Nel mio libro del 2023, “Classe e Partito”[1],
sulla base dell’analisi materialista degli stessi Inglehart[2] e
Beck[3],
proponevo di collegare la revoca delle basi materiali di esistenza, e quindi
dell’essere sociale, del compromesso keynesiano, nelle quali siamo immersi,
alla dissoluzione delle forme di coscienza dello stesso. Ovvero, se pure con
gli slittamenti e sfalsamenti necessari, di riconoscere che la tendenza
all’individualizzazione di cui parlava Inglehart, la dissoluzione della classe
per sé di cui parlava Beck, la dissoluzione della società di cui parlava Laclau[4],
le politiche dell’esistenza di Giddens[5],
l’ambiente post-metafisico di Habermas, stanno terminando insieme alla
revoca delle loro condizioni materiali di esistenza ed emergenza. Questa tesi è,
in particolare, descritta nel quadro di quella che chiamavo “la revoca” del
compromesso keynesiano, nella quale seguendo la traccia aperta dalla destra
libertaria, ma anche le rivolte giovanili ‘artistiche’ di cui parlano in modo
esemplare e forse insuperato Boltanski e Chiappello nel loro capolavoro “Il
nuovo spirito del capitalismo”[6],
quando identificano una nuova configurazione ideologica (nella quale oggi
viviamo, forse al prodromo del suo tramonto) nelle ‘aree spia’ del discorso del
management motivazionale e nella ‘città per progetti’, viene proposta una nuova
forma di trascendenza imperniata sull’individuo meritevole, antiutoritario,
liberato e cosmopolita, moralmente avanzato ed autentico[7]. Chiaramente
si è trattato di un ideale per pochi, egemone per effetto della dissoluzione
del contesto ‘moderno’, nel quale la centralità del lavoro e delle agende
materialistiche creava la condizione di una dialettica tra classi riconoscibili[8]. Questo
ambiente, questo Nuovo Spirito, nel quale abbiamo vissuto a partire dalla metà,
circa, degli anni Ottanta fin oltre gli anni Zero del nuovo millennio e che, da
allora, perde spinta, è stato egemonizzato dai movimenti “a singola scelta”[9] la
cui provenienza di classe appare, a ben guardarla, evidente con l’immediatezza
di un riconoscimento fisiognomico.
Il problema è che questa “revoca” per eccesso di successo ha
scavato sotto i propri piedi, creando per troppi un ambiente sociale ed
esistenziale nel quale il ‘rischio’ di cui allora parlavano con toni positivi sia
Beck sia Giddens (ma, in sostanza, tutti i sociologi alla metà degli euforici anni
Novanta) ha finito per estenuare il consenso su questo assetto sociale
soffocante. La medesima flessibilità che allora appariva ai più liberatoria,
dalla società burocratica e organizzata del dopoguerra, ora appare un incubo
fatto di angoscia esistenziale, incertezza e narcisismo[10]. Il
primo sintomo, ma transitorio, è stato l’emergere del ‘Momento populista’ di
cui parlava, ad esempio, Carlo Formenti nel suo “La variante populista”[11].
In una lunga fase, che ha avuto una fase ascendente negli anni Dieci, a seguito
dell’allargarsi della dinamica a cascata delle crisi multiple aperte dal crac
del 2007-8 (crisi finanziaria, poi fiscale, quindi politica e sociale), sulla
base di quella che, con immagine efficace Moreno Pasquinelli una volta chiamato
“la poltiglia sociale prodotta dal tardo capitalismo”, ha preso forma una stagione
internazionale di mobilitazioni egemonizzate dai ceti medi ‘riflessivi’,
sovraistruiti e sottoimpiegati dalle forme economiche ‘flessibili’[12].
Andando alla tesi avanzata nel mio libro, e che certo non posso qui riprodurre
nella sua estensione, il populismo, sulla base dei materiali suscitati ispirato
ad uno spirito inevitabilmente anarco-libertario e conservatore, è solo il primo
segnale che l’essere sociale sta mutando. Ma, allo stesso tempo, sostengo, ne è
solo un fenomeno di superficie, preliminare e largamente ‘morboso’ (per usare
il noto termine Gramsciano)[13]. Abbiamo
bisogno di altro e di più: è necessaria la creazione di un ordine sociale che
non sia un fragilissimo calice di cristallo; di articolare il bisogno di
protezione ed, al contempo, sfidare il principio religioso inconsapevole che
affida la salvezza ad un mercato visto come insieme delle libertà originali di
un uomo antecedente all’ordine sociale; della risoluzione della contraddizione
neoliberale tra protezione pubblica ed ordine sociale[14].
