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domenica 13 marzo 2022

Leggendo dentro la crisi: visioni dell’egemonia tra Cina e Usa.

 

Un lungo articolo[1], pubblicato il 26 dicembre 2021, di Wen Wang (ricercatore all’università di Fudan) propone la visione cinese sul crollo dell’Urss e sulle ambizioni che l’hanno provocato. L’articolo è ripreso e commentato da David Goldman[2] che si chiede per quale motivo l’Occidente pensa che la Cina voglia l’egemonia mondiale sul modello americano. A sua volta questo articolo segue ad un più recente articolo[3] del medesimo autore che riflette sulla crisi Ucraina a partire dall’incapacità dei principali strateghi americani di fare i conti con la prospettiva del loro relativo declino strategico. Come illustra Goldman questi sembrano dare per scontato che non siano possibili giochi a vantaggio reciproco nell’egemonia sul mondo. Che questa debba e possa essere detenuta tutta da loro (con o senza compartecipazione dei principali paesi ‘alleati’ come Europa e Giappone) o, come unica scelta, tutta da un’altra alleanza. Che sia, cioè, questione di vita e morte, di evento decisivo.

Questo spiegherebbe la determinazione a provocare, costi quel che costi, il soffocamento immediato di qualunque potenziale controegemone, sia esso la Russia o la Cina (o prima la Russia e poi la Cina).



Ma prima di entrare nel tema guardiamo di cosa stiamo parlando, cioè della morte di tutti, buoni e cattivi, santi e peccatori. In un articolo[4] di Christopher Chivvis, su The Guardian, l’autore, che è il Direttore dell’American Statecraft Program presso il Carnegie Endowment for International Peace[5], descrive la situazione e le simulazioni condotte dagli esperti per prevedere i possibili esiti delle diverse scelte. In base alla sua esperienza come ex ufficiale dei servizi segreti Usa individua solo due possibili esiti finali: una sconfitta Ucraina molto difficile da digerire per gli Stati Uniti o l’escalation che potrebbe attraversare la ‘soglia nucleare’. Come dice, Putin “inquadra deliberatamente la sua operazione in Ucraina nello stesso modo in cui gli Stati Uniti hanno strutturato le proprie operazioni di cambio di regime in Kosovo, Iraq e Libia”. Ovvero accusando l’Ucraina di essere uno stato terrorista. Chiaramente, dal suo punto, “queste sono foglie di fico trasparenti per quella che non è altro che una guerra di imperialismo brutale[6].

Del resto, prosegue, se il lavoro non viene portato a termine in fretta a Putin resterà solo di trattare le città Ucraine molto più brutalmente. Ma anche la caduta del governo ucraino, e la sua sostituzione con uno aderente alla Russia, potrebbe portare ad un’escalation se gli Usa favorissero la guerriglia nel paese, con relative rappresaglie e controrappresaglie. In alternativa, se le forze russe una volta sconfitte dovessero arretrare quelle ucraine potrebbero, trascinate dall’impeto, proseguire ed attaccare le retrovie stesse, provocando una controreazione nucleare. Tutti questi scenari, per come si vogliano modellare, portano insomma alla soglia nucleare. Sono stati condotti decine di “giochi di guerra”[7] e tutti chiariscono che Putin userebbe l’arma nucleare se si sentisse minacciato. Ad esempio, se un esercito Nato entrasse nel territorio Russo.

Chiaramente se fosse superata la soglia nucleare non necessariamente si arriverebbe allo scambio nucleare globale (ed alla fine dell’umanità) ma resterebbe comunque uno spartiacque nella storia mondiale rompendo un resistente tabù. L’ipotesi più probabile è, infatti, che la Russia usi una piccola arma nucleare “non strategica” contro uno specifico bersaglio militare in Ucraina (se dovesse stare perdendo), allo scopo di dimostrare la propria determinazione. Oppure potrebbe far esplodere una bomba ad alta quota per spegnere le reti elettriche ed elettroniche in una vasta area, anche nella Nato. Gli Usa risponderebbero con un’analoga mossa, in modo da dimostrare la propria determinazione, e di qui una terza Russa. Se a questo punto si comincia a parlare dopo la grande paura i “giochi” vanno verso una risoluzione positiva. Se no “il mondo è distrutto”. Ma anche se va bene, e si ritorna in pace, ormai “il tabù nucleare è stato infranto e siamo in un'era completamente nuova: due superpotenze nucleari hanno usato le loro armi nucleari in una guerra”. Da allora in poi ci sarà una inarrestabile proliferazione ed il rischio nucleare aumenterà a dismisura.

