Gershom
Scholem fu, probabilmente, il migliore e più stabile amico di Walter Benjamin
ma la sua vita si svolse, dopo un avvio comune, su strade e sentieri molto
diversi. Filosofo, teologo e semitista proveniente da una famiglia ebraica
tedesca, si trasferì molto presto in Israele e qui rimase fino alla morte, a
ottantacinque anni, a Gerusalemme nel 1982. Nel percorso della sua ricerca fu
uno studioso della storia delle religioni e, in particolare, della cabala oltre
che dei movimenti mistici ebraici. In particolare del movimento sabbatiano (da Shabbĕtay
Ṣĕbī). Vicino in gioventù al sionismo laico e socialisteggiante degli
anni Dieci ne giudicò in modo severo l’evoluzione. In Walter Benjamin. Storia
di un’amicizia[1],
il suo libro sull’amico, dichiaro che “il sionismo si è ucciso vincendo”[2], distinguendo tra una
versione mistico-religiosa ed una ‘pratica’ mirante alla soluzione politica ben
nota. Una pratica che evoca da sé le forze della sua distruzione spirituale e
precipita nella “disperazione del vincitore [che] è ormai da anni la demonìa
peculiare del sionismo”. Il quale con Buber, e tanto più quando si fa materia
in Palestina, si vuole come ‘sangue e vita vissuta’ e quindi razza.
Di
questo complesso autore leggeremo ora solo una piccola, ma interessante,
conferenza, tenuta in Svizzera nel 1974, Il nichilismo come forma religiosa[3], nella quale l’autore
riassume la storia di alcune forme del misticismo ereticale e messianico
ebraico e cristiano. Per cominciare vediamo intanto cosa definisce come ‘nichilismo’:
l’atteggiamento di colui che contesta per principio qualsiasi autorità, che
quindi non accetta alcun principio per fede, a prescindere da quanto sia essa
seguita. Si tratta di un atteggiamento invero oggi molto familiare. Per
questo vale la pena ripercorrere il racconto di Scholem.
Le
formazioni nichilistiche hanno necessariamente una natura elitistica, in quanto
per stessa definizione si separano e si considerano elevate, illuminate. Talvolta
si tratta di una sorta di elitismo reattivo, dal margine e dal basso che mira
alla distruzione del mondo per come è esperito per raggiungere da esso una via
di uscita trascendentale. Esse compaiono in particolari momenti di crisi e non
puntano a costruire nuove strutture, quanto alla distruzione di quelle che ci
sono. Seguono una via, di natura necessariamente mistica, che conduce al
progressivo abbandono delle strutture del mondo dell’esperienza comune e ad una
conseguente destrutturazione dell’esperienza sensibile. L’esperienza mistica quasi
necessariamente si accontenta della distruzione, e rivolge la corrosione della
sua critica, in primo luogo, ai valori comuni ed alle autorità che ne
garantiscono la validità[4]. Viene in esse negato il
valore del mondo, in vista di un non precisato superamento.
Messianismi
antichi e premoderni
Nella
versione della gnostica antica, ad esempio, Dio diviene qualcosa di estraneo al
mondo, anzi di antitetico. Ne derivano versioni particolari, come quella dell’egiziano
Carpocrate, vissuto nel II secolo d.C., che difese la causa di Caino. I “cainisti”,
quindi, si sentivano liberi di fare tutto allo scopo di esperimentare ed esaurire
tutte le loro libertà. Si misero in pratica forme estreme di comunismo e di
libertinismo.
