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venerdì 4 settembre 2020

"Bastone e carota". L’audizione del Commissario Gentiloni sul Next Generation Eu.

 

Il Commissario Europeo Gentiloni ha svolto il primo settembre un’audizione presso le Commissioni Bilancio e Politiche della Ue della Camera e Senato nella quale ha descritto il meccanismo del “Next Generation Eu”, risposta europea alla crisi creata dalla emergenza sanitaria dovuta al virus ed alla sua malattia (Covid-19)[1].

Nei primi venticinque minuti Gentiloni ha presentato il meccanismo del “Next Generation Eu” come cruciale per il futuro e come sfida. Enfatizzando inoltre la novità data dalla raccolta di ingenti risorse a debito comune e il loro impiego, bisogna qui fare attenzione, per la “ripresa e riconversione” delle economie europee.  La domanda immediatamente pertinente è quindi: riconversione per cosa? Questo il punto qualificante, per costringere (con carota e bastone, come mostrava Gabriele Pastrello[2]) le economie europee ad andare insieme verso una maggiore competitività, resilienza e sostenibilità (l'ordine vero è l'opposto di quello enunciato dal Commissario).

Il pacchetto di strumenti risponderebbe quindi ad una situazione potenzialmente esplosiva sia nel breve termine (abbiamo milioni di nuovi disoccupati ed intere filiere produttive, in particolare nei servizi, in grandissima sofferenza) e nel medio periodo (con la radicale crisi del modello export-led che ha guidato fino ad ora la Ue, in quanto imposto dai paesi nordici) e nel lungo (con lo spostamento dei rapporti di forza internazionali).

Questo esito è stato prodotto dalla durissima trattativa condotta nel Consiglio Europeo Straordinario del 17-21 luglio[3] che ha portato in extremis ad un accordo tra i “frugali” e i “mediterranei”, grazie all’allineamento con questi ultimi del “Gruppo di Visegrad”. È stato in quella occasione varato un programma complessivo di 1.823 miliardi, includente il normale “Quadro Finanziario Pluriennale” della Ue ed il nuovo “Next Generation Ue”. Il primo copre sette anni, 2021-27, e dispone di 1.073 miliardi[4], il secondo 750 miliardi divisi in sette programmi[5] da impegnare in tre anni tra il 2021 ed il 2023.

Oggetto specifico dello scontro, dopo la definizione della parte in prestito e quella da restituire tramite il bilancio (questione che sposta relativamente poco), è stato il controllo. Come avevamo già scritto la vera posta è l’equilibrio del potere entro la Ue e quello nel mondo. Ciò che veniva richiesto dai “frugali” era il potere di determinare direttamente, senza sottostare agli equilibri politici creati in una Commissione Europea nella quale sono strutturalmente in minoranza, l’indirizzo della spesa e la modulazione dell’economia dei paesi che riceveranno il Fondo[6]. Ciò che era richiesto dalla coppia Macron-Merkel, che ha proposto lo schema, era di farlo congiuntamente negli organi politici europei[7]. Il compromesso raggiunto è stato che l’erogazione viene sottoposta a periodiche verifiche e queste sono demandate alla Commissione, ma su indicazione di un paese membro può essere rinviata al Consiglio. L’intera erogazione triennale è quindi costantemente sottoposta al rischio di revoca se gli obiettivi non sono raggiunti o se ci si discosta dal programma approvato (ad esempio in seguito ad un cambio politico a seguito di elezioni e relative nuove priorità). Il Comunicato della Commissione parla al riguardo esplicitamente di “un regime di condizionalità” con relative “misure” che potranno essere adottate dal Consiglio a maggioranza qualificata.

Rileva sottolineare anche che una parte della dotazione del “Next Generation” potrebbe essere coperta da nuove tasse europee, introdotte al più tardi al 1 gennaio 2023. Queste dovrebbero riguardare i rifiuti di plastica (entro il 2021) e la CO2 (cosiddetta “carbon tax” ad integrazione o sostituzione dell’attuale ETS), oltre ad un prelievo sul digitale.

