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lunedì 20 novembre 2017

Laurie MacFarlaine, La ricchezza è generata dalla rendita


Un articolo di Laurie MacFarlaine coautore di “Rethinking the economic of land and housing”, nel quale si chiede perché i prezzi delle case salgano più rapidamente dei redditi in molte economie avanzate. E, indagando su questa semplice dissimetria, inquadra la relazione tra il sistema finanziario e la più antica forma di valore, quello fondiario. Secondo la sua visione la crisi abitativa, l’instabilità finanziaria e le stesse diseguaglianze sono connesse basilarmente con questa circostanza.

Il testo parte da alcune semplici domande:
-        È poi vero che nel capitalismo le persone, in ultima analisi, sono premiate in base alla loro produttività? E che in questo riposi la moralità del sistema?
-        È poi vero che la crescita va a vantaggio di tutti e fa crescere la ricchezza complessiva? O, per dirlo meglio, che alcuni possono diventare più ricchi senza rendere poveri altri?

Alcuni dati dell’Ufficio delle Statistiche Nazionali britannico (ONS), relativi al 2017, mostra che la ricchezza nominale complessiva, detenuta nel paese, è triplicata dal 1995; precisamente è aumentata di circa 100.000 sterline a persona. Cioè, se in venti anni la “ricchezza” detenuta da ogni singolo inglese è aumentata di 100.000 sterline, una famiglia di tre persone dovrebbe aver visto 300.000 sterline in più: in tutto 7.000 miliardi.


Ma di tutta questa immensa massa di valore (ovvero di potenziale denaro) circa 5.000 miliardi sono in effetti del tutto virtuali, si tratta semplicemente dell’aumento di valore delle case che si determinerebbe se venissero vendute (non certo tutte insieme) a valore “di mercato”. E questo effetto dipende dall’aumento del valore unitario, non del numero. In altre parole le abitazioni sono più o meno sempre le stesse.

Dunque ciò che fa la differenza è possedere una casa: una cosa che si sa, più o meno da sempre.

Ma gli autori vanno oltre, ed aggiungono un’informazione: esattamente che cosa cambia di valore, la casa o la posizione del terreno su cui insiste?
La ricerca dell’ONS mostra che in effetti è il valore dei terreni, ovvero il valore fondiario, ad essere quadruplicato in venti anni, e per circa 4.000 miliardi.

Insomma: il valore cumulato potenzialmente riscattabile in denaro, delle famiglie inglesi, è cresciuto di 7.000 miliardi in venti anni; di queste 5.000 sono dal mercato immobiliare; più dettagliatamente, ben 4.000 vengono dall’incremento di valore fondiario.



La Resolution Fondation aggiunge l’informazione che delle 100.000 sterline medie cadauno, i proprietari di case di mezza età (nati tra il ’40 ed il ’60) ne hanno portato a casa circa 80.000. E la cosa non è affatto irrilevante: nel mezzo del boom quasi il 20% degli adulti in età lavorativa guadagnava di più dall’incremento di valore immobiliare che dal lavoro vero e proprio. E questo valore potenziale in molti casi si poteva utilizzare (grazie a prodotti finanziari complessi) per finanziare consumi.
Ma c’è anche chi lo adopera in una logica speculativa, per accrescere semplicemente il patrimonio e metterlo a rendita attraverso gli affitti.

Il mercato degli affitti è direttamente alimentato da questa distorsione, perché man mano che il costo della proprietà (e del terreno, ovvero della posizione) cresce, sempre più persone non possono fare altro che pagare per tutta la vita un affitto. A metà degli anni novanta anche le famiglie a reddito basso e medio (gente come mio nonno, che si compra una casa a San Giovanni a Roma di 150 mq) possono comprare casa risparmiando per pochi anni, oggi ci vuole una vita. La stima degli autori è di venti anni per dare solo l’acconto (il 20%).

Al crescere della platea di chi non ha scelta, e all’aumento del valore delle case, la percentuale del reddito impiegata per l’affitto cresce: oggi è arrivata al 40%, ovvero si è quadruplicata in pochi anni.
Ma chi è in affitto non può certo ottenere dalla finanza ciò che serve per i consumi.


C’è un altro aspetto da comprendere: quando sale il valore di una casa, o del terreno, non viene prodotto nulla. Questa forma di arricchimento è stata sempre chiamata “rendita”, ovvero un modo di estrarre ricchezza dagli altri senza produrla. In questo modo oggi i prezzi delle case sono arrivati ad essere otto volte i redditi complessivi, una volta era meno di quattro.

