A
partire dalla crisi del 2007 un neolingua si fa avanti. O meglio, a partire dal
dispiegarsi degli effetti sociali della crisi sistemica innestata dal crollo
della piramide dei debiti intrecciati ed incorporati nei meccanismi
riproduttivi della società. Questa neolingua indica l’asserragliamento dei “Giusti”
nella difesa delle categorie (rapresentation matters), nella politica delle
identità che ne consegue, la ricerca di una zona senza traumi (safe space) ben
presidiata da virtue signaling. In un interessante libro (anche se radicalmente
aneddotico) da poco uscito[1] viene citato un raccontino
di Meghan Daum sulla metropolitana di New York:
“era
mezzanotte, nel vagone c’era poca gente: due ragazzi discutevano tra loro, un
gruppo di ragazze in minigonna. A un certo punto sale un senzatetto, nero,
barcollante, non si capiva se strafatto, ubriaco o con qualche problema
psichiatrico (Daum scommette su tutte le cose insieme).
La
accosta, lei non se lo fila, lui ripiega sul gruppo di ragazze. Che continuano
per qualche fermata a chiacchierare con lui, secondo la (plausibile)
interpretazione di Daum perché sono compiaciute del loro rivolgere
generosamente la parola a un disagiato, e perché a loro sembra una creatura
esotica allo zoo. Quando arriva alla sua fermata, il tizio si avvia all’uscita
lanciando baci e auguri alle ragazze, e dicendo a Daum ‘tu invece passa una
notte di merda, stronza’.
Daum
non fa un plissé: il tizio non era certo minaccioso, non si reggeva in piedi e,
anche gli fosse venuto in mente di aggredirla, nella carrozza c’era gente che
avrebbe potuto difenderla. Nella New York del Novecento, dice, un episodio del
genere sarebbe stato dimenticato dai passeggeri dopo mezzo secondo. In quella
di quest’epoca, i passeggeri maschi sentono di dover solidarizzare con lei ed esprimerle
il loro dispiacere per il traumaticissimo episodio e l’ingiustizia che le è
toccata in quanto donna”.
Cosa
era successo?
Come
la mette la Daum, i ragazzi “erano diventati uomini che percepivano se stessi
come oppressori. La cui risposta a un senzatetto mentalmente instabile che dà
della stronza a una donna e le augura una notte di merda era scusarsi a nome
dell’intero patriarcato”.
Ma,
ovviamente, la cosa non ha nulla a che fare con la misoginia, l'uomo ringrazia
affettuosamente le ragazze, ma attiene alla classe sociale, la razza, l’economia
e una serie di altri fattori che sono divenuti completamente invisibili a
individui che dei diversi campi attivati dall’episodio vedono solo il meno
probabile.
Nel
2017 nei dizionari americani è stata inserita la parola “woke” e
significa “stare dalla parte dei buoni”, essere sensibile alle ingiustizie
sociali, alle giuste cause. Un wokeness sa sempre come punire ogni
misgendering.
A
partire dal 2010, circa, il New York Times[2], bibbia di questa neolingua
altamente influente, è passata da meno di 500 articoli all’anno sulla “whiteness”
a oltre 2.000, da quasi nessuno a 15.000 sul “diversity and inclusion”, lo
stesso andamento per “sexism”, “misogyny”, “sexist”, “patriarchy”, “manslaining”,
“toxic masculinity”, “male privilege”, “women empowerment”, “sistemic racism”, “white
privilege”, “white nazionalism”, “Queer”, “hate speech”, “traumatizing”, “cultural
appropriation”, “micro aggression”, “intersectionality”, “safe space”, “inclusivity”.
Mentre
sono cresciute, ma erano ben presenti anche prima parole come “feminims” (che è
comunque quadruplicata), “racism”, “homophobia” (questa è cresciuta solo del
30%), “Gay rights”, “anti semitism” (questa è cresciuta poco, era molto presente),
“intolerance”, “social justice”.
Dunque
il New York Times è diventato woke da una decina di anni. Un’ondata di razzismo
e sessismo aumentata a dismisura? O di qualcosa di altro? Maurizio Tirassa si
chiede, giustamente, se ad aumentare a dismisura non siano state, piuttosto, le
ingiustizie economiche (e con esse i senzatetto). E se, quindi, il
giornale/multinazionale americano non stia cercando di distogliere l’attenzione.
