Un
lungo articolo[1],
pubblicato il 26 dicembre 2021, di Wen Wang (ricercatore all’università di
Fudan) propone la visione cinese sul crollo dell’Urss e sulle ambizioni che l’hanno
provocato. L’articolo è ripreso e commentato da David Goldman[2] che si chiede per quale
motivo l’Occidente pensa che la Cina voglia l’egemonia mondiale sul modello
americano. A sua volta questo articolo segue ad un più recente articolo[3] del medesimo autore che
riflette sulla crisi Ucraina a partire dall’incapacità dei principali strateghi
americani di fare i conti con la prospettiva del loro relativo declino
strategico. Come illustra Goldman questi sembrano dare per scontato che non
siano possibili giochi a vantaggio reciproco nell’egemonia sul mondo. Che questa
debba e possa essere detenuta tutta da loro (con o senza compartecipazione dei
principali paesi ‘alleati’ come Europa e Giappone) o, come unica scelta, tutta
da un’altra alleanza. Che sia, cioè, questione di vita e morte, di evento
decisivo.
Questo
spiegherebbe la determinazione a provocare, costi quel che costi, il
soffocamento immediato di qualunque potenziale controegemone, sia esso la
Russia o la Cina (o prima la Russia e poi la Cina).
Ma
prima di entrare nel tema guardiamo di cosa stiamo parlando, cioè della morte
di tutti, buoni e cattivi, santi e peccatori. In un articolo[4] di Christopher Chivvis, su
The Guardian, l’autore, che è il Direttore dell’American Statecraft Program
presso il Carnegie Endowment for International Peace[5], descrive la situazione e
le simulazioni condotte dagli esperti per prevedere i possibili esiti delle
diverse scelte. In base alla sua esperienza come ex ufficiale dei servizi
segreti Usa individua solo due possibili esiti finali: una sconfitta Ucraina
molto difficile da digerire per gli Stati Uniti o l’escalation che potrebbe
attraversare la ‘soglia nucleare’. Come dice, Putin “inquadra deliberatamente
la sua operazione in Ucraina nello stesso modo in cui gli Stati Uniti hanno
strutturato le proprie operazioni di cambio di regime in Kosovo, Iraq e Libia”.
Ovvero accusando l’Ucraina di essere uno stato terrorista. Chiaramente, dal suo
punto, “queste sono foglie di fico trasparenti per quella che non è altro che
una guerra di imperialismo brutale”[6].
Del
resto, prosegue, se il lavoro non viene portato a termine in fretta a Putin
resterà solo di trattare le città Ucraine molto più brutalmente. Ma anche la
caduta del governo ucraino, e la sua sostituzione con uno aderente alla Russia,
potrebbe portare ad un’escalation se gli Usa favorissero la guerriglia nel
paese, con relative rappresaglie e controrappresaglie. In alternativa, se le
forze russe una volta sconfitte dovessero arretrare quelle ucraine potrebbero,
trascinate dall’impeto, proseguire ed attaccare le retrovie stesse, provocando
una controreazione nucleare. Tutti questi scenari, per come si vogliano
modellare, portano insomma alla soglia nucleare. Sono stati condotti decine di “giochi
di guerra”[7] e tutti chiariscono che
Putin userebbe l’arma nucleare se si sentisse minacciato. Ad esempio, se un
esercito Nato entrasse nel territorio Russo.
Chiaramente
se fosse superata la soglia nucleare non necessariamente si arriverebbe allo
scambio nucleare globale (ed alla fine dell’umanità) ma resterebbe comunque uno
spartiacque nella storia mondiale rompendo un resistente tabù. L’ipotesi più
probabile è, infatti, che la Russia usi una piccola arma nucleare “non strategica”
contro uno specifico bersaglio militare in Ucraina (se dovesse stare perdendo),
allo scopo di dimostrare la propria determinazione. Oppure potrebbe far
esplodere una bomba ad alta quota per spegnere le reti elettriche ed
elettroniche in una vasta area, anche nella Nato. Gli Usa risponderebbero con
un’analoga mossa, in modo da dimostrare la propria determinazione, e di qui una
terza Russa. Se a questo punto si comincia a parlare dopo la grande paura i “giochi”
vanno verso una risoluzione positiva. Se no “il mondo è distrutto”. Ma anche se
va bene, e si ritorna in pace, ormai “il tabù nucleare è stato infranto e siamo
in un'era completamente nuova: due superpotenze nucleari hanno usato le loro
armi nucleari in una guerra”. Da allora in poi ci sarà una
inarrestabile proliferazione ed il rischio nucleare aumenterà a dismisura.
