoteche, palestre,
hotel, teatri, cinema, gallerie d'arte, centri commerciali, fiere
dell'artigianato, musei, musicisti e altri artisti, luoghi sportivi (e squadre
sportive), sedi di congressi (e produttori di congressi), ma anche in qualche
misura compagnie di crociera, compagnie aeree, trasporti pubblici che dovranno
viaggiare semivuoti con enormi perdite operative. Parliamo di una quota molto
importante della nostra economia e della nostra vita. Se passa la linea che i
luoghi a basso rischio sono regolati in via generale con pochi obblighi (mascherine
e distanza), mentre quelli ad alto rischio restano chiusi o quasi, ci dovremo
abituare a fare a meno per i prossimi due o tre anni del livello al quale le
nostre città sono organizzate di trasporti pubblici, bar, centri commerciali,
sport, congressi ed eventi. In effetti sembra una prospettiva alquanto
difficile. Vorrebbe dire tenere quasi in animazione sospesa la società per qualcosa
come due anni. E’ molto difficile possa sopravvivere economicamente e
socialmente[22].
Qualora crollasse tutto diventerebbe possibile.
Chiaramente a breve
termine, nei primi due o tre mesi, dovrà andare così, magari ed al massimo fino
alla fine dell’anno. Ma a medio termine non possiamo fare a meno, anche se il
virus non sarà ancora stato definitivamente debellato, di mezzi di trasporto
alla loro normale capacità, luoghi di incontro, grandi e piccoli, svolgimento
delle attività sportive, possibilità di manifestare la propria opposizione
liberamente, ecc...
Se provassimo a portare avanti la strategia dello “stop and go”, ma anche
del “massive bombing” per molti mesi rischiamo che lo “stato di emergenza” si
traduca, per stanchezza, in “stato di eccezione”. Anche
solo dal lato economico non sfuggirà che perdere introiti diretti, ma
soprattutto molti posti di lavoro diretti ed indiretti, moltissima integrazione
del reddito per “lavoretti” di vario genere, quota decisiva del fatturato di
settori importanti, commerciali e ristorativi, produrrebbe una dinamica
cumulativa che rischierebbe di alimentarsi e diventare travolgente. La perdita
di gettito fiscale indurrebbe riduzione dei servizi e peggioramento della
qualità della vita e dello stato di manutenzione. È una catena, la perdita di
attività, dei redditi e consumi, allontana ulteriori attività, e questo aumenta
la perdita, così via. Nel breve termine si può frenare e controbilanciare con
misure di espansione monetaria (che in Europa non stiamo facendo), ma nel lungo
occorre che si producano beni e servizi e che la società economica si riattivi.
Ricapitoliamo:
·
Il mutamento che saremo costretti a
vivere dipenderà abbastanza strettamente da quanto tempo durerà lo stato
di paura indotto dalla minaccia dell’epidemia da Sars-Cov-2 e della sua
malattia Covid-19. Malgrado a molti piaccia immaginare che ci siano sempre
oscure volontà dietro le cose che fatichiamo a comprendere, l’unica cosa
insolita di questa epidemia è che sia venuta così tardi, dopo innumerevoli
colpi a salve. La nostra società la produce direi naturalmente.
·
Questo mutamento potrebbe comportare lo
slittamento dallo “stato di emergenza” (che, attualmente, è ben giustificato
pur essendo sede di innumerevoli, e gravi, errori) allo “stato di eccezione”.
Ovvero, in altri termini, potrebbe comportare modifiche della ‘sovranità’.
Precisamente potrebbe essere levatrice del passaggio dalla “sovranità
neoliberale”, nella quale viviamo, ad una, ben più temibile, “sovranità
iperliberista”.
·
Il rischio si presenterebbe come
estremizzazione e stabilizzazione di due risposte all’emergenza in sé
abbastanza normali come il potenziamento del governo e la tecnicizzazione, di
cui tra poco diremo.
