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venerdì 5 ottobre 2018

Castoriadis, Lasch, “La cultura dell’egoismo”



Per Elèuthera la pubblicazione di una vecchia conferenza del 1986, ritrovata da Jean-Claude Michéa e pubblicata in francese nel 2012. Si tratta di un dibattito televisivo trasmesso dal canale britannico Channel 4 il 27 marzo 1986 nel quale le domande erano fatte da Michael Ignatieff.
Cornelius Castoriadis è stato un filosofo e psicologo greco naturalizzato francese ed animatore del gruppo marxista e libertario “Socialisme ou Barbarie”, una organizzazione attiva tra il 1948 ed il 1967 di ispirazione marxista ma anti-leninista vicino al luxemburghismo ed a Karl Korsch e con inclinazioni anarchiche. Fieramente opposta ad ogni concezione gerarchica e autoritaria la tradizione libertaria valorizza i “consigli”[1], muore nel 1997. Tra le sue opere più importanti, “L’istituzione immaginaria della società”, 1975; “La società burocratica”, 1978; “L’enigma del soggetto”, 1998.
Di Christopher Lasch abbiamo appena letto “La ribellione delle élite”, cui rimandiamo.



Nel dialogo tra un libertario ed un pensatore come Lasch, severo critico del progressismo ma incline a recuperare elementi conservatori, ci sono consonanze circa la critica del liberalismo capitalista e divergenze solo accennate in questi dialoghi.

L’autore del “La cultura del narcisismo” e di “L’io minimo”, e Castoriadis si trovano in accordo sul punto di partenza dell’analisi. Tutto muove dalla disgregazione del movimento operaio e del progetto rivoluzionario che il marxismo aveva collegato con esso che finisce per produrre un tipo umano che, come dice il filosofo francese, “volta le spalle agli interessi comuni, alle attività collettive” e nello smettere di assumersi responsabilità (termine caro anche a Lasch) finisce, però, per “rinchiudersi in se stesso”, nel suo “mondo privato composto dalla famiglia e da una ristretta cerchia di amici”. Ma, naturalmente, poiché nulla è mai veramente “privato” e tutto è costruito socialmente, dunque poiché “quel che noi chiamiamo individuo è in un certo senso una costruzione sociale” da questa pratica di costruzione delle soggettività deriva una intera società. Si costituisce un sociale ed un politico per sottrazione a partire da quel che Lasch chiamava “l’io minimo”, o “narcisista”; ovvero da un “io” sempre più svuotato di qualsiasi contenuto che definisce gli obiettivi della sua vita in termini altamente restrittivi, in termini di “pura e semplice sopravvivenza”, quotidiana. Effetto questo di un mondo percepito come estremamente minaccioso e intrinsecamente precario, da affrontare solo giorno per giorno.

Questa reazione produce, per Lasch, quello che si potrebbe descrivere come l’annichilimento dell’io, in quanto non solo questo è sempre “sociale” (come dice Castoriadis), ma in effetti presuppone una vita civica. Cioè, come dice, alla fine “una vita morale è una vita vissuta in pubblico”.

Dunque il sociale ed il politico si costituiscono da questa sottrazione: senza vivere in pubblico, ma rifugiandosi per difesa nel privato, vivendo giorno per giorno, alla fine manca essenzialmente il progetto. Sia l’individuo sia la società ripiegano su un orizzonte temporale limitato e ormai nessuno partecipa ad un orizzonte temporale pubblico.
Una delle conseguenze è che, come sostiene Lasch, in questo modo noi alla fine viviamo in un mondo privo di una realtà solida, in un mondo fantasmatico, di immagini sfuggenti e allucinatorie. Ciò che perdiamo è proprio la percezione di vivere in un mondo che è esistito prima di noi e che esisterà dopo di noi (ovvero, si potrebbe dire, non abbiamo il senso della profondità storica delle nostre idee e della proiezione progettuale delle nostre azioni). L’intero rapporto sociale con il mondo è preso in questo movimento di sottrazione di senso, e con il senso di continuità storica perdiamo anche la funzione di renderci familiari oggetti concreti, fissarli e dargli senso, ed invece oggi questi sono catturati come in una girandola; interamente prigionieri della dinamica del consumo, sempre più effimera.

Ancora, a partire da questo “io” minimo e dal sociale e politico determinato da questo si registra alla fine la scomparsa del conflitto politico, come dice Castoriadis “le persone ritengono, a ragione, che non valga la pena di battersi per le idee politiche che circolano attualmente nel mercato politico[2]”, inoltre pensano “che i sindacati siano più o meno dei grandi apparati burocratici che badano ai propri interessi o al massimo dei gruppi di pressione”. E ritengono che “non c’è più niente da fare”, tra il totalitarismo bolscevico da una parte e la socialdemocrazia che si è appiattita al capitalismo[3], quindi in definitiva conviene trincerarsi nel privato. Ciò mentre il capitalismo si sposta dai produttori ai consumatori[4].

