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domenica 15 giugno 2025

Appunti sul 13 giugno. Israele e Iran


 

 

Nella tragica vicenda in corso, tra il 13 ed il 15 giugno di questo 2025. Il 13 Israele ha attaccato unilateralmente, l’operazione “Risin Lion”, attaccando brutalmente l'Iran mentre si stava negoziando sul programma nucleare, e questi ha risposto poco dopo con l’operazione “True Promise III” che al momento si è materializzata in attacchi ibridi da più direzioni con centinaia di missili balistici di varia natura e modernità e droni. Questi hanno perforato a decine la difesa a quattro strati israeliana, probabilmente supportata anche da aerei e mezzi navali Nato, colpendo bersagli civili (fabbriche, aeroporti, porti, raffinerie) e militari (centri di comando e controllo).

 

L’attacco israeliano, che si pone nella posizione oggettiva dell’aggressore, è stato condotto con aerei (circa 200, la metà di quelli teoricamente disponibili) F-35, F-16 e F-15, dei quali almeno 3 abbattuti (pare F-35), e droni con partenza da prossimità (occultati come da esempio ucraino di poche settimane prima) e sabotatori. I bersagli sono stati, da parte israeliana, i siti nucleari e di ricerca iraniani (a Natanz, Fordow, Esfahan e Arak), gli aeroporti militari, i radar e silo di missili, l’importantissimo South Park gas Field, alcuni edifici residenziali ad alta densità a Teheran (es. il Nobonyad Square), alcuni stabilimenti industriali, poi Israele ha ucciso con attacchi mirati nelle proprie case, alcuni comandanti del IRGC come Hossein Salami, Mohammad Bagheri, Gholam Ali Rashid, Amir Ali Hajizadeh, Ali Shamkhani, e scienziati nucleari come Fereydoon Abbasi e Mohammad Mehdi Tehranchi.

Il contrattacco iraniano, sempre alla data di oggi, ha colpito Tel Aviv, Bat Yam, Rehovot, Gerusalemme e Tamra nella prima ondata, e Haifa, Rishot LeZion, Kiryat Ekron e di nuovo Tel Aviv ed altre nella seconda. Gli attacchi si sono concentrati su basi militari e aeroporti, ma anche sulle infrastrutture energetiche, colpendo la raffineria Bazan di Haifa nella quale le attività sono parzialmente sospese e ci sono danni agli oleodotti, e sulle strutture portuali.



Ritengo i fatti solo occasionalmente connessi con il 'casus belli' del programma nucleare (civile) iraniano, ma da inquadrare in primo luogo nella Grande Strategia Israeliana di liberarsi degli avversari sciiti e di coloro che potrebbero ostacolare il piano, vitale per le prospettive di lungo termine, del “Patto di Abramo [1] un asse infrastrutturale ed energetico che parte dall'India per sboccare ai porti israeliani, passando per l'Arabia Saudita[2]. Un progetto americano che sostituisce la “Via della Seta[3] cinese, oltre che il più recente progetto futuro di gasodotto Iran-Pakistan-Cina.

 

 

Grande Strategia che, non senza un nesso con il ritorno di Trump (primo sponsor del Patto di Abramo), ha due sfondi, uno prossimo ed uno remoto (o di contesto generale):

-        Il primo si connette con la resa dei conti attivata dai “Patti di Abramo”, che rappresentano una sfida esistenziale anche alla posizione palestinese e iraniana, ed è una delle cause del 7 ottobre;

-        Il secondo, in un contesto più ampio e non regionale, trova la sua urgenza nelle difficoltà americane a raggiungere un assetto di dominio sostenibile, atteso l'insostenibile deficit crescente, il debito sempre più costoso e le difficoltà del dollaro nel contesto della sfida geopolitica esistenziale dei Brics (cui appartengono sia l'Iran sia la Russia e la Cina, ma anche l'India e l'Arabia Saudita).

 

Questo è, insomma, un evento che si inserisce nella Guerra Mondiale a Pezzi in corso da anni. Considerando questo, come si può vedere il vantaggio strategico e come il vantaggio tattico? A favore di chi gioca il tempo?