·
D’altra parte, possiamo reagire alla
minaccia, evitando una disastrosa reazione “dello struzzo”[23], o reiterando “stop and go”, o con un
improbabilissimo “massive bombing”, o, ed è la terza alternativa, con la
strategia del “rintraccia ed isola” nella fase del “go”, proprio per evitare un
generalizzato nuovo “stop”. L’alternativa, per dirlo in modo semplice, è se per
fermare il virus devo necessariamente mettere in quarantena tutti di nuovo
(“Stop and go”), o se posso farlo solo con i pochi che sono entrati in
contatto. Ma in questo secondo caso come li identifico? O testando tutti
coattivamente e continuamente (“massive bombing”) o identificando le catene di
contagio mentre partono (“rintraccia ed isola”).
·
Bisogna, insomma, usare le armi che ci
sono, sapendo che andranno posate prima che prendano il sopravvento e si
rivolgano contro di noi.
Non c’è dunque l’arma
finale, ci sono solo tentativi. Ma è comunque necessario mettere in piedi tutte
quelle risposte che siano in grado di ottenere il successo nel più breve
tempo possibile e poi richiederne la pronta rimozione. Queste
risposte, in particolare la terza, nel medio termine passano per una strada
altamente pericolosa nel lungo: un massivo potenziamento della capacità di
creare, registrare e trasmettere informazioni, tracciare e controllare, ed una
certa concentrazione della capacità operativa.
È
abbastanza noto il menù di base per l’implementazione della strategia
“rintraccia ed isola”:
a- Screening
approfondito, e per priorità, della popolazione per
rilevare chi è immune (se possibile, o è giunto in contatto con il virus[24]), chi è malato
asintomatico, ma contagioso, chi non è entrato in contatto con il virus (totale
in settori cruciali, come i medici, i poliziotti, gli addetti alla logistica, i
gestori dei servizi locali, gli addetti al trasporto pubblico, e a campione per
il resto);
b- Potenziamento
della capacità di fare tempestivamente tamponi ai sintomatici, e,
naturalmente, a tutti coloro che sono entrati in contatto con loro nei
precedenti venti giorni[25];
c- Potenziamento
massivo della sorveglianza sanitaria attiva sul territorio,
e distribuzione di presidi di prossimità, in modo da ridurre il tempo tra la
segnalazione di soccorso o allarme e l’intervento qualificato[26];
d- Controllo
su base volontaria delle persone circolanti per identificare
in tempo reale o retrospettivo chi sia portatore del virus e tutti i suoi
contatti[27];
e- Controllo
molto più specifico nelle aree di affollamento
e di lavoro;
f- Identificazione
delle aree potenzialmente contaminate e loro tempestiva
sanificazione;
g- Identificazione
delle merci potenziali veicoli di contagio e la loro
distribuzione;
h- Misure
di confinamento e quarantena al confine delle aree in
sicurezza per merci e persone (in particolare al confine esterno del paese),
per farle entrare.
Questa
semplice esigenza potrebbe portare a cercare di implementare progressivamente e
quanto più possibile le seguenti pratiche:
1- Controllare
gli spostamenti e la localizzazione di ogni cittadino
fuori del suo domicilio per l’intero percorso e tracciamento attivo di tutti
quelli che sono segnalati, perché a rischio contagio, attraverso il proprio
dispositivo di comunicazione (con o senza App specifica[28]);
2- Individuare
tempestivamente tutti i contatti intercorsi, anche per
semplice incrocio fortuito, con tutte le persone che risultassero contagiate,
interrogando la base dati che contiene i tracciati, auspicabilmente
distribuita, per l’intero periodo di incubazione e attività;
3- Incrociare
i dati ed i tracciati di movimento con punti di controllo
sul territorio, come telecamere con riconoscimento facciale, portali attivi in
grado di leggere l’identificativo del telefono, e, peraltro, di ogni oggetto
facendo anche uso di reti wireless pubbliche e pervasive[29];
4- Tracciare
completamente il ciclo di vita delle merci, fino a
destinazione, in modo da poter identificare qualsiasi oggetto che sia stato
toccato da una persona che risultasse infetta (tecnologia Rfid o simile).
