Quello che segue è un testo di Gabriele Pastrello sul Next Generation Fund.
§ 1. Premessa.
La chiusura della
vicenda ex-Recovery Fund e oggi Next Generation Fund ha scatenato in Italia un
diluvio di polemiche.[1]
Da un lato gli
entusiasti. Quelli che avevano sofferto dell’atteggiamento negativo dell’Unione
rispetto al sostegno ai paesi in difficoltà, e che vedono nel Next Generation
Fund l’opportunità di ravvivare la speranza nella ‘riformabilità’ dell’Unione
europea. Che addirittura parlano di momento Hamiltoniano,[2] che ovviamente non c’entra
nulla col NG. Che verrà finanziato con l’emissione di titoli sotto la
responsabilità comunitaria della Commissione, ma che evidentemente non ha, né
nessuno intendeva avesse, un ruolo rispetto al debito pregresso degli Stati.[3]
Dall’altra parte,
chi a tutti i costi cerca di minimizzare funzioni ed effetti di questa scelta,
senza avvertire che la vera novità di questa misura non è certo un’improvvisa e
poco credibile ‘generosità’ europea - di cui si cerca di dimostrare
l’inconsistenza al di là dell’evidenza - quanto la scelta di affiancare un
consistente finanziamento (come incentivo obbligante) alle tradizionali
richieste di condizionalità sia nel senso di ‘riforme’ sistemiche che nel senso
del ‘rigore finanziario’; condizionalità a loro volta rafforzate dal ‘freno
olandese’.
La vera novità
starebbe nell’aver introdotto una strategia del ‘bastone & carota’ al posto
di quella del solo ‘bastone’, come fu il caso di quando, col governo Monti, ci
venne imposta l’adesione senza riserve al Fiscal Compact, con la conseguenza
che la debole ripresa italiana post-crisi venne spezzata, e il paese non ha
ancora riguadagnato i livelli del Pil pre-2008.
Strategia che, con
mia sorpresa, ho visto enunciata in Germania già prima dell’epidemia: ma che ha
fatto fatica a materializzarsi nonostante l’epidemia (ci sono voluti quattro
mesi di scontri intraeuropei e colpi di scena). E una volta formulata ha
incontrato la fiera opposizione dei paesi cosiddetti ‘frugali’. Ma alla fine
passa nelle dimensioni proposte da Macron e Merkel. Per cui ci si chiede: dopo
tante giravolte, qual è l’entità della misura, e in particolare per l’Italia, e
quali gli effetti; quali i condizionamenti legati a questa misura (oggetto di
lunghe riflessioni da parte di molti commentatori). Quale l’effetto politico
sulla situazione italiana, che a mio parere risulta fortemente cambiata sia
dall’epidemia che da questa nuova strategia ‘europea’ verso l’Italia di ‘bastone
& carota’. Per cui il pezzo presenta la seguente articolazione. § 1. Premessa,
§ 2. Germania, un dibattito sottotraccia, § 3. Verso la ‘carota’,
§ 4. I numeri della ‘carota’, § 5. Bastone & carota. Le
conseguenze macro, § 6. Il ‘’bastone’ e le trappole, § § 7. Le
conseguenze politiche del NG in Italia.
§
2. Germania, un dibattito sottotraccia.
Che
la novità sia proprio il ‘bastone & carota’ ha un’inattesa conferma proprio
dalla Germania. Il 17 dicembre 2019 esce infatti sull’Handelsblatt un articolo a
firma del prof. Harald Benink della Tilburg University,[4] dal titolo ‘Ein Grand Deal
mit und für Italien’.[5]
È
curioso che questo intervento che, come si vedrà dal seguito, apre un tema
cruciale della politica dell’Unione (i ‘limiti’ dell’austerità) e del rapporto
della Germania con l’Italia - perché di questo l’articolo tratta -, sia
effettuato da un docente di un’università olandese con forti legami con gli
USA.[6] Ma la cosa rilevante è che
quel suggerimento, attuato successivamente quasi fedelmente, peraltro, sia
comparso su un importante quotidiano tedesco.[7]
Questo
pezzo è tanto più interessante nella misura in cui inizia in linea con la
classica tesi tedesca, e più in generale rigorista europea, che le politiche
monetarie della BCE, permettendo una riduzione dello spread,[8] abbiano ridotto
l’incentivo sia alla disciplina fiscale che all’«introduzione di riforme
economiche di vasta portata» cioè, al solito, «drastiche riforme strutturali
nel mercato del lavoro [come se non ce ne fossero state - GP] e dei servizi,
nella riscossione delle imposte e nel sistema pensionistico» (ed ecco comparire
il ‘bastone’).[9]
Successivamente
il prof. Benink enuncia con chiarezza il quadro dell’iniziativa proposta: cioè
che per far digerire all’Italia le ‘riforme’ sia necessario aggiungere un sostegno,
la ‘carota’. Serve, dice l’autore, un “piano d'azione economico e politico per
i prossimi cinque anni che metta in collegamento un'agenda dettagliata per le
riforme economiche e strutturali da realizzare con dei potenziali investimenti
europei”. E continua: “La sfida è quella di prevenire un'escalation della crisi
politica tra Italia ed Europa” (leggi, l’avanzata dei partiti ‘populisti’).
Quindi,
conclude: “È giunto il momento di stringere un grande accordo fra Italia ed UE
per migliorare la situazione politica”. Ed è interessante che si rivolga alla
nuova Presidente, la von der Leyen, e anche alla Lagarde, per proporre il
‘nuovo rapporto’ con l’Italia (quindi, quello era il punto già prima
dell’epidemia).[10]
E
aggiunge: “Un simile approccio fatto di carota e bastone [sic!] non è mai stato
provato prima”, approccio che, infatti, potrebbe “far accettare misure anche
difficili da parte dell’elettorato” (le ‘riforme’). Inoltre, Benink propone “passi
concreti sul piano normativo e nell'attuazione delle riforme. Alla fine di
ciascuno (sic!) di questi cinque anni, si dovrà quindi verificare se l'Italia
ha attuato le misure concordate”.[11]
Non
è il NG (l’epidemia è di là da venire); ma pare proprio il fratello gemello. C’è
tutto quello che c’è scritto nei documenti europei del Next Generation; e anche
quello che non c’è scritto. Il ché suggerisce alcune riflessioni.
Evidentemente,
anche prima della pandemia si stava sviluppando un dibattito sottotraccia, in
Germania, sul rapporto con l’Italia circa la tradizionale ricetta basata esclusivamente
sull’«austerità», linea che magari qualcuno auspicava, più o meno
esplicitamente, che portasse all’uscita dell’Italia dall’euro, per via della
sua insostenibilità (come è parso chiaramente sia in anni lontani, ma anche più
di recente, dagli interventi del prof. Sinn, più implicitamente di Schäuble;[12] e di altri, forse la
Bundesbank e la Corte Costituzionale).
Lo
sviluppo della pandemia, le sue conseguenze economiche, ma più ancora quelle
possibili politiche hanno costituito, a mio parere, un elemento cruciale che ha
favorito la svolta del NG. Ma, ancor più interessante è che l’approccio, per
così dire filo-italiano, partiva dalle stesse premesse ordo-liberiste
tradizionali, solo con più attenzione per le conseguenze economico-politiche della
linea dell’«austerità» in rapporto alle condizioni politiche italiane. Da cui
la richiesta di affiancare al tradizionale ‘bastone’ ordo-liberista, una nuova,
e solo tatticamente keynesiana, ‘carota’. Intenzione che penso solo l’epidemia
abbia permesso di realizzare.
§
3. Verso la ‘carota’.
Dal
29 gennaio, quando una coppia di cinesi di Wuhan viene ricoverata a Roma, il virus
irrompe in Italia, e in Europa.
Dalla
metà di febbraio i contagi si impennano in Europa, in Italia, ancor più in
Spagna e poi in Francia, Germania e UK. In Italia tra esitazioni e giravolte di
Governo e forze politiche si arriva a prime misure di lockdown locale per le
situazioni più gravi,[13] e poi ai primi di marzo
al lockdown totale in Italia.
Ma
fin dall’inizio appare evidente la dinamica economica. Lockdown significa
chiusura dell’apparato produttivo e commerciale (per quanto in misura diversa),
e quindi interruzione del flusso di redditi distribuiti dalle imprese e
contestuale caduta catastrofica della domanda (avverrà in tutti i paesi).
A
questa crisi di domanda provocata dallo shock di offerta, si può fare fronte in
un solo modo, sussidiando imprese e famiglie dal bilancio dello Stato
(necessariamente in deficit sia per l’entità dell’intervento che per la caduta
delle imposte). Le conseguenze per l’Italia in particolare sono prevedibili e
preoccupanti: esplosione del deficit, da coprire emettendo titoli e quindi
facendo crescere il rapporto debito/Pil. Siccome questo aumento sarebbe dovuto avvenire
in un momento in cui il quantitative easing era stato prorogato in funzione
anti-recessiva, ma di dimensioni ridotte rispetto alle necessità create dalla
pandemia, la crescita dell’indebitamento senza un intervento mirato della BCE,
rischiava di far saltare lo spread e riapriva la prospettiva di default, e
quindi di Trojka.[14]
Si
può immaginare lo sconcerto italiano alla dichiarazione della rappresentante
tedesca nel Board, la Schnabel, che non era compito della BCE occuparsi dello
spread.[15] Questa dichiarazione,
inoltre, avveniva sullo sfondo di un’opinione pubblica europea che rispondeva
all’espandersi dell’epidemia con una chiusura dura e miope,[16] quasi imputando
all’Italia la gravità della situazione epidemica.
