Il
Commissario Europeo Gentiloni ha svolto il primo settembre un’audizione presso
le Commissioni Bilancio e Politiche della Ue della Camera e Senato nella quale
ha descritto il meccanismo del “Next Generation Eu”, risposta europea
alla crisi creata dalla emergenza sanitaria dovuta al virus ed alla sua
malattia (Covid-19)[1].
Nei
primi venticinque minuti Gentiloni ha presentato il meccanismo del “Next
Generation Eu” come cruciale per il futuro e come sfida. Enfatizzando inoltre
la novità data dalla raccolta di ingenti risorse a debito comune e il loro
impiego, bisogna qui fare attenzione, per la “ripresa e riconversione” delle
economie europee. La domanda immediatamente
pertinente è quindi: riconversione per cosa? Questo il punto qualificante, per
costringere (con carota e bastone, come mostrava Gabriele Pastrello[2]) le economie europee ad andare insieme verso una maggiore competitività,
resilienza e sostenibilità (l'ordine vero è l'opposto di quello enunciato
dal Commissario).
Il pacchetto di strumenti
risponderebbe quindi ad una situazione potenzialmente esplosiva sia nel breve
termine (abbiamo milioni di nuovi disoccupati ed intere filiere produttive, in
particolare nei servizi, in grandissima sofferenza) e nel medio periodo (con la
radicale crisi del modello export-led che ha guidato fino ad ora la Ue, in
quanto imposto dai paesi nordici) e nel lungo (con lo spostamento dei rapporti
di forza internazionali).
Questo esito è stato prodotto
dalla durissima trattativa condotta nel Consiglio Europeo Straordinario del
17-21 luglio[3] che ha portato in extremis ad
un accordo tra i “frugali” e i “mediterranei”, grazie all’allineamento con
questi ultimi del “Gruppo di Visegrad”. È stato in quella occasione varato un programma
complessivo di 1.823 miliardi, includente il normale “Quadro Finanziario Pluriennale”
della Ue ed il nuovo “Next Generation Ue”. Il primo copre sette anni, 2021-27,
e dispone di 1.073 miliardi[4], il secondo 750 miliardi
divisi in sette programmi[5] da impegnare in tre anni tra
il 2021 ed il 2023.
Oggetto specifico dello
scontro, dopo la definizione della parte in prestito e quella da restituire
tramite il bilancio (questione che sposta relativamente poco), è stato il
controllo. Come avevamo già scritto la vera posta è l’equilibrio del
potere entro la Ue e quello nel mondo. Ciò che veniva richiesto dai
“frugali” era il potere di determinare direttamente, senza sottostare agli
equilibri politici creati in una Commissione Europea nella quale sono
strutturalmente in minoranza, l’indirizzo della spesa e la modulazione
dell’economia dei paesi che riceveranno il Fondo[6]. Ciò che era richiesto dalla
coppia Macron-Merkel, che ha proposto lo schema, era di farlo congiuntamente
negli organi politici europei[7]. Il compromesso raggiunto è stato che l’erogazione viene
sottoposta a periodiche verifiche e queste sono demandate alla Commissione, ma
su indicazione di un paese membro può essere rinviata al Consiglio. L’intera
erogazione triennale è quindi costantemente sottoposta al rischio di revoca se
gli obiettivi non sono raggiunti o se ci si discosta dal programma approvato (ad
esempio in seguito ad un cambio politico a seguito di elezioni e relative nuove
priorità). Il Comunicato della Commissione parla al riguardo esplicitamente di “un
regime di condizionalità” con relative “misure” che potranno essere adottate
dal Consiglio a maggioranza qualificata.
Rileva sottolineare anche che
una parte della dotazione del “Next Generation” potrebbe essere coperta da
nuove tasse europee, introdotte al più tardi al 1 gennaio 2023. Queste
dovrebbero riguardare i rifiuti di plastica (entro il 2021) e la CO2 (cosiddetta
“carbon tax” ad integrazione o sostituzione dell’attuale ETS), oltre ad un
prelievo sul digitale.