Per
ottenere questi risultati servono alcuni dispositivi ed attivatori tecnologici
(da graduare a seconda del rischio e delle condizioni locali):
I-
Un sistema dati
in grado di tracciare potenzialmente ogni persona e tutti i suoi spostamenti
sull’intero territorio e soprattutto di essere interrogato rapidamente e con
precisione;
II-
Una rete di sensori
nel territorio in grado di fornire riscontri della geolocalizzazione delle
merci;
III-
Una rete di sensori nei luoghi di
affollamento, in grado di fornire una localizzazione
del movimento delle persone e l’identificazione di coloro i quali fossero
entrati nel raggio di influenza di una persona potenzialmente contaminata e/o
positiva;
IV-
L’interfaccia delle telecamere
disponibili sul territorio con software di riconoscimento facciale, per fornire
punti di incrocio e conferma delle geolocalizzazioni;
V-
L’intensificazione dell’automazione,
per ridurre la presenza umana e certamente la sua densità, nei luoghi di lavoro
e produzione.
Si tratta di una prospettiva che contiene numerosi elementi allarmanti[30].
Certo
pretenderemo un’assoluta privacy, e la distruzione dei dati trascorso un certo
numero di giorni. Ma per un certo tempo, mentre si sta in un “go” tra due
“stop”, potrebbe darsi che sia necessario avere una certificazione del sistema
di tracciamento per andare ad un concerto, entrare in luoghi pubblici
potenzialmente affollati[31]. Questi rischi non sono nuovi, in quanto è da tempo che la società e la
tecnologia vanno in questa direzione, ma indubbiamente se attivata per lo
‘stato di necessità’ determinato dall’emergenza l’implementazione di queste
tecniche e pratiche potrebbe essere particolarmente pervasiva e creare le
fondamenta di una modifica della stessa sovranità. Appunto potrebbe mettere in
piedi l’infrastruttura abilitante di una “sovranità iperliberista”.
Allargando
lo sguardo, il ritorno dello Stato alla sua funzione primaria di
garanzia della sicurezza della vita stessa, e quindi di garanzia sanitaria,
potrebbe insomma comportare qualcosa di simile all’immane trasformazione che le
città europee subirono nel corso dell’ottocento. La medicina, come dicevano gli
igienisti nella prima parte del 1800, tornerà in tal caso ad avere in modo
evidente “dei rapporti intimi con l’organizzazione sociale”; il tema tornerà, o
potrebbe tornare, ad essere quello di ridefinire gli spazi urbani e la sua
dotazione infrastrutturale[32] per “riorganizzare
contatti e transiti”.
Dalla
egemonia del tecnico-economista potremmo passare a quello del tecnico-medico
(peraltro come normale incerto[33]
sul tema).
Potrebbe
esserci inoltre anche una nuova forma di digital divide[34], e questo aprirebbe
ulteriori dimensioni nella lotta alle ineguaglianze. Tutto ciò potrebbe infatti
accelerare in modo decisivo la fuoriuscita dai residui ancora resistenti della
società del novecento, quella del lavoro sicuro e stabile, della protezione
garantita per grandi unità di senso. Per questa via (appunto “Elysium”), il
mondo potrebbe essere condotto ancora più velocemente, sulla spinta della
sicurezza e dell’igiene, verso una minoranza di connessi e vincenti, rapidi,
flessibili, carichi di energia e di ottimismo, ma anche apolidi,
tendenzialmente refrattari alla responsabilità, ai quali anche più di oggi si
oppongano maggioranze variegate e frammentate (in effetti una molteplicità di
minoranze anche esse). I vincenti capaci di utilizzare ed essere usati nella
grande macchina produttiva diffusa, contrapponendosi ad una crescente area
marginale degli esclusi a vario grado respinti. I primi, mobili, che accettano
i controlli tecnologici, i secondi ancora più vincolati, e fermi.
Siamo
davanti ad un enorme punto di ambiguità. Un’autentica contraddizione che non si
può sciogliere con la ‘strategia dello struzzo’, ma neppure correndo
liberamente dove indica la tecnica.
La contraddizione non
si può sciogliere con l’affido ad un’altra tecnica, sia essa quella
economica (come vorrebbe Confindustria) sia essa quella giuridica (come
vorrebbero molti difensori della “libertà” codificata e borghese). Occorre che
sia presa in carico dalla politica costituente. E che questa sia diretta
dalla politicizzazione diffusa, e non dalla prima o seconda, ma neppure dalla
terza tecnica implicata, quella del governo.