Queste
tendenze ricomparvero nei “fratelli del libero spirito” medioevali, la
cui prima provenienza sociale era da ceti laici e non particolarmente colti. Ma
con una fondamentale differenza: mentre gli gnostici traevano la loro
ispirazione dal rifiuto della creazione, i nuovi eretici medioevali la
divinizzarono. Si trattò di una mistica panteista di matrice quietista[5], la quale in genere rimase
confinata in un insegnamento segreto e solo in pochi casi assunse forma attiva
e rivoluzionaria. Per lo più restarono interni, durante il secolo XIV e XV, a
comunità che cercavano di qualificarsi per una vita intensamente mistica, come
i seguaci di Meister Eckardt[6]. Le componenti eretiche, mescolate
e talvolta nascoste a quelle apparentemente del tutto canoniche, assunsero allora
nomi come “gli spiriti alti”, o “nuovi”, o “liberi”. La ricercata libertà da
ogni vincolo si intonò all’idea di essere parte di un’umanità superiore, non
legata ad alcuna convenzione ed in alcune versioni mutò nei cosiddetti “adamiti”
nel XII secolo. L’illuminato può infatti riconquistare la condizione
paradisiaca prima della caduta nel peccato e quindi, gli adamiti oltre a girare
nudi in appropriate circostanze, sostenevano una forma di comunismo radicale e
pratiche violente contro le comunità infedeli.
Nell’ebraismo
invece trovarono forma due tendenze: una versione mistica che si svolse entro
la regola del Talmud e forme messianiche, ispirate ad una astratta speranza e
qualche utopia, per lo più dissimulata e passiva. Un caso principale illustrato
da Scholem è quello di Shabbĕtay Ṣĕbī di Smirne e del suo profeta, Nathan
di Gaza[7]. Nel 1665-66 la loro
predicazione lacerò l’intero mondo ebraico, per l’autore si trattava di un
delirio messianico apocalittico in cui si annunciava il passaggio a una nuova
età di liberazione, sia interiore sia esteriore. La cosa sorprendente è che,
però, sotto la pressione della dominazione turca Ṣĕbī si convertì all’islam.
Questa apostasia della guida spirituale distrusse la fiducia dei fedeli. Emersero
allora due posizioni: la prima concludeva che quella di Shabbĕtay era una falsa
dottrina e quindi un episodio demoniaco. La seconda, viceversa, adattò una
sorta di nuova cabbala eretica e sposò l’idea che il messia era in effetti andato
a raccogliere, in segreto, scintille sante negli altri popoli. Da questa teoria
di adattamento nacque anche una corrente estremista che teorizzò di imitare il
messia dissimulandosi nelle altre religioni per fertilizzarle. Dopo la sua
morte, nel 1676, le comunità si diffusero in Turchia, Nord Africa, Italia e
Polonia. A Salonicco si convertirono all’islam, mascherando l’autentico
contenuto messianico per il quale “la fiamma della vera fede arde solo di
nascosto”[8]. Le tesi diventarono
quattro: 1- l’apostasia del messia è, in realtà, il compimento di una missione
che si profila contraria al divino, per distruggerlo dall’interno; 2- l’esteriorità
e l’interiorità si separano e la dissimulazione si fa necessaria; 3- l’abolizione
della Torà è il vero compimento della legge; 4- si sviluppa un dualismo mistico
tra ciò che si può raggiungere con la ragione e la rivelazione.
In
questa versione estrema l’abolizione della Torà venne difesa secondo l’esempio
del chicco di grano che deve decomporsi e corrompersi per dare frutto e
deve farlo nel nascosto della terra. Ne derivò una sorta di tesi paradossale
della “santità del peccato” o della rivolta e violazione.
Tra
le forme più radicali di nichilismo si trova quella di Jacob Frank (1726-1791),
che nacque in Podolia, poi si trasferì in Romania, ed espresse una forma paradossale
di “messia atletico”. Uomo rozzo, senza scrupoli, egoista e dispotico, Frank esprimeva
una sorta di vitalismo energico, concreto. Assorbendo le dottrine libertine dei
sabbatiani e dei bogomili[9], avviò una operazione di
nascondimento, qualificandosi islamico, zorohaista, antitalmudico, e poi,
tornando in Polonia, di nuovo cristiano. Il reale atteggiamento era però che tutte
le religioni formali sono solo stadi di passaggio a cui il vero fedele si deve
adattare, come se si trattasse di mettere e smettere un vestito, mentre si custodisce
di nascosto la vera fede. Frank guidava per la via verso Esaù. La setta,
dopo la morte di Frank, continuò a restare organizzata in Polonia, Slesia,
Boemia e Moravia per un secolo.