 



 

Secondo la ricostruzione di Gentiloni quindi ci sono in sostanza quattro strumenti, quelli di immediata disponibilità sono tre:

-          una piccola risorsa (complessivamente 47 miliardi, per noi quindi probabilmente 5-7) immediatamente disponibile in prestito per interventi di emergenza (“React-Eu”);

-          un pacchetto di prestiti per sostenere le politiche di sostegno della disoccupazione (il “Sure”, per noi qualcosa come 27 miliardi per qualche anno);

-          il famoso Mes, che può andare fino al 2% del Pil per interventi di emergenza sanitaria.


Queste sono le risorse erogabili in tempi relativamente veloci, e al più necessari per sopravvivere. Dato che abbiamo fino ad ora speso qualcosa come 100 miliardi e potremmo andare incontro a recrudescenze autunnali dell’epidemia, avremmo bisogno di qualcosa come il triplo solo per non andare ad un immediato default. Per ristrutturare l’economia e riprendersi occorre ben altro.

-          Qui interverrebbe il “Recovery and resiliance facility”, ovvero il vero strumento per la ristrutturazione delle economie europee, dotato di 673 miliardi complessivi. In questo strumento si trova sia il bastone sia la carota (è, come diremo, l'uno e l'altro insieme).

 

Vediamo come Gentiloni lo descrive[8]:

a)      dovranno essere presentati dagli Stati membri dei “Piani di ripresa e resilienza” per accedere ai fondi,

b)      la Commissione, che li deve valutare, chiederà di mandarli per ottobre in bozza, per presentarli definitivamente entro fine aprile,

c)      da lì ci saranno 8 settimane (arrivando a fine giugno) perché la Commissione li valuti e poi invii al Consiglio per l'approvazione,

d)      il Consiglio li approverà in 4 settimane (fine luglio) a maggioranza qualificata, e solo dopo “esauriente” discussione.

 

A questo punto avverrà l'erogazione del 10% (magari una decina di miliardi o poco più) delle risorse. Saremo, come nella discussione che segue sottolinea l’on. Bonino e conferma il Commissario, grosso modo in autunno 2021. Le altre risorse saranno erogate ogni sei mesi, su decisione della Commissione (quindi non automaticamente), solo se nel frattempo saranno raggiunti gli obiettivi del piano approvato nei rispettivi tempi. Come sottolinea il prof. Pastrello, e come abbiamo visto, ci sono clausole per sospendere i pagamenti ed anche revocarli, se il governo non ottiene i risultati o non rispetta il piano approvato.

Insomma, lo stato membro resta costantemente sotto monitoraggio e in ogni momento può perdere i fondi, con l'effetto che le tranche dei progetti avviati (poniamo il caso una tratta ferroviaria, o metropolitana) dovranno essere proseguiti con fondi nazionali. In altre parole, come detto, l’attuale governo e Parlamento vincolerà tutti i successivi al rispetto del piano di ristrutturazione (che, come diremo, è essenzialmente politico) approvato.

 


 

In definitiva il pacchetto complessivo creato dalla Commissione europea e dal Consiglio, a seguito della colossale pressione dell'emergenza sanitaria[9], è disegnato per produrre un'accelerazione della gerarchizzazione funzionale del sistema economico europeo. Questo obiettivo è intrinsecamente bivalente:

-          dentro una logica di accumulazione di potenza e capitale rappresenta la necessaria risposta al degrado dei vecchi centri di dominio e alla sfida dei nuovi, in un mondo che si fa violento;

-          in una prospettiva che valorizza autogoverno e capacità di inclusione, e si sforza di ridurre gerarchie ed ineguaglianze (individuali e territoriali), è invece da guardare con sospetto in quanto continuazione della strada che ci sta portando in un evidente vicolo cieco storico.