L’escalation,
mossa dall’emozione e dagli interessi, è quindi una potente possibilità. Fino ad
ora Biden, dice l’articolista, ha resistito al coinvolgimento diretto dell’esercito
Usa (es. con la “no fly zone”), ma aumentano le voci che lo vogliono[8]. I falchi si oppongono ad ogni
soluzione negoziata.
Le
conseguenze, anche nel caso migliore, comunque saranno: “crescente accumulo di
forze convenzionali al confine tra Nato e Russia, livelli più elevati di spesa
per la difesa negli Stati Uniti a scapito dei programmi interni, la fine degli
sforzi per ridurre la posizione militare degli Stati Uniti nel Medio Oriente e
meno risorse per la concorrenza strategica con la Cina”. Alla fine in
ogni caso, conclude, gli Stati Uniti dovranno accontentarsi di un quadro molto
più brutto di quello che era prima della guerra, “e prima Washington lo
accetterà, meglio è”.
Wen
Wang, celebrando l’anniversario della storica decisione del Soviet Supremo
della Unione Sovietica di scioglierla, il 26 dicembre 1991, ricorda come George
Kennan[9], poco dopo, raggiunti i 91
anni qualificò l’evento come “il più strano, sorprendente, a prima vista,
della improvvisa e completa disintegrazione delle grandi potenze conosciute
successivamente come Impero Russo e poi Urss”. Una cosa “difficile da
spiegare” e da inquadrare, dice l’ex diplomatico, e da inquadrare nel contesto
della storia delle relazioni internazionali dalla metà del XVII secolo in poi.
E Kennan, vale la pena ricordarlo era uno dei principali protagonisti della
politica Usa dalla Seconda guerra mondiale in poi. Insomma, è stato qualcosa di
molto profondo.
Negli
ultimi trenta anni, poi, c’è stato un altro evento profondo e difficile da
spiegare: l’ascesa della Cina (o meglio, il ritorno). Questo evento
impedisce una spiegazione semplice di quell’evento. Quella che lo vede come il
fallimento o crollo del socialismo, o del “blocco orientale”. In quanto
entrambi sono ben lontani dall’essere falliti o sconfitti a causa della Cina
che li rappresenta entrambi come caso di grande successo. Si tratta di qualcosa
che non si riesce a spiegare con i canoni classici delle teorie liberali. Non è
né “finita la storia”, né è “crollata la Cina”, come le teorie avrebbero dovuto
prevedere infallibilmente.
Secondo
Wang non solo questa non è crollata, ma neppure è una “minaccia” per il sistema
internazionale. Il fatto è che, come nella fisica ottocentesca terremotata
dalle nozioni della relatività e dei quanta le nozioni politologiche dovrebbero
aprirsi ad una rivoluzione cognitiva. Ricomprendendo nozioni ‘assolute’ (ovvero
‘newtoniane’) come “libertà”, “democrazia” e “diritti umani” entro quadri
diversi e meno obsoleti, ovvero più realisti. Entro questi comprendere anche il
crollo dell’Unione Sovietica, che non ha a che fare specificamente con il
crollo del marxismo, ma con una molto più lunga evoluzione storica.
La
narrativa della missione storica contro “l’asse del male” (Reagan) e del “nuovo
ordine mondiale” fondato su “libero mercato, libero scambio e società libere”,
affonda infatti radici profonde nella storia anglosassone. Nel 1650 Oliver
Cromwell in un discorso al Parlamento Inglese denunciò l’asse del male in “tutti
gli uomini malvagi del mondo” in quanto “contro tutto ciò che poteva
servire alla gloria di Dio e agli interessi del suo popolo”. Ovviamente si
riferiva all’Impero Spagnolo cattolicissimo che, in quanto non puritano, era “ostile
a noi popolo di Dio dall’inizio alla fine”. Di volta in volta i “paesi
anglosassoni” hanno designato in questo ruolo di “asse del male”: l’impero spagnolo,
l’impero coloniale olandese (anche se correligionario), la Francia dal XVII al
XVIII (e XIX) secolo napoleonico, la Germania e la Russia, zarista o non. Questo
è il reale quadro storico per lo studioso cinese. Dottrine, principi e
ideali sono lo sfondo, ma la sostanza è una guerra per l’egemonia che fa uso,
da entrambe le parti, di violenza ed abuso di linguaggio (e tanta, tanta
ipocrisia). Come ricorda anche Walter Mead[10] la demonizzazione degli
avversari è sempre stata connotata anche in senso razziale. La cosa è
ovviamente reciproca, la pia Francia ha combattuto la perfida Albione richiamandosi
alla tradizione romana contro Cartagine. Un regno contadino contro uno
ambizioso e commerciale, infido e crudele. Cosa che vale anche per la Germania.