Secondo la ricostruzione di
Gentiloni quindi ci sono in sostanza quattro strumenti, quelli di immediata
disponibilità sono tre:
-
una piccola risorsa (complessivamente 47 miliardi, per
noi quindi probabilmente 5-7) immediatamente disponibile in prestito per
interventi di emergenza (“React-Eu”);
-
un pacchetto di prestiti per sostenere le politiche di
sostegno della disoccupazione (il “Sure”, per noi qualcosa come 27 miliardi per
qualche anno);
-
il famoso Mes, che può andare fino al 2% del Pil per
interventi di emergenza sanitaria.
Queste
sono le risorse erogabili in tempi relativamente veloci, e al più necessari per
sopravvivere. Dato che abbiamo fino ad ora speso qualcosa come 100 miliardi e
potremmo andare incontro a recrudescenze autunnali dell’epidemia, avremmo
bisogno di qualcosa come il triplo solo per non andare ad un immediato default.
Per ristrutturare l’economia e riprendersi occorre ben altro.
-
Qui interverrebbe il
“Recovery and resiliance facility”, ovvero il vero strumento per la
ristrutturazione delle economie europee, dotato di 673 miliardi complessivi. In
questo strumento si trova sia il bastone sia la carota (è, come diremo, l'uno e
l'altro insieme).
Vediamo come Gentiloni lo descrive[8]:
a)
dovranno essere
presentati dagli Stati membri dei “Piani di ripresa e resilienza” per accedere
ai fondi,
b)
la Commissione, che
li deve valutare, chiederà di mandarli per ottobre in bozza, per presentarli
definitivamente entro fine aprile,
c)
da lì ci saranno 8
settimane (arrivando a fine giugno) perché la Commissione li valuti e poi invii
al Consiglio per l'approvazione,
d)
il Consiglio li
approverà in 4 settimane (fine luglio) a maggioranza qualificata, e solo dopo “esauriente”
discussione.
A questo punto avverrà l'erogazione del 10% (magari una
decina di miliardi o poco più) delle risorse. Saremo, come nella discussione
che segue sottolinea l’on. Bonino e conferma il Commissario, grosso modo in
autunno 2021. Le altre risorse saranno erogate ogni sei mesi, su decisione
della Commissione (quindi non automaticamente), solo se nel frattempo saranno
raggiunti gli obiettivi del piano approvato nei rispettivi tempi. Come
sottolinea il prof. Pastrello, e come abbiamo visto, ci sono clausole per
sospendere i pagamenti ed anche revocarli, se il governo non ottiene i
risultati o non rispetta il piano approvato.
Insomma, lo stato membro resta costantemente sotto
monitoraggio e in ogni momento può perdere i fondi, con l'effetto che le
tranche dei progetti avviati (poniamo il caso una tratta ferroviaria, o metropolitana)
dovranno essere proseguiti con fondi nazionali. In altre parole, come detto, l’attuale
governo e Parlamento vincolerà tutti i successivi al rispetto del piano di
ristrutturazione (che, come diremo, è essenzialmente politico) approvato.
In definitiva il pacchetto complessivo creato
dalla Commissione europea e dal Consiglio, a seguito della colossale pressione
dell'emergenza sanitaria[9], è
disegnato per produrre un'accelerazione della gerarchizzazione funzionale del
sistema economico europeo. Questo obiettivo è intrinsecamente bivalente:
-
dentro una
logica di accumulazione di potenza e capitale rappresenta la necessaria
risposta al degrado dei vecchi centri di dominio e alla sfida dei nuovi, in un
mondo che si fa violento;
-
in una
prospettiva che valorizza autogoverno e capacità di inclusione, e si sforza di
ridurre gerarchie ed ineguaglianze (individuali e territoriali), è invece da
guardare con sospetto in quanto continuazione della strada che ci sta portando
in un evidente vicolo cieco storico.
La bivalenza nasce dalla “meccanica a tre lame”
(come l’avevamo chiamata[10])
degli acquisti della Bce tramite Peep, sui quali pende la vicenda della
sentenza della Corte tedesca[11] e
la possibilità che la dichiarazione di ‘fine emergenza’ li faccia cessare
improvvisamente precipitando i paesi più esposti ad una crisi del debito[12],
il rischio di riattivazione delle regole europee[13],
e, appunto, la condizionalità degli strumenti di erogazione. Pastrello, nel suo
pezzo prima richiamato[14]
ha preferito parlare di “bastone e carota”.