 

La bivalenza nasce dalla “meccanica a tre lame” (come l’avevamo chiamata[10]) degli acquisti della Bce tramite Peep, sui quali pende la vicenda della sentenza della Corte tedesca[11] e la possibilità che la dichiarazione di ‘fine emergenza’ li faccia cessare improvvisamente precipitando i paesi più esposti ad una crisi del debito[12], il rischio di riattivazione delle regole europee[13], e, appunto, la condizionalità degli strumenti di erogazione. Pastrello, nel suo pezzo prima richiamato[14] ha preferito parlare di “bastone e carota”.

Il punto è che l’insieme degli strumenti di governo della crisi introdotti rispondono all’esigenza del sistema di azione europeo[15] di aumentare l’integrazione verticale. Ovvero di rendere molto più competitivo il sistema produttivo e più stabile quello finanziario (dove le maggiori tensioni, in prospettiva, non sono da noi[16]). Ovvero, sapendo che l’economico è sempre organizzazione sociale e circolazione di potere, della capacità di produrre ricchezza, distribuirla, appropriarsene, più saldamente nelle mani delle frazioni di interesse che nel progetto detengono posizione centrale. Nelle intenzioni della Commissione e del Consiglio la spesa dovrà essenzialmente aumentare l’interconnessione selettiva (ovvero di alcuni) e la modernizzazione. Dove questo termine significa informatizzazione, meccanizzazione avanzata, capacità di gestire il lavoro e di organizzarlo. Necessariamente ciò comporterà, proprio perché le risorse sono insufficienti e le altre due lame possono tagliare in qualsiasi momento, l’aumento della distanza tra le regioni forti perché interconnesse e “globali” e quelle che restano e sempre più isolate, svuotate di risorse umane e di capitale, povere di infrastrutture[17].

Ci sono conseguenze politiche rilevanti, visibili se si fa riferimento allo scontro di classe in corso, sulla matrice centro/periferia e integrato/emarginato, che determina la capacità accesso alla produzione, alle risorse e il potere di intervento sociale e politico (ma anche culturale)[18]. A livello sociale aumenteranno le distanze tra i ‘paria’ e i ‘savi’. A livello politico tra i ‘responsabili’ e i ‘barbari’ (etichettati variamente come ‘populisti’ o ‘sovranisti’).

 

Anche se questo è inagirabile resta un profondo dilemma.

 

In primo luogo, quel che bisogna evitare, quando ci si confronta con le strategie e le pratiche di governo, è di pensarlo in una logica meramente bivalente e morale. Scegliendone direttamente un corno.

-          Potenza e riproduzione del capitale, in quanto forma necessaria alla riproduzione della società, è in una qualche misura necessaria;

-          Autogoverno e inclusione sono altrettanto necessari, perché tutto non si riduca, come sino ad ora accade invariabilmente, a solo vantaggio di sempre meno.

 

In secondo luogo, va tenuto presente che la tecnica è quella usuale, non solo del meccanismo europeo: si mettono a disposizione risorse per degli scopi, e quindi secondo un progetto, e se ne controlla l'esito. Non sono solo tutti i governi che fanno questo, ma proprio tutti (dalle aziende alle famiglie, passando per gli individui stessi). Dunque in questo non c'è il problema.

 

In terzo luogo, la direzione e la divisione dei ruoli che viene messa in campo è quella tipica della forma semi-confederale (altamente incompleta) del sistema di governo quadripartito europeo (dove i poli di potenza sono gli Stati Nazionali realmente tali - forse solo la Germania e in parte la Francia - il Consiglio Europeo, la Commissione Europea e la potentissima burocrazia europea stessa). Pochi indirizzano, i poli cercano un compromesso, la lotta infuria selvaggiamente tra le lobbies e i poteri deboli (che alzano tanto più la voce quanto meno contano) per strappare qualcosa (anche politicamente), fino a che emerge molto meno di quanto necessario, troppo tardi e pieno di vincoli e condizioni. Ma, anche qui, nulla di nuovo.