La
dottrina che ci appare è espressione di una forma molto pura di nichilismo non
dissimulato. Il mondo visibile non è una creazione di Dio, altrimenti sarebbe
perfetto, eterno e le creature immortali, è dunque malvagio e corrotto, ma il
vero mondo resta nascosto. Il vero Dio (ed il vero mondo) è tenuto nascosto
da una potenza, Esaù (fratello maggiore di Giacobbe), intorno al quale si
estendono mondi nei quali la libertà e la vita sono indomite. Il nostro mondo
sensibile, nel quale regna la morte, è governato invece da ‘leggi indegne’ che
bloccano la via verso il “fratello maggiore”. Occorre, quindi, porre fine a
tutte le leggi di questo mondo che sono solo statuti di morte i quali
violano la dignità dell’uomo. La via verso la vita è quindi il nichilismo,
consiste nell’attraversare tutte le leggi, superare ogni convenzione e
religione, rigettarle. Consiste nello ‘scendere nell’abisso’, dove ogni legge è
annientata. La vita passa dunque per la distruzione, è essenzialmente libertà
da ogni vincolo e legge. Una forma radicale di anarchismo cento anni prima di
Bakunin.
Lo
stesso Frank scrisse: “ovunque è passato Abramo, il primo uomo, si è costruita
una città. Ma dove vado io, tutto sarà distrutto. Sono venuto per distruggere e
annientare – ma ciò che costruirò durerà in eterno”[10]. Se l’obiettivo era di
liberarsi di ogni catena della mente, era necessaria però una rigorosissima
disciplina. Una disciplina militare, capace di passare se necessario anche “per
le fognature più immonde”. In questa dottrina si uniscono “la libertà della
vita anarchica intesa come ideale da perseguire e la disciplina del soldato
come via da seguire”[11], oltre all’ “onere del
silenzio”.
Alcuni
motti riportati da Scholem: “se qualcuno volesse espugnare una fortezza, non
ci riuscirà finché se ne discute, ma dovrà riuscirci con tutte le sue forze,
come anche noi dobbiamo farci strada nella nostra via in silenzio”, “quello
che il cuore sa non può dirlo alla bocca”, “non ci servono eruditi che
si mettano a insegnare una dottrina, semmai si tratta di sopportare l’onere del
silenzio”, “quando si va dall’altra parte, bisogna tenere la bocca
chiusa. È come nel tiro con l’arco: quanto più a lungo si è capaci di
trattenere il respiro, tanto più lontano volerà il dardo”.
Gli
ultimi cascami di questa setta si fusero con i nascenti semi illuministi di
avanguardie ebraiche che continuarono ad esprimersi in linguaggio mistico, ma
convertendo la dottrina del mondo falso ed autentico in un ideale di progresso
secolarizzato.
Messianismi
contemporanei
Scrivevo
sopra che questo atteggiamento, intrecciato di messianismo apocalittico e distruttivo,
radicalmente scettico e nichilista, ha una familiarità con alcuni atteggiamenti
contemporanei. Figli della disperazione e della crisi, della caduta delle tradizioni
critiche e delle relative comunità. Espressione inconsapevole dell’individualismo
contemporaneo e dell’elitismo ad esso connaturato (per il quale ciascuno si
sente incoraggiato a identificarsi come unico, illuminato, portatore di una
visione irriproducibile), “fratelli del libero spirito”, appunto. Quel che
tendono a formarsi nelle condizioni di una contemporaneità di disorientamento e
disgregazione delle identità politiche e sociali tradizionali e consolidate
sono ‘bande di fratelli’ armate contro tutto il mondo.
