Ad
oggi quattordici
milioni di casi conclamati e ufficialmente comunicati di infezione da
Coronavirus e seicentomila morti, cinque milioni di casi ancora attivi, di cui
sessantamila in condizioni critiche o serie. Di questi circa due milioni sono
nei soli Stati Uniti, e con essi sedicimila casi critici. Gli Stati Uniti
procedono a record continui, nell’ordine di oltre settantamila nuovi casi al
giorno, e hanno subito ad oggi centoquarantamila morti. Per rapporto alla
popolazione abbiamo undicimila casi per milione di abitanti, meno del tragico Cile,
che ne conta diciassettemila, ma più di tutti gli altri paesi con almeno dieci
milioni di abitanti. Segue il Perù ed il Brasile, con circa diecimila, e,
distante, la Svezia (settemilaseicento), Arabia Saudita, Spagna
(seimilacinquecento), Sud Africa, Belgio (cinquemila), Russia, Bolivia,
Portogallo ed, infine, l’Italia, che ne ha quattromila.
Insomma,
gli Stati Uniti hanno il triplo dei casi per milione di abitanti rispetto a
noi, anche se hanno meno morti (quattrocentotrenta contro cinquecentottanta).
Una tragica statistica, questa, nella quale siamo superati solo dal Belgio e da
Inghilterra e Spagna.
Ma
la tragedia sanitaria porta con sé anche devastanti conseguenze economiche. Ed
in particolare negli Usa. Un recente rapporto[1] del Fondo Monetario
Internazionale certifica che il Covid-19 ha provocato la perdita del lavoro per
quindici milioni di americani, ha posto sotto stress finanziario tantissime
imprese piccole e medie (mentre le grandi, evidentemente, sono state
efficacemente soccorse dalle straordinarie misure della Fed e del governo
federale), e impattato in particolare sui tanti poveri che affollano le
periferie americane. La pandemia ha provocato, scrive il FMI, grandi problemi
ai servizi faccia-a-faccia ad alta intensità di lavoro (gli unici fino ad ora
al riparo dall’impatto distruttivo della tecnologia) che erano il rifugio dei
lavoratori a basso reddito. Attività nelle quali la bassa produttività, il
modesto livello di capitale investito, rendevano un modello di
supersfruttamento del lavoro e rapidissima sostituzione dello stesso. Contratti
precari, a tempo, imprese poco capitalizzate e facilmente sostituibili, un ecosistema
brulicante ed altamente fragile.
Su
questo si è abbattuto il Covid-19.
Il
Fondo ricorda alcune delle misure, effettivamente senza precedenti, prese dal
governo federale e che sono state enormemente superiori a quelle registrate dal
governo italiano, legato e costretto dai vincoli europei e alle prese con un
negoziato del tutto assurdo, date le circostanze.
“La Federal Reserve
ha adottato misure senza precedenti per fornire stimoli monetari, sostenere il
buon funzionamento dei mercati finanziari nazionali e internazionali, sostenere
il flusso di credito e rafforzare la trasmissione della politica monetaria. Allo
stesso tempo, sono state messe in atto una serie di misure fiscali per
assistere le piccole imprese e settori specifici (come le compagnie aeree),
aumentare le risorse per gli operatori sanitari, espandere l'assicurazione
contro la disoccupazione, creare incentivi per le imprese a trattenere i
lavoratori, trasferire denaro direttamente alle famiglie e fornire risorse ai
governi statali e locali”.
Malgrado
ciò la produzione è attesa ad una contrazione del 6,6% ma soprattutto gli
effetti duraturi e prolungati del deterioramento della situazione economica,
della permanenza dell’epidemia, della disoccupazione e del conseguente calo
della domanda porteranno altri fallimenti e un “cambiamento delle preferenze e
delle pratiche lavorative [che] richiederà una significativa riallocazione del
capitale e del lavoro”. Il Fondo parla di un “aumento sistemico della povertà”,
con distribuzioni razziali ancora più pronunciate, e “per molti anni a venire”.