Il primo ministro francese George Clemenceau dirà “Gli Stati Uniti sono
l'unico paese nella storia che è andato miracolosamente direttamente dalla
barbarie alla depravazione, senza la consueta separazione delle civiltà”,
ed il sovietico Genrich Volkov, del medesimo bersaglio polemico, l’americano “in
generale è ostile agli esseri umani, alla cultura personale e spirituale e ha
una passione per il guadagno simile a Shylock, non solo nel sangue, ma anche
nell'anima vivente e nel cuore pulsante”. Oppure Mahamoud Ahmadinejad
disse: “Queste persone hanno i gomiti immersi nel sangue di altri paesi.
Ovunque ci sia guerra e oppressione nel mondo, sono tutti coinvolti in essa.
Queste persone usano le loro fabbriche per fare armi. Queste persone stanno
conducendo guerre in Asia e in Africa, uccidendo milioni di persone per
aumentare la propria produzione, occupazione ed economia. I laboratori
biologici di queste persone producono batteri e li esportano in altri paesi,
conquistando così la gente di altri paesi”.
Per
Wang dal seicento ad oggi questa linea di frattura ha accompagnato le continue
vittorie anglosassoni nei ‘grandi giochi’ che, di volta in volta, si sono
susseguiti. Quindi il crollo dell’Unione Sovietica si deve iscrivere nel quadro
di questo secolare scontro egemonico, al di là delle “bolle teoriche
ideologiche” del momento. Questo lungo periodo è ricondotto alla storia cinese
nel “periodo dei regni combattenti”[11], quando un equilibrio di
potenza instabile e la spinta di ciascuna potenza a conseguire l’egemonia
indussero una lunga sequenza di guerre. Guerre finite con il “primo imperatore”[12]. Secondo la tassonomia
proposta, fino a che nessuno può porsi l’idea di dominare il mondo si è in un’era
di “separazione”, quando uno ci riesce si entra nella “grande unificazione”, in
mezzo c’è “l’era dell’egemonia” (o dei regni combattenti).
Tutto
lo scontro tra i “paesi anglosassoni” e gli altri (di volta in volta Spagna, Olanda,
Francia, Germania, Russia) è per ciò da considerare parte di una era di (lotta
per) l’”egemonia”. Ovviamente per l’egemonia nel mondo “sviluppato”, che non è
tutto il mondo. Più precisamente del mondo cristiano (occidentale contro
ortodosso). Dunque, lungi dall’essere un destino del pianeta è piuttosto un “affare
interno ad una civiltà”.
Da
questa ricostruzione davvero dall’alto (ad altezza vertiginosa), l’autore
cinese passa a dichiarare che ormai le altre civiltà (cinese, islamica e
indiana) sono emerse alla consapevolezza e la prima non può più
arrogarsi il diritto di rappresentare l’intero mondo. Anzi è sempre più ridotta
ad essere espressione di un “piccolo mondo”. Insomma, l’era in cui la “civiltà
cristiana”, in tutte le sue ramificazioni, dominava e plasmava il mondo
volge al termine. La Cina, ascendendo al rango che era già suo per millenni, di
potenza mondiale avvierà la “costruzione di una comunità con un futuro
condiviso per l’umanità”. Secondo il punto di vista che viene proposto, in
sostituzione della visione gerarchica e assimilazionista occidentale, le
civiltà non si dividono in alte e basse, sviluppate o meno, ma devono
coesistere pacificamente, comunicare ed imparare le une dalle altre, e
svilupparsi insieme. Secondo quanto ha detto Xi Jinping nel 2019, “Le
civiltà comunicano attraverso la diversità, imparano l'una dall'altra
attraverso gli scambi e si sviluppano attraverso l'apprendimento reciproco”.
Quindi
nessuno può essere padrone dell’egemonia mondiale, qualunque sia la sua dottrina.
Specificamente “L'egemonia mondiale esercitata in nome del liberalismo sarà
contrastata dai popoli del mondo, e l'egemonia mondiale esercitata in nome del
comunismo sarà contrastata anche dai popoli del mondo”.
