Ci si avvicina alle
elezioni europee, in Francia c’è una soglia di sbarramento al 5% che in questo
momento sono sicuri di superare solo Macron (oltre 20%), Le Pen (altro 20%),
France Insoumise (da 12 a 14%) e i gollisti (al 14%). Le altre forze
socialiste e comuniste, ed i verdi, sono vicino o sotto la soglia, quindi
rischiano. In questo quadro France Insoumise sta cercando di aprire le sue
liste[1],
lasciando disponibili quindici posti per la sinistra socialista di Emanuel
Maurel ed al movimento di Chenènement. Come valuta qualche osservatore, si
tratta di un tentativo di allargare anche alle classi medie (‘riflessive’) che
erano state lasciante sullo sfondo nel precedente posizionamento su periferie e
classi popolari.
Una spia di questo
movimento è l’aspro scontro che ha visto coinvolto il Responsabile esteri
all’inizio di settembre a partire da due articoli su Obs. Djordje Kuzmanovic ha
scritto un articolo di appoggio alla svolta della Wagenknecht e la deputata
Clémentine Autain lo ha duramente attaccato. Il risultato è che Mélenchon ha
preso le distanze.
| Djordje Kuzmanovic |
Leggiamo questi
articoli.
Il primo
articolo sostiene che “Il discorso di
Sahra Wagenknecht è di salute pubblica”; il rappresentante di Insoumise,
che a luglio era presente ad un incontro a Roma, insieme ad un deputato tedesco
molto vicino alla Wagenknecht, con il gruppo di Fassina e con Senso Comune[2],
inizia con una narrativa molto familiare, attaccando con tutta evidenza
Mitterrand[3],
sostiene che trenta anni fa la socialdemocrazia ha deliberatamente scelto di
costruire un’Unione Europea liberale, rinunciando a difendere le classi
lavoratrici. Quindi si è schiacciata sulle posizioni della destra liberale,
dalla quale però doveva differenziarsi elettoralmente. Allora si è concentrata
su questioni che non sono specificamente ‘di sinistra’, ma liberali-radicali: femminismo, diritti LGBT, migranti.
Si tratta, riconosce,
di questioni importanti che “non dovrebbero essere liquidate”, ma che allo
stesso tempo “non possono essere separate dal cuore della lotta di sinistra: la difesa delle classi popolari e la lotta
contro il capitale”.
La sinistra si è invece
accomodata in una sorta di “buona
coscienza” che, in particolare sull’immigrazione di fatto “impedisce una
concreta riflessione su come rallentare o addirittura fermare i flussi
migratori”, che invece e probabilmente aumenterebbero per effetto dei
cambiamenti climatici.
Sostenere che bisogna
“accogliere tutti” è letto da Kuzmanovic come una posizione ingenua e
controproducente quando il centro dell’attenzione deve essere andare contro le
politiche ultraliberali, ad esempio, dice, “denunciando gli accordi di
partenariato economico (APE) con i paesi africani. Accordi che distruggono i
mercati dei paesi economicamente più deboli e creano miseria su larga scala,
aumentando i candidati all’emigrazione”.
Il cambiamento di linea
che indica il Responsabile esteri è causato, a suo dire, dalle emergenze che
negli ultimi cinque anni si sono accumulate, le disuguaglianze in aumento e
l’esplosione demografica. Il problema, però, non sono i migranti in sé, ma “la
distruzione economica che spinge milioni di persone fuori dei loro paesi di
nascita”.
Il giornalista a questo
punto ricorda che alcuni sottolineano come le attuali politiche di aiuto in
realtà rendano più mobili le persone[4].
In effetti è vero, si tratta di politiche che provocano una tendenza alla
riconversione dell’economia africana tradizionale in economia rivolta
all’esportazione di prodotti di base, e attraverso le catene logistiche e
relazionali che si creano, incoraggia di fatto le persone sradicate a spostarsi[5].