La
situazione tocca il fondo il 12 marzo quando Christine Lagarde, Presidente
della BCE, rilancia la dichiarazione della Schnabel: non è compito della BCE
occuparsi dello spread, afferma pubblicamente. Sembra un cedimento strategico
alla posizione della Bundesbank contro la politica monetaria espansiva della
BCE, e un rovesciamento totale della linea Draghi.
Fino
a quel punto le élite dirigenti italiane che avevano accettato e sopportato
tutto senza neppure un mugugno: il commissariamento del Governo italiano con
Monti, il Fiscal Compact con conseguente recessione che aveva spezzato la già
debole ripresa italiana, e aveva messo in grave difficoltà il sistema bancario
italiano, e non avevano reagito alle proposte di unificazione bancaria che
rischiavano di far saltare il sistema bancario italiano,[17] comunicando la crisi al
debito sovrano (con minaccia di default), parvero svegliarsi.
A
stretto giro di posta il presidente Mattarella rispose alla dichiarazione della
Lagarde con un: ‘Non metteteci ostacoli’. Detto da un europeista
allineatissimo, e uso a un sottotono quasi impercettibile, questa dichiarazione
poteva apparire come un colpo di cannone. E l’ufficialità dell’istituzione
indicava la compattezza delle élite italiane, politiche ed economiche. Ma
soprattutto, poteva essere interpretata come una minaccia di saldatura tra élite
e malcontento anti-europeo che stava montando in Italia. Stavolta le élite
italiane avevano realizzato che, senza la copertura della BCE, affrontare
l’epidemia avrebbe portato a un possibile default, con conseguente esproprio di
tutti gli asset italiani; alla greca, per l’appunto.
Ma
ci volle del tempo perché quest’irrigidimento italiano facesse maturare un
cambiamento al vertice europeo. Due mesi per il lancio della proposta
Macron-Merkel-von der Leyen, e altri due per la sua accettazione. Quattro mesi
segnati da novità, impensabile in altri tempi, come la formazione di uno
schieramento di nove paesi sotto l’egida francese che chiedeva l’emissione di
eurobond[18]
per poter affrontare le conseguenze economiche dell’epidemia; cui si opponeva
l’ostinato rifiuto dei quattro paesi detti ‘frugali’[19] a qualsiasi intervento, e
in particolare all’emissione di eurobond. Quattro mesi di scontri duri
pubblici, di riunioni interminabili di Ecofin, Eurogruppo e di Consiglio
europeo senza esiti, di abbandoni delle riunioni da parte di Italia e Spagna, di
minacce e proposte francesi, di rifiuti di firmare comunicati congiunti, di
proposte europee ricevute con sospetto (vedi il prestito MES[20]), et hoc genus omne.
Ma
intanto, alla dura presa di posizione di Mattarella erano seguiti alcuni
accadimenti importanti. La retromarcia della Lagarde sullo spread il 13 marzo. Il
23 veniva annunciata la sospensione del Patto di Stabilità.[21] La lettera di Draghi al
Financial Times, il 25 di marzo, e i due articoli dello Spiegel contro
l’opinione pubblica ma anche il ceto politico tedesco, il 7 e il 24 di aprile.[22] Tutti segnali che la
situazione si era messa in movimento.
La
risposta immediata di Mattarella suggeriva che da giorni la dirigenza italiana
si aspettasse la dichiarazione della Lagarde,[23] ma forse la Lagarde non
si aspettava la reazione italiana. Il giorno dopo fece un comunicato in cui
diceva di essere stata fraintesa ma, soprattutto, il 19 i giornali annunciano
un suo nuovo programma di acquisti di titoli da parte della BCE, il PEPP, un quantitative
easing specifico, calibrato sulla necessità di far fronte alla crisi
finanziaria da epidemia; un voltafaccia stupefacente, da allora sempre
confermato nei programmi della BCE.[24]
Il
20, la Commissione[25] suggerisce l’utilizzo
della clausola di salvaguardia per la sospensione del Patto di Stabilità che,
il 23, viene decisa dall’ECOFIN.[26] (ma il testo recita che “I
ministri rimangono pienamente impegnati a rispettare il Patto di Stabilità e
Crescita”). Il 25, il FT pubblica una ‘lettera aperta’ di Draghi, che esordiva con
l’affermazione dello stato eccezionale che richiedeva mezzi eccezionali.
Mettendo così in mora tutti i richiami al rispetto delle ‘regole’.[27] Proponendo un serie di
interventi, centrati sul sistema bancario, ispirati alla sua tattica di aggiramento
delle rigidità dei Trattati, già messa in atto fin dal suo insediamento alla
guida della BCE. Ma ancora più interessanti sono le sue dichiarazioni contro il
tabù del debito; indicando una linea di superamento del Patto di Stabilità.[28]
La
vera novità però sono i due articoli dello Spiegel, dai titoli durissimi. Il
primo (del redattore capo Klusmann) del 7 marzo: “Il rifiuto tedesco degli
Eurobond è non solidale, gretto e vigliacco”; il secondo, il 25: “La fatale
caricatura tedesca dell'Italia”.[29] Per la prima volta emerge
in Germania un’opposizione alla linea dei falchi. Ma è improbabile sia
un’autocritica radicale per la «caricatura», alla cui formazione lo Spiegel stesso
ha contribuito in passato, quanto un richiamo alla dirigenza tedesca che si sta
arrivando un punto di rottura.[30] Dopo aver tolto all’Italia
con le regole di Maastricht la possibilità di risposta autonoma ad un’emergenza,
pensare di poterne approfittare può essere politicamente molto dannoso, come
già aveva sostenuto l’Handelblatt. Per l’Europa, per la Germania stessa, e il
suo progetto ordo-liberista.
Ma
tutta questa pressione sembra portare invece a una controffensiva dei falchi.
Il 5 maggio la Corte di Karlsruhe porta un attacco durissimo alla BCE, e alla
sua politica monetaria, riecheggiando i temi del Rapporto dei 5 Saggi, e addirittura
minacciando di ordinare alla Bundesbank il ritiro dai programmi di acquisto, se
non ottiene una risposta soddisfacente della BCE entro il 5 agosto.[31] L’attacco è sulla
politica pregressa della BCE, sul quantitive easing iniziato nel 2015, ma è
evidente per tutti che la Corte sta attaccando la politica della BCE rispetto
alla pandemia, soprattutto rispetto all’Italia, e in generale alla detenzione
in BCE di titoli dei debiti sovrani.[32]
La
sensazione è enorme, e l’idea che la Bundesbank possa ritirarsi da un programma
BCE evoca scenari inimmaginabili. Ma segue una reazione francese durissima due
giorni dopo. Al che, il 15, il prof. Sinn ribadisce la posizione della Corte,
addirittura sostenendo che se la Francia vuole una condivisione alla pari della
governance europea ciò implica una cooperazione militare.[33]
Ma
il 18 maggio la svolta: Macron e l’Ufficio stampa del Governo tedesco[34] annunciano un’iniziativa
europea.[35]
Macron e la Merkel in conferenza stampa congiunta annunciano un Recovery Fund
per 500 miliardi a fondo perduto per i paesi più colpiti dalla pandemia. A
quest’annuncio si allinea la presidente della Commissione, la von der Leyen e,
con i documenti della Commissione del 27 maggio,[36] il Recovery Fund cambia
nome, diventando Next Generation (NG) e assume le dimensioni globali attuali.
Ai 500 miliardi come grant annunciati da Macron e Merkel, si aggiungono altri
250 come loan, e si raggiunge la cifra di 750 che, come vedremo, resterà.[37]
§
4. I numeri della ‘carota’.
La
discussione sui numeri dell’intervento è stata abbastanza confusa. Non da
ultimo per responsabilità dei paesi ‘frugali’ che hanno fatto della distinzione
iniziale del titolo secondo cui verranno concessi i fondi (grant e loan) una
bandiera simbolica per i loro elettorati; come anche per un posizionamento
sulle politiche economiche dell’Unione; come si è visto anche dai rebate
ottenuti nella seduta finale del Consiglio europeo, sui pagamenti dovuti al
bilancio europeo.[38]
Dal
momento dell’annuncio del Fondo fatta dalla coppia Macron Merkel,[39] e ribadita dalla von der
Leyen, la discussione infuriò, con l’opposizione furibonda dei paesi cosiddetti
‘frugali’, Austria Olanda, Danimarca, Svezia e poi anche Finlandia. Questa
opposizione è riuscita solo, però, a portare il Recovery Fund in senso stretto
a 672 miliardi, dagli iniziali 750 (che, ciononostante, resta la cifra
complessiva del fondo; il resto è attribuito a una serie di ulteriori interventi
che restano nel quadro NG delineato all’inizio. 750 miliardi, quindi, al cui
interno 390 sono i grant e 360 i loan).[40]
Siccome,
però, credo che la rilevanza di questa distinzione ex-ante tra prestiti e contributi
a fondo perduto, nonostante le furiose diatribe sul tema tra paesi ‘frugali’ e
resto del mondo, sia meno rilevante di quanto sembri a prima vista, cercherò di
ricostruire i termini quantitativi dell’intervento (in particolare per
l’Italia) a partire da alcune semplici cifre.