L’escalation, mossa dall’emozione e dagli interessi, è quindi una potente possibilità. Fino ad ora Biden, dice l’articolista, ha resistito al coinvolgimento diretto dell’esercito Usa (es. con la “no fly zone”), ma aumentano le voci che lo vogliono[8]. I falchi si oppongono ad ogni soluzione negoziata.

Le conseguenze, anche nel caso migliore, comunque saranno: “crescente accumulo di forze convenzionali al confine tra Nato e Russia, livelli più elevati di spesa per la difesa negli Stati Uniti a scapito dei programmi interni, la fine degli sforzi per ridurre la posizione militare degli Stati Uniti nel Medio Oriente e meno risorse per la concorrenza strategica con la Cina”. Alla fine in ogni caso, conclude, gli Stati Uniti dovranno accontentarsi di un quadro molto più brutto di quello che era prima della guerra, “e prima Washington lo accetterà, meglio è”.



Wen Wang, celebrando l’anniversario della storica decisione del Soviet Supremo della Unione Sovietica di scioglierla, il 26 dicembre 1991, ricorda come George Kennan[9], poco dopo, raggiunti i 91 anni qualificò l’evento come “il più strano, sorprendente, a prima vista, della improvvisa e completa disintegrazione delle grandi potenze conosciute successivamente come Impero Russo e poi Urss”. Una cosa “difficile da spiegare” e da inquadrare, dice l’ex diplomatico, e da inquadrare nel contesto della storia delle relazioni internazionali dalla metà del XVII secolo in poi. E Kennan, vale la pena ricordarlo era uno dei principali protagonisti della politica Usa dalla Seconda guerra mondiale in poi. Insomma, è stato qualcosa di molto profondo.

Negli ultimi trenta anni, poi, c’è stato un altro evento profondo e difficile da spiegare: l’ascesa della Cina (o meglio, il ritorno). Questo evento impedisce una spiegazione semplice di quell’evento. Quella che lo vede come il fallimento o crollo del socialismo, o del “blocco orientale”. In quanto entrambi sono ben lontani dall’essere falliti o sconfitti a causa della Cina che li rappresenta entrambi come caso di grande successo. Si tratta di qualcosa che non si riesce a spiegare con i canoni classici delle teorie liberali. Non è né “finita la storia”, né è “crollata la Cina”, come le teorie avrebbero dovuto prevedere infallibilmente.

Secondo Wang non solo questa non è crollata, ma neppure è una “minaccia” per il sistema internazionale. Il fatto è che, come nella fisica ottocentesca terremotata dalle nozioni della relatività e dei quanta le nozioni politologiche dovrebbero aprirsi ad una rivoluzione cognitiva. Ricomprendendo nozioni ‘assolute’ (ovvero ‘newtoniane’) come “libertà”, “democrazia” e “diritti umani” entro quadri diversi e meno obsoleti, ovvero più realisti. Entro questi comprendere anche il crollo dell’Unione Sovietica, che non ha a che fare specificamente con il crollo del marxismo, ma con una molto più lunga evoluzione storica.