Questa
è dunque una delle arene di maggiore rilevanza e di più grande delicatezza che
avremo davanti a medio termine, nell’arco dei prossimi due o tre anni. La
protezione sociale è necessaria e sempre di più lo sarà, ma deve andare di
pari passo alla consapevole condivisione della propria produzione di
informazione e nel potenziamento e difesa del “diritto alla città”, ovvero il
diritto di ciascuno (diritto sociale, non civile) a disporre
di un’esperienza spaziale adeguata a sostenerne la vita e non segregante.
La
questione centrale, da rivendicare in modo aspro, insistito e assolutamente
intransigente è che attraverso un’ampia discussione collettiva, cui i vari
saperi tecnici saranno abilitati a partecipare, ma senza avere l’unica parola, sia
posta la questione decisiva del soggetto che è legittimato a chiedere che
tipo di territorio vogliamo, che persone vogliamo essere, a quali rapporti
sociali aspiriamo, che rapporto intendiamo promuovere con la natura, e,
naturalmente, con le tecnologie che riteniamo convenienti.
Bisogna
essere chiari, il “diritto alla città” non è un diritto individuale di
accesso alle risorse originariamente concentrate nella città stessa, non è il
diritto al consumo: piuttosto è il diritto a cambiare insieme alla
città, in modo da renderla conforme ai desideri, insieme scoprendoli. Non è una
cosa nuova: la visione originaria del socialismo consisteva proprio in questa
idea secondo la quale in futuro le società potranno essere interamente
ristrutturate secondo il modello di una spontanea comunità solidale per
impulso dei propri stessi membri. Cioè per una capacità da essi stessi
sviluppata a orientarsi spontaneamente gli uni verso gli altri, superando
l’egoismo e dedicandosi ognuno in modo disinteressato all’autorealizzazione
dell’altro.
La
creazione di informazione, e la consapevolezza insieme della comune
interdipendenza, cosa che può essere il frutto migliore di questa
esperienza tragica può essere anche occasione per comprendere, finalmente, che
gli esseri umani non possono essere liberi da soli, ma solo entro relazioni
sociali che li rendano tali, cioè entro la “libertà sociale”[35] che il socialismo intende
istituire. Non si tratta solo di realizzare un sistema distributivo più giusto
(ottenendo l’uguaglianza, magari al prezzo di un potenziamento
dell’amministrazione), ma anche ed insieme di creare le condizioni di una
nuova forma di vita comunitaria. Consapevoli della nostra comune
compresenza.
Una
forma in cui la “libertà” sia determinante sia sul piano dell’individuo, che si
orienta verso la comunità per la soddisfazione delle sue finalità (in primis
quella di base della propria sicurezza), sia su quello della comunità stessa,
che è una creazione consensuale della “fratellanza”, ovvero della “simpatia”
reciproca (termine presente nei moralisti settecenteschi, in particolare
scozzesi). La cosa è abbastanza semplice da capire: noi stessi usiamo spesso il
termine comunità, intendendo una condivisione di finalità ed un senso di
comunanza e reciproca simpatia (che si manifesta automaticamente, ad esempio,
quando due connazionali si incontrano in un paese estero non familiare) che
porta ad un certo grado di disponibilità a farsi carico dei bisogni dell’altro,
ovvero un certo grado di essere-sé nell’altro pure nel quadro di unità anonime.
Però
la vera via di uscita, per evitare tutto ciò deve essere molto di più. Una
profonda razionalizzazione degli apparati produttivi e delle macchine
territoriali, riducendo l’inutile differenziazione dei prodotti e le tante
fonti di lavoro improduttivo, scegliendo quali attività sono in effetti
superflue, inutili, dannose, quali forme di solitudine nella folla sono da
disincentivare.
Perché
non si crei una forma di sovranità della sorveglianza, un ipercapitalismo
ancora più pervasivo ed esteso alla vita, bisogna che sia grande
l’attenzione su questo passaggio. Serve un grande lavoro collettivo, a
regia pubblica, volto ad ampliare sia l’indipendenza del paese sia la sua
robustezza, garantendo la partecipazione di tutti alla produzione, alla sua
organizzazione, alla vita, ai suoi frutti.
La battaglia è cruciale. Se la questione posta, nella gestione
della crisi, è la questione della sovranità, nel superamento ormai necessario
della sua forma “neoliberale”, abbiamo davanti due strade:
-
una “sovranità iperliberista”, nella
quale ad un massimo di controllo segue un minimo di politica[36];
-
o una nuova “sovranità ripoliticizzata”
che si ancori in basso e renda possibile la “libertà sociale”.