Il punto è che l’insieme degli strumenti di
governo della crisi introdotti rispondono all’esigenza del sistema di azione
europeo[15]
di aumentare l’integrazione verticale. Ovvero di rendere molto più competitivo
il sistema produttivo e più stabile quello finanziario (dove le maggiori
tensioni, in prospettiva, non sono da noi[16]). Ovvero, sapendo che l’economico è sempre
organizzazione sociale e circolazione di potere, della capacità di produrre
ricchezza, distribuirla, appropriarsene, più saldamente nelle mani delle
frazioni di interesse che nel progetto detengono posizione centrale. Nelle
intenzioni della Commissione e del Consiglio la spesa dovrà essenzialmente
aumentare l’interconnessione selettiva (ovvero di alcuni) e la modernizzazione.
Dove questo termine significa informatizzazione, meccanizzazione avanzata, capacità
di gestire il lavoro e di organizzarlo. Necessariamente ciò comporterà, proprio
perché le risorse sono insufficienti e le altre due lame possono tagliare in
qualsiasi momento, l’aumento della distanza tra le regioni forti perché interconnesse
e “globali” e quelle che restano e sempre più isolate, svuotate di risorse
umane e di capitale, povere di infrastrutture[17].
Ci sono conseguenze politiche rilevanti,
visibili se si fa riferimento allo scontro di classe in corso, sulla matrice
centro/periferia e integrato/emarginato, che determina la capacità accesso alla
produzione, alle risorse e il potere di intervento sociale e politico (ma anche
culturale)[18]. A livello sociale aumenteranno le distanze tra i ‘paria’ e i ‘savi’. A
livello politico tra i ‘responsabili’ e i ‘barbari’ (etichettati variamente
come ‘populisti’ o ‘sovranisti’).
Anche se questo è inagirabile resta un
profondo dilemma.
In primo luogo, quel che bisogna evitare, quando ci si confronta
con le strategie e le pratiche di governo, è di pensarlo in una logica
meramente bivalente e morale. Scegliendone direttamente un corno.
-
Potenza e
riproduzione del capitale, in quanto forma necessaria alla riproduzione della
società, è in una qualche misura necessaria;
-
Autogoverno
e inclusione sono altrettanto necessari, perché tutto non si riduca, come sino
ad ora accade invariabilmente, a solo vantaggio di sempre meno.
In secondo luogo, va tenuto presente che la tecnica è quella
usuale, non solo del meccanismo europeo: si mettono a disposizione risorse per
degli scopi, e quindi secondo un progetto, e se ne controlla l'esito. Non sono
solo tutti i governi che fanno questo, ma proprio tutti (dalle aziende alle
famiglie, passando per gli individui stessi). Dunque in questo non c'è il
problema.
In terzo luogo, la direzione e la divisione dei ruoli che
viene messa in campo è quella tipica della forma semi-confederale (altamente
incompleta) del sistema di governo quadripartito europeo (dove i poli di
potenza sono gli Stati Nazionali realmente tali - forse solo la Germania e in
parte la Francia - il Consiglio Europeo, la Commissione Europea e la
potentissima burocrazia europea stessa). Pochi indirizzano, i poli cercano un
compromesso, la lotta infuria selvaggiamente tra le lobbies e i poteri deboli
(che alzano tanto più la voce quanto meno contano) per strappare qualcosa
(anche politicamente), fino a che emerge molto meno di quanto necessario,
troppo tardi e pieno di vincoli e condizioni. Ma, anche qui, nulla di nuovo.
Abbiamo insomma, dopo mesi di furiosa lotta, un
meccanismo tipico della governance europea, che controlla dei fondi, orienta e
approva i progetti, eroga dietro rendicontazione e attento monitoraggio,
produce un enorme giro di burocrazia. La differenza principale, che tuttavia è
reale, è che mentre nel “normale” ciclo dei fondi strutturali (cui tutto è
ispirato), c'è uno Stato che si indebita, trasferisce risorse a Bruxelles per
finanziarne il bilancio, e riceve una parte tramite la relativa programmazione.
