Per Elèuthera la pubblicazione di una vecchia conferenza del 1986, ritrovata da Jean-Claude
Michéa e pubblicata in francese nel 2012. Si tratta di un dibattito televisivo
trasmesso dal canale britannico Channel 4 il 27 marzo 1986 nel quale le domande
erano fatte da Michael Ignatieff.
Cornelius
Castoriadis è stato un filosofo e psicologo greco naturalizzato francese ed
animatore del gruppo marxista e libertario “Socialisme
ou Barbarie”, una organizzazione attiva tra il 1948 ed il 1967 di
ispirazione marxista ma anti-leninista vicino al luxemburghismo ed a Karl
Korsch e con inclinazioni anarchiche. Fieramente opposta ad ogni concezione
gerarchica e autoritaria la tradizione libertaria valorizza i “consigli”[1],
muore nel 1997. Tra le sue opere più importanti, “L’istituzione immaginaria della società”, 1975; “La società
burocratica”, 1978; “L’enigma del soggetto”, 1998.
Di Christopher Lasch abbiamo appena letto “La
ribellione delle élite”, cui rimandiamo.
Nel dialogo tra un libertario ed un pensatore come Lasch,
severo critico del progressismo ma incline a recuperare elementi conservatori,
ci sono consonanze circa la critica del liberalismo capitalista e divergenze
solo accennate in questi dialoghi.
L’autore del “La
cultura del narcisismo” e di “L’io
minimo”, e Castoriadis si trovano in accordo sul punto di partenza dell’analisi.
Tutto muove dalla disgregazione del movimento operaio e del progetto
rivoluzionario che il marxismo aveva collegato con esso che finisce per produrre
un tipo umano che, come dice il filosofo francese, “volta le spalle agli
interessi comuni, alle attività collettive” e nello smettere di assumersi
responsabilità (termine caro anche a Lasch) finisce, però, per “rinchiudersi in
se stesso”, nel suo “mondo privato composto dalla famiglia e da una ristretta
cerchia di amici”. Ma, naturalmente, poiché nulla è mai veramente “privato” e
tutto è costruito socialmente, dunque poiché “quel che noi chiamiamo individuo
è in un certo senso una costruzione sociale” da questa pratica di costruzione
delle soggettività deriva una intera società. Si costituisce un sociale ed un
politico per sottrazione a partire da quel che Lasch chiamava “l’io minimo”, o “narcisista”; ovvero da un
“io” sempre più svuotato di qualsiasi contenuto che definisce gli obiettivi
della sua vita in termini altamente restrittivi, in termini di “pura e semplice
sopravvivenza”, quotidiana. Effetto questo di un mondo percepito come
estremamente minaccioso e intrinsecamente precario, da affrontare solo giorno
per giorno.
Questa reazione produce, per Lasch, quello che si
potrebbe descrivere come l’annichilimento
dell’io, in quanto non solo questo è sempre “sociale” (come dice
Castoriadis), ma in effetti presuppone una vita civica. Cioè, come dice, alla
fine “una vita morale è una vita vissuta in pubblico”.
Dunque il sociale ed il politico si costituiscono da
questa sottrazione: senza vivere in pubblico, ma rifugiandosi per difesa nel
privato, vivendo giorno per giorno, alla fine manca essenzialmente il progetto.
Sia l’individuo sia la società ripiegano su un orizzonte temporale limitato e ormai
nessuno partecipa ad un orizzonte temporale pubblico.
Una delle conseguenze è che, come sostiene Lasch, in
questo modo noi alla fine viviamo in un mondo privo di una realtà solida, in un
mondo fantasmatico, di immagini sfuggenti e allucinatorie. Ciò che perdiamo è proprio
la percezione di vivere in un mondo che è esistito prima di noi e che esisterà
dopo di noi (ovvero, si potrebbe dire, non abbiamo il senso della profondità
storica delle nostre idee e della proiezione progettuale delle nostre azioni). L’intero
rapporto sociale con il mondo è preso in questo movimento di sottrazione di
senso, e con il senso di continuità storica perdiamo anche la funzione di
renderci familiari oggetti concreti, fissarli e dargli senso, ed invece oggi questi
sono catturati come in una girandola; interamente prigionieri della dinamica
del consumo, sempre più effimera.
Ancora, a partire da questo “io” minimo e dal sociale
e politico determinato da questo si registra alla fine la scomparsa del conflitto politico, come dice Castoriadis “le
persone ritengono, a ragione, che non valga la pena di battersi per le idee
politiche che circolano attualmente nel mercato politico[2]”,
inoltre pensano “che i sindacati siano più o meno dei grandi apparati
burocratici che badano ai propri interessi o al massimo dei gruppi di pressione”.