Questo
impatto avverrà, infatti, per “una grande parte della popolazione americana” e
porterà “un importante deterioramento degli standard di vita e significative
difficoltà economiche per molti anni a venire”. La conseguenza più facilmente prevedibile
è l’innesco di un circolo vizioso fatto di erosione della partecipazione della
forza lavoro al ciclo produttivo, la distruzione di competenze, i disordini
sociali.
Inoltre,
il debito pubblico complessivo (ovvero delle “istituzioni pubbliche”) salirà
fino al 160%, di cui oltre il 107% a carico del governo federale, con un
importante salto dal 80% ante crisi. Se ci fossero altri stimoli salirebbe
ancora. Il debito privato complessivo salirà, come quello societario. L’insieme
delle tre cose porterà a molti nuovi fallimenti. È anche prevedibile, sempre
per il FMI, un periodo di bassa inflazione o deflazione che potrebbe indurre
imprese e consumatori a ritardare gli acquisti, contraendo la già asfittica
domanda.
La
ricetta del Fondo è apparentemente semplice e logica: potenziare il sostegno
pubblico, il sistema sanitario, l’istruzione, le infrastrutture, fino a che la
crisi non sia superata, e a quel punto, tornare ad un avanzo primario per mettere
il debito su un percorso di riduzione. Quindi aumentare le entrate con un’imposta
sui consumi (Iva), sul carbonio e sul carburante, e sulle imprese. Appena possibile
eliminare le “attuali linee di credito e di liquidità”, garantire l’apertura
commerciale ed eliminare le ritorsioni e le guerre valutarie. Insomma, tornare
al mondo come era prima, rimuovendo quelle politiche che indeboliscono i
mercati. Ovvero, si legga, indeboliscono la capacità di ricatto del grande
capitale finanziario e non sul potere sovrano degli Stati e sulla dinamica di
classe e razziale del paese. Assicurandosi che chi è soggetto e periferico,
costretto a svendersi, lo resti.
Tutto
questo avviene mentre il principale competitore, la Cina, registra una crescita
economica del 3,2%, con il secondo trimestre che cresce oltre il 10% (11,5%). La
produzione industriale (che è abbastanza facile da stimare in via indiretta e
quindi controllare) cresce del 4,8%, mentre consumi ed investimenti restano
leggermente indietro, la disoccupazione è calata. Mentre per proteggere l’economia
dai rischi sistemici (anche propagati dall’esterno) vengono posti
sotto controllo pubblico per un anno nove grandissime istituzioni
finanziarie. Si tratta di Huaxia Life Insurance, Tianan Life Insurance, Tianan
Property Insurance e Yi’an Property Insurance, e due società fiduciarie come New
Times Trust e New China Trust.
E’
difficile immaginare una congiuntura più destabilizzante di questa.
Il
negoziato in corso in Europa cade in questo contesto, e probabilmente a qualche
livello si nutre di questa consapevolezza. I capi di Stato e di governo si
muovono in un quadro altamente complesso di condizionamenti, consuetudini di pensiero,
e pressioni. Tra i primi ci sono le possibilità e gli interdetti generati dalle
strutture giuridiche o economiche, tra le seconde c’è l’intera dinamica
storico-evolutiva delle istituzioni delle quali sono a capo o alle quali
partecipano, le terze sono determinare dai gruppi di pressione accreditati
presso le loro segreterie e quelle dei partiti che li sostengono, dalle organizzazioni
politiche alle quali rispondono, dall’ambiente politico nel quale si muovono. L’insieme
è normalmente molto adattivo e miope, tende a cambiare direzione con grande
lentezza e tende a farlo più per le ragioni immediatamente presenti che per i
rischi a medio o lungo termine.
Ma
la situazione è potenzialmente esplosiva, sia nel breve termine (con decine di
milioni di possibili nuovi disoccupati in Europa nei prossimi mesi, fallimenti
a catena nelle filiere più esposte, radicale crisi del modello export-led
imposto a tutta l’Europa dai paesi nordici), sia nel medio e lungo (quando gli
effetti sistemici e di trascinamento avranno portato il mondo dentro una nuova
depressione).