Qui si ha Bruxelles che si indebita, programma ed eroga e poi il bilancio viene
ripianato (interamente) dagli Stati membri. Una differenza contabile rilevante,
ma in nessun caso un “regalo”.
Come giudicare quindi?
La questione centrale non è tanto se l’insieme
degli interventi fa funzionare, ma per chi, come e in quale modo si sceglie e
decide politicamente. Il punto cruciale da comprendere è che il capitalismo è
un rapporto sociale; esiste concentrando nelle mani di pochi. Il movimento
genera sempre una dialettica spaziale che è internamente connessa con la
lotta di classe (ovvero con gli scontri di potere e sociali che costituiscono
il sociale). Qualunque processo di valorizzazione è fatto di connessione
e messa in relazione. La connessione, per portarla ad un livello di maggiore
efficienza (quindi aumentando la creazione di “valore”), richiede sempre
investimenti. La valorizzazione è, insomma, il rapporto tra le possibilità
date dall’organizzazione dello spazio e le decisioni di localizzazione, di
spostamento (di uomini, capitali, beni). Queste producono sempre gerarchie,
almeno implicite. In altri termini i luoghi più dinamici, resi tali da
opportuni investimenti, attraggono sempre risorse umane e di capitale dai
luoghi meno dinamici. Proprio perché riescono a “valorizzarli” meglio
(investire su piazze più forti, in mercati più solidi, trasferirsi dove il
lavoro è più abbondante o i salari più alti, …). La dinamica del potere porta quindi
a cercare sbocchi alle eccedenze, e ad acuire le forme della competizione. La
competizione, nel quadro di sistemi di ‘coerenza strutturata’[19]
entro luoghi ed alleanze sociali, porta dipendenze.
Il punto è che l’austerità, che era il sistema
di governance principale europeo ante crisi, funziona molto meglio se viene
messo insieme all’erogazione selettiva, perché impedisce che parte delle
risorse create nei centri, per effetto della maggiore integrazione e quindi del
rango accresciuto ricadano, disperdendosi, anche nelle limitrofe periferie.
Tiene compresse queste ultime e le contiene permanentemente nella condizione di
bacino di forza lavoro debole e servizievole e di fornitore di servizi a basso
valore e soprattutto costo.
Le “tre lame” sono dunque parte di un progetto
intrinsecamente imperiale di maggiore organizzazione dello spazio europeo come
una sola, enorme, macchina valorizzante a vantaggio dei centri attualmente
dominanti. Ed ovviamente a svantaggio delle periferie interne ed esterne, sia
geografiche sia sociali. Lo scontro al quale abbiamo assistito nasce quindi dentro
questo schema condiviso, “Next generation” appunto: bisogna competere per
controllare il mondo. E nasce proprio per decidere chi decide, o,
in altri termini, quale periferia deve essere colpita dalla terza
lama (la ripresa delle “regole”), ma anche quale parte deve essere invece
interessata ed integrata con la parte forte del continente dalla seconda lama
(l’erogazione dei fondi).
Non è affatto questione marginale. Si tratta di
disporre del potere di ostacolare la nascita di potenziali concorrenti, di
assicurarsi che i flussi di risorse umane e finanziarie continuino ad arrivare,
di essere certi che le ragioni di scambio dei propri prodotti restino
vantaggiose. In altre parole, il faro guida della trattativa è stato il “superiore
interesse europeo”. Ma per comprenderne il senso occorre capire come le
catene globali delle merci e dei servizi determinano le ragioni di scambio,
ovvero i prezzi relativi di scambio, come si fissano, specializzano e
consolidano i centri produttivi gli uni verso gli altri, dividendosi il
lavoro in regime di complementarietà che è sempre anche subalternità, come si costruiscono
e distruggono le economie regionali (della seconda dinamica abbiamo una
qualche esperienza), osservando anche lo scontro tra le diverse frazioni del
capitale e le diverse élite che lo gestiscono.