Questo
atteggiamento esprime il bisogno di trascendenza che è una delle condizioni
necessarie del politico, il superamento lodevole di un atteggiamento
quietistico troppo condiscendente, ma anche il vuoto nel quale questo si
realizza. Sono possibile due linee di critica a questi atteggiamenti: da una
parte il citato, e largamente inconsapevole, elitismo che nasce da una postura
nichilista che basta a sé stessa; dall’altra, l’assorbimento dei progetti e
delle strutture ideologiche presenti nel catalogo dei ‘ribelli’, senza
distinguere tra progetti e obiettivi.
L’aggregazione
intorno a vaghe parole d’ordine e sentimenti reattivi, imperniati sul rigetto
del ‘normale’ e la ‘libertà’, la fissazione sulla fase di critica distruttiva
di tutte le nozioni e strutture dell’esperienza comune, l’attribuzione al mondo
stesso di una natura demoniaca generalizzata, conduce ad una sorta di orgoglio
ereticale. Al sentirsi uno ‘spirito alto’, un ‘libero pensatore’, o, ‘illuminato’
ed a forme di ‘delirio messianico apocalittico’ inconsapevole (per usare le drastiche
parole di Scholem). Chiaramente in questo meccanismo, psicologicamente comprensibile
in presenza di condizioni esistenziali considerate ad un tempo incomprensibili
e insopportabili, produce automaticamente la propria marginalizzazione e
neutralizzazione.
Dall’altra
parte, espone al rischio di assorbire ogni tradizione che gli si presenti come,
a sua volta, ‘eretica’ e ‘liberata’. In particolare, di assorbire lo sforzo
egemonico pluridecennale della ‘nuova destra’ del Grece e del suo leader Alain
de Benoiste[12],
con il suo gramscismo demarxistizzato che viene proposto a partire dalla fine
degli anni Sessanta. Differenzialismo, etnopluralismo e antiegualitarismo nel
Grece, si unisce alla lotta all’universalismo e si fonda su antropologie come
quella di Lorenz e Gehlen, a tendenze separatiste e comunitarie. Nel suo sviluppo
produce idee largamente presenti nelle aree di opposizione contemporanee, quasi
divenute senso comune, come quella di sostituire nella scelta del politico
(ovvero dell’amico e del nemico[13]) alle diadi ‘destra/sinistra’
quella ‘alto/basso’ di provenienza medioevale. Ed a partire dagli anni Ottanta
avvia un dialogo con l’antiutilitarismo di Serge Latouche, il comunitarismo di
Costanzo Preve, le critiche di Danilo Zolo. Ma anche con autori come i teorici
angloamericani (o francocanadesi) come Alisdair MacInthyre, Michael Sandel,
Charles Taylor e Christopher Lasch. Tutti pensieri ed autori indispensabili e personalmente
frequentati[14].
Un simile assorbimento egemonico, se inconsapevole e non mediato da una serrata
critica, rischia di portare con sé l’elitismo organico, l’antiegualitarismo
aristocratico, il differenzialismo separatista, il populismo qualunquista, il
radicalismo etno-identitario e le comunità di destino nelle quali l’ordine è
dato da una tradizione ipostatizzata, l’antimodernismo e antiscientismo propri
del decennale sforzo egemonico descritto. Ovvero di assorbire i valori dell’egemonia
delle controculture disponibili limitandosi ad un rovesciamento reattivo.