Questo
è stato quindi l’errore essenziale dell’Urss: essere catturati, da una certa
fase in poi (Krusciov-Brezhnev), nella ricerca dell’egemonia e nella lotta
imperiale con gli Stati Uniti, di cui sono state espressione la minaccia di
guerra con la Cina stessa, la repressione della repubblica Ceca, l’Afghanistan.
L’Urss secondo questa visione è stata risucchiata nella secolare lotta per l’egemonia
entro il campo occidentale-cristiano.
Nella
nuova epoca introdotta anche dalla “civiltà digitale” (c’è una notevole insistenza
nella letteratura cinese su questa discontinuità), invece, nessuna nuova competizione
per l’egemonia globale sarà possibile. Chi legge la Cina con gli occhiali
delle lotte interne per il dominio del mondo cristiano, fondandole su “libertà
e democrazia” o sull’appoggio di Dio verso un “nucleo malvagio”, sta
interpretando quindi male sia il paese sia i tempi. La civiltà cinese è universalista.
Superando i 300 anni di dominio occidentale, la testimonianza della storia
della Cina si prolunga per 2000 anni nel concetto di “tutti sotto il cielo”
o “la via del cielo” (Tiānxià) che è rivolto a costruire una comunità
con futuro condiviso per l’intera umanità. Quindi “nella direzione della
luce” o “dove va la luce” (Ér guāngmíng suǒ xiàng) sarà risolto sia
il mistero della disintegrazione dell’Urss sia la storia delle lotte
egemoniche.
È
davvero difficile comprendere questo modo di argomentare per noi, e infatti
risulta del tutto incomprensibile per la media dei decision maker statunitensi.
È incomprensibile per noi, del resto, un pensiero che si sottrae all’idea stessa
di finalità, pensando piuttosto alle propensioni della situazione[13] e al vantaggio (li)
anziché al calcolo obiettivi-mezzi. Alla scala del mondo il li è sempre
morale, sempre per tutti.
Certo,
non bisogna seguire ingenuamente le idealizzazioni (né le nostre, né le loro). Tuttavia
una differenza permane, ed è profonda, lo stratega cinese non fa veri e propri
piani, geometrici e perfetti, ma si sforza di individuare, di scoprire, nella
situazione i fattori che sono favorevoli e di farli crescere. Di far crescere
loro e di ridurre, disattivare, quelli favorevoli all’avversario. Fare in modo
che per esso avversario la situazione lo trascini progressivamente, e possibilmente
inavvertitamente, nella destrutturazione, a perdere il proprio potenziale.
Non combattere è la regola fondamentale della strategia cinese. O, in
maggiore generalità, ‘non agire’ (wu wei) ma in modo che “niente non
sia fatto” (er wu bu wei). Non agire per dominare il mondo (per conseguire
l’egemonia), quindi, può significare che tutto, secondo la sua propensione,
si trasformi (hua).
Quel
che c’è di potente in questa posizione cinese è che senza agire fa perdere
di contegno all’occidente, lo trasforma secondo il piano inclinato del
sempre maggiore potenziale della parte del mondo che questo non controlla.
Mondo che la “via della seta” mette in connessione, i cui potenziali mobilita e
fa crescere. Anche qui, senza determinarli secondo un preciso piano,
disseminando semi[14]. Mao in “La guerra di
lungo periodo”[15] contrasta sia chi pensa
non si possa che perdere, sia chi, sperando nel sostegno esterno, punta sulla
rapida guerra di manovra e l’evento decisivo. La guerra sarà quindi di usura,
lunga, di progressiva e lenta trasformazione della situazione. Tutto in
essa dipende dai fattori della situazione stessa, che con cura enumera e
soppesa; e tra questi c’è ovviamente la grandezza del territorio la numerosità
della popolazione, ma anche lo sviluppo ineguale e l’eterogeneità del paese,
che può perdere le coste senza essere sconnesso e non funzionare più. Quella che
consigliava era quindi una ‘guerra manovrata su vasta scala’ e non di
posizione. Alla fine “le sue forze latenti per la resistenza si accresceranno
di giorno in giorno e in modo vigoroso e le masse popolari rivoluzionarie, come
un torrente impetuoso, raggiungeranno continuamente il fronte e si batteranno
per la libertà.”[16]
Ciò tanto più perché nell’analisi della situazione il Giappone è visto come un
paese forte, ma in declino, e la Cina debole ma con un grande potenziale e in
corso di sviluppo, come il sole al mattino. La sua guerra è rivolta al
progresso, segue la tendenza della situazione, e quindi è giusta. In quanto
giusta, prosegue Mao, può unire la nazionale, suscitare la simpatia del popolo
anche del paese nemico, e ottenere l’appoggio del mondo.