Considerando tutto ciò potremmo individuare due
criteri:
1-
le misure
sono adeguate al problema (per dimensione e tempistica)?
2-
Le linee di
programma cui adattarsi sono congrue con le necessità delle società europee e
sono correttamente prioritarizzate?
Entrambe le domande non sono tecniche. Sono domande politiche. Intendo
dire che per rispondere è necessario prima farsi una domanda e rispondere.
Adeguate per quale problema, e necessità di chi?
L’interesse che ha guidato il negoziato,
insomma, sarà anche “superiore”, ma non lo è per tutti (i luoghi) e
non lo è di tutti (gli attori
sociali).
Peraltro, è da almeno un decennio che questo tema è sorto potentemente all'attenzione
pubblica, sotto la spinta degli effetti diretti ed indiretti della
modernizzazione diretta dal capitale e della interconnessione. Ovvero sotto la
spinta del continuo mutare degli equilibri sociali a causa di tecnologie
gerarchizzanti (bisogna sempre pensare questa parola come descrittore di
differenze tra individui e territori) e di sistemi di dispositivi di contatto
(ovvero di competizione, dato che ciò che è messo in contatto è forza lavoro e
forme del capitale).
Viene in primo piano un problema rimosso: si
tratta di rendere possibile il riassorbimento di queste tensioni laceranti (i
cui effetti politici, antropologici e sociali sono sotto i nostri occhi), o si
tratta, al contrario, di accelerare e potenziare la capacità dei centri guida
(territoriali e sociali) di 'competere' con i pari grado internazionali e
raccogliere le 'sfide'? Si potrebbe dire diversamente: la nostra società e
quindi economia arretra e perde anche efficienza perché non è abbastanza capace
di concentrare le risorse o perché lo fa troppo?
E in primo piano la domanda: è la parte più
dinamica e interconnessa a dover essere sostenuta o forse quella meno? Si pensa
all'economico come qualcosa che gocciola dall'altro o sorge dal basso?
La “lama” della spesa è insieme “bastone e
carota” proprio perché serve essenzialmente a questo fine: gerarchizzare e
disciplinare.
La questione è che, come non stupisce, l'insieme dei pacchetti di “ripresa e
riconversione” è strettamente interno alla logica europea. Rispondono alle
domande poste negandone la natura politica e immaginando una sola possibile
strada: l'economia è una macchina che deve essere principalmente
competitiva, per sottrarre altrove le risorse che non scaturiscono dal suo
interno, e solo per questo deve anche essere resiliente e sostenibile.
Sulla base di questa logica sono in essi indicate
tre priorità comuni a tutto il sistema europeo, e quindi sovraordinate
ad ogni decisione che si possa prendere localmente:
1-
favorire la
transizione digitale, l'innovazione e la competitività;
2-
contribuire
alla transizione ambientale;
3-
garantire
la resilienza (quindi ancora in logica competitiva, per questa serve l'educazione,
la sanità).
Ma c'è di più. Perché dopo i tre macrocriteri
comuni ogni programma nazionale da approvare dovrà rispondere anche a “pacchetti
di raccomandazioni”[20]
che, anno su anno, sono normalmente predisposti dalla Commissione. E qui si
presenta, ancora, la logica stringente del progetto europeo. Sempre la stessa, dai
soliti interessi per i soliti interessi. Ad esempio, nella raccomandazione 2020,
che risente quindi della crisi da Covid, è incoraggiato il “lavoro agile”,
flessibile e il telelavoro, insieme a misure come i congedi straordinari e il
baby-sitting. Quindi l’apprendimento a distanza (ovvero il superamento del
modello di istruzione tradizionale)[21],
il potenziamento delle infrastrutture digitali, della fibra, del commercio
elettronico (22). Naturalmente trovano spazio anche investimenti nella messa in
sicurezza del territorio (21), la mobilità sostenibile e pubblica, l’efficienza
energetica, le infrastrutture per la distribuzione delle acque e la gestione
rifiuti, la ricerca (23), l’efficienza della pubblica amministrazione (24), tutte
cose utili e necessarie.