La mia tesi è che a partire dalla crisi spia della fine degli anni
Zero, progressivamente e sulla base degli stessi fallimenti delle mobilitazioni
populiste, inizia ad accadere qualcosa di nuovo: la coscienza si riallinea
all’essere sociale, dato che, come abbiamo detto, il neoliberismo ha
scavato sotto i suoi piedi. Secondo i termini che proponevo di considerare, la
maturazione della ‘revoca della revoca’[15]
fa anche venire meno la fase ‘populista’ iniziale nella quale movimenti
egemonizzati dai lavoratori della conoscenza, esprimono, nel vuoto dei quadri
di senso novecenteschi, la particolare e familiare miscela di individualismo
edonista frustrato, rancore cieco, e spinta alla socializzazione destrutturata.
Il ritorno alla durezza materiale porterà alla ripresa delle personalità
‘materialiste’ e con esse della lotta di classe, propriamente intesa.
Superata questa lunga premessa, l’interpretazione che propongo è
che, nelle particolari condizioni sociali e politiche della Germania orientale,
in cui la distruzione della forma del compromesso fordista in salsa socialista,
è stata particolarmente brutale e prolungata nel tempo, il successo della
formazione della Wagenknecht mostra questa tendenza. Nell’intervista per New
Left Review, dell’aprile 2024, pubblicata su L’Antidiplomatico[16]
il politico tedesco illustra perfettamente un’agenda politica post-populista e
direttamente imperniata su temi materiali che prendono atto dell’esaurimento
delle “politiche dell’identità”. Si tratta di una proposta anche
post-ideologica nel senso che non guarda alle famiglie politiche della sinistra
o destra, ed alle loro marcature simboliche, ma ostinatamente alla loro base di
interessi materiali. Ne consegue che non ha alcuna remora a sostenere le
imprese del Mittelstand, da una parte, e contrastare gli effetti sociali sui
ceti bassi delle politiche ambientali, dall’altra. O di opporsi senza esitazioni
la guerra alla Russia e al contrasto alla Cina sulla base di argomenti
pragmatici, ignorando l’agenda identitaria occidentale fondata su una pelosa
retorica democratica di marca suprematista. Punta a costruire una posizione
sull’immigrazione pragmatica, di basilare buon senso, e ben equilibrata (che
guarda alle condizioni dei ceti popolari e non al bisogno di badanti delle
classi medie superiori, senza negare che una certa immigrazione è necessaria e
tutti devono essere aiutati[17]).
Ancora, nel quadro concreto di una competizione elettorale nella
quale la BsW si oppone, periferia per periferia, all’ascesa della AfD, ricorda
che “la migrazione avverrà sempre in un mondo aperto” e che “spesso può essere
un arricchimento per entrambe le parti”, ma, anche, che “è essenziale che la
sua portata non sfugga di mano” e che “le ondate migratorie improvvise siano
tenute sotto controllo”. Ricordando che l’ascesa imperiosa del razzismo, e
della xenofobia, e quindi della AfD è figlia della Merkel.
Infine, non ha paura di dire che la BsW è a favore della
transizione energetica e delle politiche ambientali, necessarie, ma non dell’impostazione
dei Verdi tedeschi (espressione politica delle classi più alte ed incluse della
società) che le fa pagare ai cittadini sulla base di un’impostazione arrogante
ed autocompiaciuta. Quella per la quale sembrano dire: “Siamo i più virtuosi,
perché possiamo permetterci di comprare cibo biologico. Possiamo permetterci
una cargo bike. Possiamo permetterci di installare una pompa di calore. Possiamo
permetterci tutto”. Incarnano, ovvero, “un senso di autocompiacimento, anche se
fanno aumentare il costo della vita per le persone che faticano a tirare
avanti”. Bisogna, infatti, impostare politiche ambientali che “la grande
maggioranza delle persone può accettare, sia dal punto di vista economico che
sociale”, con “ampia copertura pubblica”.
Nel suo “Contro la sinistra neoliberale”[18], la
parte più forte è quella in cui denuncia i “moralisti senza empatia” della “sinistra
alla moda”, la quale, ottenuto ormai l’essenziale e messa al sicuro la propria
vita (a volte per generazioni), si concentra sul linguaggio e si sente così in
alto da essere solo cittadina del mondo (ovvero di nessun posto). Una sinistra,
lo dicono tutte le indagini post elettorali dell’Occidente ormai da decenni,
che si aggrega nei luoghi ‘centrali’ e connessi, frequenta solo se stessa specchiandosi
beata. Ottiene professioni ben pagate nel settore dei servizi avanzati, si
sente liberale perché se lo può ben permettere. Una sinistra che vive nel vuoto
e lo coltiva.