La narrativa della missione storica contro “l’asse del male” (Reagan) e del “nuovo ordine mondiale” fondato su “libero mercato, libero scambio e società libere”, affonda infatti radici profonde nella storia anglosassone. Nel 1650 Oliver Cromwell in un discorso al Parlamento Inglese denunciò l’asse del male in “tutti gli uomini malvagi del mondo” in quanto “contro tutto ciò che poteva servire alla gloria di Dio e agli interessi del suo popolo”. Ovviamente si riferiva all’Impero Spagnolo cattolicissimo che, in quanto non puritano, era “ostile a noi popolo di Dio dall’inizio alla fine”. Di volta in volta i “paesi anglosassoni” hanno designato in questo ruolo di “asse del male”: l’impero spagnolo, l’impero coloniale olandese (anche se correligionario), la Francia dal XVII al XVIII (e XIX) secolo napoleonico, la Germania e la Russia, zarista o non. Questo è il reale quadro storico per lo studioso cinese. Dottrine, principi e ideali sono lo sfondo, ma la sostanza è una guerra per l’egemonia che fa uso, da entrambe le parti, di violenza ed abuso di linguaggio (e tanta, tanta ipocrisia). Come ricorda anche Walter Mead[10] la demonizzazione degli avversari è sempre stata connotata anche in senso razziale. La cosa è ovviamente reciproca, la pia Francia ha combattuto la perfida Albione richiamandosi alla tradizione romana contro Cartagine. Un regno contadino contro uno ambizioso e commerciale, infido e crudele. Cosa che vale anche per la Germania. Il primo ministro francese George Clemenceau dirà “Gli Stati Uniti sono l'unico paese nella storia che è andato miracolosamente direttamente dalla barbarie alla depravazione, senza la consueta separazione delle civiltà”, ed il sovietico Genrich Volkov, del medesimo bersaglio polemico, l’americano “in generale è ostile agli esseri umani, alla cultura personale e spirituale e ha una passione per il guadagno simile a Shylock, non solo nel sangue, ma anche nell'anima vivente e nel cuore pulsante”. Oppure Mahamoud Ahmadinejad disse: “Queste persone hanno i gomiti immersi nel sangue di altri paesi. Ovunque ci sia guerra e oppressione nel mondo, sono tutti coinvolti in essa. Queste persone usano le loro fabbriche per fare armi. Queste persone stanno conducendo guerre in Asia e in Africa, uccidendo milioni di persone per aumentare la propria produzione, occupazione ed economia. I laboratori biologici di queste persone producono batteri e li esportano in altri paesi, conquistando così la gente di altri paesi”.

 

Per Wang dal seicento ad oggi questa linea di frattura ha accompagnato le continue vittorie anglosassoni nei ‘grandi giochi’ che, di volta in volta, si sono susseguiti. Quindi il crollo dell’Unione Sovietica si deve iscrivere nel quadro di questo secolare scontro egemonico, al di là delle “bolle teoriche ideologiche” del momento. Questo lungo periodo è ricondotto alla storia cinese nel “periodo dei regni combattenti”[11], quando un equilibrio di potenza instabile e la spinta di ciascuna potenza a conseguire l’egemonia indussero una lunga sequenza di guerre. Guerre finite con il “primo imperatore”[12]. Secondo la tassonomia proposta, fino a che nessuno può porsi l’idea di dominare il mondo si è in un’era di “separazione”, quando uno ci riesce si entra nella “grande unificazione”, in mezzo c’è “l’era dell’egemonia” (o dei regni combattenti).

Tutto lo scontro tra i “paesi anglosassoni” e gli altri (di volta in volta Spagna, Olanda, Francia, Germania, Russia) è per ciò da considerare parte di una era di (lotta per) l’”egemonia”. Ovviamente per l’egemonia nel mondo “sviluppato”, che non è tutto il mondo. Più precisamente del mondo cristiano (occidentale contro ortodosso). Dunque, lungi dall’essere un destino del pianeta è piuttosto un “affare interno ad una civiltà”.

 

Da questa ricostruzione davvero dall’alto (ad altezza vertiginosa), l’autore cinese passa a dichiarare che ormai le altre civiltà (cinese, islamica e indiana) sono emerse alla consapevolezza e la prima non può più arrogarsi il diritto di rappresentare l’intero mondo. Anzi è sempre più ridotta ad essere espressione di un “piccolo mondo”. Insomma, l’era in cui la “civiltà cristiana”, in tutte le sue ramificazioni, dominava e plasmava il mondo volge al termine. La Cina, ascendendo al rango che era già suo per millenni, di potenza mondiale avvierà la “costruzione di una comunità con un futuro condiviso per l’umanità”. Secondo il punto di vista che viene proposto, in sostituzione della visione gerarchica e assimilazionista occidentale, le civiltà non si dividono in alte e basse, sviluppate o meno, ma devono coesistere pacificamente, comunicare ed imparare le une dalle altre, e svilupparsi insieme. Secondo quanto ha detto Xi Jinping nel 2019, “Le civiltà comunicano attraverso la diversità, imparano l'una dall'altra attraverso gli scambi e si sviluppano attraverso l'apprendimento reciproco”.

