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lunedì 7 maggio 2018

Omaggio a Ermanno Olmi: “Il mestiere delle armi”, o la nascita del mondo di oggi



E’ morto uno degli autori più importanti del cinema italiano, i cui film e documentari mi hanno sempre lasciato una traccia profonda e pensosa. Per fare omaggio alla sua grande arte e sensibilità guardiamo una scena straordinaria nel film “Il mestiere delle armi”, che narra gli ultimi mesi di vita di Giovanni dalle Bande Nere (Ludovico di Giovanni de Medici), condottiero al servizio dello Stato Pontificio in guerra con l’imperatore ed in particolare con un’armata di lanzichenecchi luterani che finiranno per saccheggiare Roma.


Giovanni conduce una innovativa guerra di movimento, con truppe leggere montate, fino a che un colpo di falconetto lo ferisce ad una gamba. Il 30 novembre 1526 Giovanni muore e l’anno dopo avviene il sacco di Roma.

Giovanni de Medici è un figlio d’arte, è figlio di Caterina Sforza che difende valorosamente Imola e Forlì da Cesare Borgia ed è a sua volta figlia di un altro grande condottiero (Muzio Sforza). Si trova al punto di congiunzione tra la declinante epopea della cavalleria pesante e delle compagnie di ventura e la guerra moderna con armi da fuoco.

La scena vede il ferito sdraiato su un letto principesco, e morendo tiene a sottolineare, davanti al sacerdote che gli sta impartendo l’unzione, che la sua vita è stata integra. Dirà: “in questi anni, della mia vita son sempre vissuto come un soldato. Allo stesso modo sarei vissuto secondo il costume dei religiosi, se avessi vestito l’abito che portate”.
Si fa quindi mettere su un lettuccio da campo, circondato dai suoi soldati.

Giovanni è morto.



L’artiglieria ha chiuso l’epoca dell’onore ed inizia il tempo moderno.

Il regista mostra compassione e rispetto per questo uomo, che semplicemente chiede “vogliatemi bene quando non ci sarò più”, come per i suoi soldati, ritratti mentre si difendono come possono dal freddo e dalle carenze della guerra, che segue le regole del suo “mestiere”, ed in esse, più che nelle conseguenze o nell’utilità, trova il senso per vivere e morire. Ciò che sente di dover lasciare, perché quando non ci sarà più “gli si voglia bene”, è solo questo senso di ciò che è appropriato.

Onestà, solidarietà tra simili, generosità, lealtà, spirito del dono, senso dell’onore, decenza, appunto integrità secondo il metro del proprio “mestiere”, ovvero della tradizione e comunità, della ‘regola’. Questo il mondo di Giovanni che scompare.
I lanzichenecchi portano a termine tutto ciò, con l’innovazione delle tecniche, il tradimento (sarà un nobile italiano che dona le armi, cambiando parte), il denaro e la fredda logica imperiale, anche essa presto superata dall’insorgere nel secolo che viene dallo stato nazionale.

Quel che fa Olmi è chiederci in fondo di ‘volere bene’ a questo antico cavaliere che viene schiacciato dal tempo della tecnica, ora che non c’è più.

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