Il paradigma proposto da Insoumise è quindi diverso: lo chiama “protezionismo solidale”. Una linea
simile al vecchio movimento Burkinabe di Thomas Sankara[6]:
proteggere i paesi africani e le loro economie, impedendo che siano schiacciati
dalle multinazionali e del debito, in una logica internazionalista di
uguaglianza e rispetto per le nazioni. Lo spirito dei vecchi paesi non
allineati e di Bandung, quello che nel suo ultimo discorso avrebbe voluto partisse
da Addis Abeba[7].
Ma continua in modo
molto opportuno che questo concetto si riproduce anche entro i confini europei, dove i paesi orientali, Romania,
Bulgaria, ma anche Grecia, Portogallo ed Italia, vedono partenze di massa dei
loro giovani più formati. Si tratta di un fenomeno di dumping sociale che
interessa direttamente l’Europa e solo in misura minore i paesi dell’Africa
sub-sahariana. Ma un processo che si estende ad anello: “i lavoratori polacchi
non subiscono l’arrivo di lavoratori africani, ma ucraini”.
Venendo sul piano
elettorale il problema non è tanto quindi di recuperare i voti che stanno
andando a destra (Front National in Francia e Afd in Germania, o la Lega in
Italia), ma la gran parte delle categorie
popolari che tende ad astenersi. Il rischio, dice, “se non ci riusciamo, è
trovarci in una situazione simile all’Italia, dove le forze progressiste sono
in frantumi e la destra xenofoba è al potere”.
Qui cade la frase che
dà il titolo: “il discorso che Sahra
Wagenknecht ha fatto sulla questione della migrazione è di salute pubblica”.
Proseguendo si viene ad
un punto cruciale: il sentimento di insicurezza culturale e di pericolo per la
stabilità della propria forma di vita. Kuzmanovic ricorda che è stato candidato
in un collegio del nord nel quale ci sono moltissimi immigrati (polacchi,
italiani e marocchini) che “sono stati portati lì per fare i lavori più
difficili”, ma nel quale il tasso di povertà è del 40% e la disoccupazione del
30%. In queste condizioni è naturale che ci sia un “sentimento di
disintegrazione della propria cultura che è legato ad un regresso comunitario”.
Una cosa che si spiega però con la crisi politica ed economica.
La tesi è semplice: “queste tensioni si ridurrebbero se fossimo
in grado di combattere la precarietà. Condividendo la ricchezza prodotta che
finisce prevalentemente nelle mani di pochi ultraricchi”.
All’obiezione, usuale,
che connettere disoccupazione e migrazione porta vantaggi alla retorica
dell’estrema destra, risponde in modo netto: “questa accusa è assurda”. Si tratta di una sinistra che ha
dimenticato le tradizioni del movimento francese, i discorsi di Jaurès sul “socialismo doganale”, ad esempio. Se la
sinistra parla come il mondo degli affari, di fatto avendo la stessa posizione
degli industriali la cosa non può che essere un problema. Qui arriva uno dei
punti che ha fatto scandalo: “quello che
stiamo dicendo non è nuovo, è un’analisi puramente marxista: il capitale crea
un esercito di riserva”. Si tratta di un meccanismo semplice, se si pagano
male lavoratori privi di documenti c’è una pressione al ribasso dei salari[8].
L’argomento che sarebbe
una tesi di destra per l’esponente di Insoumise è “il risultato di una grave
confusione tra gli ideali dell’illuminismo, che sostengono la libertà di
movimento delle persone e delle idee, e cui siamo ovviamente legati, e il
regime imposto dalla globalizzazione del capitalismo. Se potesse uscire dalla
sua tomba sono convinto che Rousseau non sosterrebbe lo spostamento di masse di
contadini da un paese all’altro. La libertà di movimento si scontra con un
principio di realtà: cosa possono fare le masse di migranti climatici che partono
da zone soggette a stress idrico, quando diventano migranti economici che arrivano
in zone dove non c'è lavoro?”