Può
sembrare sia in gioco un qualche pacchetto di miliardi,
l’equilibrio del Recovery Fund (o Next Generation Eu)[2] tra quota da restituire
indirettamente tramite il bilancio europeo pluriennale (i trasferimenti) e
quota da restituire direttamente (i prestiti), ma la questione è ben più
radicale. C’è un gruppo di paesi, cosiddetti “frugali”, tra i quali Austria,
Danimarca, Paesi Bassi, Svezia che sostiene, non senza fare uso di accenti
razzisti davvero pesanti, la posizione secondo la quale tutto debba essere
restituito direttamente, ed immediatamente. Un’altra linea è tenuta dai paesi
del sud, Francia, Italia, Spagna, Grecia, con altri, che sostengono una
ripartizione non inferiore a 400 miliardi di trasferimenti e il resto (fino a
750) di prestiti. La Germania sembra sostenere questa seconda linea, emersa
come compromesso dall’accordo con Macron[3]. E, infine, si prefigura
un durissimo scontro tra l’Olanda e l’Ungheria, in rappresentanza dell’intero “Blocco
di Visegrad”[4],
a causa della proposta del premier Rutte di escludere anche quest’ultima dai
trasferimenti in quanto non sarebbe in linea con l’indirizzo politico europeo
(ovvero non sarebbe uno “Stato di diritto”).
Tutto,
come teme il cancelliere tedesco, si potrebbe chiudere dopo tre giorni di
intensissimi scontri, senza alcun accordo.
La
vera posta degli scontri non è l’equilibrio dei numeri, tutti ricavati da un
accesso al mercato e interamente a questo restituiti in un certo numero di anni[5], anche molto lungo. La vera
posta è l’equilibrio del potere entro la Ue e quello nel mondo. Ciò che
viene richiesto dai “frugali” è il potere di determinare direttamente, senza
sottostare agli equilibri politici creati in una Commissione Europea nella
quale sono strutturalmente in minoranza, l’indirizzo della spesa e la
modulazione dell’economia dei paesi che riceveranno il Fondo[6]. Ciò che viene richiesto
dalla coppia Macron-Merkel, che ha proposto lo schema, è di farlo
congiuntamente negli organi politici europei[7].
Ciò
che c’è in comune è la meccanica a tre lame con la quale il sistema europeo
intende cogliere l’occasione della crisi per aumentare in modo decisivo l’integrazione
verticale del sistema produttivo e finanziario europeo intorno ai centri considerati
più dinamici. Ovvero, sapendo che l’economico è sempre organizzazione sociale e
circolazione di potere, della capacità di produrre ricchezza, distribuirla,
appropriarsene, più saldamente nelle mani delle frazioni di interesse che nel
progetto detengono posizione centrale. La meccanica emerge dal quadro difficile
di una crisi da shock esterno, che interviene su altre crisi sistemiche e
profondamente intrecciate sul piano geopolitico, sociale, politico ed economico,
nel contesto di un radicale rallentamento di tutti i poli produttivi mondiali,
e di un protagonismo senza precedenti del sistema delle banche centrali, coordinato
dalla Fed[8], mentre tutte le opinioni
pubbliche chiedevano una risposta.
Le
tre “lame” sono, gli acquisti tramite il Peep da parte della Bce, sfidati dalla
sentenza della Corte Costituzionale tedesca[9], l’erogazione di fondi
tramite la Commissione europea di cui si discute, e il momento in cui, come
chiede il Fmi agli Usa, si debba tornare al Fiscal Compact, ovvero all’austerità.
Non
bisogna ingannarsi, le tre lame funzionano insieme.
·
La liquidità garantita dalla Bce
è straordinaria (come, appunto, ricorda in via generale ancora il Fmi, parlando
alla Fed e quindi anche alla Bce), è indispensabile per impedire un subitaneo
crollo con conseguente insolvenza e rottura immediata della Ue, e dello schema
di cooperazione (ovvero di dominio[10]) mondiale. Ma al contempo
aumenta la dipendenza dei paesi che ne fanno uso, proprio in quanto ‘straordinaria’
e revocabile in una qualsiasi seduta del board.