La
Commissione, per conto dell’Unione, prenderà dai mercati 750 miliardi di euro,
e 750 miliardi andranno restituiti “in solido” da tutti gli Stati.[41] I fondi andranno restituiti
secondo la cosiddetta capital-key,[42] un parametro cioè del
tutto indipendente dalla ripartizione in grant e loan. Di conseguenza, secondo
la Tabella A.1, Allocation Key,[43] l’Italia dovrà restituire
96 miliardi circa (più ovviamente gli interessi, la cui cifra non altera però
sensibilmente il conteggio, anche perché spalmati su otto anni più trenta).[44]
Per
quello che riguarda invece i contributi europei ai singoli paesi a titolo di
finanziamento degli investimenti che permettano la ripresa dei paesi più
colpiti, va detto che il calcolo dei contributi europei per i singoli paesi è
effettuato in base a un modello che tiene conto, come dicono le Conclusioni, della
caduta del Pil, del livello della disoccupazione e dello stress sanitario da
epidemia. In base a parametri riferiti a questi tre capitoli, il modello
calcola una forchetta, calibrata sugli scenari ipotetici che si potrebbero
verificare. Quanto più la pandemia avrà danneggiato il paese, tanto maggiore secondo
i parametri il contributo, e viceversa. I valori per l’Italia della forchetta
sono il 20.5% dei 750 miliardi, in caso di scenario meno sfavorevole per l’Italia,
e di circa il 23% nel caso dello scenario più sfavorevole.[45]
Questo
spiega il fatto che la cifra comparsa sulla stampa italiana sia diversa dalla
cifra del contributo attribuito all’Italia nella Tabella A.1, riferita alla
prima distribuzione dei fondi in data 27 maggio. La ragione sta semplicemente
nel fatto che la Tabella riporta per l’Italia il valore minore della forchetta,
cioè 153 miliardi, mentre su tutti i giornali italiani è comparso il valore maggiore
della forchetta, 173 miliardi.[46]
Dopo
la riunione del Consiglio europeo, del 21 luglio, che ha approvato
definitivamente il NG, la cifra che è comparsa sui giornali come dotazione, per
il paese, dei fondi stanziati dal NG è stata di 209 miliardi, che di per sé
quadra poco con le altre cifre; anche se è stata oggetto di un enorme battage
pubblicitario. Ma se prendiamo la cifra maggiore (non arrotondata) della
forchetta precedente[47] la differenza tra il
documento del 27 maggio e l’ultima cifra del NG del Consiglio europeo di luglio
è di 37 miliardi, che è proprio l’ammontare del discusso prestito del MES,[48] che il governo
formalmente sembra ancora non avere accettato.
A
questo punto si possono fare due ipotesi: o che il Consiglio ha aumentato di 37
miliardi, sui 750 miliardi del fondo NG, la dotazione assegnata in maggio
all’Italia, o che Governo e stampa abbiano sommato alla cifra massima dei fondi
NG, secondo la prima allocazione, l’ammontare del prestito MES, che
probabilmente, come si poteva congetturare già prima, è stato già riservatamente
accettato dal Governo.
La
prima ipotesi è decisamente poco plausibile. Una attribuzione aggiuntiva di ben
37 miliardi - per di più a fondo perduto - a favore dell’Italia, sulla cifra
fissata di 750, avrebbe comportato una notevole redistribuzione dei contributi
agli altri paesi; quindi molti paesi avrebbero perso molti miliardi. Il ché,
penso, avrebbe reso ancora più difficile la conclusione di un accordo
complessivo, in presenza di una durissima opposizione di un numero limitato di
paesi, i ‘frugali’, che avrebbero potuto trovare consensi ben più ampi.
L’ipotesi
quindi, a mio parere, più plausibile è che la cifra di 209 miliardi, sbandierata
da Governo e stampa italiani come frutto della ‘generosità’ europea, sia
semplicemente la somma della cifra massima della forchetta iniziale (172 mld.) e
dell’ammontare previsto del prestito MES (37 mld.).
Per
quel che riguarda le modalità di restituzione dei fondi la distinzione grant e
loan ha un qualche ruolo. Infatti il paragrafo A.11 del documento conclusivo
della riunione del Consiglio europeo del 21 agosto, [49] recita: “Le somme NGEU a fondo perduto trasferite attraverso il bilancio, saranno registrate
come redditi esterni.” Quindi, date le dichiarazioni di Gualtieri sul fatto che
i prestiti europei avranno la qualifica di crediti senior europei rispetto agli
altri titoli italiani, per le somme che l’Italia riceverà a titolo di prestito,
saranno emessi titoli che la Commissione acquisterà,[50] e che quindi andranno a
pesare sul rapporto debito/Pil.
§
5. Bastone & carota. Le conseguenze macro.
La
strategia europea, come si è detto, è cambiata, rispetto a quella post-crisi
2008-09 da ‘solo’ austerità, a ‘bastone & carota’ (anche se parrebbe
restare ancora al di sotto di quanto stanziato dagli USA, come si vede dal
grafico).[51]
Per
capire gli effetti macro non vanno sottratte le somme da restituire da quelle
stanziate, e ragionare su un saldo, che è quello che, nel discorso ordinario, si
presume sia la vera somma che produca effetti macro.[52] Al contrario, sono le due
somme, quelle dei contributi dall’Europa e quelle dei pagamenti all’Europa che
producono effetti macro opposti. Quindi vanno sviluppate separatamente le
dinamiche conseguenti a impulsi espansivi (l’iniezione di fondi europei), e
quelle che saranno generate da impulsi recessivi, le ‘riforme’, ma soprattutto
gli aggiustamenti, in termini di tagli diretti di spesa, o altri impulsi
deflattivi, che seguiranno al ripristino delle regole del patto di Stabilità
(sia identiche che modificate). Impulsi, e conseguenti effetti per cui non
abbiamo ancora dati sufficienti per stimarne gli effetti contrapposti, che però
possiamo congetturare.
Tenendo
comunque sempre presente che sia le iniziative dei singoli Stati che quelle
della Commissione implicano un massiccio ricorso ai mercati finanziari. Cioè
richiedono, contrariamente alla posizione assunta dalla Corte tedesca, una
politica monetaria espansiva per garantire un finanziamento a tassi bassi
dell’ingente spesa pan-europea, e inibire che possano sorgere timori di
solvibilità differenziata dei vari Stati (all’origine degli spread) che
potrebbero inceppare il meccanismo di finanziamento.
5.1
Le conseguenze macro della ‘carota’.
Walter
Munchau ha criticato il NG, su FT,[53] sostenendo che le
dimensioni del fondo erano troppo ridotte per avere effetti significativi di
stimolo sull’economia europea. Inoltre, con una strana operazione di riduzione
dei fondi stanziati, Munchau arriva a determinare l’impulso sull’economia
europea per quattro anni a circa lo 0,6% annuo del Pil europeo (2.4 totale).[54]
La
prima cosa da obbiettare, oltre che alla riduzione preliminare,[55] poco sostenibile, è che
la distribuzione del contributo ai paesi in difficoltà è asimmetrica rispetto
alla capital-key,[56] secondo lo stesso
meccanismo dei Fondi Strutturali, e quindi ci saranno paesi in attivo, anche
forte, e paesi in passivo. Di conseguenza, l’impulso che i contributi daranno
ai singoli paesi, potrà essere anche molto rilevante a seconda della dimensione
degli stessi.
Ad
esempio, indipendentemente dal fatto che siano grant o loan, se l’Italia
riuscisse a mettere in circolazione i 209 miliardi annunciati gli effetti di
rilancio legati a questo specifico impulso potrebbero essere notevoli.
Ricordiamo che, quando alcuni anni fa, il gruppo raccolto intorno a Stefano
Sylos Labini e Biagio Bossone proponeva il lancio della cosiddetta moneta
fiscale,[57]
parlava inizialmente proprio di un ammontare di circa 200 miliardi per
rilanciare l’economia italiana.
I
209 mld, da spendere in tre anni (e ovviamente gli effetti non dipendono certo
dal titolo di attribuzione), costituiscono un impulso superiore al 10% del Pil;[58] tenuto inoltre conto che
la restituzione avverrà da otto a trentotto anni più tardi (quindi la
restituzione di per sé non peserà sugli effetti moltiplicativi. Saranno ben
altre le misure, richieste in cambio delle somme NG, dei cui effetti negativi
si dovrà tener conto), la restituzione non inciderà in modo sensibile sulla
dimensione del moltiplicatore keynesiano attivato nei prossimi anni. Ovviamente
i ritorni a paesi del nord[59] di spese per investimenti
indirizzati a settori avanzati, in cui questi paesi possono già avere un
vantaggio nella produzione di beni-capitali, ridurrà il moltiplicatore, ma
l’effetto resta consistente.
Inoltre,
si può dire che siccome la Germania fa da sé, avendo stanziato cifre notevoli,
se un ammontare notevole di fondi NG va a un paese di considerevoli dimensioni,
allora l’effetto di ripresa dall’epidemia potrà essere decisamente più
rilevante di quanto si possa ricavare semplicemente dal rapporto tra
l’ammontare del fondo e il Pil europeo.[60] Bisogna invece valutare
che se quattro paesi di grandi dimensioni fanno interventi di notevoli dimensioni
è possibile che ciò abbia un effetto di rilancio ulteriore che si propagherà ai
minori, maggiore di quanto sarebbe stato l’effetto se spalmato su tutti i paesi.[61]
5.2
Le conseguenze macro del ‘bastone’.
Gli
effetti macro del ‘bastone possono essere raggruppate in due ambiti, uno
permanente e strutturalmente deflattivo, e uno contingente e catastrofico.