Abbiamo insomma, dopo mesi di furiosa lotta, un meccanismo tipico della governance europea, che controlla dei fondi, orienta e approva i progetti, eroga dietro rendicontazione e attento monitoraggio, produce un enorme giro di burocrazia. La differenza principale, che tuttavia è reale, è che mentre nel “normale” ciclo dei fondi strutturali (cui tutto è ispirato), c'è uno Stato che si indebita, trasferisce risorse a Bruxelles per finanziarne il bilancio, e riceve una parte tramite la relativa programmazione. Qui si ha Bruxelles che si indebita, programma ed eroga e poi il bilancio viene ripianato (interamente) dagli Stati membri. Una differenza contabile rilevante, ma in nessun caso un “regalo”.


Come giudicare quindi?

 

La questione centrale non è tanto se l’insieme degli interventi fa funzionare, ma per chi, come e in quale modo si sceglie e decide politicamente. Il punto cruciale da comprendere è che il capitalismo è un rapporto sociale; esiste concentrando nelle mani di pochi. Il movimento genera sempre una dialettica spaziale che è internamente connessa con la lotta di classe (ovvero con gli scontri di potere e sociali che costituiscono il sociale). Qualunque processo di valorizzazione è fatto di connessione e messa in relazione. La connessione, per portarla ad un livello di maggiore efficienza (quindi aumentando la creazione di “valore”), richiede sempre investimenti. La valorizzazione è, insomma, il rapporto tra le possibilità date dall’organizzazione dello spazio e le decisioni di localizzazione, di spostamento (di uomini, capitali, beni). Queste producono sempre gerarchie, almeno implicite. In altri termini i luoghi più dinamici, resi tali da opportuni investimenti, attraggono sempre risorse umane e di capitale dai luoghi meno dinamici. Proprio perché riescono a “valorizzarli” meglio (investire su piazze più forti, in mercati più solidi, trasferirsi dove il lavoro è più abbondante o i salari più alti, …). La dinamica del potere porta quindi a cercare sbocchi alle eccedenze, e ad acuire le forme della competizione. La competizione, nel quadro di sistemi di ‘coerenza strutturata’[19] entro luoghi ed alleanze sociali, porta dipendenze.

Il punto è che l’austerità, che era il sistema di governance principale europeo ante crisi, funziona molto meglio se viene messo insieme all’erogazione selettiva, perché impedisce che parte delle risorse create nei centri, per effetto della maggiore integrazione e quindi del rango accresciuto ricadano, disperdendosi, anche nelle limitrofe periferie. Tiene compresse queste ultime e le contiene permanentemente nella condizione di bacino di forza lavoro debole e servizievole e di fornitore di servizi a basso valore e soprattutto costo.

Le “tre lame” sono dunque parte di un progetto intrinsecamente imperiale di maggiore organizzazione dello spazio europeo come una sola, enorme, macchina valorizzante a vantaggio dei centri attualmente dominanti. Ed ovviamente a svantaggio delle periferie interne ed esterne, sia geografiche sia sociali. Lo scontro al quale abbiamo assistito nasce quindi dentro questo schema condiviso, “Next generation” appunto: bisogna competere per controllare il mondo. E nasce proprio per decidere chi decide, o, in altri termini, quale periferia deve essere colpita dalla terza lama (la ripresa delle “regole”), ma anche quale parte deve essere invece interessata ed integrata con la parte forte del continente dalla seconda lama (l’erogazione dei fondi).

Non è affatto questione marginale. Si tratta di disporre del potere di ostacolare la nascita di potenziali concorrenti, di assicurarsi che i flussi di risorse umane e finanziarie continuino ad arrivare, di essere certi che le ragioni di scambio dei propri prodotti restino vantaggiose. In altre parole, il faro guida della trattativa è stato il “superiore interesse europeo”. Ma per comprenderne il senso occorre capire come le catene globali delle merci e dei servizi determinano le ragioni di scambio, ovvero i prezzi relativi di scambio, come si fissano, specializzano e consolidano i centri produttivi gli uni verso gli altri, dividendosi il lavoro in regime di complementarietà che è sempre anche subalternità, come si costruiscono e distruggono le economie regionali (della seconda dinamica abbiamo una qualche esperienza), osservando anche lo scontro tra le diverse frazioni del capitale e le diverse élite che lo gestiscono.