Ciò non significa
aprire la “caccia ai migranti”, ma,
al contrario, “attaccare coloro che
assumono i lavoratori illegali” e contemporaneamente avviare una massiccia
regolarizzazione dei migranti irregolari, in modo da costringere i datori di
lavoro a pagare salari decenti su un piano di parità con la legge. Quindi
bisogna porre fine al dumping sociale intra-europeo. Sono i datori di lavoro
che massimizzano i profitti sfruttando la miseria del mondo. Come avevo scritto
in questo
post, si tratta dell’integrazione trainata e governata dal mercato, e quindi
intrisa di concorrenza di tutti contro tutti, ad essere il problema.
Naturalmente le poche
decine di migliaia di persone che meritano lo status di rifugiato, che fuggono
dalla guerra, come dicono le Convenzioni di Ginevra del 1957, 1962, vanno
accolti. Così come non si può lasciare nessuno morire nel mediterraneo.
Ma se non hanno diritto allo status di rifugiato vanno “rimandate
nel loro paese, e rapidamente”.
Invece chi è già qui va
anche aiutato a ricongiungersi con la sua famiglia, “sarebbe inumano
altrimenti”, ma “ciò che conta è assicurare una vita dignitosa per tutti e
fornire i mezzi per assicurare un'integrazione riuscita, specialmente nella
scuola repubblicana, ma sarebbe necessario interrompere la rottura
dell'educazione nazionale”.
Alla domanda sulla
difficoltà di distinguere tra “migranti” e “rifugiati”, un altro dei punti di
attacco dell’ideologia “no border”, l’esponente di Insoumise risponde che in
effetti si tratta di una distinzione difficile, cosa che farà scoppiare il
sistema.
In sostanza “l’ordine neoliberista globale ci sta
conducendo direttamente al muro”.
![]() |
| Clémentine Autain |
Lo stesso giorno esce
anche la
posizione di Clémentine
Autain, alla quale sono fatte le stesse domande. Alla fine della “buona coscienza” auspicata dalla
Wagenknecht, risponde in modo vigoroso riaffermando la ricerca di congiunzione
tra discorsi, azioni e principi etici connessi con “l’orizzonte emancipatorio”.
L’ideale che anima la posizione è descritto come “umanista e internazionalista” e quindi indica la strada di
“sopportare lo stigma” e riaffermare contro lo spirito popolare che lo
straniero non è il capro espiatorio.
Al discorso pragmatico
di Kuzmanovic oppone un punto di vista espressamente identitario:
“Ogni volta
che facciamo promesse al popolo sulla base del discorso dell'estrema destra,
penso che stiamo perdendo la nostra anima e l’immagine. Dopo tutto, non
siamo una setta, ma un collettivo vivente, quindi ovviamente abbiamo dei
dibattiti fondamentali sull'apertura dei confini o sulle condizioni di accesso
alla nazionalità ma non dobbiamo perdere il filo di ciò che ci anima,
specialmente in quando il Mediterraneo si trasforma in un cimitero”.
Quindi sulla posizione
della Wagenknecht afferma di non “voler suggerire” che ci sia un nesso tra
disoccupazione e immigrazione. E di non voler raggiungere un nuovo elettorato
se il prezzo è di prendere i temi dell’avversario politico, qui cade un tipico
argomento “in genere l’originale è preferito alla copia”. Mentre l’estrema
destra lavora sul risentimento e sulla costruzione del nemico, sostiene la
Autain bisogna opporre una speranza basata sui diritti e le libertà.
Abbastanza sorprendentemente,
però, per come ha condotto fin qui l’intervista continua:
“Sono
d'accordo con Sahra Wagenknecht sulla descrizione del fenomeno che Marx
chiamava ‘l'esercito di riserva’. Ma per evitare la concorrenza, bisogna
operare per non abbassare i salari e le condizioni di lavoro. Alcuni potrebbero
avere interesse a partecipare alle elezioni europee nel campo
dell'identità. Dobbiamo invece metterlo su quello
dell'uguaglianza. La costruzione europea e oggi la coppia Merkel-Macron
hanno alimentato la competizione di tutti contro tutti. Sta a noi
promuovere il legame e la solidarietà”.