E ritengono che “non c’è più niente da
fare”, tra il totalitarismo bolscevico da una parte e la socialdemocrazia
che si è appiattita al capitalismo[3],
quindi in definitiva conviene trincerarsi nel privato. Ciò mentre il
capitalismo si sposta dai produttori ai consumatori[4].
Venendo alla formazione del sociale e del politico, Lasch
connette a questo clima di declino del discorso pubblico, ed alla sopravvenuta incapacità
di declinare rivendicazioni in modo diverso dagli interessi diretti ed
immediati di gruppi specifici, la tendenza a definirsi come “vittime” per avere la forza morale di proporsi. Come
dice: “quest’ultimo fenomeno rimanda in parte all’esaltazione morale della
figura della vittima e al crescente ricorso alla vittimizzazione come unico
criterio di giustizia in grado di ottenere un riconoscimento”. L’idea è che il
crollo della prospettiva storica, e del progetto, determina specificamente un
collasso anche della prospettiva morale ancorata su questa, per cui alla fine “se
si riesce a provare di essere stati vittima di qualcosa, di essere stati
discriminati (e quanto più a lungo lo si è stati, tanto meglio è), questo
diventa la base su cui fondare le proprie rivendicazioni”. Da questo affondare
nella specificità consegue, in altre parole, anche il fatto che le
rivendicazioni sono sempre specifiche,
e sono comprensibili solo per se stesse (non disponendo più dei quadri generali).
In conseguenza di questa impostazione, ad esempio, i
neri dopo gli anni sessanta hanno cominciato a dire che “nessuno poteva capirli”
e le femministe, come sostiene Castoriadis, che “nessuno le può capire se non è
donna”. In sostanza, in questo modo “la possibilità di un linguaggio che sia
comprensibile a tutti e che costituisce la base della vita pubblica, del confronto
pubblico, è esclusa quasi per definizione”[5].
Questa disgregazione
radicale del mondo pubblico, della corrispondenza tra ruoli attuali e
potenziali, intorno ai quali investire, valorizzarsi, identificarsi, perde in
sostanza qualsiasi significato ciò che Hegel chiamava “riconoscimento”, e che
noi possiamo identificare con il “rispetto”, o che i greci antichi chiamavano “kleos”
e “kudos”.
Con ciò perde significato direttamente il politico, ma anche il mondo degli
oggetti stessi, che sono puro consumo, non hanno più ‘cosità’[6].
Esiste un nesso, sembrano dire Castoriadis e Lasch,
tra la perdita dello spessore del reale, della storicità e del progetto, che
deriva dalla disillusione novecentesca e l’”io” ripiegato, spaventato e
narcisista ad un tempo, che costruisce una società ed un politico specifici. Ne
sono immagine sia l’attaccamento compulsivo e leggero ad oggetti che hanno
perso qualsiasi senso, sia quella che alcuni anni dopo Lasch chiamerà
la “mentalità turistica” delle nuove
élite.
[1]
- In Russia i Soviet del 1905, e con la Rivolta di Kronštadt, in Germania ed
Italia durante i rispettivi bienni rossi, e poi durante gli anni sessanta di
nuovo in Italia, con i “Consigli operai” di cui parlerà a lungo Trentin (si
veda “Il sindacato dei Consigli”,
Editori Riuniti, 1980).
[2]
- Ricordiamo che il dibattito avviene in Inghilterra, tra un americano e un
francese naturalizzato nel 1986, la Thatcher stava per essere rieletta per il
terzo mandato (1987), Reagan era al secondo mandato presidenziale, cui seguì
George W. Bush, nel 1984 Mitterrand aveva determinato una decisa svolta verso
la destra liberale dalla quale il Partito Socialista non si liberò più, bel
1986 la destra vince le elezioni legislative e Jacques Chirac forma un nuovo
governo.
[3]
- Il riferimento è ovviamente all’esperienza di Mitterrand e la sua svolta
degli anni ottanta (si veda “Francoise
Mitterrand e le svolte degli anni ottanta”), ma anche il libro di Barba e
Pivetti “La
scomparsa della sinistra in Europa”, o il libro coevo di Paggi e d’Angelillo
“I
comunisti italiani e il riformismo”, la caduta di Willy Brandt nel 1974
e la svolta
liberale di Schmidt.
[4]
- In altre parole mentre il rapporto con gli oggetti, perso lo spessore che li
collocava come il resto della vita nella prospettiva di un progetto e quindi in
un passato e nell’apertura al futuro, si definisce nel vortice compulsivo del
consumo, al quale affidare l’identificazione soggettiva.
[5]
- Lasch, p. 21
[6]
- Castoriadis parlando dell’analisi di Lasch, p.26

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