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mercoledì 10 febbraio 2021

Il Proconsole imperiale: draghi, serpenti, vermi.


Nel tardo impero romano, intorno al 417 d.c., quando le spinte interne ed esterne si facevano sempre più insopportabili, Rutilio Namaziano, reagendo alla profanazione gotica, eleva il suo inno all’ordo renascendi. Roma si fortificherà nelle disgrazie e trarrà vigore da ogni disavventura.


Porrige victuras Romana in saecula leges

Solaque fatales non vereare colos

Quamvis sedecies denis et mille peractis

Annus praeterea iam tibi nonus eat

Quae restant nullis obresolvit

Ordo renascendi est crescere posse malis[1]

 

L’ex senatore e prefetto urbano nella urbis affacciata sul Tevere torna nella sua natia Gallia, ma nel farlo rivendica il suo status di membro della curia (senatoriale) che annulla tutte le differenze di origine geografica, garantendo la partecipazione alla somma potestà dell’ordine et partem genii, quem venerantur, habent. Il genius in questione essendo, probabilmente, quello dello stesso ordine senatorio (o, in alternativa, il più ampio del populi romani). Questa curia, che lo ha accolto provinciale e che lo restituisce trasfigurato è, niente di meno, che modello in terra del concilium summi dei, circostanza che consente alla classe senatoria di sentirsi superiore e “diversa”, e di fatto li legittima all’esercizio del governo ovunque nell’impero. Ciò anche oltre lo stesso imperatore.



Nella generale disgregazione (formalmente Roma cadrà solo pochi decenni dopo) una intera cultura politico-istituzionale è durissimamente impegnata, questione di vita e morte come si vedrà, in una opera sistematica di elaborazione di strategie per difendere le prerogative ed i privilegi socio-economici della classe senatoria, al contempo ricomponendo l’incerta solidarietà di classe nell’ordo. Rilegittimando, quindi, le pretese di governo e leadership sociale. Leadership che è affermata attraverso il richiamo alle cariche, certo, ma anche alla frenata potestas. Al potere esercitato con moderazione che determina, secondo il poemetto, inevitabilmente e invariabilmente l’entusiasmo ed il consenso popolare intorno ai governatori. Alla virtus, al meritum, al boni, che determina necessariamente buon governo, anche quando gravoso.

Quindi il richiamo alla reverentia e alla amicitia di classe che solo i folli possono spezzare, rompendo un vincolo politico-sacrale, garanzia di tutte le nobiltà dell’ordo.

 

Rutilio Namaziano riafferma, nel suo canto del cigno, le prerogative dei boni e del loro cursus honorum, proprio quando queste erano sfidate dalle nuove aristocrazie barbare (dai Vandali in Gallia e dai Goti in Italia) e dal centro imperiale stesso, che da tempo si appoggiava a nuovi ceti. Tanto più la situazione si allontanava dal dominio dei clarissimi, tanto più diventava necessario riaffermarlo. La battaglia per la rinascita della tradizione, nel colore del tramonto, si fa serrata. E vitale diventa richiamare tutti i membri dell’ordine, vecchi e nuovi, di antichissimo lignaggio come di recente generazione, ad una coscienza comune, quella dell’essere la pars melior humani generis.

Si tratta dell’ultimo ed erculeo sforzo di rimettere in gioco la classe senatoria, direttamente, quale forza condizionante decisiva dell’intero assetto del potere occidentale. Anche davanti alle rovine, testimoni della decadenza, solo la classe senatoria, si afferma, ha gli uomini adatti ed il bagaglio morale, culturale ed ideologico indispensabile per innescare la “legge della rinascita” e consentire di risorgere dalle proprie rovine. Per un breve tratto sembra anche avere successo. Il comes et magister utriusque militiae Flavio Costanzo respinge i visigoti in Spagna e nel 413 in Africa è sconfitto Eracliano, quindi Galla Placidia si sposa con lo stesso generale nel 417. Sembrava che la tempesta potesse essere respinta.

......

Un proconsole ci ha raggiunto. Reca con sé tutti i segni della Vittoria. Benedetto dal genius che da giovane lo ha accolto nella urbs, è legittimato da questo al governo, in ogni provincia imperiale. Promette, magnanimamente, una frenata potestas, lui che fa indubitabilmente parte dei boni, e che brilla splendente nella sua virtus e per il suo meritum.