Ma è nelle raccomandazioni finali del documento
2020, che si trova in particolare la forma del bastone:
-
appena le
condizioni economiche lo consentano invita a “perseguire politiche di bilancio
volte a conseguire posizioni di bilancio a medio termine prudenti e ad
assicurare la sostenibilità del debito”;
-
attenuare l’impatto
sul mondo del lavoro, “mediante modalità di lavoro flessibili”.
E' per questo che la carota è in realtà il bastone. Sempre il solito.
[1] - Ne avevamo già parlato in “La
mossa del cavallo. Francia e Germania, Ue e cronache del crollo”, e poi in “Usa,
Cina, Europa, il grande scontro”.
[2] - Cfr. Gabriele Pastrello, “Next
generation fund: bastone & Carota”.
[4] - Il
QFP copre i seguenti settori: mercato unico, innovazione e agenda digitale; coesione,
resilienza e valori; risorse naturali e ambiente; migrazione e gestione delle
frontiere; sicurezza e difesa; vicinato e resto del mondo; pubblica
amministrazione europea.
[5] - Gli
importi disponibili a titolo di Next Generation EU saranno destinati
a sette programmi distinti: dispositivo per la ripresa e la resilienza:
672,5 miliardi di EUR (prestiti: 360 miliardi di EUR, sovvenzioni:
312,5 miliardi di EUR); REACT-EU: 47,5 miliardi di EUR; Orizzonte
Europa: 5 miliardi di EUR; InvestEU: 5,6 miliardi di EUR; Sviluppo
rurale: 7,5 miliardi di EUR; Fondo per una transizione giusta (JTF):
10 miliardi di EUR; rescEU: 1,9 miliardi di EUR.
[6] - La richiesta era di disporre di
un potere di veto individuale sui bilanci degli stati destinatari dei flussi,
in pratica decidendo dove ed in che modo questi potevano impegnare le
risorse del loro bilancio ordinario per un lungo tempo. Si sarebbe trattato di
un effettivo commissariamento, ma ancora più radicale di quello imposto alla
Grecia, in quanto non condiviso dalla Commissione nel suo insieme.
[7] - Quindi dalla Commissione e dal
Consiglio.
[8] - Peraltro
ripercorrendo quanto già comunicato dalla Commissione. Precisamente: “In linea
con i principi della buona governance, gli Stati membri prepareranno piani
nazionali per la ripresa e la resilienza per il periodo 2021-2023, che
dovranno essere coerenti con le raccomandazioni specifiche per paese e
contribuire alla transizione verde e digitale. Più in particolare, i
piani devono promuovere la crescita e la creazione di posti di lavoro e
rafforzare la ‘resilienza sociale ed economica’ dei paesi dell'UE. I piani
saranno riesaminati nel 2022. La valutazione di tali piani sarà approvata dal
Consiglio con votazione a maggioranza qualificata su proposta della
Commissione. L'erogazione delle sovvenzioni avrà luogo solo se sono conseguiti
i target intermedi e finali concordati, stabiliti nei piani per la ripresa e la
resilienza.
Qualora,
in via eccezionale, uno o più Stati membri ritengano che vi siano gravi
scostamenti dal soddisfacente conseguimento dei pertinenti target intermedi e finali,
possono chiedere che il presidente del Consiglio europeo rinvii la questione al
successivo Consiglio europeo.”
[9] - Che non è progettata da alcuno ma sfruttata da molti (una
sorta di shock esterno moderatamente simmetrico che allo stato ha comportato
arretramenti complessivi di Pil del 8-10% e massivi rallentamenti di molti
mercati e settori produttivi).
[11] - Per ora neutralizzata, ma non
definitivamente.
[12] - Il Peep al momento tiene sotto
controllo i tassi e riduce lo spread tra questi, ma nel frattempo l’indebitamento
sale per effetto delle insopprimibili necessità di spesa emergenziale e quindi
il rapporto deficit-pil continua a salire. Quello italiano è atteso al 150% e
quello dei principali paesi europei sopra il 100%. Al momento in cui cesserà sarà
decisivo il rapporto reciproco tra questi.