·
Il “Recovery Fund”,
o comunque vogliano chiamarlo, oltre ad essere radicalmente insufficiente, se
pur non irrilevante, sarà erogato tramite i canali consuetudinari della
Commissione Europea, e non solo sarà soggetto a “condizionalità”, quanto sarà
destinato a spese da decidere in sede europea, secondo un programma ben preciso
e negoziato in sedi tecniche molto lontane dalla politica democratica. Ne abbiamo
avuto un assaggio nello spettacolo oscuro degli “Stati generali”. La spesa funzionerà
necessariamente per aumentare l’interconnessione selettiva, la modernizzazione
sull’asse della informatizzazione e della meccanizzazione avanzata, la capacità
di gestire il lavoro e di organizzarlo. Facendo riferimento allo scontro di
classe in corso, sulla matrice centro/periferia e integrato/emarginato, che
determina la capacità accesso alla produzione, alle risorse e il potere di
intervento sociale e politico (ma anche culturale)[11]. A livello geografico
aumenterà la distanza tra le regioni forti perché interconnesse e “globali”, e
quelle isolate, svuotate di risorse umane e di capitale, povere di infrastrutture
(le quali non si ‘reggono’ ad un calcolo razionale costi-benefici e dunque non
risulteranno finanziabili secondo gli stringenti parametri europei). A livello
sociale aumenteranno le distanze tra i ‘paria’ e i ‘savi’. A livello politico
tra i ‘responsabili’ e i ‘barbari’ (etichettati variamente come ‘populisti’ o ‘sovranisti’).
·
Finalmente la ripresa del ‘Fiscal
compact’, reso molto più stringente dalle condizionalità che sono presenti
sia nel “Recovery”, sia nel “Mes”, agirà sinergicamente alla lama che taglia
offrendo solo ad alcuni, direttamente abbassando gli altri. Il punto
cruciale da comprendere in modo esatto questa meccanica è che il capitalismo è
un rapporto sociale. Esiste concentrando nelle mani di pochi, per sua natura[12]. Il movimento genera
sempre una dialettica spaziale che è internamente connessa con la lotta di
classe. Qualunque processo di
valorizzazione è fatto di connessione e la connessione, a un livello di
maggiore efficienza, richiede sempre investimenti. La valorizzazione è rapporto
tra le possibilità date dall’organizzazione dello spazio e le decisioni di
localizzazione, di spostamento. Queste producono sempre gerarchie, almeno
implicite. I luoghi più dinamici, resi tali da opportuni investimenti, o da un
gradiente di maggiori investimenti, attraggono risorse umane e di capitale dai
luoghi meno dinamici. Proprio perché riescono a “valorizzarli” meglio
(investire su piazze più forti, in mercati più solidi, trasferirsi dove il
lavoro è più abbondante o i salari più alti, …). La dinamica del potere porta
sempre a cercare sbocchi alle eccedenze, e porta ad acuire le forme della
competizione. La competizione, nel quadro di sistemi di coerenza strutturata
entro luoghi ed alleanze sociali, porta dipendenze. L’austerità funziona molto
meglio se insieme alla erogazione selettiva, perché impedisce che parte delle
risorse create nei centri, per effetto della maggiore integrazione e quindi del
rango accresciuto ricadano, disperdendosi, anche nelle limitrofe periferie. Tiene
compresse queste ultime e le contiene permanentemente nella condizione di bacino
di forza lavoro debole e servizievole e di fornitore di servizi a basso valore
e soprattutto costo. È la dinamica dell’imperialismo.
Le
tre lame sono dunque parte di un progetto intrinsecamente imperiale di maggiore
organizzazione dello spazio europeo come una sola, enorme, macchina
valorizzante a vantaggio dei centri attualmente dominanti. Ed ovviamente a
svantaggio delle periferie interne ed esterne, sia geografiche sia sociali.
Lo
scontro nasce dentro questo schema condiviso, “next generation” appunto, per
decidere chi decide quale periferia deve essere colpita dalla
terza lama, quale parte deve essere interessata ed integrata con la parte
forte del continente dalla seconda. Non è affatto questione marginale. Si tratta
di disporre del potere di ostacolare la nascita di potenziali concorrenti, di
assicurarsi che i flussi di risorse umane e finanziarie continuino ad arrivare,
di essere certi che le ragioni di scambio dei propri prodotti restino
vantaggiose. L’Olanda è maestra di questo gioco, ovvero nel gioco di creare
colonie e dipendenze. Ma, altrettanto ovviamente lo è la Francia. In generale
si tratta del gioco che l’Europa ha insegnato al mondo nel corso del XVII e XIX
secolo.
