Quello che segue è il testo del mio intervento all'evento organizzato da "L'interferenza", il 16 novembre 2024, sull'agenda ed il libro di Sahra Wagenknecht "Contro la sinistra neoliberale", Fazi Editore, 2022.
Il
meno che si può dire del nostro tempo, qui in Occidente, è che si muove
nell’ombra di un incipiente tramonto. I segni sono molti: il degrado
probabilmente terminale della democrazia, che da tempo è schiacciata dal suo
eterno doppio, l’oligarchia. La completa metamorfosi dell’universalismo, vanto
della nostra tribù Occidentale, al suo punto zero del suprematismo imperiale.
L’ormai assoluta, ed omicida, cecità verso l’Altro da sé. La mobilitazione
totale di coscienze, oscurate dalla paura. La democrazia ha alla fine vissuto
una brevissima stagione, qui in Europa, stretta tra le guerre ed il crollo di
una speranza; l’universalismo è sempre stato accompagnato come un’ombra dal
suprematismo, e questo dall’imperialismo; l’Occidente ha sempre visto solo se
stesso; siamo nel regno della paura.
Siamo
quindi al tramonto, e siamo sotto l’aspra necessità della guerra.
Indispensabile, fatta e minacciata, spesso con servizievoli procuratori, per
continuare ad estrarre valore dal mondo pieno e coltivare il vuoto nel quale
siamo precipitati. Un vuoto da tempo creato da un ‘essere sociale’ che non sa liberarsi
dalle conseguenze di una libertà pensata come licenza e arbitrio solitario. Inconsapevole
della profondità costitutiva della relazione sociale, e della responsabilità
che ne deriva. L’essere sociale del medio-Occidente vive dell’insolubile
contraddizione di pensarsi individuale; intersezione casuale di monadi disincarnate,
dedite liberamente alla coltivazione del proprio vuoto, fatto di possessi
compulsivi ed escludenti, idiosincratici desideri; sommando la più assoluta
eteronomia e dipendenza dalla contingente forma del mercato. Ma, al contempo, riesce
ad immaginare questa forma puramente contingente come normativamente
universale.
Vaste
conseguenze si disseminano da questo stato: nell’impossibilità di salvare la coesione sociale e
l’agire politico coerente che ne deriva, la tecnica di governo del vuoto si
rivolge alla creazione e rapida sostituzione di sempre nuovi miti e nemici. Si
ottiene per questa via ciò che per altri promana da una superiore consistenza
sociale.
Mentre
tutto ciò fa il suo corso, tramontato l’entusiasmo prometeico del lungo
Novecento (inaugurato dalla tardo ottocentesca sconfitta degli imperi rivali,
turco e cinese, e terminato con la dissoluzione sovietica), ed il corto
Novecento della democrazia (tra il secondo dopoguerra e la dissoluzione
sovietica), e sfumato il fascino della modernizzazione (ormai sempre più
appannaggio orientale), sotto la spinta del ritorno alla pura e semplice
durezza materiale, sperimentata dalle ex classi medie come dal disperso mondo
del lavoro, troviamo slittare i temi: dalla mobilitazione per la guerra al
cambiamento climatico (bandiera delle classi medie gentrificate, per una breve
stagione egemonica nel grande capitale monopolistico, contro la quale agisce
una molto ben orchestrata campagna con concretissimi ed ovvii interessi) si
passa, in questo clima da resa dei conti, alla sbandierata guerra alle
“autocrazie” (nella quale l’universalismo si sveste, rilevandosi suprematismo
imperiale); al nemico esterno come necessità e surrogato ad una coesione ormai
persa.
Al
tramonto, quando le ombre si allungano, il movimento di Sahra Wagenknecht tenta
una sorta di oltrepassamento della fase ‘populista’ della politica, tornando
alla centralità della durezza materiale. Accade nelle particolari condizioni
della Germania, in particolare all’Est, che affronta sfide straordinarie frutto
della distruzione ormai compiuta dal neoliberismo delle condizioni di senso e
stabilità delle vite. Ciò che propone è una sorta di Agenda post-populista,
direttamente imperniata sui temi materiali e la presa d’atto del finale
esaurimento delle “politiche dell’identità”.