E’ del tutto chiaro, né si potrebbe avere dubbio, che l’attuale governo
(anzi tutti i governi dell’occidente, con varie sfumature), persegue per
volontà e per automatismo la prima strada e cerca di cogliere l’occasione per
impiantare una “sovranità iperliberista”.
E’ del tutto ovvio che noi, dobbiamo essere contro. Ma non come gli
struzzi, dobbiamo invece imporre che dalla crisi emerga una nuova sovranità,
finalmente politica.
Socialismo o barbarie.
[1] - Come scrive Carlo Galli, “paura
della morte, calcolo razionale dell’utilità, esigenza di pensare la politica
come artificio pattizio fortemente unitario che con la legge dà consistenza e
sicurezza a una società di uguali, sempre aperta al rischio di dissoluzione;
questi sono i caratteri della sovranità razionale” (Carlo Galli, “Sovranità”,
Il Mulino 2019, p.79).
[2] - Giorgio Agamben, “Homo Sacer”,
1995-2018
[3] - “Stato di eccezione” è quella
condizione nella quale dalla decisione, ovvero dalla lacuna nell’ordine,
scaturisce la determinazione di un nuovo ordine. La creazione della sovranità
non deriva dalla procedura, perché è questa ad essere giù istituita, ma da un
miracolo istituente, una dimensione, sostiene Carl Schmitt,
“teologico-politica”, (cfr “Teologia politica”, 1922). Una causa
incausata. Quindi una “origine”. Anche se parte dalle lacune, dai vuoti
interstiziali esistenti.
[6] - Ferguson NM, Laydon D,
Nedjati-Gilani G, Imai N, Ainslie K, Baguelin M et al. (2020) Impact of
non-pharmaceutical interventions (NPIs) to reduce COVID-19 mortality and
healthcare demand. Imperial College COVID-19
Response Team, London, March, 16.
[7]
- Il Dipartimento della
Protezione Civile ha predisposto al riguardo uno schema che classifica i
diversi territori, o meglio il rischio cui sono sottoposti, in funzione
dell’incidenza del virus rispetto alla dotazione di strutture di contenimento e
trattamento. Le seconde le possiamo potenziare, ma ci sono dei limiti, si
possono costruire in teoria quanti posti di ventilazione e soccorso possibili,
per “reggere” i picchi, ma quel che non è altrettanto facile fare è istruire
medici ed infermieri.
[8] - Peto J et al. (25
co-autori), lettera inviata a The Lancet, 17 aprile 2020.
[9] - Mi riferisco al film “Elysium”,
del 2013, diretto da Neill Blomkamp, con Matt Damon e Jodie Foster.
[11] - La logica specifica della
cosiddetta “Unione” europea è uno schema d'ordine, un bondage, nel quale le
coalizioni egemoni di alcuni paesi, con la complicità di quelle di altri,
creano dei recinti di caccia interni per aumentare la propria capacità
competitiva nel mondo grande “esterno”. Un progetto tecnicamente imperiale con
alcune fortezze, molti aristocratici, e delle periferie interne. Va così da
sempre. Naturalmente parte del legame sono le tante belle parole con le quali
il guanto di ferro è rivestito.
[12] - Non è affatto un caso, perché l’età moderna nasce dalla paura, c’è paura sempre ed ovunque
(Lucien Febvre, “Il problema dell’incredulità nel secolo XVI. La religione
di Rabelais”, Einaudi, 1978, p.380). È questa l’enorme forza dalla quale
scaturisce la soluzione liberale del “male minore” (Jean -Claude Michéa, “L’impero del male minore”, 2007) E dalla quale scaturisce
l’affidamento al sistema della tecnoscienza, la cui prima e più essenziale
incarnazione è il sanitario.
[13] - Dato che questo al massimo si
ritira lontano dallo sguardo e dalle mani dei cittadini, divenuti troppo
esigenti, i quali retrocedono per questa via a sudditi. Mi riferisco ovviamente
al deficit di democrazia dell’Unione Europea. Deficit che è, si badi bene, del
tutto strutturale e non casuale. Ad esempio si può leggere Peter Mair, “Governare il vuoto”, 2016.