Sotto
la prima etichetta, data l’insistenza su ‘riforme contro finanziamenti’,
dall’articolo dell’Handelsblatt in poi, vale la pena di ricordare quali sono le
“misure anche difficili [da accettare] da parte dell’elettorato”.[62] Come è stato menzionato
da Domenico Moro[63]:
“In particolare, tra 2014 e 2018, sono state rivolte agli Stati UE 105
raccomandazioni per l’incremento dell’età pensionistica e la riduzione della
spesa pensionistica, 63 raccomandazioni per i tagli alla spesa sanitaria o per
la privatizzazione della sanità, 50 raccomandazioni per la soppressione di
aumenti salariali, 38 raccomandazioni per la riduzione della sicurezza del
lavoro e dei diritti di contrattazione dei lavoratori, e 45 raccomandazioni per
la riduzione dei sussidi a disoccupati e persone disabili”.
Tutte
riforme che hanno un permanente effetto recessivo sulle economie, introducendo
una tensione al ribasso di massa salariale e massa pensionistica, e più in
generale di spesa pubblica.[64] E sono le ‘riforme’ di
cui si sta parlando, e sul cui adempimento Commissione e paesi dovrebbero
vigilare.
Ma
oltre a questa tensione deflattiva permanente - una costante, peraltro, di
tutta la politica dell’Unione europea da Maastricht in poi (e ancor più dopo la
crisi del 2008-09, affrontata con politiche pesantemente recessive) - c’è una
minaccia ben più impellente, anche se in questa fase non è determinabile il
momento; ma che comunque non potrà essere rinviata di molto: il rientro nel
Patto di Stabilità. Dal punto di vista macroeconomico è questo il vero e
proprio ‘bastone’.
In
effetti dopo la sospensione, che il buon senso non poteva che auspicare da
subito, anche se i precedenti comportamenti della Commissione potevano farne
dubitare l’attuazione, sono partiti due correnti di interventi. Prima Draghi,
ma poi la stessa Lagarde, e molti altri ovviamente, si sono dichiarati per una
modifica delle regole del Patto di Stabilità. Draghi di fatto chiedeva
l’abbandono delle pregiudiziali contro l’aumento dell’indebitamento pubblico
perché, secondo lui, “le alternative sarebbero molto più dannose”. Mentre
invece, sia Dombrowskis, ma anche dichiarazioni della Merkel, insistono sulla
necessità di rispettare le regole di ‘sound finance’, incorporate nei Trattati
(in particolare il Fiscal Compact). Suggerendo l’idea che ci sarà una forte
pressione perché quanto prima si torni a queste nella loro forma originaria.[65]
Già
dopo la crisi del 2008-09, una dichiarazione affrettata di fine-crisi al G7,
nel gennaio 2010, innescò la corsa al ristabilimento delle regole di rispetto
dei parametri di Maastricht, anzi, con il Fiscal Compact, del loro ‘rafforzamento’.
A Maastricht era stato posto solo l’obbligo del rispetto del deficit del 3%,
rinviando il raggiungimento del pareggio a tempi successivi. Dopo la crisi
2008-09 si ritenne giunto il momento dell’accelerazione. Naturalmente il
momento scelto era il peggiore.
L’ECOFIN
nella primavera 2010 sfoderò l’artiglieria pesante della tesi di Alesina sull’«austerità
espansiva»,[66]
e quella di Rogoff sulla ‘percentuale-soglia’,[67] dannosa per la crescita, del
rapporto debito pubblico-Pil, per far passare l’accelerazione alla base del
Fiscal Compact. Era una strategia win-win. Se funzionava e c’era espansione,[68] andava bene; se invece
avesse avuto gli effetti negativi previsti da altri, avrebbe funzionato come
‘deterrente’ per gli indisciplinati.[69]
E
adesso? Temo molto che la ‘generosità’ del NG possa essere usata come argomento
per far accettare non solo le ‘riforme’, ma magari anche un ‘rientro’ prematuro
nel Patto di Stabilità (per non parlare della sospensione del PEPP): ‘Ci dicevate
che non potete accettare il rientro perché la volta scorsa vi siete ritrovati
in recessione. Ma adesso ci sono i fondi del NG, quindi…’. Nel qual caso non ci
vuole molta immaginazione per descrivere gli effetti di tagli della spesa,
delle pensioni e di qualsiasi altra cosa serva per rientrare nei parametri, o
aumentare l’avanzo primario al 4% del Pil per poter ridurre il rapporto debito-Pil.
Che potrebbero non essere così devastanti come sarebbero stati dopo una
recessione del 10-12% del Pil nel 2020, non compensata da investimenti. Ma comunque
difficilmente gli investimenti NG potrebbero compensarla o più che compensarla,
se fosse decisa nel 2021; come molti segni indicano che potrebbe essere.[70] Anche perché il rientro
non è una tantum: Significa una strategia di rientro, cioè recessiva (tagli e
avanzi primari elevati) per molti anni a venire.
Per
di più, socialmente e politicamente spaccherebbero il paese in due: tra quelli che,
inseriti nelle filiere degli investimenti NG, potrebbero comunque goderne degli
effetti positivi (carota), e tutti gli altri cui toccherebbero tagli e effetti
recessivi (bastone). Un disastro sociale.
§
6. Il ‘’bastone’ e la trappola.
Molti
hanno commentato quello che sta scritto nei comunicati che illustrano il NG.
Comunicati che, forse, sono abbastanza vaghi da far temere maggiormente quello
che non sta scritto. Non sono certo mancati gli interventi sulle trappole
legate al bastone che hanno analizzato esaurientemente i vari aspetti negativi,
esplicitamente enunciati, per l’economia e la sovranità italiana legati
all’approvazione del NG.[71] Sicuramente, il rischio
connesso a tutte le condizionalità richieste esplicitamente è che si arrivi a
una sorta di commissariamento per l’Italia, senza averlo dichiarato
esplicitamente in via previa.
Come
è stato sottolineato, i programmi di investimento dovranno seguire le linee
poste dalla Commissione e poi dovranno essere approvate. Le due linee di
modernizzazione, digitalizzazione e green deal, hanno un certo senso, ma ci
sono moltissimi investimenti di cui il paese avrebbe bisogno (come il riassetto
idrogeologico; ma anche dei trasporti) che non necessariamente potrebbero
essere omologati nelle linee della Commissione e soprattutto non necessariamente
danno luogo ai grandi investimenti generalmente privilegiati dalle autorità
europee. Senza parlare del fatto che la crescita del bilancio comunitario, resa
necessaria dalla gestione dei flussi di restituzione dei finanziamenti,
toglierà ulteriormente autonomia ai bilanci nazionali.
In
verità, la discussione che è infuriata nei mesi precedenti all’approvazione del
NG da parte del Consiglio europeo il 21 luglio, era sulle condizioni da imporre
in alternativa alla riduzione secca dell’intervento; come richiesta dai
‘frugali’. Ha attirato molto l’attenzione il cosiddetto ‘freno olandese’. In
effetti la richiesta olandese era abnorme anche per i parametri europei: e
cioè che fosse un singolo stato membro ad aver diritto di controllo
sull’attività interna di un altro Stato, spostando la decisione da un organo
formalmente sovrannazionale come la Commissione, a un organo intergovernativo.
La
soluzione finale del ‘freno olandese’ circa l’attuazione degli investimenti pare
un successo per la richiesta di Rutte.[72] Ma Vladimiro Giacchè[73] scrive che “mi sembra che
non vi sia in concreto un potere di veto di singoli paesi. La soluzione
adottata ha permesso ai “frugali” di salvare la faccia, ma ha di fatto levato
gli artigli alle loro proposte”. Probabilmente, lo sostiene perché dopo che il
Consiglio ha discusso esaurientemente il ricorso, comunque la decisione sui
pagamenti torna alla Commissione. E per di più i paesi possono ricorrere al
Consiglio solo ‘eccezionalmente’. Pare quindi che l’Olanda non sia riuscita ad
ottenere il mandato diretto di mettere sotto tutela un altro paese nella
procedura di approvazione dei piani del NG.
Ma
nonostante il giudizio di Giacché, che il ‘freno olandese’ sia poco pericoloso
per quello che riguarda il contenuto stesso del ricorso, cioè il completamento
adeguato ai progetti delle fasi degli investimenti previsti dal NG, ritengo che
possa esserlo, invece, molto più[74] pericoloso per l’Italia non
di per sé, bensì se preso insieme al paragrafo A.69 delle Conclusioni del
Consiglio europeo, intitolato ‘Misure legate alla sana [sound, sic!] governance
economica’.[75]
Il testo, infatti, recita: “Vanno
mantenuti meccanismi che assicurino il legame tra la governance economica [ovviamente
sound] e le politiche di finanziamento dell’Unione”. Quindi, il rapporto va
controllato non solo e non tanto tra ‘finanziamento’ e ‘attuazione’ dei
programmi,[76]
che era il tema dell’offensiva dei ‘frugali’, ma anche - e soprattutto - tra
‘finanziamento’ e condotta finanziaria generale degli Stati, “in caso
gli Stati membri falliscano nel prendere misure adeguate nel contesto del
processo di governance economica”.