Un
poco quel che è successo nell’episodio del “sofagate”. Che apre, in effetti
molte domande[3],
potrebbe essere l’immagine di uno scontro interno alla gerarchia europea
(notoriamente molto rissosa[4]), una questione interna
turca[5], un modo per sottolineare
che si parla con gli Stati (per essa Germania e Francia) e non con la Commissione,
un modo per umiliare in blocco la stessa Ue, ma di tutti questi piani complessi
e imbarazzanti (come il motivo fondamentale della visita[6]) si vuole vedere solo il
lato “micro-aggressivo”. Nel vocabolario del NYT: “sexism”, “misogyny”, “patriarchy”,
“manslaining”, “toxic masculinity”, “male privilege”, “women empowerment”, “traumatizing”,
“micro aggression”, “intersectionality”, “safe space”, “inclusivity”.
Tutto
questo preambolo, che serve a porre la cornice, nella quale inserire i grandi
fenomeni storici dei quali ci parla il post[7] di Vincenzo.
Noi
non ci accorgiamo di nulla perché siamo impegnati a discutere di “cancel
culture”, di “micro-aggressioni”, di “guerra dei sessi”, e via dicendo… mentre
intorno a noi si preparano le guerre, si cancellano intere generazioni, e
territori, si accaparra tutto il possibile. Fino a che non lo capiremo saremo
sempre inermi. Faremo solo “chiacchiere inutili”.
Scrive
Vincenzo, docente di filosofia all’Università Vita-Salute San Raffaele di
Milano.
“La fine della UE.
Non ci siamo accorti, ma la UE non
esiste più. Certo, esiste un insieme di istituzioni, ma la UE ha cessato di
essere l'orizzonte politico entro cui si muove e si muoverà la politica degli
stati. Se le istituzioni rimangono, e rimarranno forse per un periodo
indeterminato, è solo perché nessuno sa più come farne a meno senza produrre
danni. Come se si fosse creato un mostro che tutti vorrebbero abbattere ma che
oramai bisogna tenere in vita perché abbattendolo cadrebbe su chi lo ha
costruito. Condannati a stare nella UE, senza farsi distruggere da essa: questo
è l'orizzonte politico dei prossimi decenni.
Ma come orizzonte ideale e politico la
UE non esiste più. Nella realtà la UE non è finita a causa dei sovranisti: è
finita perché è una macchina farraginosa, incapace di prendere decisioni in
tempi brevi, e di prenderle offrendo certezza. Il recovery Plan non si sa
ancora se ci sarà, a quanto ammonterà, il patto di stabilità non si sa se
tornerà a regime e quando. Come fa uno Stato a progettare?
La UE non solo non è stata capace di
produrre in proprio un vaccino, pur donando abbondantemente denaro alle
industrie farmaceutiche, ma non è stata neanche capace di fornire e produrre la
necessarie quantità di vaccini. Ora si oppone, per ragioni politiche, a Sputnik,
ma i tedeschi e gli austriaci vanno per i fatti loro. Restiamo come al solito
noi, gli europeisti esaltati (Binswanger la chiamava esaltazione fissata, una
malattia grave eh), a vincolarci alla UE, a immolarci sull'altare dell'ideale.
Il processo di disgregazione è in
marcia. Michel e la von der Leyen litigano, e parrebbe che alla base della
sedia mancante ci fossero divergenze tra di loro, tra chi aveva stabilito i
protocolli. E le ragioni politiche e di dissenso politico tra gli stati
rispetto alla Turchia è profondo.
Di fatto, ognuno si muove come se la UE
non esistesse. Ognuno capisce che la UE è una disgrazia, per i vincoli che pone
e l'incapacità che esprime, che non può non esprimere per il modo in cui è
stata costruita. La UE PARALIZZA in un mondo in cui contano decisioni rapide.
E' stata pensata male (a partire da
Spinelli, che è giunto il momento di iniziare a decostruire severamente) e
costruita peggio. Ora per tutti il problema è: sopravvivere nonostante la UE.
Ma per nessuno è un orizzonte, né ideale
né vincolante. Per tutti è solo un fardello di cui è difficile liberarsi
oramai.
Morirà giorno dopo giorno, senza
clamore, senza rotture, di consunzione. Gli altri sono già tutti usciti dalla
UE, fanno come se non ci fosse. Tranne qualche anima bella da noi, come gli
europeisti che non hanno mai incontrato gli europei fuori dai confini.
A costoro farebbe assai bene parlare con
qualche tedesco, polacco, francese, danese. Sarebbe per loro un sano bagno di
realtà. Per dirla con le parole di un mio amico polacco: ‘A noi della UE non ce
ne frega niente. CI va bene sin quando arrivano i fondi europei. Il resto sono
chiacchiere inutili’.”