Per apprendere il proprio tempo, sembra dirci, occorre avere
il coraggio di aggiornare l’analisi, superando i significanti vuoti di
Laclau e guardare ostinatamente agli interessi materiali. Senza avere paura di
sfidare le marcature simboliche delle famiglie della destra e sinistra, bisogna
fissare ostinatamente, permanentemente, la base degli interessi materiali. Ciò
significa, per il movimento tedesco, sostenere le imprese del Mittelstand, da
una parte, e contrastare gli effetti sociali sui ceti bassi delle politiche
ambientali, dall’altra. Oppure opporsi senza esitazioni la guerra alla Russia e
al contrasto alla Cina sulla base di argomenti pragmatici, ignorando l’agenda
identitaria occidentale fondata su una pelosa retorica democratica di marca
suprematista. Vuol dire costruire una posizione sull’immigrazione pragmatica,
di basilare buon senso, e ben equilibrata (che guarda alle condizioni dei ceti
popolari e non al bisogno di badanti delle classi medie superiori, senza negare
che una certa immigrazione è necessaria e tutti devono essere aiutati).
Ancora, nel quadro concreto di una competizione elettorale nella
quale la BsW si oppone, periferia per periferia, all’ascesa della AfD, questa ricorda
che “la migrazione avverrà sempre in un mondo aperto” e che “spesso può essere
un arricchimento per entrambe le parti”, ma, anche, che “è essenziale che la
sua portata non sfugga di mano” e che “le ondate migratorie improvvise siano
tenute sotto controllo”. Ricordando che l’ascesa imperiosa del razzismo, e
della xenofobia, e quindi della AfD è figlia della Merkel.
Individuare come ‘nemico principale’ noi stessi, cioè quell’Occidente
che ha smarrito sé stesso significa qui tenere ferma la critica al
progressismo, all’universalismo astratto, ma, insieme, sfuggire al nihilismo
particolarista (così diffuso a ben vedere nel populismo realmente esistente), ed
al comunitarismo tradizionalista (ma senza avere paura della parola, che si
tratta sempre di capire quale tradizione e quale innovazione).
Al contempo Sahra non ha paura di dire che la BsW è a favore della
transizione energetica e delle politiche ambientali, le quali sono necessarie,
ma non lo è, affatto, dell’impostazione dei Verdi tedeschi (espressione
politica delle classi più alte ed incluse della società, per non dire di altri)
che le fanno sempre pagare ai cittadini più deboli sulla base di un’impostazione
arrogante ed autocompiaciuta[1].
Bisogna, infatti, impostare politiche ambientali che “la grande maggioranza
delle persone può accettare, sia dal punto di vista economico che sociale”, con
“ampia copertura pubblica”.
Bisogna in definitiva scegliere bene le critiche. Senza farci
usare (ad esempio dal capitale veramente grande, mobilitato per la guerra[2]),
ma anche senza andare dietro facili miti (l’assoluto potere della finanza,
senza una reale comprensione dei meccanismi che operano sempre nel capitale,
tutto), alla critica di costume (magari rovesciata), alla lotta alle parole. Bisogna
lottare per le cose, non per le parole. E scegliere il nostro campo in base
all’essenziale.
Sfuggire il vuoto, nel quale cresce l’ombra della guerra,
significa soprattutto capire di avere bisogno degli altri. In primo luogo,
dobbiamo individuare il senso della vita lontano dalla mera ‘immane collezione
di merci’[3],
ma, piuttosto nel sentirsi parte di una comunità, in termini della condivisione
di un’appartenenza e di un progetto di futuro[4].
Un’appartenenza, anche, ad una ‘nazione’, termine che la politica tedesca
ricorda giustamente essere figlio della rivoluzione francese, non avere base
etnica, né religiosa, né, tantomeno, razziale. Senza paura di riferirsi perciò anche
al valore delle tradizioni (tra queste sono anche quelle delle democrazie
popolari, di massa, ormai tanto lontane da noi sotto l’effetto della spinta
della reazione neoliberale degli anni Ottanta e Novanta).