E come si fa a stabilire? E qui
rientra il giustamente vituperato MES. Perché se anche ci siano state
assicurazioni sul fatto che non verranno imposte condizionalità,[77] come
nella prassi MES, però l’assetto giuridico non è stato modificato, o dichiarata
la sospensione di alcune clausole cruciali. Infatti, tra le clausole
regolamentari non sospese sta quella che prevede la ‘supervisione rafforzata’
dei conti pubblici per gli Stati che entrano in rapporto col MES.
Il legame è immediatamente
visibile. Le Conclusioni del Consiglio europeo prevedono un legame tra il
finanziamento europeo e la condotta finanziaria degli stati beneficiari, e il
MES provvede lo strumento di controllo.[78] La
trappola è chiusa. Se per qualsiasi ragione i controllori ufficiali ritenessero
di dover avanzare riserve sulla gestione non solo e non tanto dei fondi
assegnati a uno Stato, ma in generale sulla sua gestione finanziaria,
scatterebbero controlli, e quindi la possibilità di sospendere i pagamenti, il
che nel caso italiano provocherebbe ovviamente una catastrofe del debito via
esplosione degli spread, con le conseguenze prevedibili.
§
7. Le conseguenze politiche del NG in Italia.
Ovviamente
il NG è stato deciso in una discussione complessiva sugli assetti dell’Unione
e sugli interventi eccezionali necessari per affrontare una situazione
eccezionale che riguarda tutti paesi e il futuro dell’Unione. Ritengo però che
in questo quadro, la situazione italiana abbia ricevuto un’attenzione
particolare, come in fondo suggerisce l’articolo comparso sull’Handelblatt e ripreso
sembrerebbe integralmente, come indicazione generale, nella proposta del
Recovery poi NG.
In
effetti, l’Italia, tra i paesi maggiori, è quella che uscita peggio in termini
economici e politici dalla crisi 2008-09, e soprattutto dalla sua gestione da
parte delle autorità europee. Il paese non ha ancora recuperato i livelli di
Pil pre-2007, unico tra i paesi industrializzati, e la crisi politica iniziata
nel 2013, per non dire nel 2011,[79] non è certo risolta
neppure oggi. E la recessione innescata dall’epidemia sarà prevedibilmente di
dimensioni molto maggiori di quella del 2008-09; e cadrà su un’economia di
fatto indebolita dalle crisi e dalle terapie anticrisi. Per cui l’esito del NG
per l’Italia sarà cruciale per il risultato dell’operazione. Sicuramente il
caso spagnolo sarà stato presente. Ma probabilmente con meno criticità di
quello italiano.[80]
Come
strumento quindi di risoluzione delle molteplici crisi italiane - di fattura
europea, peraltro - penso che il NG abbia obbiettivi molto ambiziosi, puntando
a risolvere la crisi del rapporto con l’Europa sia dal lato economico che
politico.
Si
tratta, per così dire, di ricomprarsi consenso in Italia sia delle élite che
della popolazione. Il segnale dato dalla dirigenza italiana in marzo poteva
diventare pericoloso, non tanto di per sé, quanto per il fatto che la crescita
di malumore antieuropeo abbastanza rapida nei mesi dell’epidemia si sommava
alla crescita dei partiti populisti degli anni precedenti, ma soprattutto alla
percezione, abbastanza diffusa anche al Nord, che le politiche europee
post-crisi avessero danneggiato pesantemente i livelli di vita pre-crisi.[81]
L’immissione
della spesa conseguente a ingenti investimenti dovrebbe ridurre l’area del
malcontento, diffondendosi in tutti i segmenti economici e sociali legati alle
filiere degli investimenti; in aggiunta agli effetti dovute alle aspettative ampiamente
sollecitate dagli organi di stampa.
Si
dovrebbe quindi arrivare a una situazione in cui da un lato ‘carota’ e
dall’altro ‘bastone’ (gli effetti macro delle ‘riforme’ e del ripristino del
Patto di Stabilità) dovrebbero aver creato una divisione tra i settori di
popolazione,[82]
permettendo di raggiungere l’obbiettivo di ridurre sensibilmente l’area di
malcontento antieuropeo, e ancor più la sua rappresentanza politica, come si
vede bene dalle manovre in corso.[83]
La
questione, se questa strategia di riduzione della base euroscettica via
‘bastone & carota’ possa avere successo, dipende però in misura cruciale
dai tempi. Il punto è che questi fondi NG, per quanto rilevanti, arriveranno
tardi rispetto allo sviluppo della recessione, così come si prospetta. Il
Governo, come molti segnali indicano, ha speso molto meno di quanto stanziato,
confermando i dati del grafico sopra (v. § 4.).[84] Quel poco che ha speso,
insieme al rallentamento della recessione dovuto alla riapertura, ha cominciato
a far migliorare leggermente la situazione. Ma l’autunno-inverno si presenta
molto problematico.
Cosa
succederà quando gli stanziamenti per sussidiare[85] redditi da lavoro
dipendente e anche di piccoli imprenditori (commercianti o ristoratori)
cominceranno a scarseggiare. Saranno rinnovati gli stanziamenti? E come saranno
finanziati? Perché questo è il punto debole di tutto lo sfondo politico
dell’iniziativa NG.
Da
oggi al momento in cui i finanziamenti degli investimenti del NG arriveranno, non
passerà meno di un anno, un anno e mezzo. E anche quando cominceranno a essere
spesi si sa che gli effetti sono lenti ad arrivare; e di conseguenza gli
effetti economici e socio-politici. L’annuncio dell’arrivo di questi fondi ha
sicuramente cambiato l’atmosfera sui media e anche nell’opinione pubblica. Ma
il fatto concreto che moltissime persone vedano peggiorare la situazione, senza
che la prospettiva di miglioramento mostri di avvicinarsi, si farà luce.[86]
È
facilmente prevedibile che la pressione, nel Governo e fuori, per far accettare
dall’opinione pubblica i prestiti del MES, o di altre iniziative europee
consimili, aumenterà in modo esponenziale. Ovviamente, nella speranza che
questi finanziamenti possano far galleggiare il paese fino all’arrivo del NG.
Va
sottolineato inoltre che, non solo per l’Italia, ma per l’Italia in modo
particolare, la politica espansiva della Lagarde, specificamente mirata al
sostegno del finanziamento della spesa pubblica durante l’epidemia, il progetto
PEPP, è stata assolutamente vitale perché una qualsiasi politica economica
fosse perseguibile in ‘calma di vento’ dei mercati finanziari. E questo rende
ancora più incomprensibile (o colpevole) la renitenza governativa ad accedere
ai mercati per ridurre al più presto gli effetti recessivi della pandemia.
Diventerà
cruciale, più prima che poi, il tema del rientro nelle regole del Patto di
Stabilità. Le prime avvisaglie si sono già viste. E la partita si giocherà
tutta sui tempi di questo rientro. Se il Governo non resistesse a queste
pressioni per un rientro prematuro nel Patto di Stabilità, e se nella dirigenza
europea trovasse la sua rivincita l’area rigorista europea imponendola nella prima
metà del 2021, potrebbe succedere che neanche l’intervento della BCE ci potrebbe
salvare da una crisi del debito con uscita dell’Italia dai mercati.[87] Situazione in cui il
danno per il paese non potrebbe certo essere inferiore a quello di un’uscita diretta
dall’euro.[88]
Rischio che aumenterebbe notevolmente se contemporaneamente aumentasse e avesse
successo la pressione per rallentare o addirittura chiudere il PEPP, il
programma di sostegno della liquidità messo in atto dalla BCE.[89] In questo caso si
potrebbe sviluppare una nuova versione di ‘stop & go’ tra rigorismo
ordo-liberista e misure d’eccezione (obtorto collo) keynesiane.[90]
Se
invece, questo o altro Governo riuscissero a ritardare il rientro, o a
cambiarne le regole, allora la situazione politica sarà crucialmente
influenzata dai nuovi assetti creati dal NG; in cui cioè la linea di divisione
‘sociale’ dovrebbe prendere la priorità.
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[1] Obbiettivo di questo pezzo è
ricostruire la dinamica politico-economica che ha portato a questa misura eccezionale
(rispetto all’impostazione ideologica ordo-liberista dominante), e cercare di
delineare, per quanto possibile alcune prospettive, concentrandosi
prevalentemente sugli aspetti macro; più che non prendere posizione nelle
polemiche.
[2] Alexander Hamilton, uno dei Padri
Fondatori degli USA. Come primo Segretario al Tesoro dell’amministrazione
Washington consolidò il debito degli Stati membri, creando così il debito federale,
atto di nascita della finanza federale statunitense.
[3] Per cui sono altrettanto insensate
le vanterie di Rutte quando dice di essere riuscito a impedire gli eurobond,
nel senso della mutualizzazione del pregresso, sia la critica di Varoufakis che
imputa la mancata mutualizzazione, dicendo che gli eurobond non ci sono. Gli
eurobond ci sono per quello che sono stati da tutti richiesti. Anni fa da Prodi
e Quadrio Curzio, oggi da Francia Italia Spagna e altri paesi, come mezzi di
finanziamento di spese future, e nient’altro. La strada della mutualizzazione
è ancora lunga.
[4] Una delle più importanti università
olandesi, a partire da cui, si dice in ambiente accademico, si può ambire ad
accedere alle più importanti università statunitensi, come studenti o
ricercatori.
[5] ‘Un Grande Deal con e per l’Italia’.
Ringrazio qui Antonio Gisoldi per avermi segnalato questo articolo.