 

Per rispondere a queste domande, nel contesto di situazioni così complesse ed intrecciate (nelle quali andrebbero inserite anche storiche dinamiche di lotta religiosa, di forme politiche, di differenze etniche e culturali profonde in una regione che è la culla della cultura anche occidentale[4]), bisogna ragionare in termini strutturali (non solo in termini militari, quanto geo-economici, demografici, infrastrutturali e sistemici) e politico-sociali. Ovvero vedere il confronto, e le sue poste immediate come remote, come dimostrazione di resistenza sistemica asimmetrica. Anche, e soprattutto, nel contesto della lotta per il mondo in corso.

 

Per dirla direttamente, ritengo che, malgrado le apparenze, il vantaggio strategico sia nelle mani dell'Iran.

 

Il fattore, tra i tanti, che resta decisivo è la profondità della struttura iraniana nel confronto con la fragilità della densissima e iper-tecnologica e militarizzata Israele. Paradossalmente il vantaggio di Israele è anche la sua debolezza, se portata abbastanza in fondo.

Il piccolo paese sul mare ha messo in piedi in questo secolo, dai primi insediamenti, un poderoso ed impressionante sistema iperconcentrato, altamente tecnologico, ma anche per questo costoso da mantenere, e vulnerabile a shock simultanei. Al contrario, il millenario grande paese dell’interno, conserva caratteri più ‘arretrati’, ma per questo molto più distribuiti, con grande capacità di adattamento, giovane demograficamente e dotato di enorme orgoglio nazionale (anzi imperiale), militarmente decentrato e adatto a una lunga guerra di attrito (di cui ha già dato prova).

Bisogna vedere il confronto tra l’efficienza e l’alta densità, da una parte, e la robustezza adattiva, dall’altra. La Grande Strategia israeliana deve prevedere rapide vittorie, e per questo la sua azione è sempre intimidatoria e brutale, quella iraniana può imperniarsi sulla saturazione come metodo strategico.

Questa ha quattro obiettivi:

1-     forzare Israele ad un alto consumo di mezzi,

2-     distruggerne l’immagine di invulnerabilità (che è il presupposto stesso dell’accordo di Abramo),

3-     esaurire le capacità di rifornimento militare

4-     e aumentare il costo politico, ed economico, della guerra.

 

Per mettere alla prova questa interpretazione, si deve partire dalla geografia, poi dalla demografia, quindi dalla struttura economica, quella produttiva e dal sistema alleati/ostili.

 

Vediamo i dati essenziali:

-        L'Iran ha ca 1.650.000 kmq, mentre Israele 22.000;

-        La popolazione del primo è di 87 milioni, con età mediana 32 anni, Israele 9,5 milioni (di cui almeno 2-3 palestinesi) con età mediana simile.

-        L'Iran ha una forma dell'economia mista, con i guardiani della rivoluzione che ne controllano una fetta importante, il 25 % del Pil è industriale, importante il sistema degli idrocarburi,

-        Israele è più 'moderno', ha il 66% dai servizi e solo 15% industria.

-        L'esercito iraniano è molto più grande ma meno avanzato e molto di terra, ha una grande forza missilistica e una scarsa aviazione,

-        tutto il contrario Israele; dispone di una potentissima aviazione (400 aerei) e avanzata forza antimissile, ha però una forza missilistica limitata.

-        L'economia, in termini di Pil è simile, ma il debito pubblico israeliano sembra notevolmente maggiore (70% del PIL) come normale in uno stato militarizzato, il deficit è del 6% del Pil,

-        d’altra parte, con meno debito e deficit, in Iran c'è una inflazione alta.

-        Gli alleati dei primi sono, come noto, la Corea del Nord, e in misura più incerta per la lunga storia la Russia, in posizione esterna la Cina e i suoi alleati tra i quali spicca il Pakistan, i loro proxi sono, come noto Hezbollah, Hamas, Houthi, le milizie irachene.

-        Per Israele gli alleati siamo noi, ma, soprattutto gli Usa.

-        La Turchia oscilla, Qatar, Egitto, Arabia Saudita sono più vicini ad Israele, ma hanno enormi problemi interni e non interesse alla caduta completa dell'Iran.

-        Le forze militari comparate vanno dai missili balistici iraniani (i vecchi Shahab-3/Sejjil; i più recenti Emad, Khorramshahr, Kheibar, Dezful) che erano stati sottostimati quanto a numero e precisione, che potrebbero essere da 3 a 5.000; a droni di attacco, molto efficaci e venduti anche ai russi; ai 150.000 missili di basso effetto degli Hezbollah libanesi, oltre ai cruise efficaci ma limitati di numero degli Houti. Le altre milizie dovrebbero avere capacità limitate.