 

Considerando tutto ciò potremmo individuare due criteri:

1-      le misure sono adeguate al problema (per dimensione e tempistica)?

2-      Le linee di programma cui adattarsi sono congrue con le necessità delle società europee e sono correttamente prioritarizzate?


Entrambe le domande non sono tecniche. Sono domande politiche. Intendo dire che per rispondere è necessario prima farsi una domanda e rispondere. Adeguate per quale problema, e necessità di chi?

L’interesse che ha guidato il negoziato, insomma, sarà anche “superiore”, ma non lo è per tutti (i luoghi) e non lo è di tutti (gli attori sociali).

 


Peraltro, è da almeno un decennio che questo tema è sorto potentemente all'attenzione pubblica, sotto la spinta degli effetti diretti ed indiretti della modernizzazione diretta dal capitale e della interconnessione. Ovvero sotto la spinta del continuo mutare degli equilibri sociali a causa di tecnologie gerarchizzanti (bisogna sempre pensare questa parola come descrittore di differenze tra individui e territori) e di sistemi di dispositivi di contatto (ovvero di competizione, dato che ciò che è messo in contatto è forza lavoro e forme del capitale).

Viene in primo piano un problema rimosso: si tratta di rendere possibile il riassorbimento di queste tensioni laceranti (i cui effetti politici, antropologici e sociali sono sotto i nostri occhi), o si tratta, al contrario, di accelerare e potenziare la capacità dei centri guida (territoriali e sociali) di 'competere' con i pari grado internazionali e raccogliere le 'sfide'? Si potrebbe dire diversamente: la nostra società e quindi economia arretra e perde anche efficienza perché non è abbastanza capace di concentrare le risorse o perché lo fa troppo?

E in primo piano la domanda: è la parte più dinamica e interconnessa a dover essere sostenuta o forse quella meno? Si pensa all'economico come qualcosa che gocciola dall'altro o sorge dal basso?

 

La “lama” della spesa è insieme “bastone e carota” proprio perché serve essenzialmente a questo fine: gerarchizzare e disciplinare.


La questione è che, come non stupisce, l'insieme dei pacchetti di “ripresa e riconversione” è strettamente interno alla logica europea. Rispondono alle domande poste negandone la natura politica e immaginando una sola possibile strada: l'economia è una macchina che deve essere principalmente competitiva, per sottrarre altrove le risorse che non scaturiscono dal suo interno, e solo per questo deve anche essere resiliente e sostenibile.

Sulla base di questa logica sono in essi indicate tre priorità comuni a tutto il sistema europeo, e quindi sovraordinate ad ogni decisione che si possa prendere localmente:

1-      favorire la transizione digitale, l'innovazione e la competitività;

2-      contribuire alla transizione ambientale;

3-      garantire la resilienza (quindi ancora in logica competitiva, per questa serve l'educazione, la sanità).

 

Ma c'è di più. Perché dopo i tre macrocriteri comuni ogni programma nazionale da approvare dovrà rispondere anche a “pacchetti di raccomandazioni”[20] che, anno su anno, sono normalmente predisposti dalla Commissione. E qui si presenta, ancora, la logica stringente del progetto europeo. Sempre la stessa, dai soliti interessi per i soliti interessi. Ad esempio, nella raccomandazione 2020, che risente quindi della crisi da Covid, è incoraggiato il “lavoro agile”, flessibile e il telelavoro, insieme a misure come i congedi straordinari e il baby-sitting. Quindi l’apprendimento a distanza (ovvero il superamento del modello di istruzione tradizionale)[21], il potenziamento delle infrastrutture digitali, della fibra, del commercio elettronico (22). Naturalmente trovano spazio anche investimenti nella messa in sicurezza del territorio (21), la mobilità sostenibile e pubblica, l’efficienza energetica, le infrastrutture per la distribuzione delle acque e la gestione rifiuti, la ricerca (23), l’efficienza della pubblica amministrazione (24), tutte cose utili e necessarie.