[6] Potrebbe perfino sembrare una
forzatura americana sottotraccia sulla politica europea (ne abbiamo già viste
di esplicite, ad esempio, nel 2012). O forse, a giudicare dagli sviluppi
successivi, magari una ‘sponda’ per forze interne alla Germania. Forze tedesche
che fino a quel momento non avevano mai messo in discussione apertamente la
linea ufficiale (ma poi lo faranno, e anche a voce molto alta, come vedremo).
[7] D’altra parte, se la Merkel, come
pare, è riuscita a imporre a settori riottosi della dirigenza il NG, ci saranno
dovute pur essere delle forze che davanti al rischio che la pandemia portasse a
rotture politiche in Europa, hanno buttato un peso sulla bilancia, cosa che in
precedenza non avevano mai fatto (come si vede dal trattamento della Grecia dal
2010 in poi, e dell’Italia nel 2011).
[8] La differenza tra i rendimenti dei
Bund decennali tedeschi e i titoli decennali italiani.
[9] Linea
ripetutamente enunciata in Germania da Schäuble, Weidmann, la Corte di Karlsruhe,
e soprattutto nell’importantissimo documento dei Cinque saggi, stilato subito
dopo la fine della trattativa con la Grecia, nel luglio 2015. Cfr. Digressione
3, I Cinque Saggi sulla Grecia (in Pastrello, 2015) dove è analizzato
il rapporto del luglio 2015, dopo la chiusura della trattativa che mette sul
tappeto tutti gli argomenti contro la politica monetaria di Draghi alla BCE.
Ovviamente anche altri, olandesi, belgi, il lettone Dambrowskis, il finlandese
Katainen, l’hanno sostenuta. Ma per le ragioni esaminate nel testo mi pare
cruciale il radicamento tedesco, ordoliberista, della tesi.
[10] ‘Nuovo rapporto’ la cui urgenza
esplode con l’epidemia.
[11] Misura prevista, in questi
termini, proprio nel NG. La fiducia nell’Italia, nel suo personale di governo e
amministrativo, non è al massimo neppure tra gli ‘amici’.
[12] Hans-Werner Sinn, economista
tedesco, già Presidente dell’IFO (Istituto per le Ricerche Economiche dal 1999
al 2016. Nel 2011 e 21012, propose l’uscita dall’euro - per la Grecia, ma anche
implicitamente per l’Italia -; concetti ribaditi anche recentemente. Wolfgang Schäuble,
Ministro delle Finanze dal 2009 al 2017. Grande protagonista della durissima
trattativa che piegò il governo greco di Tsipras nei primi sei mesi del 2015.
Sostiene Varoufakis nelle sue memorie che gli aveva proposto l’uscita della
Grecia dall’euro come alternativa alle durissime condizioni.
[13] Codogno e Vo’, innanzitutto, ma
non Alzano e Nembro, purtroppo.
[14] Il nome giornalistico delle tre
istituzioni che, congiuntamente, gestirono il caso greco dopo il rifiuto
tedesco del bail-out e contestuale uscita dai mercati finanziari nella
primavera 2010, Commissione europea, BCE e FMI.
[15] Si può ipotizzare che ci fossero
stati contatti riservati per sondare la disponibilità della BCE a intervenire.
[16] ‘Ognuno per sé e Dio per tutti,
non vogliamo pagare per altri’, è il senso generale di quell’atteggiamento.
[17] Quest’attacco era cominciato con
il no-paper di Schäuble dell’autunno 2017, che dava seguito all’attacco dei 5
Saggi alla BCE, e chiedeva automatismi nella penalizzazione per sforamenti e
nell’espulsione dall’euro, nonché la svalutazione del debito sovrano detenuto
dalle banche italiane.
[18] Cioè di titoli emessi dalla
Commissione, che quindi avessero l’alto rating corrispondente, e di cui quindi
rispondeva in solido tutta l’Unione verso i mercati.
[19] Austria, Olanda, Danimarca e
Svezia.
[20] Incomincia anche il balletto del
Governo italiano sul prestito MES, per far fronte all’emergenza sanitaria, che
una lettera firmata da Dombrowskis e Gentiloni afferma essere senza condizioni.
Ma siccome una serie di articoli cruciali del Trattato istitutivo del MES non
vengono ufficialmente revocati, la cosa lascia molte perplessità non risolte;
e il sospetto che riservatamente il Governo abbia già accettato il prestito, è
molto elevato. Vedi 24Ore (2020), e Eurogruppo (2020).
[21] Commissione (2020a), e ECOFIN
(2020).
[22] Spiegel (2020a) e (202b).
[23] Di regola, la risposta a una
dichiarazione di quell’importanza del Presidente della BCE richiederebbe
alcuni giorni, per le valutazioni dei tecnici di Bankit, consultazione tra
Governo, Presidenza della Repubblica e forze politiche e quindi valutazione e
elaborazione della risposta. L’immediatezza del comunicato di Mattarella
suggerisce quindi l’ipotesi del testo.
[24] Si vede bene dal grafico la nuova
situazione ‘permanente post-Trichet. Dalla politica di intervento minimo di
Trichet all’espansione di Draghi dal 2015, e alla politica della Lagarde per la
pandemia. Interventi della BCE, di Draghi e Lagarde, sempre inferiori a quelli
della FED, ma incomparabilmente più alti di quelli ortodossi della prima fase
(salta agli occhi la differenza nel tempo dell’estensione dell’area azzurra).
[25] Commissione Europea (2020a).
[26] Consiglio
dell’Unione europea, (2020).
[27] Da sottolineare inoltre: “La
clausola di salvaguardia generale consentirà alla Commissione e al Consiglio di
adottare le necessarie misure di coordinamento delle politiche nel quadro del
Patto di Stabilità e Crescita, discostandosi tuttavia dai requisiti di
bilancio normalmente applicabili, per far fronte alle conseguenze economiche
della pandemia”.
[28] Le affermazioni come tali
potrebbero esse nient’altro che una mossa per alzare l’asticella della
trattativa, ma indicano però la divaricazione possibile e la durezza dello
scontro in atto.
[29] Articolo che in Italia è apparso
col titolo: “Quell’«immagine distorta» che la Germania ha dell’Italia.”
[30] La minaccia potenziale era infatti
una saldatura tra élite italiane, non più acquiescenti, e il malcontento
anti-europeo, che aveva già fatto danni nel 2018, che era sembrato riassorbito
dopo e con l’estromissione di Salvini dal Governo nel 2019, e il Conte 2. Come
dice Munchau, solo se con le spalle al muro la dirigenza tedesca prende le
misure necessarie. E questa stava diventando una situazione di quel tipo.
[31] La sentenza della Corte
Costituzionale tedesca (Bundesverfassung, 2020) arriva a conclusione di una
lunga diatriba. Avevano cominciato alcuni deputati del Bundestag (e anche
alcuni cittadini) a ricorrere, nel corso del 2012, ripetutamente alla Corte di
Karlsruhe, prima contro il MES e poi contro l’OMT di Draghi del settembre 2012.
Successivamente, nel corso del 2015 erano stati presentati una serie di ricorsi
contro il QE (deciso da Draghi agli inizia del 2015). Nel 2016 la Corte di
Karlsruhe aveva accettato la valutazione positiva della Corte europea (CJUE)
rispetto all’OMT, respingendo i ricorsi contro l’OMT. Nell’agosto del 2017 la
Corte tedesca si era spogliata del ricorso contro il QE, rinviandolo alla CJUE,
che aveva emesso la sentenza a fine 2018, contro la cui valutazione positiva
del QE si è pronunciata duramente la Corte il 5 maggio.
[32] La linea di attacco è che la
politica della BCE avrebbe violato il criterio della proporzionalità enunciato
nell’art. 4, para. 5, del TEU. Proporzionalità che non ha nulla a che vedere
con la proporzionalità della ripartizione secondo la capital key, come invece
interpretato da molti commentatori. Si tratta invece di una ‘proporzionalità’
tra mezzi e fini; di abbastanza difficile ed elusiva definizione. La Corte
pretenderebbe infatti dalla BCE una specie di ‘prova diabolica’, cioè che la
politica monetaria seguita fosse stata neutrale rispetto alle variabili
economiche reali. Neutralità affermata nei manuali e nei lavori teorici; ma di
difficile reperimento nella realtà. Ma le ultime prese di posizione della
Bundesbank sembrerebbero indicare che l’attacco della Corte sia rientrato, e la
Merkel sia riuscita a far passare la sua mediazione.
[33] Leggi bomba atomica. Monopolio
francese in Europa, dopo l’uscita dell’UK. Cfr. Sinn (2020a). Sinn reinterverrà
anche dopo l’accordo al Consiglio europeo il 21 luglio, Sinn (2020b)
[34] Bundesregierung (2020).
[35] Può essere interessante richiamare
la dinamica parallela, rispetto al NG, del whatever it takes. Insediato
Presidente della BCE, nel dicembre 2011, Draghi lanciò un programma di
finanziamento ‘illimitato’ delle banche perché comprassero titoli al fine di calmierare
lo spread. La cosa riuscì all’inizio. Ma Weidman lanciò un violento
contrattacco bloccando le tranche successive dei prestiti. Lo spread (in
particolare sui titoli italiani) tornò a salire, e due giorni prima del
whatever, era tornato ai livelli pre-dimissioni di Berlusconi; cosa che
minacciava l’uscita dell’Italia dai mercati. Il che costrinse Draghi
all’intervento eccezionale del whatever.