In sostanza allinea una
posizione identitaria di sinistra liberal (orientata a far prevalere la libertà
sull’uguaglianza, che richiede meccanismi autoritaritativi e redistributivi che
non possono essere immediatamente allargati a tutti) con una conclusione che
indirizza all’uguaglianza. Un obiettivo privo degli strumenti per essere
perseguito.
Alla fine, ad esempio,
propone di allargare i criteri del diritto di asilo e di “sbattere i pugni sul
tavolo” perché il peso sia ripartito in Europa, senza rimandare nessuno, né
fuggito dalla guerra, né dalla miseria (o dai cambiamenti climatici che ne sono
causa).
Alla domanda circa
l’allontanarsi della sinistra dalle classi lavoratrici, con cui aveva
cominciato Kuzmanovic, il deputato risponde con una posizione intermedia, da un
lato ci sono gruppi come “Terra Nova” che propone di allontanarsi dal mondo del
lavoro per concentrarsi sulla società, i giovani, le donne, gli immigrati (una
classica posizione anni novanta[9]),
dall’altra personalità come Christophe Guilluy propongono di tornare ad una
agenda lavorista. A parere della Autain tutte e due le visioni sono vicoli
ciechi, le questioni identitarie sono intrecciate a quelle sociali. Oggi la
figura simbolica non è più l’operaio o il minatore, ma i cassieri dei
supermercati, i lavoratori edili in nero, i giovani di McDo.
Kuzmanovic e la Autain
hanno esattamente la stessa età, sono entrambi nati nel 1973, il primo è un ex
militare, laureato in scienze politiche e geopolitica, che si è presentato nel
collegio di Lens, dove la Le Pen fece il 58% e si presenta come candidato
‘patriottico’ che rivendica un ‘populismo di sinistra’. Seguendo l’eredità di
Jaures, e talvolta citando l’eredità di Trotsky, Guevara o dell’Ira[10]
il suo punto di battaglia è il Fronte Nazionale in un territorio devastato
dalla chiusura di miniere, fabbriche e da delocalizzazioni. Sostiene la
necessità di uscire dalla Nato ed è fortemente anti USA, nel 2009 si schiera
contro l’intervento in Libia e dal 2013 è nell’Ufficio Nazionale del Partito,
Responsabile esteri e difesa.
Clémentine Autain, invece
è un membro di Ensemble!,
che è un movimento femminista ed ecologista alleato con il Front
de Gauche è stata eletta a Parigi, e
poi a Sevran nell’Ile-de-France, è co-segretarie della Copernic Foundation.
Figlia di un’attrice e di un cantante e nipote di un ex deputato socialista, ed
ex sindaco, sotto Mitterrand. Viene eletta nel 2017 alla Seine-Saint-Denis
nell’11° distretto (si potrebbe dire semi-periferico, nella conurbazione di
Parigi.
Insomma, sono molto diversi, rappresentano plasticamente le diverse
sinistre.
Come detto all’inizio
la France Insoumise sta cercando un posizionamento nel quadro competitivo aperto
dalle elezioni europee che la vede quarta forza, stretta tra Macron ed i
Gollisti (due forze establishment) e il Fronte Nazionale, con piccole forze
sulla soglia di poter andare da sole intorno a sé. Per crescere di qualche
punto, e qualificarsi come candidato al possibile ballottaggio nel 2022, potrebbe
avere quindi senso cercare di non rompere con l’elettorato che la Autain, per
biografia, classe sociale, e area elettorale rappresenta ottimamente.
Probabilmente per
questo risulterebbe (si veda questo
articolo di Liberation) che Mèlenchon avrebbe sconfessato pubblicamente un
militante che ha con sé da dieci anni per uscire da quella che il giornale
chiama “la trappola”: fare dell’immigrazione il tema portante delle elezioni
che arrivano.