Ma,
attenzione:
“La
guerra costituisce una gara tra tutte queste caratteristiche. Esse cambieranno
nel corso della guerra, ciascuna secondo la sua propria natura e da ciò
deriverà ogni cosa. Queste caratteristiche esistono realmente, non sono
state inventate per ingannare la gente; esse non sono frammenti incompleti, ma
costituiscono tutti gli elementi fondamentali della guerra; permeano tutti i
problemi grandi e piccoli delle due parti belligeranti e tutte le fasi della
guerra, non sono elementi di poco conto. Chi esamina la guerra cino-giapponese
senza tener conto di queste caratteristiche, giungerà a conclusioni errate e
anche se certe sue opinioni acquistano per un certo tempo credito e possono
sembrare giuste, il corso della guerra proverà che sono sbagliate”.
In
questo riconoscersi “sotto il cielo” e individuare “dove va la luce”,
dunque, proposto come strategia essenziale nei discorsi di Xi e richiamato da
Wang, è piuttosto pensato un anticipare il dispiegamento della situazione
(nel passaggio al mondo multipolare per effetto della dinamica delle forze in
gioco) dirigendolo impercettibilmente, ovvero accompagnandolo
gradualmente, al suo massimo potenziale ed effetto[17]. Se alla fine la Cina non
si vedrà agire, se sembrerà del tutto immobile, la perfezione sarà stata
raggiunta. Perfezione che ha a che fare con il concetto di “cielo”, una
alternanza regolata che si rinnova sempre senza esaurirsi mai. L’opposto, in un
certo senso, della nozione assolutamente occidentale di ‘progresso’.
Insomma,
come riassume Goldman, per Wen è proprio il concetto di egemonia solitaria
ad essere estraneo alla civiltà cinese. Di qui anche un certo, ma profondo,
imbarazzo per l’avventura russa.
[1] - Wen Wang, “Il mistero
della disintegrazione dell’Unione Sovietica svelato dal successo della Cina”,
Guancha, 26 dicembre 2021
[2] - David Goldman, “Why
does the west think China wants global hegemony”, Asia Times, 3 gennaio 2022
[3] - David Goldman, “Us
strategies dowble down on war with china”, Asia Times, 12 marzo 2022
[4] - Christopher Chivvis, “I’ve
studied the possible trajectories of the Russia-Ukraine war”, The Guardian,
8 marzo 2022
[5] - Una fondazione nata nel 1910
basata a Washington tra i cui membri risulta Dwight Eisenhower ed ha un giro
economico di circa mezzo miliardo di dollari https://carnegieendowment.org/
[6] - Nel Post “Circa
l‘intervista a John Mearshmeier sulla guerra Ucraina”, ho spiegato perché
il termine “imperialismo” in questo contesto faccia solo confusione.
[7] - Si tratta di modelli di simulazione
formalizzati che vengono implementati dagli stati maggiori per prevedere le
conseguenze delle singole azioni strategiche.
[8] - Voci che si sono presentate
subito, ad esempio Wess Mitchell “Putin’s
invasion could be a stategic opportunity”, Foreign Policy Magazine, 23
febbraio 2022.
[10] - Walter Mead, “God and Gold: Britain, America and the making of
the modern world”, 2008
[11] - Dal 453 al 221 a.C., circa
duecentocinquanta anni.
[12] - Ying Zheng che nel 246 ascende
al trono Qin e nel 221 unifica la Cina.
[13] - Si veda su questo ed altro i
saggi di Francois Jullien.
[14] - Su la via della seta si veda
Frankopan.
[15] - Mao Tze Tung, “Sulla
guerra di lunga durata”, Ciclo di conferenze 1938. Per il contesto della
guerra, Rana Mitter, “Lotta per la sopravvivenza”, Einaudi, 2019.
[16] - Mao, ivi, 6
[17]
- Ha molto a che fare con
questa Grande Stategia l’investimento nelle tecnologie digitali avanzate, la
moltiplicazione delle lauree Stem (su cui hanno ormai il predominio), l’espansione
di infrastrutture, treni veloci, telemedicina, e-finance, ... tutte cose
esportate massicciamente nella parte Sud del mondo e nei paesi intermedi del
continente asiatico.
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