Un articolo
di Laurie MacFarlaine coautore di “Rethinking
the economic of land and housing”,
nel quale si chiede perché i prezzi delle case salgano più rapidamente dei
redditi in molte economie avanzate. E, indagando su questa semplice
dissimetria, inquadra la relazione tra il sistema finanziario e la più antica
forma di valore, quello fondiario. Secondo
la sua visione la crisi abitativa, l’instabilità finanziaria e le stesse diseguaglianze
sono connesse basilarmente con questa circostanza.
Il testo parte da alcune semplici domande:
-
È poi vero che nel
capitalismo le persone, in ultima analisi, sono premiate in base alla loro
produttività? E che in questo riposi la moralità del sistema?
-
È poi vero che la
crescita va a vantaggio di tutti e fa crescere la ricchezza complessiva? O, per
dirlo meglio, che alcuni possono diventare più ricchi senza rendere poveri
altri?
Alcuni dati
dell’Ufficio delle Statistiche Nazionali britannico (ONS), relativi al 2017,
mostra che la ricchezza nominale complessiva, detenuta nel paese, è triplicata
dal 1995; precisamente è aumentata di circa 100.000 sterline a persona. Cioè, se
in venti anni la “ricchezza” detenuta da ogni singolo inglese è aumentata di
100.000 sterline, una famiglia di tre persone dovrebbe aver visto 300.000
sterline in più: in tutto 7.000 miliardi.
Ma di tutta questa immensa massa di valore (ovvero di
potenziale denaro) circa 5.000 miliardi sono in effetti del tutto virtuali, si
tratta semplicemente dell’aumento di valore delle case che si determinerebbe se
venissero vendute (non certo tutte insieme) a valore “di mercato”. E questo effetto
dipende dall’aumento del valore unitario, non del numero. In altre parole le
abitazioni sono più o meno sempre le stesse.
Dunque ciò che fa la differenza è possedere una casa: una
cosa che si sa, più o meno da sempre.
Ma gli autori vanno oltre, ed aggiungono un’informazione:
esattamente che cosa cambia di valore, la
casa o la posizione del terreno su cui insiste?
La ricerca dell’ONS mostra che in effetti è il valore dei terreni, ovvero il
valore fondiario, ad essere quadruplicato in venti anni, e per circa 4.000
miliardi.
Insomma: il valore cumulato potenzialmente
riscattabile in denaro, delle famiglie inglesi, è cresciuto di 7.000 miliardi
in venti anni; di queste 5.000 sono dal mercato immobiliare; più
dettagliatamente, ben 4.000 vengono dall’incremento di valore fondiario.
La Resolution
Fondation aggiunge l’informazione che delle 100.000 sterline medie cadauno,
i proprietari di case di mezza età (nati tra il ’40 ed il ’60) ne hanno portato
a casa circa 80.000. E la cosa non è affatto irrilevante: nel mezzo del boom
quasi il 20% degli adulti in età lavorativa guadagnava
di più dall’incremento di valore immobiliare che dal lavoro vero e proprio. E
questo valore potenziale in molti casi si poteva utilizzare (grazie a prodotti
finanziari complessi) per finanziare consumi.
Ma c’è anche chi lo adopera
in una logica speculativa, per accrescere semplicemente il patrimonio e
metterlo a rendita attraverso gli affitti.
Il mercato degli affitti è direttamente alimentato da
questa distorsione, perché man mano che il costo della proprietà (e del
terreno, ovvero della posizione) cresce, sempre più persone non possono fare
altro che pagare per tutta la vita un affitto. A metà degli anni novanta anche
le famiglie a reddito basso e medio (gente come mio nonno, che si compra una
casa a San Giovanni a Roma di 150 mq) possono comprare casa risparmiando per
pochi anni, oggi ci vuole una vita. La stima degli autori è di venti
anni per dare solo l’acconto (il 20%).
Al crescere della platea di chi non ha scelta, e
all’aumento del valore delle case, la percentuale del reddito impiegata per
l’affitto cresce: oggi è arrivata al 40%,
ovvero si è quadruplicata in pochi anni.
Ma chi è in affitto non può certo ottenere dalla
finanza ciò che serve per i consumi.
C’è un altro aspetto da comprendere: quando sale il valore di una casa, o del
terreno, non viene prodotto nulla. Questa forma di arricchimento è stata
sempre chiamata “rendita”, ovvero un modo di estrarre ricchezza dagli altri
senza produrla. In questo modo oggi i prezzi
delle case sono arrivati ad essere otto volte i redditi complessivi, una
volta era meno di quattro.