[13] - Al momento sospese ma solo fino
a che l’Europa nel suo complesso è interna alla crisi. Ci si può aspettare che
nel 2022 o 23 sarà riattivato (non necessariamente nella stessa esatta forma). Nel
documento
di raccomandazioni per il 2020 si legge (5): “Il 20 marzo 2020 la
Commissione ha adottato una comunicazione sull'attivazione della clausola di
salvaguardia generale del patto di stabilità e crescita. La clausola di cui
all'articolo 5, paragrafo 1, all'articolo 6, paragrafo 3, all'articolo 9,
paragrafo 1, e all'articolo 10, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 1466/97 e
all'articolo 3, paragrafo 5, e all'articolo 5, paragrafo 2, del regolamento
(CE) n. 1467/97 facilita il coordinamento delle politiche di bilancio in tempi
di grave recessione economica. Nella sua comunicazione la Commissione ha
condiviso con il Consiglio il suo parere secondo cui, data la grave recessione
economica che si prevede a seguito della pandemia di Covid-19, le condizioni
attuali consentono l'attivazione della clausola. Il 23 marzo 2020 i ministri
delle finanze degli Stati membri hanno concordato con la valutazione della
Commissione. L'attivazione della clausola di salvaguardia generale consente una
deviazione temporanea dal percorso di avvicinamento all'obiettivo di bilancio a
medio termine, a condizione che la sostenibilità di bilancio a medio termine
non ne risulti compromessa. Nell'ambito del braccio correttivo il Consiglio può
anche decidere, su raccomandazione della Commissione, di adottare una
traiettoria di bilancio riveduta. La clausola di salvaguardia generale non
sospende le procedure del patto di stabilità e crescita. Essa permette agli
Stati membri di discostarsi dagli obblighi di bilancio che si applicherebbero
normalmente, consentendo alla Commissione e al Consiglio di adottare le
necessarie misure di coordinamento delle politiche nell'ambito del patto”.
[15] - Ovvero all’insieme delle forze
che esercitano influenza primaria sulla governance europea: il sistema delle
grandi imprese multinazionali europee, il sistema finanziario, le componenti
del lavoro connesse con la grande industria di esportazione, alcune forze
politiche. In altre parole, a quell’assetto del capitalismo europeo che vede da
una parte un grande polo tedesco imperniato sulla produzione per esportazione e
la grande finanza ad esso intrecciata ma anche da tempo semiautonoma e quindi
dedita ad operazioni meramente speculativa (dal tempo di Schoroder, che volle
imitare il modello britannico, la Germania si è finanziarizzata, allentando il
tradizionale legame triangolare tra industria, banche locali e sindacati). Dall’altra
il sistema militare-industriale francese (l’unico rimasto) e il sistema
bancario e finanziario relativo. Il sistema industriale e finanziario italiano,
il secondo del continente, manca di coesione e di “mission”, e quindi tende a
ridursi a satellite (se pure rilevante) dei primi due ed in particolare della
Germania.
[16] - Il sistema finanziario tedesco,
in particolare, gravato da una politica estremamente spregiudicata, è in condizioni
estremamente precarie.
[17] - Le quali non si ‘reggono’ ad un
calcolo razionale costi-benefici e dunque non risulteranno finanziabili secondo
gli stringenti parametri europei.
[18] - Si veda Christophe Guilluy, “La
società non esiste. La fine della classe media occidentale”.
[19] - Termine dovuto a David Harvey,
per il quale devo rimandare a Alessandro Visalli, “Dipendenza. Capitalismo e transizione
multipolare”, Meltemi 2020.
[20] - Cfr. “Raccomandazione
del Consiglio”, 2020.
[21] - Punto 19. “L'emergenza attuale
mostra inoltre la necessità di migliorare l'apprendimento e le competenze
digitali, in particolare per quanto riguarda gli adulti in età lavorativa e
l'apprendimento a distanza. Investire nell'istruzione e nelle competenze è
fondamentale per promuovere una ripresa intelligente e inclusiva e per
mantenere la rotta verso la transizione verde e digitale. […] In quest'ottica è particolarmente importante
investire nell'apprendimento a distanza, nonché nell'infrastruttura e nelle
competenze digitali di educatori e discenti”.
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