[36] Ci sono tre
documenti emessi dalla Commissione in data 27 maggio, il primo con la sigla COM
(2020b) 442 final, il secondo con la sigla COM (2020c) 456 final, il terzo con
la sigla SWD (2020d) 98 final. I primi due sono
del tipo ‘Communication from the Commission to the European Parliament, the
European Council, the Council, the European Economic and Social Committee and
the Committee of the Regions’, rispettivamente con i titoli ‘The EU budget
powering the recovery plan for Europe’, il secondo dal titolo ‘Europe's moment:
Repair and Prepare for the Next Generation’, e il terzo del tipo ‘Commission
Staff Working Document’ dal titolo ‘Identifying Europe's recovery needs’, che
accompagna il documento dalla sigla COM (2020) 456 final. Nel primo
documento, il 442, oltre a un’illustrazione degli scopi del fondo, c’è la
distribuzione dei fondi tra i vari obbiettivi, ma è dedicato soprattutto
all’analisi del Piano Poliennale. Nel secondo, il 456, c’è un’illustrazione
dettagliata degli obbiettivi. Ma solo nell’ultimo, il 98, c’è un’analisi della
situazione economica europea in rapporto all’epidemia (con tabelle e grafici),
e con la tabella cruciale ‘Table A1 allocation key’, in cui sono elencate sia i
contributi dei vari paesi alla restituzione della somma totale del fondo in
base alle capital keys, che i fondi destinati ai vari paesi per far fronte ai
problemi economici sorti con l’epidemia (la cifra riportata nella tabella si
riferisce al valore minimo di una forchetta stimata dalla Commissione; per la
‘forchetta’ v. § 3).
[37] Per un’analisi dettagliata delle
cifre del NG, vedi Stìrati (2020).
[38] Anche se l’ipotesi che questi
paesi, con in testa l’Olanda, abbiano combattuto una battaglia coperti da
sponde interne tedesche - quelle per l’appunto sotto tiro dello Spiegel e di
Handelsblatt, e spiazzate dalla svolta della Merkel – ha una sua plausibilità.
[39] Bundesregierung (2020),
Pressmitteilung. 18 Mai.
[40] Questa trattativa ha visto in
effetti una girandola di cifre. Il Recovery di 750 mld., che diventa NG, di cui
poi diventa una parte (Recovery and Resilience Fund) passa da 750 a 560 per poi
risalire a 672; mentre l’NG è sempre rimasto ancorato ai 750 della proposta
Macron-Merkel-von der Leyen). E i grant, inizialmente proposti a 500 da
Macron-Merkel, poi sono calati a 390 nel NG, ma nel programma Recovery
ristretto sono calati ulteriormente a 312.
[41] I primi fondi salva-stati (EFSF,
EFSM, ESM) hanno funzionato emettendo titoli a breve, rimborsati sostituendoli
con titoli a lunga emessi in solido dagli Stati - secondo la capital key -;
Stati che restavano i creditori finali cui i paesi debitori (cioè i paesi
soggetti a Programmi di Aggiustamento: Portogallo, Spagna, Irlanda e Grecia)
hanno liquidato e stanno liquidando gli impegni (in altri termini, i
contribuenti dei paesi ‘creditori’ o meglio, garanti, non hanno mai messo fuori
neppure un euro; mentre invece ne stanno incassando).
In
questo caso invece i titoli emessi dalla Commissione dovranno restare intestati
alla Commissione, in quanto garante verso i mercati per conto dell’Unione. E
quindi il capitale (più gli interessi a scalare) verrà rimborsato secondo le previsioni
dal 2028 al 2058. Mentre è molto probabile che gli interessi sul principale
vengano pagati fin da subito. Dato il basso livello del saggio l’ammontare
degli interessi, per di più spalmato in quasi quarant’anni non sarà molto
elevato, e si può ragionare praticamente solo sul capitale da rimborsare.
[42] Che è la quota dei singoli Stati
nel capitale della BCE, basata sulla percentuale del Pil sul totale europeo,
più altri parametri economici, per cui l’Italia che ha circa l’11% del Pil
europeo ha invece una capital-key del 12,8%
[43] Pubblicata nell’Annesso (SWD 98) al Documento 456 della
Commissione Europea del 27 maggio 2020, sopra citato.
[44] Siccome questa cifra è definita da
parametri oggettivi, cioè la capital-key, è plausibile congetturare che gli uffici
della Commissione, basandosi sui parametri della restituzione di loan e grant,
abbiano calcolato ex-post la percentuale di grant e loan tale che la cifra da
restituire, secondo le regole di restituzione di grant e loan, quadrasse, anche
se non esattamente, con la cifra già calcolata in precedenza.
[45] Da cui la cifra di 153 miliardi
della Tabella per lo scenario meno dannoso, e la cifra arrotondata di 173
miliardi, riportata dalla stampa italiana, per lo scenario peggiore (in caso il
parametro non sia arrotondato, la cifra diventa 172, cifra rilevante per
l’ultima allocazione, come vedremo).
[46] Il conteggio finale presenta
qualche discrepanza. Dei 172 mld (arrotondati al ribasso), attribuiti
all’Italia nella prima distribuzione, 96 dovranno essere restituiti, cioè 76
risulteranno ex-post come a fondo perduto. Ma solo 90 sono attribuiti ex-ante
come loan. Cioè 6 mld necessari per raggiungere la somma dovuta passeranno
direttamente attraverso il bilancio Italia-Commissione (ma non come debito
cartolarizzato); mentre per i 90 + 37 = 127 saranno emessi titoli (senior) dal
Tesoro italiano, che saranno ripagati per mezzo del servizio del debito
(cartolarizzato) sottoscritto dalla Commissione. E infatti 209 – 127 = 82,
cioè i grant ex-ante, pari ai 76 di grant ex-post più la differenza di 6 tra
restituzione dovuta e prestiti ex-ante.
[47] Non arrotondata, 172 mld; v. nota
13.
[48] Vedi nota 21.
[49] European Council (2020).
[50] Cioè, i grant passano dal bilancio
i loan no.
[51] Colpisce il caso italiano della
fortissima discrepanza tra i fondi stanziati e quelli utilizzati. La cosa si
può spiegare anche con la politica di emissione del Tesoro, illustrata da
Liturri (2020b).
[52] Perché, che siano grant o loan, le
somme spese hanno lo stesso effetto diretto di attivazione ‘in tempi brevi dell’economia,
mentre le somme da restituire agiranno negativamente in tempi successivi e
molto più lunghi ,.
[53] Munchau (2020).
[54] Il documento della Commissione
‘Europe’s moment’, dice che l’impulso del NG è pari al 5,25% del Pil europeo (a
prezzi 2018); e che l’impulso avrà un incremento di pil in quattro anni di
circa 7,5%. In realtà non si capisce bene come. Si direbbe da altri passaggi,
che la Commissione si affidi a investitori privati soprattutto in paesi della cintura
esterna con salari relativamente più bassi.
[55] Munchau arriva a ridurre quasi di
metà la spesa diretta in stimolo delle somme stanziate dal NG partendo
dall’affermazione della von der Leyen che il fondo attiverà 3.100 mld di
investimenti privati. Abbiamo già visto altre roboanti affermazioni europei
sull’effetto leverage di investimenti della Commissione. Ad esempio Juncker,
nel 2014, annunciò un piano di investimenti che avrebbe dovuto attivare 1000
mld di investimenti privati, partendo da 17 mld effettivamente disponibili, aumentabili
mediante leverage a 127, che poi dati in garanzia col leverage avrebbero dovuto
produrre i 1000 (ovviamente nessuno vide né i 1000, io i 127, e neppure i 17).
Quindi Munchau accantona 310 miliardi per il leverage e fa restare solo circa
400 mld di spesa effettiva. Di fatto, l’annuncio della von der Leyen non può
essere preso sul serio. La cifra stanziata dovrà essere spesa, e non avrebbe
senso fare altrimenti. Ed eventuali cifre a garanzia dell’emissione di titoli
per la cifra totale (75 mld per un leverage di 1/10) potranno essere ottenute
da emissioni di titoli di tutti i paesi in solido, quindi non molto
consistenti, senza impegnare i fondi del NG.
[56] Critica ripetuta anche da Ashoka
Mody (2020).
[57] Bossone, Cattaneo, Grazzini e
Sylos Labini (2016).
[58] Che potrebbe portare a un
incremento di Pil tra il 12 e 15%.
[59] Un ‘ritorno’ al centro
‘finanziatore’ già visto anche nel caso del Piano Marshall del dopoguerra.
[60] Bisogna ragionar in altro modo che
semplicemente aritmetico per cui, spalmati o non, gli effetti sono gli stessi.
[61] L’ipotesi di asimmetria che si può
fare per giustificare la congettura è che mentre uno stimolo spalmato su paesi
minori attivi i paesi maggiori solo dal lato della domanda di importazione di
beni finali, uno stimolo concentrato sui paesi maggiori possa mettere in moto
le supply chain e quindi attivare i paesi minori sia dal lato della domanda
finale che dal lato della domanda di beni intermedi. Quindi vanno prese in
considerazione l’insieme delle misure, soprattutto quelle attive nei paesi
maggiori, sia che siano finanziate internamente via politiche economiche
(fiscali o monetarie) sia che siano finanziate esternamente via fondi europei.
È l’effetto complessivo che bisogna considerare e valutare, come risposta alle
conseguenze economiche dell’epidemia.
[62] Come scritto dall’Handelsblatt.
[63] Moro (2020).
[64] O un aumento perverso della spesa
pubblica in seguito a privatizzazione della sanità con consistenti effetti
redistributivi negativi per i redditi dei lavoratori.