Ma è nelle raccomandazioni finali del documento 2020, che si trova in particolare la forma del bastone:

-          appena le condizioni economiche lo consentano invita a “perseguire politiche di bilancio volte a conseguire posizioni di bilancio a medio termine prudenti e ad assicurare la sostenibilità del debito”;

-          attenuare l’impatto sul mondo del lavoro, “mediante modalità di lavoro flessibili”.


E' per questo che la carota è in realtà il bastone. Sempre il solito.

 



[2] - Cfr. Gabriele Pastrello, “Next generation fund: bastone & Carota”.

[4] - Il QFP copre i seguenti settori: mercato unico, innovazione e agenda digitale; coesione, resilienza e valori; risorse naturali e ambiente; migrazione e gestione delle frontiere; sicurezza e difesa; vicinato e resto del mondo; pubblica amministrazione europea.

[5] - Gli importi disponibili a titolo di Next Generation EU saranno destinati a sette programmi distinti: dispositivo per la ripresa e la resilienza: 672,5 miliardi di EUR (prestiti: 360 miliardi di EUR, sovvenzioni: 312,5 miliardi di EUR); REACT-EU: 47,5 miliardi di EUR; Orizzonte Europa: 5 miliardi di EUR; InvestEU: 5,6 miliardi di EUR; Sviluppo rurale: 7,5 miliardi di EUR; Fondo per una transizione giusta (JTF): 10 miliardi di EUR; rescEU: 1,9 miliardi di EUR.

[6] - La richiesta era di disporre di un potere di veto individuale sui bilanci degli stati destinatari dei flussi, in pratica decidendo dove ed in che modo questi potevano impegnare le risorse del loro bilancio ordinario per un lungo tempo. Si sarebbe trattato di un effettivo commissariamento, ma ancora più radicale di quello imposto alla Grecia, in quanto non condiviso dalla Commissione nel suo insieme.

[7] - Quindi dalla Commissione e dal Consiglio.

[8] - Peraltro ripercorrendo quanto già comunicato dalla Commissione. Precisamente: “In linea con i principi della buona governance, gli Stati membri prepareranno piani nazionali per la ripresa e la resilienza per il periodo 2021-2023, che dovranno essere coerenti con le raccomandazioni specifiche per paese e contribuire alla transizione verde e digitale. Più in particolare, i piani devono promuovere la crescita e la creazione di posti di lavoro e rafforzare la ‘resilienza sociale ed economica’ dei paesi dell'UE. I piani saranno riesaminati nel 2022. La valutazione di tali piani sarà approvata dal Consiglio con votazione a maggioranza qualificata su proposta della Commissione. L'erogazione delle sovvenzioni avrà luogo solo se sono conseguiti i target intermedi e finali concordati, stabiliti nei piani per la ripresa e la resilienza.

Qualora, in via eccezionale, uno o più Stati membri ritengano che vi siano gravi scostamenti dal soddisfacente conseguimento dei pertinenti target intermedi e finali, possono chiedere che il presidente del Consiglio europeo rinvii la questione al successivo Consiglio europeo.”

[9] - Che non è progettata da alcuno ma sfruttata da molti (una sorta di shock esterno moderatamente simmetrico che allo stato ha comportato arretramenti complessivi di Pil del 8-10% e massivi rallentamenti di molti mercati e settori produttivi).

[11] - Per ora neutralizzata, ma non definitivamente.

[12] - Il Peep al momento tiene sotto controllo i tassi e riduce lo spread tra questi, ma nel frattempo l’indebitamento sale per effetto delle insopprimibili necessità di spesa emergenziale e quindi il rapporto deficit-pil continua a salire. Quello italiano è atteso al 150% e quello dei principali paesi europei sopra il 100%. Al momento in cui cesserà sarà decisivo il rapporto reciproco tra questi.

