Non sono proprio uno di quelli che a Michele Serra
presta molta attenzione, non credo ne valga la pena, ma questa volta scrive
qualcosa di significativo.
“Tocca dire una cosa sgradevole, a
proposito degli episodi di intimidazione di alunni contro i professori. Sgradevole
ma necessaria. Non è nei licei classici o scientifici, è negli istituti tecnici
e nelle scuole professionali che la situazione è peggiore, e lo è per una
ragione antica, per uno scandalo ancora intatto: il livello di educazione, di
padronanza dei gesti e delle parole, di rispetto delle regole è direttamente
proporzionale al ceto sociale di provenienza. Cosa che da un lato ci inchioda
alla struttura fortemente classista e conservatrice della nostra società (vanno
al liceo i figli di quelli che avevano fatto il liceo), dall’altro lato ci
costringe a prendere atto della menzogna demagogica insita nel concetto di “populismo”.
Il populismo è prima di tutto un’operazione
consolatoria, perché evita di prendere coscienza della subalternità sociale e
della debolezza culturale dei ceti popolari. Il popolo è più debole della
borghesia, come i ragazzini tracotanti e imbarazzanti che fanno voce grossa con
i professori per imitazione di padri e madri ignoranti, aggressivi, impreparati
alla vita. Che di questa ignoranza, di questa aggressività, di questa mala educacion, di questo disprezzo per
le regole si sia fatto un titolo di vanto è un danno atroce inflitto ai poveri:
che oggi come ieri continuano a riempire le carceri e i riformatori”.
Questo pezzo de L’amaca del 20 aprile 2018 commenta un
caso assurto agli onori della cronaca, al tempo dei social e di you tube, dopo
sedici mesi dal fatto (un ragazzo con un casco bullizza un professore in aula)
che avviene mentre viene ripreso per essere messo in rete. Il ragazzo e la
famiglia erano di buona provenienza sociale e compie un atto plateale,
apertamente teatralizzato, mentre un compagno lo riprende con il telefonino e lo
diffonde in rete. Avviene al centro-nord.
Di questo episodio non isolato, certamente
significativo, Michele Serra coglie un aspetto solo: il divario di classe. E lo
coglie dal punto di vista proprio: di fiero appartenente agli ottimati. A quelle
classi superiori, elette, che da Socrate in avanti (ovviamente da prima) non
cessano di voler insegnare al mondo come
ci si sta, cosa si deve pensare,
cosa dire; insomma, come si sta a
tavola.
Dice Serra, infatti, che la colpa è dei poveri (i “sans
dentes”, come simpaticamente li
definì Hollande in conversazioni private), che, essendolo, non hanno “padronanza
dei gesti e delle parole”. I poveri, essendo nullatenenti, non hanno “padronanza”,
sembrerebbe lapalissiano. E quindi
non rispettano le regole, non a caso riempiono le prigioni.
Mio figlio ha tredici anni, e vede nell’episodio una ricerca di “like”.
Un “pariare”, ovvero giocare per farsi bello e acquisire notorietà, essere in
vista, “figo”. Una dinamica sociale, insomma. La provenienza sociale del
ragazzo ha davvero poco a che fare con questo, lui parla un buon italiano,
corretto, dà del lei, teatralizza gesti, usa il professore come un oggetto di
scena, perché il vero soggetto cui si riferisce è dall’altra parte del
telefonino che, non a caso, il suo compagno tiene in mano ed ha avviato subito
prima che inizi la scena. Noi vediamo un’escalation, da un normale colloquio
sul voto ad una rivendicazione di potere “non mi faccia incazzare”, “mette sei!”,
“chi è che comanda?”, “si inginocchi!”, e l’esercizio di fisicità esibita (il
casco, i gesti) perché è stata ripresa.
Di questo episodio estremamente interessante, di
narcisismo mediatico e perdita del riferimento, di trasferimento del reale
(dall’aula, mera scena, alla rete della condivisione social, vero punto di
riferimento identitario) alla ricerca del consenso, Serra vede invece solo l’occasione
per mostrare la sua ostilità al popolo.
L’uomo è un animale che vive in gruppi, ricercandone
il consenso per supportare la propria finitezza, e che percepisce il confine
tra i gruppi come un luogo di contesa. L’antropologia in mutamento della
modernità contemporanea si mostra in piena vista in questi piccoli episodi; l’educazione,
la “padronanza”, il “rispetto”, non sono la questione, ma casomai lo è la direzione di queste. La classe
sociale, i poveri ed i ricchi, i saggi e gli ignoranti, non hanno a che fare
con questo episodio, non sono pertinenti ad esso. Dovremmo chiederci il
ragazzo, in una pratica condivisa e dotata di consenso, di chi e dove ricerca
rispetto; verso chi esercita una richiesta di controllo, di potere; quale rito
sta compiendo.
Le divisioni di classe, di saggi e ignoranti, di adatti
e non, sono solo pertinenti allo sguardo che vi posa Michele Serra.
L’Istat ha compiuto una dettagliata
analisi del fenomeno: sono più colpiti i giovanissimi, poco più le femmine,
più i liceali degli studenti delle professionali (esattamente l’opposto di
quanto immaginato senza dati né ricerche da Serra), più al nord, ricco, che al
sud, povero, con pochissima differenza tra famiglie disagiate e non.
Su “Il Fatto
quotidiano”, il filosofo del diritto Federicomaria Tedesco scrive
in proposito che la denuncia di Serra, apparentemente per denunciare la
struttura classista della società, in realtà la riproduce. Dire che i poveri
delinquono di più, o meglio che riempiono le galere, e che sono ignoranti ed
impreparati alla vita, riproduce tutti i topos classici dell’autolegittimazione
delle élite, come scrive il nostro “una
vecchia storia”. Cito: “Una vecchia storia, che risale alla distinzione
delle forme di governo nell’antichità classica, e che arriva, frusta, ai nostri
tempi. Aristotele distingueva la politeia dalla
democrazia come governo a vantaggio dei poveri, condotto dai poveri, dalla
plebe, una forma corrotta, così come per Rousseau la democrazia si trasforma in
oclocrazia. Ma non meriterebbe altro commento un’uscita del genere su un fatto
di cronaca, se essa, andando oltre il fatto stesso, non denunciasse
involontariamente tutta l’insipienza delle classi dirigenti nel cogliere i fenomeni, tutta la chiusura
che esse dimostrano nei confronti di quelle che, non capendo, indicano come
minacce ai loro status.”
Su Twitter Manuel Cremonese, che non conosco, ha
scritto questo.
Mia nonna era una donna tenue, pastello. Contadina. Sguattera per
mantenere due figlie una delle quali disabile. Mi metteva la merenda nello
zaino e ripeteva: Manuel, porta rispetto ai professori, ascoltali, noi a casa non
potremo darti altre spiegazioni. Era di sinistra.
Lei.
Insomma, ancora una volta, una vecchia storia (ad
esempio ne avevamo parlato qui)
che ripete tutti i luoghi che le destre si sono dati nei secoli per confermare
il proprio diritto al potere.
La propria “padronanza”, appunto.
Nessun commento:
Posta un commento