Anche Le Monde ha un resoconto
simile: “è inutile avere espressioni che infastidiscono i nostri
amici. È sempre bene avere una buona coscienza
umanistica. L'accoglienza, la generosità sono buoni valori”, ha sostenuto Alexis Corbière per conto di Mèlenchon.
La linea di attacco a Macron deve, piuttosto, essere i Trattati
europei e la politica ecologica.
Ma alla fine quale è la
divergenza?
Tutti e due ammettono
che l’arrivo di molti immigrati può influenzare la dinamica salariale, ma uno,
che parla con i ceti popolari, ne vuole parlare, l’altra, che si candida vicino
Parigi, pensa che sia pericoloso perché può far perdere l’identità alla
sinistra (si può vedere così, il primo deve riconquistare persone che non
votano, la seconda deve conservare un voto residuale). Uno guarda alla crescita
ed alla riconquista dei voti e del potere perduto, l’altra alla conservazione
di insediamenti sociali (ai quali appartiene) sotto pressione.
L’insieme del discorso
di Sahra Wagenknecht è letto come necessario per la protezione della nazione, e
la lotta contro i privilegi (di “salute pubblica” ha un particolare sapore per
un francese), da Kuzmanovic, mentre la posizione “umanitaria e
internazionalista” della Autain, che non vuole “perdere il filo di ciò che ci
anima” la porta ad abbozzare un contraddittorio discorso su libertà e
uguaglianza, che fa leva su legame sociale e solidarietà senza darsi gli
strumenti per ottenerli.
La proposta del primo è
di rallentare o fermare i flussi di immigrati non aventi i requisiti per essere
qualificati come rifugiati (anche se al termine ammette la difficoltà di fare
la distinzione nella pratica), denunciare lo sfruttamento francese dell’Africa,
e lasciare che si organizzi da sé (ricorda, appunto Sankara), allargare lo
stesso concetto in Europa, combattere la precarietà per riguadagnare coesione
sociale. E, soprattutto, regolarizzare chi già c’è e combattere spietatamente
coloro che assumono lavoratori illegali o li pagano poco. Porre fine al duping
sociale intra ed extra europeo.
La proposta della
seconda è di accogliere tutti, ma ottenere la solidarietà degli altri paesi. In
modo molto indicativo afferma di “non voler suggerire” che ci sia un nesso tra
disoccupazione e immigrazione (cita qualche controesempio sommario), anche se
poi dice di essere d’accordo con la descrizione di “esercito di riserva”.
Circa la constituency
cui guardare, Kuzmanovic vede decisamente i ceti popolari, la cui riconquista,
nelle attuali condizioni di disastro sociale sbarrerebbe la strada alla destra
ed insieme riaprirebbe la partita del potere che ora giocano solo altri.
La deputata parigina spera
di tenere insieme il residuo di constituency degli anni novanta-zero (giovani,
donne, immigrati, minoranze culturali) con un lavoratore ormai disperso e
disgregato di cui fa un elenco sommario.
Kuzmanovic fa un
discorso pratico, con un obiettivo politico di avanzamento in terreni oggi
abbandonati e che rischia di andare al punto, anche al prezzo di allargare il
discorso e di rischiare qualche passaggio difficile.
La Autain fa un
discorso identitario, con l’obiettivo di conservare ciò che la sinistra ha ancora,
i ceti medi istruiti e che sono pieni di buoni sentimenti (potendoseli
permettere), ma l’insieme delle contraddizioni e gli interdetti (ciò che non “vuole”
dire) la lascia in pratica senza discorso.
Un’immagine degli attuali
dilemmi della sinistra, tra “nuvole verbali” (Marx) e scelte difficili.
[1] - Del resto è un movimento con al
centro un partito, ma non esaurito in esso
[2] - Ovviamente prima di avviare l’iniziativa
di Patria
e Costituzione.
[4] - Una tesi sostenuta anche da Samir
Amin, si veda, ad esempio “Lo
sviluppo ineguale” 1973, “Oltre
la mondializzazione”, 1999, “Per
un mondo multipolare”, 2006, “La
crisi”, 2009.