Inoltre tutta questa ricchezza, estratta dal reddito di chi una casa non l’ha, si è accumulata soprattutto sulle generazioni più anziane; si tratta di ricchezza che non è affatto il risultato dell’imprenditorialità, ma dell’inoperosità e della rendita improduttiva. Una ricchezza che non è affatto segno di forza economica.

Come scriveva Jhon Stuart Mill nel 1848:
“Se alcuni di noi diventano ricchi nel nostro sonno, da dove pensiamo che questa ricchezza provenga? Non si materializza dal nulla. Non arriva senza costare qualcuno, un altro essere umano. Proviene dai frutti delle fatiche altrui, che non ricevono “.

In particolare in questi ultimi anni si è instituita una rafforzata relazione, non più contrastata dagli strumenti tradizionali che la pianificazione del territorio aveva messo a punto (regolazione degli usi del suolo, procedure di esproprio a valore agricolo, interventi pubblici e tassazione), tra il sistema finanziario, i valori fondiari e il ciclo economico.

In “Planning, territorio e rimontaggi” avevo dato spazio alla denuncia di Wainwright sullo sviluppo speculativo londinese:
“in tutto il paese - e soprattutto nella surriscaldata Londra, in cui i valori stratosferici dei terreni generano di conseguenza sviluppi gonfiati - le autorità stanno permettendo di calpestare continuamente le politiche di pianificazione, rinunciando alle quote di alloggi a prezzi accessibili, violando i limiti di altezza, calpestando all’infinito gli interessi dei residenti. I luoghi stanno diventando sempre più cattivi e più divisi, i beni pubblici sono inesorabilmente venduti, intere case popolari sono distrutte per fare spazio a silos di lusso come <cassette di sicurezza> nel cielo. Stiamo sostituendo case con quote d'investimento, fatte per essere vendute all'estero e mai abitate, sostituendo comunità con posti vacanti. Quanto più si costruisce, più le nostre città si svuotano, per la produzione di fasce morte della città di zombie in cui le luci possono mai essere messe in funzione”.
La finanza, ovvero il capitale costituito da denaro mobile, cerca solo ancoraggi di valore per costruirvi i propri strumenti. Una volta creati questi prendono vita e autonomia.

Come ricorda Peter Hall, in quello che è il suo ultimo articolo prima di venire meno, a partire dagli anni settanta la pianificazione è stata accusata di essere troppo prescrittiva, e l’enfasi si è spostata sui grandi progetti staccati e la riqualificazione urbana. L’effetto è che si sono creati crescenti e massicci “squilibri regionali” e un ambiente sempre più “triste”.

Ma le città sono essenziali dispositivi di coordinamento delle interazioni, e sono nella loro essenza formazioni sociali incardinate in una costituzione spaziale. Sono quindi proprietà comune e delle prossime generazioni.
Nel post “Londra si autodistrugge”, era stata presentata a questo riguardo la descrizione di Saskia Sassen degli effetti, in particolare dopo la crisi del 2008, dell’immane flusso di capitali selvaggi in cerca di collocazione che hanno portato a un’ulteriore, e massivo, incremento di valore fondiario e immobiliare. Nel mondo si calcola un flusso di 1.000 miliardi di dollari all’anno di nuovi investimenti immobiliari, concentrati in mega-operazioni di rigenerazione urbana. Queste operazioni generano incrementi di valore dei suoli, e delle case, che non hanno assolutamente nulla a che vedere con la società locale.
Le città diventano quindi formazioni sociali nelle quali sono inclusi interessi (resi anonimi dai prodotti finanziari e dalla loro matematica) diffusi in tutto il mondo. L’effetto più diretto è che sempre più i prezzi delle case non sono in rapporto con i redditi di chi nella città vive. Ed aumentano le case e le proprietà vuote, di fatto non abitabili ai valori correnti. Oggi a Londra un terzo delle case sono acquistate con queste modalità ed esclusivamente per l’attesa di incremento di valore. Ovvero del valore fittizio.
Come avevamo scritto: L’effetto è che anche il mercato dei fitti a Londra, trascinato dall'attesa di valorizzazione, è arrivato a livelli tali che anche, nell’esempio dell’articolo, due professionisti del settore che guadagnano 5.000 euro al mese spendono ormai per un appartamento in condivisione a Cadmen, fuori del centro a Nord della città, il 40% del reddito (2.000 euro), ottenendo per quella cifra, persino nei distretti più remoti, solo minuscoli appartamenti in seminterrati. Alla fine conviene spostarsi in qualche altra città, dove si guadagna di meno ma non si deve vivere con estranei per dividere un mostruoso affitto.