-        Israele in pratica non ha missili balistici, perché le poche centinaia sono nucleari (Jericho III), qualche missile navale (Gabriel, Popeye Turbo, Harpoon) e, soprattutto alcune migliaia di missili da aereo ad alta precisione (Delilah, si stimano in 5.000), con portata di 250 km. Ha 400 aerei di cui 40 sono F-35 e gli altri F-15 o F-16. Poi droni.

 

In sostanza, all'attuale ritmo Israele può andare avanti per le due-tre settimane dichiarate, difficilmente di più. Solo se riceve ingenti rifornimenti può andare avanti per mesi. L'Iran può andare avanti con attacchi di saturazione per altrettanto, forse con i proxy per mesi.

 

Ma il punto centrale è, però, che se questi missili lanciati passano e fanno danno, allora la fragilità verso resilienza cominciano ad essere decisive.

 

Quel che si è visto è, da entrambe le parti, il frutto dell'apprendimento ucraino. Operazioni in profondità israeliane e armi notevolmente migliorate iraniane. Tuttavia, l'Iran ha una struttura produttiva molto robusta (è un paese industriale) e altamente decentrata[5]. I missili sono stoccati in silos sotterranei e piccole quantità, la produzione è sia decentrata sia altamente automatizzata (e quindi meno vulnerabile a sabotaggi) con uso di tecnologie cinesi, si stima che potrebbero produrre fino a 200 missili balistici al mese, e centinaia di droni. Recentemente sono state fatte ampie scorte di propellente solido dalla Cina. Se questo è vero l'attuale ritmo è sostenibile per 3-6 mesi. Il fatto è che fermare questa catena produttiva con attacchi mirati, senza occupare il territorio, non appare possibile.

Israele, di converso, produce i suoi sistemi d'arma, più avanzati ma anche più costosi, in 4-5 grandi fabbriche (IAI, Rafael), che quindi potrebbero facilmente essere distrutte dai missili balistici, magari ipersonici.

 

Inoltre, le città israeliane sono iperdense, e quelle iraniane (con la parziale eccezione di Teheran e poche altre) sono basse e distribuite, palazzi di due piani, massimo 3-4.

 

In sostanza il punto è che le infrastrutture israeliane si contano sulle dita di due mani: 4-5 fabbriche chiave, due centrali nucleari non commerciali, una grande centrale a gas e olio, due raffinerie, rete elettrica in isola, alcune infrastrutture It di Amazon e Google, il porto di Haifa con le sue industrie chimiche. Colpirle creerebbe un danno immenso. In sostanza, se venisse erosa la capacità di sostituzione e logistica (porto e aereoporti), data l'ostilità dei confinanti e la vulnerabilità delle linee di terra, entro poche settimane Israele potrebbe perdere la sua superiorità, anche aerea (che dipende da una tecnostruttura altamente sensibile).

 

 

La sintesi strategica di quanto scritto è che la leva negoziale è nelle mani di Teheran, se lo scontro supera le quattro-cinque settimane, e ciò contro le apparenze. Nel senso che nel medio termine Israele può subire danni diretti ed indiretti critici, avendo anche altri fronti aperti o che si possono riaprire, sia verso gli Hezbollah, sia verso i ribelli siriani nelle alture del Golan, sia verso gli Houti e Hamas.

 

In questo scenario, la Grande Strategia israeliana può essere di trascinare gli Usa in una guerra diretta, ma in tal caso le monarchie del Golfo non potrebbero seguire, per ragioni interne e di fragilità delle loro vitali infrastrutture energetiche, e gli stessi Usa avrebbero seri problemi interni e di tenuta finanziaria (considerata da situazione altamente critica del percorso del debito e le tensioni sul dollaro).

 

Ritengo dunque che alla fine l'Iran possa negoziare, magari tra un mese, in posizione di forza relativa, soprattutto se riaccende i focolai a Nord (Hezbollah), Sud (Hamas), Est (il Golan siriano e i ribelli al nuovo regime), Mar Rosso. E soprattutto se, come sembra, il Pakistan fornisce il suo appoggio (ed implicitamente ombrello nucleare) e la Cina, come la Russia, sostengono dietro le quinte.