Se
è vero che gli autori sopra citati (da Latouche a Lasch) sono indispensabili
alla costruzione di una prospettiva critica con il liberalismo realmente
esistente e con le forme imperiali dell’universalismo occidentale (che entro
certi limiti è comunque parte della nostra propria tradizione), tuttavia occorre
trovarne una versione indipendente dalle strade tentate, ormai da sessanta
anni, dalla Nuova Destra e dai suoi numerosi travestimenti. Come scrivevo nel
mio Classe e partito[15],
il passo di montagna che va superato è conciliare materialismo e messianesimo,
collocando una ben calibrata utopia dal punto di vista dei vinti (e non di una
presunta ‘comunità organica’ nella quale vinti e vincitori siano uniti in un ‘destino’
che non muta i rapporti sociali), manifestandosi come aspirazione al riscatto che
resiste contro ogni forza, ma si radica nella storia e nella materia.
Come
scrivevo[16]
la cosa può anche essere riscritta con il linguaggio dell’ultimo Losurdo. La
traiettoria è scolpita dalla tesi centrale del Losurdo attento lettore di Hegel[17]:
bisogna tenersi lontani dall’aderire alle forme di universalismo astratto,
messianismo e radicalismo ribellista, ai “cattivi infiniti”, al contempo però
comprendendo la profonda esigenza di trascendenza umana. L’impresa può essere
rivitalizzata solo se ha pieno rispetto del “movimento reale”, nella
concretezza dei conflitti e contraddizioni, e impara quindi a muoversi nel “conflitto
delle libertà”[18].
Dunque, tra le altre cose, se impara a non avere timore della necessità di
gestire il potere.
Riprendendo
alcune parti del libro citato autorappresentarsi e comprendersi essenzialmente
come “ribelli”, o come “dissenzienti” induce l’assoluta indisponibilità a
ragionare in direzione dei vincoli obiettivi e delle condizioni di possibilità
delle azioni di governo, per non perdere la purezza eroica della postura
radicale. L’ambiguo diventa quindi subito
contraddittorio e l’incompleto
immediatamente insufficiente; il parziale
diventa radicalmente perverso, ingiustificabile, arbitrario e incomprensibile.
Ci si chiama quindi fuori, per non condividere alcun elemento della logica di
governo, dichiarando con ciò il proprio strutturale disinteresse a occuparsene,
e ci si fa gloria della propria marginalità (anche nel dibattito). Ci si sente
“illuminati”, “risvegliati”, ottenendo almeno una, comprensibile, compensazione
morale[19].
Peraltro, non ci si avvede di essere scientemente manipolati da una tecnica, di
provenienza commerciale (messa a punto dai talk show anglosassoni e importata a
suo tempo in Italia da autori a loro modo geniali come Gianfranco Funari), che
consiste nel forzare argomenti e toni per creare come reazione una
polarizzazione simmetrica. In questo modo si crea subito attenzione, ma nel
campo semantico e valoriale della provocazione iniziale. La formazione di due
opposte tifoserie sottrae inoltre ossigeno a qualunque altra, più riflessiva,
posizione che è costretta a difendersi contro gli argomenti-fantoccio creati
nella disputa. Lo schema ha il potere di distrarre, occultare e manipolare
l’opinione pubblica ed è perfettamente coerente con l’ambiente dei social, nel
quale potenti algoritmi generano isole di dibattito e sciami di
pseudo-argomenti in collisione. In questo modo, per via di asfissia, letteralmente,
si controlla la controinformazione e si orienta l’opposizione. Si tratta di un
potentissimo, quasi invincibile, dispositivo egemonico
nel quale l’opposizione assume fatalmente la veste di una reazione prevista e
prevedibile da parte di chi avvia l’informazione e la determina[20].
Il
punto è che questa “sinistra rivoluzionaria”
(ma anche quelle forze che si dichiarano “oltre la destra e la sinistra”)
nel momento in cui pensa sistematicamente sé stessa come chi non ha alcuna
compromissione con tutte
le forme di potere (e quindi da ogni
discorso sui vincoli, le conseguenze), dalle quali rifugge inorridita, si
rivela incapace di condurre una lotta coerente, sul piano ideologico oltre che
su quello immediatamente politico, contro lo smantellamento dello stato sociale
che colpisce alla fine le proprie stesse vite. Anzi, al di là delle etichette
retoriche in effetti, in ogni singolo caso concreto (in quanto non si può dare
stato sociale senza esercizio del potere burocratico, senza distinguere tra
diritti, senza conflitto delle libertà), si schiera con l’attacco neoliberale a
esso. Ma senza saperlo.