Quindi bisogna avere bisogno degli altri. Cercare il pieno, non il
vuoto. Individuare il senso della vita non nella ‘immane collezione di merci’[19],
ma, piuttosto nel sentirsi parte di una comunità, in termini della condivisione
di un’appartenenza e di un progetto di futuro[20]. Un’appartenenza,
anche, ad una ‘nazione’, termine che la politica tedesca ricorda giustamente
essere figlio della rivoluzione francese, non avere base etnica, né religiosa, né,
tantomeno, razziale. Senza paura di riferirsi anche al valore delle tradizioni
(tra queste sono anche quelle delle democrazie popolari, di massa, ormai tanto
lontane da noi sotto l’effetto della spinta della reazione neoliberale degli
anni Ottanta e Novanta).
Con questa agenda, spiegabile secondo il metodo della deduzione
sociale delle categorie, è perfettamente logico che si trovi nel suo discorso anche
un apprezzamento per la CDU pre svolta neoliberale, ed un “capitalismo
addomesticato, con una forte componente sociale”, e, al contempo, trovi il suo
posto la critica della svolta verso le ‘politiche dell’identità’ (tardiva e
difensiva) della Die Linke che ha lasciato a suo tempo. Quindi l’attacco ai
“discorsi privilegiati”, sulla “diversità”, che sono alienanti per elettori che
in sostanza vogliono, piuttosto, “pensioni dignitose, salari dignitosi, e pari
diritti”. Tutto ciò, di nuovo, precisando che “siamo favorevoli a che tutti
possano vivere e amare come desiderano. Ma c’è un tipo esagerato di politica
identitaria in cui devi scusarti se parli di un argomento se non hai un
background migratorio, o devi scusarti perché sei etero”.
Nel post “Poche note”[21],
in questo stesso blog sostenevo, in linea con questa proposta, che è il momento
di aggiornare l’analisi concreta. Sfuggire al gioco specifico dell’Occidente
della lotta culturale intorno all’ombelico, agli intrattenimenti. All’inseguimento eterno di aggregazioni
di nuvole di senso continuamente riaggregate intorno nuovi significanti vuoti
di cui sembra esserci cataloghi infiniti. Di cui ci sono continue
riproposizioni e provocazioni sempre più creative. È il momento di tornare alla
durezza di un’analisi che sta alle cose, ai fatti. Come scrivevo questi fatti oggi
sono la postura neocoloniale e la guerra tra neoblocchi, contemporaneamente di
potenza e di civilizzazione, che si affaccia prepotentemente sulla scena del
mondo. Si affaccia e pretende la mobilitazione totale contro l’Altro,
del quale si nega in effetti la stessa esistenza come tale. Mobilitazione che
oblia l’intera storia di scambi, arricchimenti reciproci, densa presenza, per
richiedere solo l’ossessiva affermazione di sé come ‘eletto’; legittimato alla
completa distruzione, fisica e morale di chi non riconosce l’altura morale
sulla quale pretendiamo essere[22].
In attesa di parole migliori Sahra chiama questa posizione “sinistra
conservatrice”, ma, precisa, è “un po’ di più di un revival di sinistra”,
incorporando anche altre tradizioni il cui catalogo segnala.
Si tratta piuttosto di un nuovo essere sociale che inizia a
tradursi in forma politica:
-
buon senso economico,
-
giustizia sociale,
-
pace,
-
libertà di espressione (che supera il politicamente corretto).
Tutto semplice, in fondo.
[1]
- Alessandro Visalli, Classe e partito, Meltemi, Milano, 2023.
[2]
- Si veda, ad esempio, Ronald Inglehart, La
società postmoderna, Editori Riuniti, 1998 (ed.or. 1996); Roland Inglehart,
Valori e cultura politica, Petrini ed. 1993 (ed. or. 1990).
[3]
- Si veda Ulrich Beck, Costruire
la propria vita, Il Mulino 2008 (ed. or. 1997); Ulrich Beck, Potere
e contropotere nell’età globale, Laterza 2010 (ed. or. 2002); Ulrich Beck, La
società del rischio, Carocci 2001 (ed. or. 1981); Ulrich Beck, I rischi
della libertà, Il Mulino 2000 (ed. or. 1994).
[4]
- Ernesto Laclau, La
ragione populista, Laterza 2008 (ed.or. 2005); Ernesto Laclau, Marxismo
e populismo, Castelvecchi 2018; Ernesto Laclau, Le fondamenta
retoriche della società, Mimesis, 2017 (ed. or. 2104); Ernesto Laclau, Emancipazione,
Orthonsesis 2016 (ed. or. 1996); Ernesto Laclau, Politica e ideologia nella
teoria marxista, Castelvecchi 2021 (ed. or. 2012).