Inoltre tutta questa ricchezza, estratta dal reddito
di chi una casa non l’ha, si è accumulata soprattutto sulle generazioni più
anziane; si tratta di ricchezza che non è affatto il risultato
dell’imprenditorialità, ma dell’inoperosità e della rendita improduttiva. Una
ricchezza che non è affatto segno di forza economica.
Come scriveva Jhon Stuart Mill nel 1848:
“Se alcuni di noi diventano ricchi
nel nostro sonno, da dove pensiamo che questa ricchezza provenga? Non si
materializza dal nulla. Non arriva senza costare qualcuno, un altro essere
umano. Proviene dai frutti delle fatiche altrui, che non ricevono “.
In particolare in questi ultimi anni si è instituita
una rafforzata relazione, non più contrastata dagli strumenti tradizionali che
la pianificazione del territorio aveva messo a punto (regolazione degli usi del
suolo, procedure di esproprio a valore agricolo, interventi pubblici e
tassazione), tra il sistema finanziario, i valori fondiari e il ciclo
economico.
In “Planning,
territorio e rimontaggi” avevo dato spazio alla denuncia di Wainwright
sullo sviluppo speculativo londinese:
“in tutto il paese - e soprattutto
nella surriscaldata Londra,
in cui i valori stratosferici dei terreni generano di conseguenza sviluppi
gonfiati - le autorità stanno permettendo di calpestare continuamente le
politiche di pianificazione, rinunciando alle quote di alloggi a prezzi
accessibili, violando i limiti di altezza, calpestando all’infinito gli
interessi dei residenti. I luoghi stanno diventando sempre più cattivi e
più divisi, i beni pubblici sono inesorabilmente venduti, intere case popolari
sono distrutte per fare spazio a silos di lusso come <cassette di
sicurezza> nel cielo. Stiamo sostituendo case con quote d'investimento,
fatte per essere vendute all'estero e mai abitate, sostituendo comunità con
posti vacanti. Quanto più si costruisce, più le nostre città si svuotano,
per la produzione di fasce morte della città di zombie in cui le luci possono
mai essere messe in funzione”.
La finanza, ovvero il capitale costituito da denaro
mobile, cerca solo ancoraggi di valore per costruirvi i propri strumenti. Una
volta creati questi prendono vita e autonomia.
Come ricorda Peter Hall, in quello che è il suo ultimo
articolo prima di venire meno, a partire dagli anni settanta la
pianificazione è stata accusata di essere troppo prescrittiva, e l’enfasi si è
spostata sui grandi progetti staccati e la riqualificazione urbana. L’effetto è
che si sono creati crescenti e massicci “squilibri regionali” e un ambiente
sempre più “triste”.
Ma le città sono essenziali dispositivi di
coordinamento delle interazioni, e sono nella loro essenza formazioni sociali
incardinate in una costituzione spaziale. Sono quindi proprietà comune e delle
prossime generazioni.
Nel post “Londra
si autodistrugge”, era stata presentata a questo riguardo la descrizione di
Saskia Sassen degli effetti, in particolare dopo la crisi del 2008, dell’immane
flusso di capitali selvaggi in cerca di collocazione che hanno portato a
un’ulteriore, e massivo, incremento di valore fondiario e immobiliare. Nel
mondo si calcola un flusso di 1.000 miliardi di dollari all’anno di nuovi
investimenti immobiliari, concentrati in mega-operazioni di rigenerazione
urbana. Queste operazioni generano incrementi di valore dei suoli, e delle
case, che non hanno assolutamente nulla a che vedere con la società locale.
Le città diventano quindi formazioni sociali nelle
quali sono inclusi interessi (resi anonimi dai prodotti finanziari e dalla loro
matematica) diffusi in tutto il mondo. L’effetto più diretto è che sempre più i
prezzi delle case non sono in rapporto con i redditi di chi nella città vive.
Ed aumentano le case e le proprietà vuote, di fatto non abitabili ai valori
correnti. Oggi a Londra un terzo delle case sono acquistate con queste modalità
ed esclusivamente per l’attesa di incremento di valore. Ovvero del valore
fittizio.
Come avevamo scritto: L’effetto è che anche il mercato dei fitti a Londra, trascinato
dall'attesa di valorizzazione, è arrivato a livelli tali che anche,
nell’esempio dell’articolo, due professionisti del settore che guadagnano 5.000
euro al mese spendono ormai per un appartamento in condivisione a Cadmen, fuori
del centro a Nord della città, il 40% del reddito (2.000 euro), ottenendo per
quella cifra, persino nei distretti più remoti, solo minuscoli appartamenti in
seminterrati. Alla fine conviene spostarsi in qualche altra città, dove si
guadagna di meno ma non si deve vivere con estranei per dividere un mostruoso
affitto.