Inoltre,
essa si autorappresenta come “difensore delle cause perse”,
eroe solitario, intransigente, come voce che chiama nel deserto. La critica e
la sorveglianza si muta, per via di radicalizzazione, in impolitica, in rifiuto
di confrontarsi con i problemi legati all’organizzazione di un mondo comune; la
volontà di rendere alla luce si rovescia nell’oscurare, nel rendere passivo,
nell’impedire la leggibilità. La passione politica diventa forza vocata alla
distruzione dell’azione collettiva, in favore della vaga idealizzazione di un
luogo “altro” e “sano” (necessario, per creare il punto di leva dal quale
denunciare come “insana” l’azione politica tutta). Questo “corpo” è chiaramente
il “popolo”, che è implicitamente rappresentato come unitario, senza divisioni,
omogeneo. Secondo la classica lettura di Rosanvallon, questa modalità della
impolitica si afferma perché “l’idea di alternativa si è erosa” e la
percezione stessa
della radicalità ha cambiato natura. Essa ormai ha abbandonato la prospettiva
di un grande avvenire, immaginandosi invece con le modalità di una voce morale
inflessibilmente preposta a stigmatizzare i potenti o a risvegliare
i dormienti. La radicalità oggi è semplicemente il
dito quotidiano che denuncia, il coltello che gira in permanenza le piaghe del
mondo e non più il cannone che cerca di prendere d’assalto la cittadella del
potere al termine di una battaglia decisiva.[21]
Come
ricordava anche Gramsci, insomma, le forme di “blanquismo” [non per caso,
insieme a Proudhon e contro Marx una delle fonti della Nuova Destra di de
Benoist], tutto fatto di frasi, di declamato ribellismo, sovversivismo,
antistatalismo concreto e idealizzazione, sono in realtà delle espressioni di
apoliticismo e di evasione dalla realtà (psicologicamente e socialmente
comprensibile) e quindi in effetti, contrariamente a quel che sembra, anche
dal conflitto sociale. Il conflitto reale non prende mai,
infatti, la forma pura di un angelo contro un demone, ma ha sempre quella,
ambigua, del “conflitto delle libertà”. È, seguendo la formula hegeliana,
“apprendimento di ciò ch’è presente e reale, non la costruzione di un al di là,
che sa Dio dove dovrebbe essere”[22].
In questo modo, rifiutando di compromettersi con le ragioni, si perviene alla
sostanziale rinuncia a modificare l’esistente e il ribellismo si rovescia nel suo
contrario (e dal suo contrario viene spesso usato).
La
questione è che populismo, ribellismo e messianismo non sono idee,
sono forme di “falsa coscienza necessaria”[23] che
scaturiscono dalle condizioni oggettive di vita delle classi subalterne e dei
popoli oppressi. Ma sono forme che ne neutralizzano potentemente la
stessa azione. tendendo a rovesciarla in sostegno
all’oppressore e in capitolazionismo.
Necessità
Il
punto davvero non banale è quindi come conservare un modo di essere radicale,
nel pensiero e nella prassi, ma sfuggendo all’elitismo (che si nasconde spesso
dove non si vede e si attende). Uno spunto possibile è lavorare per interrompere
la connessione ed implicazione reciproca di progressismo e messianismo, ma
conciliare, di converso, trascendenza e materialismo[24]. “Materialismo” è qui
inteso in senso generale come connessione con la materia, con la vita, con la
storia (e la tradizione, la base dell’esistenza).