Venendo alla formazione del sociale e del politico, Lasch connette a questo clima di declino del discorso pubblico, ed alla sopravvenuta incapacità di declinare rivendicazioni in modo diverso dagli interessi diretti ed immediati di gruppi specifici, la tendenza a definirsi come “vittime” per avere la forza morale di proporsi. Come dice: “quest’ultimo fenomeno rimanda in parte all’esaltazione morale della figura della vittima e al crescente ricorso alla vittimizzazione come unico criterio di giustizia in grado di ottenere un riconoscimento”. L’idea è che il crollo della prospettiva storica, e del progetto, determina specificamente un collasso anche della prospettiva morale ancorata su questa, per cui alla fine “se si riesce a provare di essere stati vittima di qualcosa, di essere stati discriminati (e quanto più a lungo lo si è stati, tanto meglio è), questo diventa la base su cui fondare le proprie rivendicazioni”. Da questo affondare nella specificità consegue, in altre parole, anche il fatto che le rivendicazioni sono sempre specifiche, e sono comprensibili solo per se stesse (non disponendo più dei quadri generali).

In conseguenza di questa impostazione, ad esempio, i neri dopo gli anni sessanta hanno cominciato a dire che “nessuno poteva capirli” e le femministe, come sostiene Castoriadis, che “nessuno le può capire se non è donna”. In sostanza, in questo modo “la possibilità di un linguaggio che sia comprensibile a tutti e che costituisce la base della vita pubblica, del confronto pubblico, è esclusa quasi per definizione”[5].

Questa disgregazione radicale del mondo pubblico, della corrispondenza tra ruoli attuali e potenziali, intorno ai quali investire, valorizzarsi, identificarsi, perde in sostanza qualsiasi significato ciò che Hegel chiamava “riconoscimento”, e che noi possiamo identificare con il “rispetto”, o che i greci antichi chiamavano “kleos” e “kudos”.

Con ciò perde significato direttamente il politico, ma anche il mondo degli oggetti stessi, che sono puro consumo, non hanno più ‘cosità’[6].

Esiste un nesso, sembrano dire Castoriadis e Lasch, tra la perdita dello spessore del reale, della storicità e del progetto, che deriva dalla disillusione novecentesca e l’”io” ripiegato, spaventato e narcisista ad un tempo, che costruisce una società ed un politico specifici. Ne sono immagine sia l’attaccamento compulsivo e leggero ad oggetti che hanno perso qualsiasi senso, sia quella che alcuni anni dopo Lasch chiamerà la “mentalità turistica” delle nuove élite.


[1] - In Russia i Soviet del 1905, e con la Rivolta di Kronštadt, in Germania ed Italia durante i rispettivi bienni rossi, e poi durante gli anni sessanta di nuovo in Italia, con i “Consigli operai” di cui parlerà a lungo Trentin (si veda “Il sindacato dei Consigli”, Editori Riuniti, 1980).
[2] - Ricordiamo che il dibattito avviene in Inghilterra, tra un americano e un francese naturalizzato nel 1986, la Thatcher stava per essere rieletta per il terzo mandato (1987), Reagan era al secondo mandato presidenziale, cui seguì George W. Bush, nel 1984 Mitterrand aveva determinato una decisa svolta verso la destra liberale dalla quale il Partito Socialista non si liberò più, bel 1986 la destra vince le elezioni legislative e Jacques Chirac forma un nuovo governo.
[3] - Il riferimento è ovviamente all’esperienza di Mitterrand e la sua svolta degli anni ottanta (si veda “Francoise Mitterrand e le svolte degli anni ottanta”), ma anche il libro di Barba e Pivetti “La scomparsa della sinistra in Europa”, o il libro coevo di Paggi e d’Angelillo “I comunisti italiani e il riformismo”, la caduta di Willy Brandt nel 1974 e la svolta liberale di Schmidt.
[4] - In altre parole mentre il rapporto con gli oggetti, perso lo spessore che li collocava come il resto della vita nella prospettiva di un progetto e quindi in un passato e nell’apertura al futuro, si definisce nel vortice compulsivo del consumo, al quale affidare l’identificazione soggettiva.
[5] - Lasch, p. 21
[6] - Castoriadis parlando dell’analisi di Lasch, p.26

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