[5] - Si può vedere anche https://tempofertile.blogspot.com/2017/08/note-circa-leconomia-politica.html
[6]- Che viene ucciso in un colpo di
stato tre mesi dopo aver pronunciato questo discorso contro il debito coloniale:
https://youmedia.fanpage.it/video/al/WPCvk-SwgAVuR2bw
[7] - ...
allora, cari fratelli, col sostegno di tutti
potremo fare la pace a casa nostra
potremo anche usare le sue immense potenzialità
per sviluppare l'Africa, perché il nostro suolo
e il nostro sottosuolo sono ricchi
abbiamo abbastanza braccia e un mercato immenso
da nord a sud, da est a ovest
abbiamo abbastanza capacità intellettuali per creare
o almeno prendere la tecnologia e la scienza
in ogni luogo dove si trovano.
Signor presidente: facciamo in modo da realizzare
questo fronte unito di Addis Abeba contro il debito
facciamo in modo che a partire da Addis Abeba
decidiamo di limitare la corsa agli armamenti
tra paesi deboli e poveri
i manganelli e i coltellaci che compriamo sono inutili
Facciamo in modo che il mercato africano
sia il mercato degli africani
Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa
Produciamo quello di cui abbiamo bisogno
e consumiamo quello che produciamo invece di importarlo
Il Burkina Faso è venuto qui ad esporvi la cotonnade
prodotto in Burkina Faso, tessuta in Burkina Faso
cucita in Burkina Faso per vestire i burkinabè
allora, cari fratelli, col sostegno di tutti
potremo fare la pace a casa nostra
potremo anche usare le sue immense potenzialità
per sviluppare l'Africa, perché il nostro suolo
e il nostro sottosuolo sono ricchi
abbiamo abbastanza braccia e un mercato immenso
da nord a sud, da est a ovest
abbiamo abbastanza capacità intellettuali per creare
o almeno prendere la tecnologia e la scienza
in ogni luogo dove si trovano.
Signor presidente: facciamo in modo da realizzare
questo fronte unito di Addis Abeba contro il debito
facciamo in modo che a partire da Addis Abeba
decidiamo di limitare la corsa agli armamenti
tra paesi deboli e poveri
i manganelli e i coltellaci che compriamo sono inutili
Facciamo in modo che il mercato africano
sia il mercato degli africani
Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa
Produciamo quello di cui abbiamo bisogno
e consumiamo quello che produciamo invece di importarlo
Il Burkina Faso è venuto qui ad esporvi la cotonnade
prodotto in Burkina Faso, tessuta in Burkina Faso
cucita in Burkina Faso per vestire i burkinabè
vorrei semplicemente dire
che dobbiamo accettare di vivere africano
è il solo modo di vivere liberi e degni
che dobbiamo accettare di vivere africano
è il solo modo di vivere liberi e degni
La ringrazio signor presidente
La patria o la morte, vinceremo!
La patria o la morte, vinceremo!
[9] - Negli anni ottanta inoltrati e
novanta il riflusso nel privato e le sconfitte della classe operaia, con
l’indebolimento decisivo dei sindacati, sconfitti in simboliche battaglie in
Inghilterra, in USA e anche in Italia alla Fiat, portarono una parte della
cultura di sinistra a cercare altre strade. In questi anni intellettuali
influenti come Jurgen Habermas, “Teoria dell’Agire Comunicativo”, 1981, Antony
Giddens “Identità
e società moderna”, 1991, “Oltre
la destra e la sinistra”, 1994, “La
terza via”, 1998, ma anche Ronald Inglehart “La
società postmoderna”, 1996, sostengono che nella società postmoderna e
frammentata si debba considerare risolto il problema fondamentale della
sopravvivenza e quindi anche la lotta di classe, in favore di una ‘politica
della vita’, incentrata sull’espansione dei diritti individuali e di
autoespressione.
[10] -Come le faccia andare insieme
sarebbe interessante capirlo.

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