[14] - Racconto fatto dal povero
“beneficiario” di tale immane prezzo in televisione ad un talk show di questi
giorni.
[15] - Per fare un esempio, anche
durante i processi di state-building del periodo della decolonizzazione
(1945-75) è attraverso l’estensione di servizi sanitari che è stata spesso
cementata la proposta di legittimazione del nuovo stato.
[16] - Istituito con la legge 833/1978
in forma di un diritto universale, in attuazione del dettato costituzionale che
definisce la salute come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della
collettività”. La distribuzione delle risorse, al fine di garantire
l’uniformità del servizio, era affidata ad un Piano Sanitario Nazionale ed a
livello locale nelle Unità Sanitarie Locali.
[17] - Le riforme che stravolgono
questo sistema sono orientate alla riduzione ed efficientamento della spesa
sanitaria ai fini espressi ed espliciti di consentire al paese l’adesione
all’Unione Europea, costituita secondo parametri di tipo liberista. Ne fa
espressione il D.Lgs 502/1992, che trasforma le Usl in Asl, sottoponendole a
criteri di mera efficienza economica. Ma è stata anche investita dalle
contemporanee e sinergiche (nell’indebolimento dello stato centrale) spinte
separatiste, fino alla riforma del “titolo V” (legge costituzionale 3/2001) che
ha portato alla definizione regionale della sanità italiana. Svolge particolare
rilevanza il D.Lgs 56/2000 che rende autonoma la fiscalità regionale
[18] - La spesa sanitaria italiana è
scesa in particolare nel periodo 2010-18, cumulando una riduzione di circa 37
miliardi (su circa 120) e rispetto al Pil attestandosi al 6,85% (rispetto al
massimo del 7,4%). Il numero di posti letto è di 3,18 posti per mille abitanti,
inferiore alla media Ocse (4,73) e persino alla povera Grecia (4,21). Per un
confronto, la Germania ne ha più del doppio (8) e la Francia poco meno del
doppio (5,96).
[19] - Si veda Matteo Samarani, “Sanità pubblica: un diritto da
preservare dalle logiche di mercato”,
2020.
[20] - La differenza tra le misure
(con, al momento, più o meno la metà dei cittadini del mondo in Lock Down, a
vari gradi) deriva solo dal grado di allarme, e quindi, precisamente, dal grado
di minaccia alla legittimazione.
[21]
- Il Dipartimento della
Protezione Civile ha predisposto al riguardo uno schema che classifica i
diversi territori, o meglio il rischio cui sono sottoposti, in funzione
dell’incidenza del virus rispetto alla dotazione di strutture di contenimento e
trattamento. Le seconde le possiamo potenziare, ma ci sono dei limiti, si
possono costruire in teoria quanti posti di ventilazione e soccorso possibili,
per “reggere” i picchi, ma quel che non è altrettanto facile fare è istruire
medici ed infermieri.
[22] - Faccio un esempio, Roma ha circa
13 milioni di visite turistiche all’anno, di cui la metà di fascia alta. La
spesa diretta di questi turisti è stimata ufficialmente in 7 miliardi (più
magari 1 altro miliardo semisommerso dovuto ad Airbnb), il 12% del Pil della
città. Complessivamente in Italia sono 100 milioni di visite turistiche.
Lavorano nel settore nella capitale poco più di 30.000 persone su 1.700.000, ma
c’è un consistente indotto nei settori del commercio, della ristorazione, e ci
sono 100 milioni di incassi del Comune per tassa di soggiorno. Il saldo
complessivo del turismo vede spese in Italia per circa 40 miliardi e spese
all’estero (dei turisti italiani) per 24 miliardi, è quindi una voce attiva
della nostra bilancia commerciale.
[23]
- Che di fronte ad una
minaccia reagisce negandola e mettendo la testa nel terreno.
[24] - Anche se ci sono significative
difficoltà tecniche è una cosa in corso di appalto e sta per partire, 150.000
analisi, cui seguiranno altrettante, per avere una mappa abbastanza affidabile
per dimensione del campione ed articolata dell’impatto del virus sulla
popolazione italiana. In modo da sapere, finalmente, quanti si sono contagiati.