Mentre
ci distraggono accuratamente il mondo passa avanti e si prepara a trovare un
nuovo assetto complessivo nel quale ci sia nuovamente spazio per l’azione
intenzionale collettiva e per la concentrazione delle forze. A questo nuovo mondo
l’Unione Europea, nata all’alba del mondo che ora tramonta, serve come l’acqua
a chi affoga. L’istituzione pensata quando il neoliberismo sembrava millenario
e quando l’unica missione era imbrigliare gli Stati nazionali, visti come
relitti storici, per lasciar correre la carica distruttiva dei mercati, oggi,
che siamo in piedi su un cumulo di macerie, è passata per eccesso di successo.
Dunque
è finita, non esiste più. Non è più per nessuno l’orizzonte
politico nel quale si possano muovere le forze. Lo scontro che è andato in
scena era, si capisce ogni giorno di più, tra il Consiglio degli stati europei,
che vogliono muoversi, e la Commissione che lo impedisce con minuziose ed
inutili regole, cavilli, commi. Gli Stati Uniti rispondono alla crisi del Covid
con una nuova dottrina economica (in formazione[8]) che mette nella
cassapanca della storia lo schema tagli/deregolazione/rischio/monetarismo e
propone investimenti per 2.000 miliardi, sostegni ai redditi di pari entità,
programmi per l’occupazione di massa, aumento delle tasse per le grandi
imprese. I centri di pensiero del capitalismo internazionale cercano di pensare
a nuove retoriche[9].
L’Europa propone scarsi 700 miliardi e regole, regole, regole, regole… piano di
acquisti dei vaccini fallimentare, una burocrazia ad essere gentili (noi non
siamo magistrati) prigioniera delle multinazionali, … incapacità assoluta di
difendere i confini, e via dicendo.
È
chiaro che la risposta alle esigenze del tempo, intanto ora per quanto attiene
la risposta alla pandemia (economica, sanitaria, sociale e politica) si dovrà
manifestare agendo ognuno per sé e malgrado la Commissione. Che, quindi,
resta in piedi. Manifestamente umiliata.
Come
vanno questo genere di cose? Vincenzo ha ragione, secondo me. Le istituzioni
resteranno, di umiliazione in umiliazione, per molto tempo. I loro riti saranno
stancamente ripetuti, ma tutti sapranno che la sedia da mettere a fianco per
parlare di cose serie è quella del Consiglio. E, possibilmente, direttamente
quella del paese con cui si parla, saltando il ventriloquo. Ogni tanto la Ue parlerà
e si farà finta di rispondere.
I
paesi deboli saranno redarguiti, e loro risponderanno a Bruxelles incontrando a
Washington, o a Berlino, chi ha fatto davvero la domanda. Il mostro, come lo
chiama Vincenzo, sembrerà in vita. Ma solo i distratti ed i male informati, e
gli ideologi, lo guarderanno ancora.
Per
tutti gli altri ci sono le “micro aggressioni” a riempire la vita.
Questo
è tutto.
[1] - Guia Soncini, “L’era della
suscettibilità”, Marsilio 2021.
[2] - Si veda questo articolo che si
chiede se il NYT sia “woke”
https://marginalrevolution.com/marginalrevolution/2019/06/the-nytimes-is-woke.html?
[4] - A tutti i piani di scontro
derivanti dalla impossibile necessità di trovare un equilibrio a paesi che
guardano a sud, est, ovest, e che competono molto più di quanto cooperino, si
aggiunge il manifesto fallimento del “Next Generation Eu”, la sua insufficienza,
e la pressante necessità di mettere in campo soluzioni per le quali la Ue è
molto più un freno che non un aiuto. Ne parliamo dopo.
[5] - Nello scontro che è economico e
sociale, e quindi culturale, tra conservatori dell’interno anatolico e modernisti/progressisti
delle coste e delle città dense.
[6] - Rinnovare l’accordo sugli
immigrati.
[8] - https://contropiano.org/news/news-economia/2021/04/09/ora-e-lestablishment-a-rifiutare-il-neoliberismo-0137919?
[9] - Si veda Klaus Schwab, Thierry
Malleret, “Covid
19: the Great Reset”, 2020.
Solo un dettaglio, per segnalare che l'inversione di tendenza Usa è minore di quello che può apparire : l'aliquota pre-Trump per le grandi corporations era del 35, con Trump scese al 21, Biden la porta al 28, siamo comunque sotto al 35. Se poi paragoniamo la fiscalità Usa per le imprese e le persone fisiche con quella post-New Deal, siamo ancora, e credo si resterà, su due pianeti differenti.
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