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venerdì 17 novembre 2023

Intervento su classe e partito

 

Intervento su classe e partito


 

Facendo riferimento al mio libro “Classe e partito. Ridare corpo al fantasma del collettivo[1], quello che segue è il testo del mio intervento all’assemblea del Movimento per la rinascita comunista[2], tenutosi a Roma l’11 novembre presso la Sala Intifada[3].

 

Affiancato, ma indipendente, a questo tentativo di riaggregazione è stato costituito il “Centro studi nazionale Domenico Losurdo[4], al quale aderisco. Precisamente ai gruppi di lavoro “Ambiente, territorio ed urbanistica”[5], coordinata da Alessandra Ciattini, e “Marxismo, teoria della rivoluzione in occidente e questioni del socialismo del XXI secolo”[6], coordinato da Carlo Formenti.



 


TESI:

 

1.    le classi sono singolarità e non esistono fuori delle dinamiche politiche e sociali di un progetto.

2.    Le classi rivoluzionarie entro un progetto modale (ovvero di fuoriuscita da una società nella quale domina il modo di produzione capitalistico[7]).

 

Serve quindi un costruttivismo temperato (o un materialismo ben inteso), è necessario cercare “un piede al salto”. Un lavoro di autochiarificazione teorica e immersione nelle contraddizioni aperte.

 

CONDIZIONI:

 

Ci sono alcune condizioni:

1.    Per essere di nuovo all'altezza della sfida bisogna che si comprenda il capitalismo non solo come 'modo di produzione', o come struttura economica (che pure sono), bensì come forma di salvezza, profondamente religiosa e feticista. Una danza intorno agli idoli che sacrifica le nostre vite.

2.    Bisogna anche comprendere che la 'revoca' della ricerca della sicurezza del cosiddetto 'trentennio glorioso' è stata a sua volta 'revocata' nel quarantennio neoliberale. E' per questo che il naturale esito, per estenuazione, di tutte le dinamiche (economiche, sociali e culturali) della 'revoca' ha fatto emergere in prima istanza il cosiddetto 'momento populista' degli ultimi dieci anni.

3.    Senza andare a traino, o stare alla coda dei movimenti spontanei del modo di produzione dominante, bisogna abbandonare il senso di sconfitta storica che la sinistra tutta ha incorporato a partire dagli anni Ottanta, e tutti i 'buoni rifugi' che si è costruita nel tempo (dalla socialdemocrazia svuotata e disarmata al messianesimo ribellista). E bisogna farlo perché la lezione dell'ultimo quindicennio è che l'impolitico liberale, lungi dall'essere l'ultima forma dell'umano, è ormai uno zombie.

 

LA ‘CLASSE’

 

Tuttavia, anche se le classi non sono degli universali, ma delle singolarità, queste per essere ‘rivoluzionarie’ non possono essere costruite raccogliendo, semplicemente, quel che resta sul bagna    sciuga nel disordine della risacca neoliberale. Andare dietro agli ‘zombie’ non porterà nulla di buono. Siamo ad un nodo cruciale serve un salto, ma serve trovare piede per farlo, di fronte al rischio dell'armageddon che ci preme da ogni lato.

 

Il concetto di “classe” più utile è di natura funzionale. Classe e progetto, anzi, classe-progetto-partito. Sul piano del concetto non ha a che fare con la dotazione di risorse individuali, o il correlato accesso ai consumi, o il ‘ceto’, ma alla posizione della propria autoriproduzione sociale rispetto al movimento del capitale. Ciò che vogliamo è una rivoluzione modale. Il rovesciamento del modo di produzione che vede il capitale in posizione di essere il principio di organizzazione sociale. Quello che vogliamo è un modo di produzione sociale che veda il general intellect sganciarsi dalla dipendenza dal capitale e divenire bene comune per lo sviluppo umano e naturale.

 

Nel modo di produzione che domina nel centro (e nelle sue semi-periferie), il ‘lavoro salariato’, preso a primario riferimento da Marx alla metà del XIX secolo, o ‘l’operaio’ (lavoratore nella produzione di merci manifatturate), non sono più i centri distintivi.