Il suo richiamo alla unità della classe, alla amicitia ed alla reverentia, è di quelli che non si possono rifiutare. Come si vede sono accolti da tutti. Da tutto il bestiario.

 

Da qui bisogna partire, da questa che senza il clima da tardo impero, senza i barbari alle porte, resterebbe incomprensibile: la reverentia e l’amicitia di tutti. Non c’è in pratica programma politico (il poco che c’è dovrebbe dividere aspramente[2]), non c’è davvero una emergenza impellente[3], non ci sono ragioni italiane sufficienti. Questa è la ragione per la quale ho pensato ed osservato in questi primi dieci giorni, tacendo.

Perché mandare un proconsole? Perché farlo adesso?

Siamo sotto la minaccia delle “tre lame”[4], in mezzo ad una emergenza sanitaria persistente[5], al passaggio di spalla al fucile del dominus americano[6]. Tutte cose gravi ed importanti, ma, alla fine, il debole ed insufficiente governo Conte II stava più o meno tenendo il campo, non tanto peggio dei predecessori, non tanto meglio. Non stava cadendo nessun tetto, non bruciava la casa.

E’ vero: gravi, gravissime, erano le emergenze economiche, la divaricazione sociale, la sanguinolenta ferita nella carne delle classi medie inferiori, in particolare di quelle periferiche rispetto al modo di produzione che si andava da tempo affermando[7]. Tuttavia, quel che accade ha pochi precedenti, forse nessuno.



Cercare le ragioni della discesa, diretta, del proconsole, richiede di guardare alla geopolitica del virus, alla crisi di potenza, ed allo sforzo disperato di riaffermarsi di un ordo che è disposizione ordinata, schiera militare, rango e ceto, quindi sistema, metodo, regolarità, norma. Ma anche rito, sacramento, benedizione. L’ordine di cui Draghi è eminente membro, clarissimus[8], attraversa l’intero occidente, si manifesta ovunque ci sia una longa manus della alta finanza di osservanza angloamericana, attraversa tutte le stanze ed i palazzi, è ascoltato sempre per primo e per ultimo, dispone del potere di morte.

 

Quel potere che oggi è davanti a noi.



[1] - Rutilio Namaziano, “De reditu”, cit in Sergio Roda, “Nobiltà burocratica, aristocrazia senatoria, nobiltà provinciali”, “Storia di Roma”, 3.I, Crisi e trasformazioni, Einaudi, 1993, p.643.

[2] - Ne parleremo man mano che diventa noto, ma le promesse di fermezza ‘schumpeteriana’, avanzate al G30, un think thank della Rockefeller Foundation (nome che non ha bisogno di presentazioni), di cui è il Presidente con Raghuram Rajan, annunciano fiumi di sangue. Proprio la constituency della Lega, e parte di quella del M5S, dovrebbero sentire le lontane campane della propria morte. D’altra parte, il rispetto “europeo”, con la meccanica spietata del “Recovery” (pochi soli in cambio di “riforme”), dovrebbe fare eco anche a quelle della “sinistra”.

[3] - La situazione è grave, ma nulla stava accelerando e/o precipitando. Se qualcuno teme i fallimenti, crescenti, abbia paura di Draghi, non del tenue e democristiano Conte.

[5] - Grave, gravissima, ma in fase lentamente calante e con la campagna vaccinale in corso (lentamente, ma non solo per colpe italiane, atteso che anche gli altri principali paesi della Ue – la Gran Bretagna non ne fa più parte – erano nelle condizioni eguali o peggiori).

[6] - Ovvero, ovviamente, nel passaggio dal governo Trump a quello Biden, molto più vicino ai circuiti di optimates cui il nostro clarissimus si riferisce da sempre.

[7] - Si veda, per un tentativo di tratteggiare alcuni degli incroci di questo anno spariacque, il post “Spartiacque, il 2020”.

[8] - Alto funzionario imperiale nel tardo impero, preceduti dagli illustres e dagli spectabiles e seguiti dai perfectissimi.

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