Uno
dei nodi è cosa significa essere ‘oltre la destra e la sinistra’ e cosa
non significa[25].
Da un punto di vista semplice indica l’opposizione a quelle forze che si
presentano sulla scena elettorale come ‘di destra’ o ‘di sinistra’, ma condividono
tutto ciò che è oggi essenziale (ovvero la struttura economica, il
posizionamento geopolitico, l’ancoraggio nel liberalismo). Da un punto di vista
culturale significa rispondere ad una domanda del tempo presente non eludibile:
cosa trattiene nell’ordine concettuale il tempo presente ed impedisce l’aprirsi
di un nuovo mondo che, pure, spinge alle porte?
Riferirsi
alla “comunità” non è in sé sufficiente. Né lo è opporla semplicemente alla
‘classe’, cercando di riferirsi al concetto di ‘blocco storico’ di gramsciana
(e leniniana) memoria. Se, palesemente, la costruzione della ‘classe’ non può
essere oggi (ma non lo è stato mai) presunta a priori con riferimento alle strutture
della produzione, la definizione delle alleanze (ovvero del ‘blocco storico’)
rinvia al tema antecedente della egemonia. Ovvero, gramscianamente, alla
costruzione di questa.
E
qui si presentano degli snodi che non possono essere tagliati semplicemente con
l’ascia del “oltre la destra e la sinistra”. Entrambi sono termini performativi
e non presenze in sé, ma la ‘comunità’ di fronte alla ‘classe’ punta ad
affermarsi piuttosto come ‘presenza’, come ‘esistenza’. La ‘comunità’ è, in
altre parole, ciò che esiste prima del ‘getto’ politico. E' infatti legata
strettamente al concetto di memoria ed a quello di tradizione. Qui ci sono
alcuni snodi cruciali sensibili allo sforzo egemonico delle Nuove Destre prima
descritto sommariamente: la ‘comunità’ esiste ‘organicamente’ (de Benoist), o piuttosto
è un progetto che unisce persistenza nel mutamento e contaminazione
nell'apertura? E' qualcosa di puro, o, piuttosto, di intrinsecamente spurio,
contaminato, complesso e plurale? Un fatto o un obiettivo, ‘natura’ o ‘cultura’?
Senza
sciogliere questi nodi, guadagnando una reale indipendenza dalle egemonie delle
destre (nuove e vecchie) e delle sinistre liberali (anche travestite in panni
aristocratici[26]),
non si potrà che fallire nel riattivare un politico capace di futuro. Al meglio
si otterranno ‘bande di fratelli’ serrate nei loro rifugi e armate le une
contro le altre (questo è l’attuale destino di tutte le diaspore delle vecchie
culture politiche, socialista, comunista, democristiana, ed anche delle nuove
forme di radicalismo più o meno ‘rossobruno’).
La
prima mossa da fare è un reale ‘andare al popolo’, ovvero liberarsi degli abiti
del maestro e del profeta. Distinguere, comprendere, aiutare, individuare il
giusto spazio della critica, coltivare insieme l’utopia e il progetto. Recintare
e dissodare il podere, con modesta determinazione, cercare le parole ed il
pensiero, avere spinta e misura[27].
Coltivare
la speranza che non ‘un altro mondo’, ma ‘questo mondo’ è possibile; che le
possibilità sono in esso. Ma ciò significa intanto che invece di separarsi spiritualmente
bisogna connettersi.
[1] - Gershom Scholem, Walter
Benjamin. Storia di un’amicizia, Adelphi, Milano 1992 (ed. or. 1975).
[2] - Scholem, cit., p. 269
[3] - Gerhard Scholem, Il
nichilismo come forma religiosa, Giuntina, Firenze 2016 (ed.or. 1977).