Chiaramente scegliere in base all’essenziale significa anche
che, quando tutto crolla, bisogna frenare. Bisogna cercare almeno un
kathekon che ci consenta di disertare dal gioco della lotta culturale
intorno all’ombelico, dagli intrattenimenti. Dall’inseguimento eterno di aggregazioni di nuvole di
senso continuamente riaggregate intorno nuovi significanti vuoti di cui sembra
esserci cataloghi infiniti. Di cui ci sono continue riproposizioni e
provocazioni sempre più creative.
È
il momento di tornare alla durezza di un’analisi che sta alle cose, ai fatti.
Questi
fatti oggi sono la postura neocoloniale e la guerra tra neoblocchi,
contemporaneamente di potenza e di civilizzazione, che si affaccia
prepotentemente sulla scena del mondo. Si affaccia e pretende la mobilitazione
totale contro l’Altro, del quale si nega in effetti la stessa esistenza
come tale. Mobilitazione che oblia l’intera storia di scambi, arricchimenti
reciproci, densa presenza, per richiedere solo l’ossessiva affermazione di sé
come ‘eletto’; legittimato alla completa distruzione, fisica e morale di chi
non riconosce l’altura morale sulla quale pretendiamo essere[5].
Cercando
il nuovo ‘essere sociale’ che si affaccia al tramonto abbiamo bisogno di
compagni di strada.
Grazie
Sahra.
[1]
- Quella
per la quale sembrano dire: “Siamo i più virtuosi, perché possiamo permetterci
di comprare cibo biologico. Possiamo permetterci una cargo bike. Possiamo
permetterci di installare una pompa di calore. Possiamo permetterci tutto”.
Incarnano, ovvero, “un senso di autocompiacimento, anche se fanno aumentare il
costo della vita per le persone che faticano a tirare avanti”.
[2]
- Nel momento in cui l'Occidente collettivo va alla guerra servono diversi
capitali, al posto di quelli della New Economy, bisogna ri-creare le
condizioni della rivalsa del Grande Capitale Industriale (GCI) di tipo
tradizionale (Oil & Gas e Nucleare & Militare, OGNM) verso il capitale
distribuito e finanziarizzato egemone nell'avvio di millennio. Il GCI, allora,
chiede e ottiene protezione. Anche questo significa passare da una fase
“capitalista” ad una “territorialista”.
Questo conflitto tra capitali (la
forma standard del modo di produzione capitalista) ha una rilevante conseguenza
che si inizia a vedere: un allentamento delle retoriche della
transizione e della modernizzazione smart e un relativo indebolimento
delle relative politiche di spinta. L'emergere di controforze solo
apparentemente volte alla mitigazione degli effetti della transizione sulla
vita quotidiana (OGNM ha ottime agenzie di stampa e marketing, capaci di
vendere tutto a tutti) ma in realtà dirette alla conservazione degli
assetti di potere esistenti ed al loro rafforzamento. Rivolte alla
sostituzione di una mobilitazione con un’altra.
[3]
- “La ricchezza delle società in cui domina il modo di produzione capitalistico
si manifesta come una ‘immane raccolta di merci’”, Karl Marx, Il Capitale,
Libro I, Cap. I, Einaudi, Torino, 2024, p. 41.
[4]
- Sahra Wagenknecht, Contro la sinistra neoliberale, Fazi Editore, 2024,
p. 284.
[5]
- Si veda, ad esempio, Alessandro Visalli, “La
fine della modernità. Logiche della dipendenza e dei sistemi-mondo”,
Tempofertile, 26 aprile 2024; ma anche Alessandro Visalli, “Circa Trump”,
Tempofertile, 4 agosto 2024; infine, Alessandro Visalli, “Si intravede”,
Tempofertile 15 giugno 2024.
Nessun commento:
Posta un commento