[25] - La nostra capacità è una delle
più alte al mondo, siamo nei primi posti per campioni effettuati, ma comunque
ancora troppo bassa ed è una necessità cruciale.
[26] - Per questo bisogna potenziare le
risorse umane, probabilmente con 15.000 altri addetti, secondo i parametri resi
noti dalla Germania che se ne sta occupando.
[27] - In questa direzione l’Oms, in
linea con gli esempi orientali, ha proposto una App sul telefonino, ma c’è una
fortissima polemica, non completamente ingiustificata, sulla applicazione che
sembra sia stata scelta dalla gara emanata qualche settimana fa dal Ministero
dell’Innovazione. Su questo tema, per un’ampia ricostruzione si veda “Coronavirus: imparare ad applicare
la danza”. Dal
punto di vista tecnologico sembrerebbe che questa, come altre App immaginate
per lo scopo, utilizzi il BLE (bluetoot a bassa potenza) per agganciare altri
terminali attivi e segnalarsi vicendevolmente. Per renderlo interoperabile tra
i diversi terminali (ad es. IPhone e altri smartphone) Apple e Google hanno
rilasciato dei programmini (API). Quando il SSN segnala all'utente che è
risultato positivo ad un tampone, insieme all'obbligo di quarantena gli chiede
di scaricare il dato dei contatti registrati degli ultimi tot giorni (immagino
venti). I dati solo allora e solo per i casi attivi arrivano sui server del
Sistema Sanitario Nazionale e vengono analizzati da un software che sceglie
quali devono essere avvisati e messi in quarantena (l'algoritmo includerà
durata del contatto, e distanza). In questo modo si spera di rallentare la
diffusione e controllarla meglio.
[28] - L’App dovrebbe offrire le
seguenti garanzie di sicurezza: la scelta assunta in tutto l’occidente è di non
usare il gps, più invasivo, ma il BLE (bluetoot a bassa potenza) per agganciare
altri terminali attivi e segnalarsi vicendevolmente. C’è un problema di
interoperabilità (ad es. IPhone e altri smartphone) per garantire la quale
Apple e Google hanno rilasciato dei programmini (API), che vanno accuratamente
controllati. I dati dovranno essere residenti nel terminale e non in rete. Potrebbe
funzionare così: quando il SSN segnalerà all'utente che è risultato positivo ad
un tampone, insieme all'obbligo di quarantena gli chiederà di scaricare il dato
dei contatti registrati degli ultimi tot giorni (immagino venti). I dati solo
allora e solo per i casi attivi arriveranno sui server del Sistema Sanitario
Nazionale e verranno analizzati da un software che sceglierà quali devono
essere avvisati e messi in quarantena (l'algoritmo includerà durata del
contatto, e distanza). A questo punto, pena l’inutilità, dovrà arrivare
tempestivamente una squadra ed eseguire il tampone. Dopo pochi giorni si saprà
se la quarantena resta confermata.
[29] - La cosa si rende necessaria
perché l’uso della tecnologia BLE ha forti limiti presa isolatamente. Dato che non geolocalizza l'utente, come
quella coreana, l'utilità ai fini della tracciatura è molto relativa perché non
si possono sapere quali luoghi (ad esempio una festa) potrebbero essere stati
luoghi di proliferazione e, se non ci sono il 100% della app installate,
scapperà sempre molto. Inoltre, è molto dubbio che si possa stimare la distanza
con qualche precisione, quindi si rischiano tanti “falsi positivi” (ci stanno
lavorando, ma ci vorrà molto tempo per settare le soluzioni basate su un
algoritmo che “stimi” la distanza nelle diverse situazioni). Infine, è chiaro,
è tanto più utile quanto più persone le scaricano e quanti più tamponi si
fanno.
[30]
- Si potrebbe arrivare, se
non vogliamo restare a lungo in stato di semisospensione (con i treni al 20%
della capacità, prenotazioni di settimane per salirci, aerei a terra perché il
numero di passeggeri non giustifica il carburante, navi da crociera rottamate,
e via dicendo), alla situazione nella quale se domani se vorremo prendere un
aereo, o forse anche un treno, dovremo poter dimostrare di non essere entrati
in contatto con persone potenzialmente infette, o aver attraversato aree a
rischio, negli ultimi venti giorni. Ciò per proteggere gli altri, ed in
particolare i più deboli. E una tale certificazione, abbastanza
inevitabilmente, potrà essere prodotta solo da un sistema informatico come
quello descritto (peraltro in tempo reale e senza sforzo).