Però
c’è anche un piano superiore: tutti sembrano essere concordi che un accordo
sia nel superiore “interesse europeo”.
Chiediamoci
quindi, per capire, cosa sia questo “superiore” interesse europeo. Si tratta,
semplicemente, della capacità di elevarsi al rango imperiale, liberandosi dalla
tutela del capitale e della potenza geopolitica, e militare, americana. Di far
finire la Seconda guerra mondiale (aprendo la Terza, naturalmente).
Per
comprendere meglio di cosa si sta in effetti parlando serve prestare attenzione
ai centri di potere e d’ordine che contemporaneamente arretrano (gli Usa) e
avanzano (la Cina e la Russia), ma anche disporre di quella che David Harvey
chiama una “teoria dello sviluppo ineguale”[13], comprendere come le
catene globali delle merci e dei servizi determinano le ragioni di scambio,
ovvero i prezzi relativi di scambio, come si fissano, specializzano e consolidano
i centri produttivi gli uni verso gli altri, dividendosi il lavoro in regime di
complementarietà che è sempre anche subalternità, come si costruiscono e distruggono
le economie regionali (della seconda dinamica abbiamo una qualche esperienza),
osservando anche lo scontro tra le diverse frazioni del capitale e le diverse
élite che lo gestiscono.
Scontro
di cui sono vittime i soliti noti.
Questo
interesse, insomma, sarà anche “superiore”, ma non lo è per tutti (i
luoghi) e non lo è di tutti (gli attori sociali).
Da
questo dovremmo partire, per criticarlo.
[1] - IMF, “Mission
concluding statement”, 17 luglio 2020.
[2] - O “Next Generation Eu”, come è
stato ridenominato.
[3] - A maggio, si veda “La
mossa del cavallo. Francia e Germania, Ue e cronache del crollo”.
[4] - Il “Blocco di Visegrad” è il
terzo grande polo di paesi a bilanciare i “nordici” (in questa trattativa
apparentemente provati della Germania) e i “mediterranei” (che in questa
trattativa sembrano probabilmente per la prima volta operare congiuntamente).
[5] - I particolari non sono ancora
stati negoziati, ma lo schema base è che la Commissione, con la garanzia del
bilancio europeo, emetterà debito a lungo termine, almeno una ventina di anni,
e quindi procederà dalle risorse del bilancio alla restituzione graduale. Se
funziona e determina crescita, questa è la speranza, la restituzione avverrà
con questa ultima e quindi il meccanismo potrebbe essere a costo zero (come in
effetti avviene normalmente se si prende un prestito per svolgere un’attività
redditiva e questa lo è).
[6] - La richiesta è di disporre di un
potere di veto individuale sui bilanci degli stati destinatari dei flussi, in
pratica decidendo dove ed in che modo questi impegnano le risorse del loro
bilancio ordinario per un lungo tempo. Si tratta di un effettivo
commissariamento, ma ancora più radicale di quello imposto alla Grecia, in quanto
non condiviso dalla Commissione nel suo insieme.
[7] - Viceversa la proposta base è che
sia la Commissione a svolgere questo ruolo.
[8] - Che ha tempestivamente esteso gli
“swap”, di fatto allargando alla scala submondiale la capacità di espansione monetaria
statunitense e proponendosi come erogatore di ultima istanza e garante.
[10] - Quella che Samir Amin chiamava “la
triade”, ovvero l’accordo di fondo tra gli Usa, la Ue e il Giappone, che si
nutre della generazione e distribuzione di debito, nella comune garanzia alla
sua stabilità, e nella richiesta contropartita nei confronti del resto del
mondo.
[11] - Si vera Christophe Guilluy, “La
società non esiste. La fine della classe media occidentale”.
[12] - Un esempio, non privo di
difetti, nel libro di Thomas Piketty, “Il
capitale del XXI secolo”.
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