[5]
- Si veda Anthony Giddens, Le conseguenze della modernità, Il Mulino
1994 (ed. or. 1990); Anthony Giddens, Identità
e società moderna, Ipermedium libri, Napoli 1999 (ed. or. 1991).
[6]
- Luc Boltanski, Éve Chiappello, Il nuovo spirito del
capitalismo, Mimesis, 2014 (ed. or. 1999).
[7]
- Si veda Alessandro Visalli, Classe e partito, cit., p. 147.
[8]
- Se pure solo idealmente rappresentabili come “borghesia” e “proletariato”
(termine duale in effetti mai realmente esistito, ma sempre effetto di una
struttura discorsiva imposta da una lotta politica).
[9]
- I quali rinunciano a proporre un progetto complessivo di società, in favore
dell’emersione di un tema, proposto costantemente come ‘emergenza’: la
liberazione sessuale (a partire dagli anni Sessanta almeno), il razzismo, la
libertà di orientamento personale, la crisi climatica ed ambientale, il
femminismo. Al posto della frattura di classe ne sono proposte altre che
tagliano diagonalmente il corpo sociale, rendendo di fatto impossibile la
mobilitazione in favore di un cambiamento ‘modale’ (ovvero del modo di produzione).
[10]
- Su questo termine cruciale si veda Richard Sennett. A partire dal suo studio
del 1974, Il declino dell’uomo pubblico, Bruno Mondadori, 2006. Quindi,
Richard Sennett, L’uomo
flessibile, Feltrinelli 1999; Richard Sennett, La
cultura del nuovo capitalismo, Il Mulino 2006. Ma anche, Christopher
Lasch, La cultura del narcisismo, Colibrì, 2020 (ed. or. 1979).
[11]
- Carlo Formenti, La variante populista, Derive e Approdi, 2016. Poi si
veda, dello stesso autore, Carlo Formenti, Il socialismo è morto. Viva il
socialismo!, Meltemi 2019; Carlo Formenti, Guerra e Rivoluzione,
Meltemi 2023.
[12]
- Secondo il termine proposto da David Harvey. Si veda, ad esempio, David
Harvey, La crisi della modernità, Il Saggiatore 1993, (ed. or. 1990);
David Harvey, Breve storia del neoliberismo, Il Saggiatore, 2007 (ed.
or. 2005); David Harvey, L’enigma del capitale, Feltrinelli, 2011 (ed.
or. 2010).
[13]
- Si veda, Alessandro Visalli, op.cit., p. 316.
[14]
- Per questa agenda si veda idem, p. 327 e pag. 295. Al contempo si veda, per
una più estesa chiarificazione, il bel libro di Onofrio Romano, La
libertà verticale, Meltemi 2019.
[15]
- Si veda, Idem, cap. 3.5 “La revoca della revoca: il ritorno della storia”, p.
174 e seg.
[16]
- “La
Germania (e l’Europa) che ha in mente Sahra Wagenknecht”, L’Antidiplomatico,
12 settembre 2024.
[17]
- Personalmente, intorno al 2018-19, ho a lungo scritto su questo tema. Uno dei
post più completi è “Immigrazione
e questione sociale”, Tempofertile, 19 settembre 2018, quindi, “Uscendo
dall’ipocrisia dei rispettivi muri: cosa significa accogliere”,
Tempofertile, 13 gennaio 2019.
[18]
- Sahra Wagenknecht, Contro la sinistra neoliberale, Fazi Editore 2022
(ed.or. 2021).
[19]
- “La ricchezza delle società in cui domina il modo di produzione capitalistico
si manifesta come una ‘immane raccolta di merci’”, Karl Marx, Il Capitale,
Libro I, Cap. I, Einaudi, Torino, 2024, p. 41.
[20]
- Sahra Wagenknecht, Contro la sinistra neoliberale, op.cit., p. 284.
[21]
- Alessandro Visalli, “Poche
note, e provvisorie”, Tempofertile, 8 settembre 2024.
[22]
- Si veda, ad esempio, Alessandro Visalli, “La
fine della modernità. Logiche della dipendenza e dei sistemi-mondo”,
Tempofertile, 26 aprile 2024; ma anche Alessandro Visalli, “Circa Trump”,
Tempofertile, 4 agosto 2024; infine, Alessandro Visalli, “Si intravede”,
Tempofertile 15 giugno 2024.
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