[31] - Noi potremmo anche non
accorgercene, potrebbe essere il nostro dispositivo di comunicazione (che
diventerebbe obbligatorio come la carta di identità e la cui assenza potrebbe
essere rilevata dai sensori), a segnalarci ed abilitarci.
[32] - La IOT territoriale, come le
cosiddette “smart cities”, sono, il grande progetto in cui tutte le più grandi
multinazionali e i governi più saggi sono impegnati grazie alla disponibilità
tecnologica di diffondere la sorveglianza a due vie tutto intorno a
noi. Un settore che, secondo Cisco, prima della crisi era stimato della
potenzialità ad espandersi fino a valere 408 miliardi di dollari nel 2020 e
connettere almeno 40 miliardi di dispositivi. Attraverso sensori e dispositivi
di comunicazione inclusi su oggetti, persone e manufatti (l”Internet delle
cose”) potranno essere trasmessi nelle due direzioni dati su consumi e desideri,
richieste ed informazioni, e potranno essere ricordati che cosa diciamo, con
chi e quando. Sempre. “La rete” ricorderà tutto. Un simile progetto
ha l’ambiguo potenziale di servire insieme due scopi di disciplinamento: verso
il cittadino reso debole e marginale renderà possibile erogare servizi, svaghi,
e creare relazioni a basso costo (al limite nullo), metterà in contatto, ma
contemporaneamente, nello stesso esatto gesto, sorveglierà ogni evento,
desiderio, contatto e relazione, prevenendo (grazie all’uso di software
previsionali e capaci di interpretare i segnali statisticamente più rilevanti)
la formazione del dissenso, o meglio il suo addensamento. Una simile
infrastruttura potenzierebbe il controllo territoriale attraverso la diffusione
di software di riconoscimento facciale, e/o segnali attivi dagli oggetti che
abbiamo con noi, in grado di comunicare in tempo reale intorno a noi ciò che di
rilevante ci riguardi (a negozi, fornitori di servizi, agenti di polizia).
Insomma, l’internet delle cose e la smart city che ne è l’estensione in una
società “a coda lunga” può diventare indispensabile. Può contenerci e
circondarci.
[33]
- Nella marea di interventi
medici che si susseguono, con una sorta di assalto alla pubblica visibilità ed
a intestarsi patenti di esperto, salvatore, finanche eroe, nel quale medici
senza alcuna fama riconoscibile, o con poche pubblicazioni rintracciabili si
improvvisano sedicenti “quasi-nobel” o grandi specialisti ed invariabilmente si
scelgono il proprio pubblico (quello dei ‘complottisti’ o quello dei ‘maturi e
moderati’) e parlano per esso, la confusione è massima. Ma peraltro normale.
Del poco che si può dire c’è che è un virus molto infettivo, con molti casi non
manifesti ma contagiosi, che se si impianta dopo una decina di giorni e supera
le prime difese naturali crea una pericolosa polmonite bilaterale (che non è
mai e per nessuno una passeggiata) e in alcuni casi una ipereazione del sistema
immunitario che induce complicazioni a volte fatali. Il virus, insomma, uccide,
direttamente o indirettamente. Ma soprattutto impegna in modo estremamente
severo l’intero sistema sanitario che nei paesi ricchi è stato posto sotto
dieta dimagrante ben oltre il prudente da quaranta anni di neoliberismo. Le sue
caratteristiche, con una mortalità bassa in casi ottimale e severa in casi di
tracollo tecnico-organizzativo dei presidi ospedalieri e grandissima capacità
di diffusione, sono quasi esattamente perfette per far crollare le nostre
fragili società.
[34] - Quella forma di ineguaglianza
che deriva dalla incapacità, o indisponibilità, a disporre di strumenti
digitali adeguati ad essere abilitati.
[35]
- Termine che riprendo dalla
tradizione hegeliana, ed in particolare dalla lettura di questa fornita da Axel
Honneth, “Il diritto della libertà”, Codice, 2015.
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