[13] - Al momento sospese ma solo fino a che l’Europa nel suo complesso è interna alla crisi. Ci si può aspettare che nel 2022 o 23 sarà riattivato (non necessariamente nella stessa esatta forma). Nel documento di raccomandazioni per il 2020 si legge (5): “Il 20 marzo 2020 la Commissione ha adottato una comunicazione sull'attivazione della clausola di salvaguardia generale del patto di stabilità e crescita. La clausola di cui all'articolo 5, paragrafo 1, all'articolo 6, paragrafo 3, all'articolo 9, paragrafo 1, e all'articolo 10, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 1466/97 e all'articolo 3, paragrafo 5, e all'articolo 5, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1467/97 facilita il coordinamento delle politiche di bilancio in tempi di grave recessione economica. Nella sua comunicazione la Commissione ha condiviso con il Consiglio il suo parere secondo cui, data la grave recessione economica che si prevede a seguito della pandemia di Covid-19, le condizioni attuali consentono l'attivazione della clausola. Il 23 marzo 2020 i ministri delle finanze degli Stati membri hanno concordato con la valutazione della Commissione. L'attivazione della clausola di salvaguardia generale consente una deviazione temporanea dal percorso di avvicinamento all'obiettivo di bilancio a medio termine, a condizione che la sostenibilità di bilancio a medio termine non ne risulti compromessa. Nell'ambito del braccio correttivo il Consiglio può anche decidere, su raccomandazione della Commissione, di adottare una traiettoria di bilancio riveduta. La clausola di salvaguardia generale non sospende le procedure del patto di stabilità e crescita. Essa permette agli Stati membri di discostarsi dagli obblighi di bilancio che si applicherebbero normalmente, consentendo alla Commissione e al Consiglio di adottare le necessarie misure di coordinamento delle politiche nell'ambito del patto”.

[15] - Ovvero all’insieme delle forze che esercitano influenza primaria sulla governance europea: il sistema delle grandi imprese multinazionali europee, il sistema finanziario, le componenti del lavoro connesse con la grande industria di esportazione, alcune forze politiche. In altre parole, a quell’assetto del capitalismo europeo che vede da una parte un grande polo tedesco imperniato sulla produzione per esportazione e la grande finanza ad esso intrecciata ma anche da tempo semiautonoma e quindi dedita ad operazioni meramente speculativa (dal tempo di Schoroder, che volle imitare il modello britannico, la Germania si è finanziarizzata, allentando il tradizionale legame triangolare tra industria, banche locali e sindacati). Dall’altra il sistema militare-industriale francese (l’unico rimasto) e il sistema bancario e finanziario relativo. Il sistema industriale e finanziario italiano, il secondo del continente, manca di coesione e di “mission”, e quindi tende a ridursi a satellite (se pure rilevante) dei primi due ed in particolare della Germania.

[16] - Il sistema finanziario tedesco, in particolare, gravato da una politica estremamente spregiudicata, è in condizioni estremamente precarie.

[17] - Le quali non si ‘reggono’ ad un calcolo razionale costi-benefici e dunque non risulteranno finanziabili secondo gli stringenti parametri europei.

[19] - Termine dovuto a David Harvey, per il quale devo rimandare a Alessandro Visalli, “Dipendenza. Capitalismo e transizione multipolare”, Meltemi 2020.

[20] - Cfr. “Raccomandazione del Consiglio”, 2020.

[21] - Punto 19. “L'emergenza attuale mostra inoltre la necessità di migliorare l'apprendimento e le competenze digitali, in particolare per quanto riguarda gli adulti in età lavorativa e l'apprendimento a distanza. Investire nell'istruzione e nelle competenze è fondamentale per promuovere una ripresa intelligente e inclusiva e per mantenere la rotta verso la transizione verde e digitale. […]  In quest'ottica è particolarmente importante investire nell'apprendimento a distanza, nonché nell'infrastruttura e nelle competenze digitali di educatori e discenti”.

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