[4] - Op.cit., p. 16
[5] - Il quietismo è un atteggiamento
passivo, che prescrive una sorta di quiete interiore a fronte degli eventi
avversi della vita, una accettazione e rassegnazione. Nel cristianesimo
prescrive l’assenza di desideri e la sottomissione alla volontà di Dio, l’atarassia,
atteggiamento proprio dello stoicismo greco e l’epicureismo e il taoismo di
Laozi sono atteggiamenti consimili.
[6] - Meister Eckardt è un mistico e teologo
cristiano tedesco nato nel 1260 e morto intorno al 1327, membro dell’Ordine
Domenicano e fautore di una profonda unione diretta e interiore con Dio. Alcuni
suoi insegnamenti sono stati oggetto di una bolla di condanna nel 1329, anche
se successivamente è stato riabilitato. Uno dei concetti chiave presenti nei
suoi scritti è la dottrina dell'abbandono (Gelassenheit). Eckhart insegnava la
necessità di abbandonare tutte le cose create e persino le proprie immagini
mentali di Dio per raggiungere una comprensione più profonda e unione con la
divinità.
[7] - Gerhard Scholem, Sabbetay
Sevi il messia mistico 1626-1676, Einaudi, Torino 2001
[8] - Gerhard Scholem, Il
nichilismo, Op.cit., p. 51.
[9] - I bogomili furono un movimento
religioso dualista di natura gnostica che si affermò nell’attuale Bulgaria nei
secoli X e XI. “Bogomil” significa “amico di Dio”, oppure “amato da Dio”. Il movimento
ha avuto numerosi impatti, ad esempio, tra i successivi Catari (in Francia e
Italia). La dottrina prevedeva una lotta cosmica tra bene e male e dichiarano
essere il mondo materiale creato da una forza maligna e intrinsecamente
malvagio. Criticavano apertamente la ricchezza ed il potere della Chiesa e ne
rifiutavano i sacramenti.
[10] - Op.cit., p. 64
[11] - Op.cit., p. 66
[12] - Si veda, Matteo Luca Andriola, La
Nuova destra in Europa. Il populismo e il pensiero di Alain de Benoiste,
Paginauno 2019
[13] - Coppia fondatrice del politico
per Schmitt.
[14] - Rinvio al mio blog “Nella
fertilità cresce il tempo”.
[15] - Alessandro Visalli, Classe e
partito, Meltemi, Milano, 2022
[16] - Ivi, p. 371.
[17] - Si veda in particolare
l’importante D. Losurdo, Hegel
e la libertà dei moderni,
La scuola di Pitagora, Napoli 2011.
[18] - Termine cruciale nell’ultimo
Losurdo scolpito a partire dal libro del 2013 La lotta di classe.
[19] - Sulla paradossale logica
rovesciata (e mimetica) di questo sentirsi “risvegliati” e “illuminati”, perché
coraggiosamente e individualmente si è riusciti a “unire i puntini” si veda
l’utile ricostruzione che il Collettivo Wu Ming 1 fa nel suo Wu Ming 1, La Q di complotto. Come le fantasie
di complotto difendono il sistema,
Alegre, Roma 2021.
[20] - Devo questa riflessione, in questa
chiara forma, a un post di Paolo Desogus, che ringrazio.
[21] - P. Rosanvallon, La politica nell’età della sfiducia, p.
239.
[22] - G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto [1821], Laterza, RomaBari 1987,
p. 13.
[23] - Per questo concetto, esattamente
in questa applicazione, si può leggere anche l’ultima opera di Costanzo Preve.
[24] - Visalli, cit., p. 44.
[25] - Per un perspicuo modo di
trattare il tema rinvio a Vincenzo Costa, Categorie della politica. Oltre la
destra e la sinistra, Rogas Edizioni, Roma, 2023, ed al mio post di
commento a questo link https://tempofertile.blogspot.com/2024/01/vincenzo-costa-categorie-della-politica.html
[26] - Cfr. la convincente critica di
Costa, op.cit.
[27] - Visalli, op.cit., p. 238
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