[65] Come si vede dallo stesso del
ricorso alla clausola di salvaguardia (v. nota 18).
[66] Alesina (2010). Il paper che
sosteneva la tesi porta in calce: Prepared for the Ecofin meeting in Madrid
April 15 2010.
[67] Reinhart, Rogoff (2010).
[68] L’accelerazione fu in
contemporanea col rifiuto del bail-in per la Grecia, e ovviamente sosteneva
anche la tesi che imporre un Programma di Aggiustamento non avrebbe prodotto
danni.
[69] Obbedite o vi lasciamo nelle mani
dei mercati finanziari, e poi vi tocca un Programma di Aggiustamento (v. caso
Italia-Monti). In realtà ambedue le tesi sono state successivamente duramente
criticate, anche dallo stesso FMI. Ma l’effetto immediato fu quello voluto.
[70] Perché ci sarebbero due ‘effetti’
recessivi da compensare: la recessione del 2020, e il rientro nel Patto dal
2021.
E
ai cui lavori rinvio: Cesaratto (2020) Fassina (2020), Fazi (2020), Fumagalli
(2020), Giacchè (2020), Mazzei (2020) Moro (2020), Pizzuti (2020), Salerno
Aletta (2020), Somma (2020), Tronti L. (2020). Mi scuso con quelli che mi sono
perso e non ho potuto citare.
[72] Il testo delle
Conclusioni del Consiglio europeo del 21 luglio, infatti, dice che i piani
vanno approvati dal Consiglio, l’organo intergovernativo, e che per i pagamenti
delle tranche intermedie e finali la Commissione deve chiedere il parere al
Comitato Economico e Finanziario. Inoltre aggiunge: “Se,
eccezionalmente, uno o più Stati Membri ritengono che ci siano gravi deviazioni
dall’attuazione soddisfacente delle tappe rilevanti e dell’obbiettivo, possono
chiedere al Presidente del Consiglio europeo di riferire il problema alla
prossima seduta del Consiglio…la Commissione deciderà sul soddisfacimento delle
tappe…e sull’approvazione dei pagamenti…Quando la questione è portata al
Consiglio europeo, la Commissione non può prendere alcuna decisioni in
materia…fino a che la seduta successiva del Consiglio non abbia discusso
esaurientemente il tema”; di conseguenza la Commissione dovrà decidere
“in accordance” (strano termine; perché non dice che si deve ‘conformare’?) all’esito
della discussione del Consiglio, Conclusions (2020),
p.6.
[73] Giacchè (2020), p. 5.
[74] E in questo caso la clausola
dell’eccezionalità non lo indebolisce affatto.
[75] Già la
collocazione del paragrafo è strana, sembra quasi nascosta, tra due paragrafi
con temi totalmente diversi: co- e pre-financing rates.
[76] Che avrebbe senso, per quanto non
nella forma vessatoria voluta dall’Olanda.
[77] Cioè Programmi di Aggiustamento,
come l’Irlanda. Portogallo, Spagna e Grecia, ma solo un controllo sull’utilizzo
dei fondi, che si deve limitare a spese in ambito sanitario.
[78] Cruciale è l’ufficialità dei
controlli sui conti pubblici in seguito alla ‘sorveglianza rafforzata’.
[79] Nel 2011, quando una crisi
generale interna e nel rapporto con l’Europa portò alle dimissioni di
Berlusconi, sotto minaccia di esplosione dello spread, e quindi Trojka. Ma
anche nel 2013, quando nel mezzo della crisi economica provocata dalle
politiche del governo Monti, le elezioni portarono a uno stallo sia
nell’elezione del Presidente del Consiglio (il Presidente designato dal partito
di maggioranza non aveva i numeri al Senato) che del Presidente della
Repubblica che dovette essere prorogato. Una scalata interna al maggior partito
di maggioranza sembrò rilanciarlo, ma nel 2018 terminò in un dimezzamento dei
consensi rispetto la picco delle elezioni europee del 2014. E nel frattempo
partiti ‘populisti’ con parole d’ordine anti-europee, avevano addirittura
conquistato la maggioranza numerica in parlamento. E il Governo attuale,
sicuramente di obbedienza europea, appoggiato da forze la cui consistenza
parlamentare è molto superiore a quella certificata in anni di sondaggi, si
regge sul rinvio delle elezioni. Cosa che non è certo un sintomo di soluzione
della crisi politica incominciata dieci anni fa.
[80] Certo, anche la Spagna presenta
caratteristiche analoghe a quelle italiane. L’epidemia oggi è stata
particolarmente pesante. E dopo il 2008-09 dovette accettare un Programma di
Aggiustamento, e di seguito una grave recessione dopo il 2010, ma alla fine è
riuscita ad avere una ripresa più consistente di quella italiana. Inoltre,
seppure varie forze populiste abbiano visto avanzate notevoli e i partiti
tradizionali di centro-destra e centro-sinistra abbiano subito indebolimenti
notevoli nel decennio, l’attuale governo si regge sui risultati delle elezioni,
e quindi più legittimato di quello italiano. Inoltre, si ritiene a Bruxelles
che la Spagna comunque abbia già attuato le ‘riforme’ che continuano ad essere
richieste all’Italia. Quindi la situazione in Spagna pur presentando analogie,
appare meno critica che in Italia.
[81] Come ho potuto constatare di
persona in molte conferenze tenute in Emilia, Veneto e Friuli negli anni
post-2012, anche tra ceto medio di piccola e media imprenditoria locale,
colpito duramente dalle politiche di austerità.
[82] Di cui una parte non irrilevante
registrerà guadagni netti, un’altra perdite nette (che, seppur più ampia, di
difficile saldatura con altre aree galleggianti, con perdite più meno
compensate).
[83] L’area del Nord, a governo
leghista, è quasi sicuramente un’area che beneficerà degli investimenti
previsti; e quindi la linea ‘anti-europea’ di Salvini verrà ridotta sempre più
a mera declamazione. D’altra parte la cooptazione 5S in uno schieramento
filo-europeo è già iniziata con l’accettazione del suo voto nella maggioranza
della von der Leyen, continuata con il governo giallo-rosa (chiamarlo giallo-rosso
mi pare un abus de langage). Restano le riserve anti-MES, ma difficilmente
potranno resistere alla situazione che si sta venendo a creare.
[84] È noto che alle aste di aprile e
maggio il Tesoro abbia lasciato inevaso un notevole eccesso di domanda di titoli.
Il pretesto che è meglio aspettare i fondi del MES a tassi inferiori è
ridicolo, perché un intervento di spesa consistente immediata avrebbe
consentito una riduzione della perdita di Pil di dimensioni molto superiori al
guadagno in termini di minore spesa di interessi. Sul tema, con una disamina di
aste e finanziamento è interessante l’analisi di Liturri (2020).
[85] Trovo abbastanza insopportabile la
polemica sui sussidi come ‘assistenza’, compresi i riferimenti a questo tema
nel recente intervento di Draghi. Chi ‘assiste’ chi? Lo Stato non ‘assiste’
nessuno. Sostenendo i redditi la cui erogazione è stata interrotta bruscamente
dall’epidemia e dal lockdown lo Stato impedisce il crollo di tutti i settori
economici che ruotano intorno alla vita quotidiana di tutta la popolazione.
Questi fondi distribuiti ritornano quasi interamente alle imprese. E, senza
questi, le imprese dovrebbero chiudere in massa.
[86] Il rischio è che settori
radicalizzati vengano spinti ad azioni che difficilmente troverebbero ampio
sostegno pubblico, con schemi già visti nella storia di questo paese.
[87] Se l’intervento, per così dire,
‘ordinario’ dovesse assumere dimensioni rilevanti e se il mercato facesse
temporaneamente cadere le quotazioni (bisogna ricordare che una delle chiavi
del successo di Draghi nel 2012 fu una divisione dei mercati), si potrebbe
sviluppare dentro al Board della BCE una forte contrarietà alla continuazione
‘informale’, con ricorso all’OMT, uscita dell’Italia dai mercati e Trojka.
[88] Che di fronte a una catastrofe
come l’uscita dai mercati, e conseguente Trojka, diventerebbe una ragionevole
alternativa sul tavolo. Anche se le conseguenze potrebbero esse ugualmente
molto dannose. Ma forse, nel recupero di sovranità si potrebbero trovare delle
compensazioni.
[89] Rischio, temo, tutt’altro che
teorico. L’attacco della Corte costituzionale tedesca alla BCE è stato
evidentemente rintuzzato. Ma non è eccessivo pensare che una mediazione interna
tedesca ci sia comunque stata, e riguardi i tempi ‘accettabili’ (da parte della
Corte) dell’eccezionalità dell’intervento.
[90] Soprattutto tenendo conto che
difficilmente nel post-pandemia potrebbero essere presenti le condizioni di
crescita mondiale che favorirono sia il funzionamento dell’euro prima della
crisi 2008-2009 (decollo dei paesi emergenti e boom al centro), ma anche la
ripresa tedesca dopo la crisi (gli stimoli congiunti sino-statunitensi). In
assenza di queste condizioni, un rientro prematuro nelle regole potrebbe
ripiombare tutta l’Europa (e non solo l’Italia) in recessione, rendendo
necessari ulteriori sostegni.
Non si capisce comunque perchè Gualtieri non abbia fatto emettere BTP, visto le richieste nelle aste, sempre maggiori alle offerte, per aumentare la liquidità ed evitare lo sprofondamento economico di questo autunno.
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