 

Quindi nessuno può essere padrone dell’egemonia mondiale, qualunque sia la sua dottrina. Specificamente “L'egemonia mondiale esercitata in nome del liberalismo sarà contrastata dai popoli del mondo, e l'egemonia mondiale esercitata in nome del comunismo sarà contrastata anche dai popoli del mondo”.

 

Questo è stato quindi l’errore essenziale dell’Urss: essere catturati, da una certa fase in poi (Krusciov-Brezhnev), nella ricerca dell’egemonia e nella lotta imperiale con gli Stati Uniti, di cui sono state espressione la minaccia di guerra con la Cina stessa, la repressione della repubblica Ceca, l’Afghanistan. L’Urss secondo questa visione è stata risucchiata nella secolare lotta per l’egemonia entro il campo occidentale-cristiano.

 

Nella nuova epoca introdotta anche dalla “civiltà digitale” (c’è una notevole insistenza nella letteratura cinese su questa discontinuità), invece, nessuna nuova competizione per l’egemonia globale sarà possibile. Chi legge la Cina con gli occhiali delle lotte interne per il dominio del mondo cristiano, fondandole su “libertà e democrazia” o sull’appoggio di Dio verso un “nucleo malvagio”, sta interpretando quindi male sia il paese sia i tempi. La civiltà cinese è universalista. Superando i 300 anni di dominio occidentale, la testimonianza della storia della Cina si prolunga per 2000 anni nel concetto di “tutti sotto il cielo” o “la via del cielo” (Tiānxià) che è rivolto a costruire una comunità con futuro condiviso per l’intera umanità. Quindi “nella direzione della luce” o “dove va la luce” (Ér guāngmíng suǒ xiàng) sarà risolto sia il mistero della disintegrazione dell’Urss sia la storia delle lotte egemoniche.

 

È davvero difficile comprendere questo modo di argomentare per noi, e infatti risulta del tutto incomprensibile per la media dei decision maker statunitensi. È incomprensibile per noi, del resto, un pensiero che si sottrae all’idea stessa di finalità, pensando piuttosto alle propensioni della situazione[13] e al vantaggio (li) anziché al calcolo obiettivi-mezzi. Alla scala del mondo il li è sempre morale, sempre per tutti.

Certo, non bisogna seguire ingenuamente le idealizzazioni (né le nostre, né le loro). Tuttavia una differenza permane, ed è profonda, lo stratega cinese non fa veri e propri piani, geometrici e perfetti, ma si sforza di individuare, di scoprire, nella situazione i fattori che sono favorevoli e di farli crescere. Di far crescere loro e di ridurre, disattivare, quelli favorevoli all’avversario. Fare in modo che per esso avversario la situazione lo trascini progressivamente, e possibilmente inavvertitamente, nella destrutturazione, a perdere il proprio potenziale. Non combattere è la regola fondamentale della strategia cinese. O, in maggiore generalità, ‘non agire’ (wu wei) ma in modo che “niente non sia fatto” (er wu bu wei). Non agire per dominare il mondo (per conseguire l’egemonia), quindi, può significare che tutto, secondo la sua propensione, si trasformi (hua).

Quel che c’è di potente in questa posizione cinese è che senza agire fa perdere di contegno all’occidente, lo trasforma secondo il piano inclinato del sempre maggiore potenziale della parte del mondo che questo non controlla. Mondo che la “via della seta” mette in connessione, i cui potenziali mobilita e fa crescere. Anche qui, senza determinarli secondo un preciso piano, disseminando semi[14]. Mao in “La guerra di lungo periodo[15] contrasta sia chi pensa non si possa che perdere, sia chi, sperando nel sostegno esterno, punta sulla rapida guerra di manovra e l’evento decisivo. La guerra sarà quindi di usura, lunga, di progressiva e lenta trasformazione della situazione. Tutto in essa dipende dai fattori della situazione stessa, che con cura enumera e soppesa; e tra questi c’è ovviamente la grandezza del territorio la numerosità della popolazione, ma anche lo sviluppo ineguale e l’eterogeneità del paese, che può perdere le coste senza essere sconnesso e non funzionare più. Quella che consigliava era quindi una ‘guerra manovrata su vasta scala’ e non di posizione. Alla fine “le sue forze latenti per la resistenza si accresceranno di giorno in giorno e in modo vigoroso e le masse popolari rivoluzionarie, come un torrente impetuoso, raggiungeranno continuamente il fronte e si batteranno per la libertà.”[16] Ciò tanto più perché nell’analisi della situazione il Giappone è visto come un paese forte, ma in declino, e la Cina debole ma con un grande potenziale e in corso di sviluppo, come il sole al mattino. La sua guerra è rivolta al progresso, segue la tendenza della situazione, e quindi è giusta. In quanto giusta, prosegue Mao, può unire la nazionale, suscitare la simpatia del popolo anche del paese nemico, e ottenere l’appoggio del mondo.