 

In questo senso si vede oggi, in tutta la sua estensione, il piano di Israele:

1-     neutralizzare Hamas (per ora fallito),

2-     spezzare gli Hezbollah (per ora riuscito),

3-     eliminare la Siria (riuscito),

4-     indebolire gli Houti (fallito)

5-     e quindi colpire l'Iran.

 

Ovviamente, tutto ha senso se, alla fine, gli Usa mettono gli scarponi sul terreno, o, almeno attaccano massicciamente entrando nella guerra.

 

 

Ma qui ci sono i limiti del piano (che, come sempre, non sopravvive all'impatto con il terreno):

-        Hamas è ancora vitale,

-        gli Hezbollah sono inerti ma hanno ancora le forze,

-        in Siria ci sono forze ribelli forti e preparate che si stanno organizzando,

-        gli Houti sono attivi.

-        E, soprattutto, gli Usa sono divisi, con il debito al 130% del Pil, un deficit di bilancio che stringe i limiti di spesa, grandi tensioni sul dollaro, la guerra in Ucraina non chiusa.

 

Per completare la visione non bisogna trascurare neppure i potenziali effetti sul prezzo delle materie prime, petrolio e gas in primis, soprattutto se venissero inabilitate le infrastrutture iraniane e chiuso lo stretto di Hormuz (dall’Iran) e il Canale di Suez (dagli Houti). Oggi il brent è a 120 $ al barile (da 85, due giorni fa), gli attacchi alle pipeline come l’israeliana Eilat-Ashkelon, blocca i flussi sauditi verso l’Europa, o Bab el-Mandeb, controllato dagli Houti, interessa il 10% dei flussi globali di petrolio. In caso severo i prezzi potrebbero superare i 150 $, gli effetti, amplificati dai mercati dei future, sarebbero sistemici sull’inflazione, le crisi settoriali, il tech per effetto della interruzione di alcune forniture chiave israeliane. La riduzione delle forniture avrebbero pesanti impatti in Pakistan[6] e India[7], impatti anche per la Cina[8], il Giappone[9], la Corea[10]. Leggermente meno per Turchia, UE, Indonesia. Lievi su Stati Uniti, Brasile e SudAfrica.

Ci sarebbero quindi vantaggi a breve termine per il dollaro (fino a che è un bene rifugio) e i paesi produttori (tra cui Russia e Usa), enorme vantaggio per l’industria della difesa, disastro per quella dei fertilizzanti. In Ue rischio di debolezza di offerta di gas e quindi impennata dei prezzi dell’energia (ben oltre il massimo della crisi Ucraina) e ritorno forzoso al carbone (dove possibile). Chiusura di alcune industria energivore. Alcuni paesi particolarmente esposti rischiano crisi energetiche disastrose (India, Europa), altri crolli finanziari (Egitto, Pakistan). Se la guerra si allarga e vengono coinvolte le infrastrutture saudite, allora il petrolio potrebbe superare i 200 $ al barile, il gas anche di più, l’energia elettrica in Europa magari sarebbe oltre i 500 €/MWh, e ci sarebbero default a catena. Tutti i paesi in sviluppo rischiano crisi alimentare disastrosa, per effetto dei prezzi dei fertilizzanti alle stelle. Vincono Russia e Cina, perdono, e rovinosamente, Europa e India, Usa.

 

 

La probabilità maggiore è quindi che dopo qualche settimana, ma presto, il reciproco misurarsi porti ad un processo di de-escalation con la mediazione di Oman, Qatar, Cina e Turchia (dietro le quinte anche Russia), e in autunno si apra un negoziato con mediazione e garanzie turco-cinesi.

Alla fine, ci sarà un compromesso che coinvolgerà la Lega Araba, la Cina e la Turchia, riguarderà anche i progetti infrastrutturali (“Patto di Abramo” e “Via della Seta”) e i paesi confinanti.

In questo compromesso giocherà un ruolo il network dei Brics e la postura strategico-negoziale della Cina per la “Sicurezza condivisa” (la Global Security Initiative). Una piattaforma che:

-        Evita di definire vincitori e vinti (prevede di avviare la risoluzione prima che sia definito chi vince);

-        Stabilizza il quadro energetico e delle forniture di materie prime (fonte dei conflitti sistemici);

-        Non cerca alleanze stabili e inimicizie definite.