Il meccanismo di creazione di valore sfrutta così in generale la rappresentazione di alcune aree come dotate di speciali attributi posizionali e di pregio per farle staccare nettamente dalla quotazione delle aree contermini (a volte vicinissime), raggiungendo valori del tutto incomparabili che, a loro volta, attivano un flusso finanziario apparentemente illimitato. Si vede, in questo meccanismo, all’opera la capacità congiunta dei professional e della capacità di “mobilizzare” le cose della finanza internazionalizzata. Come la metteva Sassen nel 1991: “gli edifici si trasformano in merci” (in “Città globali”, p.209).

Ma che succede se gli impulsi di prezzo si propagano, alterando i valori immobiliari e dei fitti in modo disgiunto dalla capacità di spesa locale? Che si riallineano le classi sociali insediate, e la formazione sociale, che è la città, cambia: i più giovani, i meno forti, vengono espulsi e si concentrano nei luoghi residuali, in un processo che si autoalimenta. Si creano così ambienti poveri, dove calano drasticamente le opportunità di scoperta e scambio, la mixitè o la serendipity.

La città è quindi anche una macchina produttiva, letteralmente fonte di produzione attraverso i meccanismi di formazione della rendita. E in essa l’accesso ai diritti sociali, precondizione perché i diritti civili trovino significato, passa anche per l’ordinata e corretta formazione di questa.

Occorre in particolare contrastare l’impoverimento di capitale spaziale che rende manifeste le ineguaglianze, contribuendo a fissarle. Regolamentare quindi i processi di trasformazione urbana, e della vita civile che in essa si svolgono, agendo consapevolmente sulla costituzione materiale e la struttura delle combinazioni e relazioni fisiche che si determinano nella città e nel territorio, in direzione della riduzione delle differenze non necessarie e della segregazione. Detto in modo semplice, infatti, la città deve favorire l’inserimento degli individui e delle famiglie nella vita sociale, culturale, professionale e politica e garantire ad ognuno riconoscimento e rispetto. Lo sforzo principale dei processi di trasformazione urbana, regolamentati dagli strumenti urbanistici, dovrà essere dunque di garantire a tutti il diritto di non essere esclusi, periferici, stigmatizzati ed ignorati, invisibili.
Per questo motivo in ogni processo di trasformazione, bisogna dare priorità alla sicurezza, alla prossimità, alla comunicazione, alla connessione. E contrastare, dove e quando possibile, le separazioni difensive, il rinchiudersi, il ritagliarsi fuori. Garantire porosità, permeabilità ed accessibilità nella struttura spaziale e la manifestazione del collettivo.

Lavorare a connettere e separare, ricostruire e contrastare la ricerca del massimo rendimento immediato a spese del futuro; la messa-in-contatto che favorisce e potenzia è infatti al contempo rottura del locale, dis-attivazione delle relazioni e delle identità, irresponsabilità e rifiuto degli obblighi, concentrazione e densificazione che nello stesso gesto dirada ed abbandona.
Tutte queste sono dinamiche che fanno parte della vita e della normale evoluzione, ma che richiedono anche un surplus di responsabilità e di riconoscimento. Si tratta di lavorare, dunque, a combattere le strutture solo “estrattive”, costringendole almeno a restituire parte del valore che catturano. Ma anche a cercare di mobilitare le forze e le energie presenti nelle intersezioni, negli “stagni”, ed impedire che siano dis-attivate. 

Una parte molto importante di questa dinamica, e dello sforzo da compiere, è nella programmazione regionale (auspicata nel capitolo di O’Connor che abbiamo letto in precedenza), ed in particolare dei trasporti pubblici. Mettere in contatto interviene infatti direttamente sui valori immobiliari e fondiari, riducendo i picchi e alzando le valli. Consentendo di accedere ai luoghi centrali, e di ridurre il differenziale sul quale si fonda la logica speculativa a breve termine.



Tutto questo ha, in altre parole, a che fare direttamente con l’effettiva possibilità di godere dei propri diritti civili e sociali che si manifesta anche nell’accesso ai servizi urbani ed alla qualità della città.

Fa parte di questa battaglia ogni sforzo per limitare i fenomeni di enclosure, segregazione e definizione degli spazi per ceti e livelli di reddito. Di contenere ogni forma di reciproca chiusura che rende indisponibili i diritti sociali e determina la rottura del patto di solidarietà, distruggendo in radice il senso dell’essere una comunità insediata.



Superare la rendita deve servire, dunque, a creare la vera “ricchezza”. 

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