 

Oggi riceve un salario come contropartita della sua relazione funzionale con il ‘lavoro morto’, dalla quale viene oggettivato, anche chi lavora come professionista a partita IVA, è connesso ad una piattaforma, impegnato nelle tante e modernissime forme di cottimo, soprattutto se iperspecializzate e variamente nascoste. Ed è questa relazione funzionale che il capitale (deindivualizzato e incarnato ormai nell’insieme dei mezzi produttivi e nel nesso generale che li rende tali – il general intellect sussunto quasi interamente in esso - ) si valorizza e riproduce. Un buon indizio nasce dal fatto che, ora come al tempo di Marx, questa relazione crea dipendenza.

4.    Fanno parte della “classe” che potremmo chiamare genericamente ‘lavoratrice’, dunque, tutti coloro che si trovano connessi nella forma della remunerazione dietro prestazione a sistemi produttivi ad essi esterni e nei quali sono sussunti (e trasformati in oggetti). Ne fanno parte anche se le modalità cooperative che contraddistinguono il loro lavoro sono mediate da sistemi a maglia larga, invisibili, altamente tecnologici (è il caso delle cosiddette “piattaforme”, ma anche di tante modalità più o meno glamour di lavoro a cottimo o frammentato). Ne fanno parte se la segmentazione dell’opera, anche nella iperspecializzazione apparentemente liberante o autonoma, rende impossibile controllare il proprio “valore” (o di “fare il proprio prezzo”). Se, infine, il senso complessivo dell’opera si perde. Se il carattere necessariamente cooperativo del lavoro è nascosto da relazioni tecniche anche a grande distanza, e frammentate. Quando il carattere parziale dell’attività ed il suo governo sono nascosti, incomprensibili, impossibili da fare propri. Quando il senso è espropriato.

5.    Non ne fanno parte non tanto i “ceti medi” (dato che, come detto, non è questione di “ceto”), quanto coloro i quali traggono la propria autoriproduzione dal controllo di segmenti di capitale e quindi, nel nesso essenziale capitale/lavoro che costituisce ancora la forma sociale dominante del modo di produzione capitalistico; che dipendono per la propria esistenza come soggetti economici dalla sua permanenza. Per dirla meglio, dipendono dalla permanenza della centralità del controllo privato del capitale come ordinatore sociale. Ciò anche se la frazione di capitale è piccola, periferica, subalterna (ad altre).

 

PARTIRE

 

Anche per questo superare l'impolitico neoliberale significa andare oltre la particolare miscela di risentimento, individualismo edonista frustrato, spinta alla socializzazione destrutturata che esprimono ceti medi declassati, i quali vedono la propria relazione con il capitale ordinatore messa in crisi e che si sentono per questo contemporaneamente sovraistruiti e sottoutilizzati. Secondo il loro particolare modo di essere impolitici.

 

‘Trovare piede al salto’ significa recuperare la memoria, al senso di Benjamin, e dissodare il terreno. Il lavoro teorico si deve concentrare sulle diadi produttivo/improduttivo, struttura/sovrastruttura, rivoluzione/riforma e sui concetti di lavoro, egemonia, sviluppo ineguale e classe.

Una delle cose più urgenti è di muoversi lontano dal messianesimo e dal radicalismo ribellista ma comprendendo il bisogno di trascendenza. Sfuggendo alla tenaglia tra socialdemocrazia e radicalismo messianico, entrambe fughe dal conflitto.

 

 

Infine, bisogna ripartire. Per questo comprendere che il varco non è nel senso comune, e che bisogna da una parte comprendere il proprio tempo che muta, dall'altra ricercare quella che Gramsci chiamava la 'fantasia concreta'. Essere nuovamente politici, materialisti e populisti, allo stesso tempo.

 

Ricominciare a fare grande politica (che non è questione di mezzi, ma di atteggiamento) senza indulgere in sempre più vuote 'frasi rivoluzionarie' (Lenin), ma creando lo spazio di un lavoro paziente e determinato, volto alla creazione di soggettività e condizioni. Costruire insieme “Classe e Partito”, per andare verso una società materialista decente.

 



[1] - Alessandro Visalli, Classe e partito. Ridare corpo al fantasma del collettivo, Meltemi, Milano, 2023.

[7] - Società nelle quali la produzione non è finalizzata alla soddisfazione di bisogni, ma alla valorizzazione (ovvero alla creazione di un profitto, ad una riproduzione allargata del capitale).

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