 

Perimetro del possibile negoziato potrebbe essere:

-        Garanzie di sicurezza reciproca (programmi missilistici, smilitarizzazione e messa sotto tutela di garanti di aree contese come il Golan, la Cisgiordania);

-        La riconfigurazione dei progetti infrastrutturali concorrenti, con concessioni incrociate sull’uso di porti, raffinerie e transiti e schemi di coinvestimento;

-        Definizione di piattaforme di dialogo permanenti sotto osservazione e tutela.

 

Presupposto, una risoluzione onorevole, che salvi la faccia, e si possa ricondurre sotto l’egidia dell’ONU.

 

 

Oppure, la lotta si allargherà e andrà tutto a fuoco. In quel caso, anche solo 2-3 settimane di blocco totale delle vie e delle fonti del petrolio e gas del Golfo porteranno alla crisi energetica immediata e senza uscita per India, Giappone e Corea del Sud. Prezzi alle stelle in Europa. Interruzione della fertilizzazione dei campi in tutto il mondo (e crisi alimentare drammatica nella prossima estate), crisi del debito sovrani, inflazione a due cifre, crolli finanziari a catena. Nel breve termine non ci saranno soluzioni, nel medio le rinnovabili (che possono scalare velocemente, ma hanno limiti insuperabili di offerta e filiera produttiva), il gas africano (Nigeria, Algeria, Mozambico, Egitto, Libia, in ordine di riserve), ma anche qui ci vogliono anni.

 

 

Poi, ovviamente, c’è la Russia.



[1] - I principali progetti del “Patto di Abramo” (2020) erano: il gasdotto EastMed (tra i giacimenti israeliani, il Leviathan, e l’Europa, via Grecia); il gasdotto Eliat-Askelon, dagli Emirati a Israele aggirando il Canale di Suez (e quindi gli Houti), il progetto di interconnessione della rete elettrica israeliana degli Emirati e dell’Arabia Saudita, l’esportazione di idrogeno verde da Emirati verso l’Europa.

[2] - L’IMEC, annunciato al G20 del 2023, coinvolge India, Arabia Saudita, EAU, Israele, Giordania ed UE, ha linee via mare, dall’India a Dubai o a Dammam, poi via ferrovia attraverso l’Arabia Saudita e la Giordania, e infine via mare da Haifa verso l’Europa. In questo modo viene superato il Canale di Suez (e le influenze dei confinanti, Egitto incluso) e si riduce il tempo del 40%. Seguono alcune pipeline, come il gasdotto EastMed, quello EAEU (Oil Pipeline Eilat-Ashkelon) che ridurrebbe anche l’influenza dello Stretto di Hormuz, portando il petrolio saudita ed emiratino dal Golfo al Mar Mediterraneo (via Israele), per l’export verso l’Europa e l’India.

[3] - I rami della “Via della Seta” (progetto chiave di Xi, 2013-15), che coinvolgono l’area sono: il percorso infrastrutturale che dalla Cina passa per il Kazakistan, Turkmenistan, l’Iran, la Turchia e arriva in Europa; gli investimenti cinesi nei giacimenti di petrolio di Yadavan e Azedegan, le interconnessioni Iran-Russia, via Armenia.

[4] - In quanto la tanto valorizzata (a partire dall’Ottocento) cultura (o “miracolo”) greca era in realtà profondamente debitrice delle più antiche e profonde culture semite, egiziane e persiane. Cfr. tra molti, Martin Bernal, Atena nera. Le radici afroasiatiche della civiltà classica, Il Saggiatore 2011 (ed.or. 1987).

[5] - Una volta vidi durante uno spostamento in pulman nel deserto iraniano una fabbrica sulla sinistra, in pratica senza strada di arrivo, circondata da filo spinato e mitragliatrici, nel nulla.

[6] - Tutto il petrolio che usa viene dal Golfo, ha riserve per 20 gg.

[7] - Dipende all’85% dal petrolio e lo importa al 60% dal Golfo, e se chiude Hormusz ha 10 gg. di riserve. Possibile ampliare da Russia.

[8] - Importa il 50% del petrolio che usa dal Golfo, ma può approvvigionarsi dalla Russia e dal Venezuela.

[9] - Importa il 90% del petrolio che usa dal Golfo e ha 180 gg di riserve strategiche. Nessuna alternativa.

[10] - Il 75% del petrolio che usa viene dal Golfo, molte industrie come Samsung, Hyundai e i famosi cantieri navali potrebbero chiudere.


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