Il meccanismo di creazione di valore sfrutta così in
generale la rappresentazione di alcune aree come dotate di speciali attributi
posizionali e di pregio per farle staccare nettamente dalla quotazione delle
aree contermini (a volte vicinissime), raggiungendo valori del tutto
incomparabili che, a loro volta, attivano un flusso finanziario apparentemente
illimitato. Si vede, in questo meccanismo, all’opera la capacità congiunta dei
professional e della capacità di “mobilizzare” le cose della finanza
internazionalizzata. Come la metteva Sassen nel 1991: “gli edifici si trasformano in merci” (in “Città
globali”, p.209).
Ma che succede se
gli impulsi di prezzo si propagano, alterando i valori immobiliari e dei fitti
in modo disgiunto dalla capacità di spesa locale? Che si riallineano le classi sociali insediate, e la
formazione sociale, che è la città, cambia: i più giovani, i meno forti, vengono
espulsi e si concentrano nei luoghi residuali, in un processo che si
autoalimenta. Si creano così ambienti poveri, dove calano drasticamente le
opportunità di scoperta e scambio, la mixitè o la serendipity.
La città è quindi anche
una macchina produttiva, letteralmente
fonte di produzione attraverso i meccanismi di formazione della rendita. E in essa
l’accesso ai diritti sociali, precondizione perché i diritti civili trovino
significato, passa anche per l’ordinata e corretta formazione di questa.
Occorre in particolare contrastare l’impoverimento di
capitale spaziale che rende manifeste le ineguaglianze, contribuendo a
fissarle. Regolamentare quindi i processi di trasformazione urbana, e della
vita civile che in essa si svolgono, agendo consapevolmente sulla costituzione
materiale e la struttura delle combinazioni e relazioni fisiche che si
determinano nella città e nel territorio, in direzione della riduzione delle
differenze non necessarie e della segregazione. Detto in modo semplice,
infatti, la città deve favorire l’inserimento degli individui e delle famiglie
nella vita sociale, culturale, professionale e politica e garantire ad ognuno
riconoscimento e rispetto. Lo sforzo principale dei processi di trasformazione
urbana, regolamentati dagli strumenti urbanistici, dovrà essere dunque di
garantire a tutti il diritto di non essere esclusi, periferici, stigmatizzati
ed ignorati, invisibili.
Per questo motivo in ogni processo di trasformazione, bisogna
dare priorità alla sicurezza, alla prossimità, alla comunicazione, alla
connessione. E contrastare, dove e quando possibile, le separazioni difensive,
il rinchiudersi, il ritagliarsi fuori. Garantire porosità, permeabilità ed
accessibilità nella struttura spaziale e la manifestazione del collettivo.
Lavorare a connettere
e separare, ricostruire e contrastare la ricerca del massimo rendimento
immediato a spese del futuro; la messa-in-contatto che favorisce e potenzia è infatti
al contempo rottura del locale, dis-attivazione delle relazioni e delle
identità, irresponsabilità e rifiuto degli obblighi, concentrazione e
densificazione che nello stesso gesto dirada ed abbandona.
Tutte queste sono dinamiche che fanno parte della vita
e della normale evoluzione, ma che richiedono anche un surplus di
responsabilità e di riconoscimento. Si tratta di lavorare, dunque, a
combattere le strutture solo “estrattive”, costringendole almeno a restituire
parte del valore che catturano. Ma anche a cercare di mobilitare le forze e le
energie presenti nelle intersezioni, negli “stagni”, ed impedire che siano
dis-attivate.
Una parte molto importante di questa dinamica, e dello
sforzo da compiere, è nella programmazione regionale (auspicata nel capitolo di
O’Connor che abbiamo
letto in precedenza), ed in particolare dei trasporti pubblici. Mettere in
contatto interviene infatti direttamente sui valori immobiliari e fondiari,
riducendo i picchi e alzando le valli. Consentendo di accedere ai luoghi
centrali, e di ridurre il differenziale sul quale si fonda la logica
speculativa a breve termine.
Tutto questo ha, in altre parole, a che fare
direttamente con l’effettiva possibilità di godere dei propri diritti civili e
sociali che si manifesta anche nell’accesso ai servizi urbani ed alla qualità
della città.
Fa parte di questa battaglia ogni sforzo per limitare
i fenomeni di enclosure, segregazione e definizione degli spazi per ceti e
livelli di reddito. Di contenere ogni forma di reciproca chiusura che rende
indisponibili i diritti sociali e determina la rottura del patto di
solidarietà, distruggendo in radice il senso dell’essere una comunità
insediata.
Superare la rendita deve servire, dunque, a creare la vera
“ricchezza”.
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