Ma, attenzione:

La guerra costituisce una gara tra tutte queste caratteristiche. Esse cambieranno nel corso della guerra, ciascuna secondo la sua propria natura e da ciò deriverà ogni cosa. Queste caratteristiche esistono realmente, non sono state inventate per ingannare la gente; esse non sono frammenti incompleti, ma costituiscono tutti gli elementi fondamentali della guerra; permeano tutti i problemi grandi e piccoli delle due parti belligeranti e tutte le fasi della guerra, non sono elementi di poco conto. Chi esamina la guerra cino-giapponese senza tener conto di queste caratteristiche, giungerà a conclusioni errate e anche se certe sue opinioni acquistano per un certo tempo credito e possono sembrare giuste, il corso della guerra proverà che sono sbagliate”.

 

In questo riconoscersi “sotto il cielo” e individuare “dove va la luce”, dunque, proposto come strategia essenziale nei discorsi di Xi e richiamato da Wang, è piuttosto pensato un anticipare il dispiegamento della situazione (nel passaggio al mondo multipolare per effetto della dinamica delle forze in gioco) dirigendolo impercettibilmente, ovvero accompagnandolo gradualmente, al suo massimo potenziale ed effetto[17]. Se alla fine la Cina non si vedrà agire, se sembrerà del tutto immobile, la perfezione sarà stata raggiunta. Perfezione che ha a che fare con il concetto di “cielo”, una alternanza regolata che si rinnova sempre senza esaurirsi mai. L’opposto, in un certo senso, della nozione assolutamente occidentale di ‘progresso’.

 

Insomma, come riassume Goldman, per Wen è proprio il concetto di egemonia solitaria ad essere estraneo alla civiltà cinese. Di qui anche un certo, ma profondo, imbarazzo per l’avventura russa.



[2] - David Goldman, “Why does the west think China wants global hegemony”, Asia Times, 3 gennaio 2022

[3] - David Goldman, “Us strategies dowble down on war with china”, Asia Times, 12 marzo 2022

[4] - Christopher Chivvis, “I’ve studied the possible trajectories of the Russia-Ukraine war”, The Guardian, 8 marzo 2022

[5] - Una fondazione nata nel 1910 basata a Washington tra i cui membri risulta Dwight Eisenhower ed ha un giro economico di circa mezzo miliardo di dollari https://carnegieendowment.org/

[6] - Nel Post “Circa l‘intervista a John Mearshmeier sulla guerra Ucraina”, ho spiegato perché il termine “imperialismo” in questo contesto faccia solo confusione.

[7] - Si tratta di modelli di simulazione formalizzati che vengono implementati dagli stati maggiori per prevedere le conseguenze delle singole azioni strategiche.

[8] - Voci che si sono presentate subito, ad esempio Wess Mitchell “Putin’s invasion could be a stategic opportunity”, Foreign Policy Magazine, 23 febbraio 2022.

[11] - Dal 453 al 221 a.C., circa duecentocinquanta anni.

[12] - Ying Zheng che nel 246 ascende al trono Qin e nel 221 unifica la Cina.

[13] - Si veda su questo ed altro i saggi di Francois Jullien.

[14] - Su la via della seta si veda Frankopan.

[15] - Mao Tze Tung, “Sulla guerra di lunga durata”, Ciclo di conferenze 1938. Per il contesto della guerra, Rana Mitter, “Lotta per la sopravvivenza”, Einaudi, 2019.

[16] - Mao, ivi, 6

[17] - Ha molto a che fare con questa Grande Stategia l’investimento nelle tecnologie digitali avanzate, la moltiplicazione delle lauree Stem (su cui hanno ormai il predominio), l’espansione di infrastrutture, treni veloci, telemedicina, e-finance, ... tutte cose esportate massicciamente nella parte Sud del mondo e nei paesi intermedi del continente asiatico.

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